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Studi Cassinati, anno 2017, n. 4
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di E. Pistilli
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Non sono mai mancati artisti tra i monaci di Montecassino. I prestigiosi codici miniati ne sono solo un lontano esempio. Per giungere ai tempi odierni basti ricordare il celebre D. Francesco Vignanelli (Civitavecchia 1888 – Montecassino 1979), pittore e scultore, o, un bel po’ prima – ma solo perché ce ne siamo già occupati –, il monaco Vincenzo Bove o Bovio (Bitonto, 1808? – Montecassino,1889), nipote dell’abate Luigi III Bovio da Bitonto (ab. 26 nov. 1821 – magg. 1828)1.
È tempo, ora, di parlare di un altro valente e rinomato artista monaco cassinese, mai salito agli onori della élite storica ed artistica di Montecassino. Parliamo di Giovanni Andrea Ricci, monaco benedettino spagnolo, che chiuse la sua esaltante missione tra le mura della badia cassinese: Juan Andrés Ricci de Guevara, conosciuto nel mondo dell’arte come fray Juan Rizi, monaco pittore, architetto e trattatista, nato a Madrid nel 1600 e morto a Montecassino nel 1681.
Nell’Archivio del monastero troviamo poche note biografiche relative al suo periodo italiano: una è a cura del monaco cassinese d. Mariano Armellini2 del 1731, un’altra, molto più breve, è dell’archivista Erasmo Gattola3 del 1733. Tuttavia una sua vasta serie di trattati è consultabile nello stesso Archivio.
Leggiamo cosa scrive l’Armellini: «Giovanni Andrea Ricci, nato in Spagna, fu professo nel monastero di Montserrat, Congregazione Vallisoletana, ma per molti anni visse a Montecassino fino alla morte, a buon diritto merita di essere segnalato tra i Cassinesi. Qui si mostrò erudito nelle scienze scolastiche e nelle arti liberali, nonché teologo, predicatore, pittore, architetto. Decorò con dipinti la cappella del Santissimo posta a sinistra del coro nella chiesa di Montecassino. Ma, cosa più importante, coltivò con forte vocazione l’osservanza monastica. Partecipava assiduamente alle ore canoniche sia notturne che diurne. Nel tempo rimanente dalle preghiere si applicava nello studio delle sacre scritture ed anche a qualche lavoro manuale. Digiunava a lungo e osservava con impegno l’antica austerità. Non indossava indumenti intimi di bianca lana ma tessuti ruvidi detti «rascia» [rafia?]. Dormiva molto poco vestito secondo la regola, e, cosa straordinaria, con la finestra aperta sia di giorno che di notte, anche quando la nebbia invernale o la neve, quando cadeva, invadevano la cella. Molto devoto alla Beata Vergine, scrisse un libro che offrì a papa Paolo V intitolato De Conceptione Beatae Mariae Virginis. Scrisse molti trattati di carattere sacro ma anche di vario genere, conservati in maniera non ordinata nell’archivio di Montecassino. Qui morì attorno al 1685»4.
Il Gattola, molto più sintetico, nulla aggiunge a queste note se non la precisazione che Giovanni Ricci «morì santamente il 29 novembre 1681, ad 81 anni»5.
Neppure il monaco cassinese Cornelio Ceraso (seconda metà del sec. XVII) parla del Nostro nel suo Elogia omnium Monachorum sua aetate Casinum degentium ab anno 1637, manoscritto inedito in Archivio di Montecassino: ma a spiegarcene la ragione è lo stesso Armellini, che nel 1723 riceve da Erasmo Gattola la seguente nota: «Il Padre D. Cornelio non fé l’elogio del P. Priore* D. Giovanni Andrea Ricci Spagnolo, per ragione, che non era professo di Montecassino, benché fosse stato qui per molti anni, ma era professo del celebre Monastero di Monserrato, nel quale li Monaci devono essere la metà Catalani, e la metà Castigliani; e perché egli era Castigliano, perciò ne fu scacciato nel tempo delle rivoluzioni di Catalogna, e se ne venne a Roma, dove dimorò per alcuni anni, e poi se ne venne in questo Sagro Monastero, nel quale visse con gran rigore, ed esemplarità di vita, come ben noto a V. P. e compose li libri avvisatili altre volte ecc.»6.
Ma è tempo di conoscere meglio la figura di questo poliedrico monaco e artista, spagnolo ma di origine italiana7.
Il padre, Antonio Ricci, nativo di Ancona, anch’egli pittore, si recò in Spagna nel 1585 per lavorare alla decorazione del monastero dell’Escorial al seguito di Federico Zuccaro (Sant’Angelo in Vado, 1539 – Ancona, 20 luglio 1609), esponente del manierismo italiano. Solo dopo alcuni mesi Zuccaro abbandonò il suo lavoro all’Escorial, ma Antonio preferì rimanere in Spagna; lì sposò nel 1588 Gabriela de Guevara, o de Chaves, figlia di Gabriel de Chaves, decoratore di corte. Da Gabriela de Guevara ebbe undici figli, di cui il nostro Giovanni fu il quarto. Anche il più piccolo, Francesco, sarà pittore di corte a Madrid.
Dunque Giovanni Ricci aveva respirato aria di pittura fin dalla nascita essendo cresciuto in ambiente di artisti. Probabilmente apprese l’arte della pittura dal padre, e pare abbia frequentato il laboratorio del Maino8, ma non se ne ha certezza.
La sua arte pittorica si è soliti inquadrarla nel barocco iniziale, detto tenebrismo, caratterizzato dal forte contrasto tra luci ed ombre, il cui massimo esponente fu il Caravaggio, ma che ebbe maggiore seguito in Spagna.
La sua formazione culturale si esplicò all’interno dell’Accademia di San Luca di Madrid, di cui il padre fu tra i promotori. Ma ben presto manifestò il suo carattere fondamentalmente indipendente.
Poco sappiamo dei suoi primi anni; certamente coltivò molto presto il suo interesse per le questioni religiose, il che lo indirizzò alla carriera monastica: già a sedici anni, infatti, scrisse un piccolo trattato sulla Sacra Concezione di Maria.
Prima di entrare in convento aveva già realizzato due opere di pittura, ora scomparse. Un contratto lo indusse, all’età di 25 anni, a dipingere quattro tele sulla Passione di Cristo ed altre opere per i conventi dei Trinitari scalzi di Madrid.
A 27 anni, il 7 dicembre del 1627, entrò nell’ordine benedettino di Montserrat, appartenente alla Congregazione castigliana di San Benedetto el Real di Valladolid. Fu in seguito mandato a seguire i corsi di filosofia nel monastero di Irache in Navarra, dove rimase tre anni9. Nel 1637 fu richiamato a Monserrat per realizzare opere di pittura nella cappella di San Bernardo. Successivamente frequentò il collegio di San Vincenzo a Salamanca, dove si iscrisse all’università per il corso triennale dal 1638 al 1641. Il suo biografo Antonio Palomino10 riferisce che per pagare la retta di 100 ducati richiesta dall’università, dipinse un Cristo in due giorni; per questo ottenne molto di più di quanto gli fosse necessario. Pare che nel corso di studi di teologia abbia frequentato anche lezioni di anatomia, cosa che gli tornò molto utile nelle sue esecuzioni pittoriche. Nello stesso periodo decorò il chiostro del collegio, opera che purtroppo andò perduta durante la guerra napoleonica.
Nel 1641, nel corso della rivolta catalana, che afflisse il territorio dal 1640 al 1652 (nell’ambito della guerra tra lo spagnolo Filippo IV e il re di Francia Luigi XIII, guerra conclusasi con la pace dei Pirenei nel 1659) i monaci castigliani furono espulsi da Montserrat (come già accennato più su da Erasmo Gattola) e si ritirarono a Madrid. Anche il Nostro volle congiungersi a loro lasciando Salamanca. Fu chiamato a corte per educare il principe Baltasar Carlos. In quel breve periodo partecipò alla decorazione del vecchio Alcazar.
Non resistette molto in quel prestigioso compito a causa del suo forte carattere e anche perché si vide menomato nell’obbedienza al suo ordine essendo entrato in contrasto con il nuovo abate del monastero di Montserrat di Madrid, Juan Manuel de Espinosa. Nel 1642 lasciò la corte e andò nel monastero benedettino di San Domenico di Silos, provincia di Burgos.
A San Domenico ebbe l’incarico di padre predicatore, confessore e visitatore, il che lo portò a frequenti viaggi tra i monasteri benedettini della provincia di Burgos. Ma anche in questa nuova sede ebbe contrasti con il medico del luogo; per questo fu mandato per un certo tempo all’eremo di San Frutos, presso Segovia, dipendenza di Silos, luogo impervio e appartato. Nel luglio del 1643 lo troviamo di nuovo a Silos.
Nell’agosto del 1645 fu chiamato a Burgos per la ristrutturazione e decorazione del chiostro di quel monastero ed altri lavori collaterali.
Ormai si era fatto una grande fama, e infatti lo si ritrova a lavorare a Madrid e a Pamplona.
Sulla vasta produzione pittorica di Giovanni Ricci si è molto discusso per il fatto che non sempre firmava le sue opere, riconoscibili, tuttavia, per l’uso dei forti contrasti di chiaro-scuro e la forte impronta naturalistica. I lavori più rappresentativi dell’arte di Ricci si trovano nella cattedrale di Burgos, altri al museo del Prado a Madrid. Solo nello scomparso monastero di San Martino di Madrid – devastato nel corso delle guerre napoleoniche – nel 1809 furono inventariate 72 opere del Ricci, 33 delle quali dedicate alla vita di San Benedetto.
Nella tela del San Benedetto benedicente i piccoli Mauro e Placido, esposta al Museo del Prado a Madrid (ora scomparsa) Ricci si raffigurò nel monaco accanto al santo morente: questa doveva essere la sua firma. Pare che l’usanza dell’autoritratto nei quadri debba spiegare il motivo per cui molte sue opere non sono firmate.
Il destino di Giovanni Ricci si conclude in Italia. Lo ritroviamo a Roma nel novembre del 1662, dove era stato attratto dalla sua vicinanza con i duchi di Béjar: da essi sperava di ottenere l’episcopato di Salonicco o l’abbaziato di Montelìbano, dove dedicare una chiesa alla Vergine di Montserrat11. Non riuscì nell’intento, però si conquistò l’apprezzamento di papa Alessandro VII, dal quale, il 27 ottobre 1663, fu nominato predicatore generale del suo ordine in Spagna, dove sperava di tornare, cosa che in realtà non avvenne. Lo stesso Ricci dice di essere venuto a Roma per vedere di risolvere il mistero dell’Immacolata concezione12.
Fautore dell’ordine salomonico in architettura13, a Roma scrisse l’Epitome architecturae de ordine salomonico integro, inviata a papa Alessandro e conservata nel fondo Chigi della Biblioteca Vaticana, ma dedicata alla regina Cristina di Svezia.
L’esaltazione dell’Immacolata Concezione e l’ordine salomonico, come giustamente osserva il redattore della nostra fonte, furono le costanti preoccupazioni di Giovanni Ricci.
In un discorso dal titolo Inmaculatae Conceptionis conclusio, presentò il disegno di un intervento di rifacimento di piazza della Rotonda al Panteon, che prevedeva un basamento con figure femminili nude a cavallo e il ritratto con lo scudo di papa Alessandro VII sostenente una grande colonna salomonica sormontata dalla statua dell’Immacolata Concezione14. Del progetto non si fece nulla, però pare che il Ricci sia stato incaricato del rilivellamento della piazza eliminando i gradini tra essa e il tempio.
A partire dal 1665, al tempo dell’abate Angelo VI della Noce, lo troviamo incorporato nella badia di Montecassino, dove decorò la vecchia cappella del Santissimo, poi distrutta dai bombardamenti del 1944. La sua permanenza a Montecassino coincise con il grande impegno di Luca Giordano nel restauro ed abbellimento del monastero15. Il resto è storia che ormai conosciamo.
Dall’archivio dell’abbazia non abbiamo notizia di altre opere pittoriche del Nostro nella casa di San Benedetto, a parte l’intervento nella cappella del Santissimo. Mentre per quel periodo abbiamo molta documentazione sugli interventi di Luca Giordano ed altri artisti ai quali furono commissionate varie opere con regolari contratti. Probabilmente i lavori di Giovanni Ricci, ammesso che vi siano stati, furono considerati cose interne che non richiedevano registrazioni o rendiconti. Non si può escludere che nel grande affresco della parete di fondo della basilica, in cui si rievocava la consacrazione del tempio ad opera di papa Alessandro II, Luca Giordano abbia ritratto, tra gli altri monaci, anche il Nostro, così come ha messo il proprio autoritratto, secondo l’uso di quel tempo (come si è già detto più su). Infatti i vari personaggi dell’affresco sono raffigurati con i volti di monaci presenti in abbazia al tempo dell’esecuzione16.
Nel 1666 si spostò temporaneamente a Trevi nel Lazio dove dipinse otto tele per la cappella dei santi Cosma e Damiano nella chiesa collegiata di S. Maria Assunta: le uniche opere conosciute realizzate nel periodo italiano, inizialmente, però, attribuite da Domenico Pierantoni17 ad un certo cavalier Manenti, senese; solo nel 1994, grazie all’ingegnere Mario Della Valle18, vengono attribuiti ad un «monaco cassinese spagnolo 1666», che, secondo il citato studio di Salort, non può che essere il nostro Giovanni Ricci.
Nel 1668 fece un dipinto (jeroglífico) a L’Aquila in onore di re Carlo II del Regno di Napoli19.
A Montecassino il monaco spagnolo si dedicò soprattutto alla trattatistica e agli studi di teologia. Lì scrisse dieci libri, raggruppati in otto codici: tre Comentarios sobre la Sagrada Escritura, due di teologia dogmatica e morale con commentari alla Summa Teologica di Tommaso d’Aquino, un altro intitolato Teología Escolástica, altri due dedicati alla matematica ed alla architettura; inoltre una copia dell’Epítome dedicata alla duchessa de Béjar con altri scritti in castigliano.
L’opera che contraddistingue particolarmente Giovanni Ricci è il Tratado de la pintura sabia, dove spiega come la matematica sia il fondamento del disegno, della pittura, scultura, architettura, seguendo, in questo, le orme del Vasari.
David Garcìa Lòpez scrive: «La Pintura rabia è concepita come un vero trattato sulla pittura nella linea più classica del Rinascimento, con le sezioni specifiche sulla geometria, la prospettiva e l’anatomia, a cui si aggiungono gli interessi del XVII secolo, dove si percepisce maggiormente il carattere trascendentale che acquisisce la pittura come veicolo privilegiato del messaggio promosso dalla Controriforma»20.
Il trattato fu redatto a Madrid tra gli anni 1659 e 166221. In esso furono inseriti anche i suoi elaborati di anatomia umana. L’opera fu dedicata a Donna Teresa Sarmiento de la Cerda, IX Duchessa di Béjar, alla quale, verso il 1659, aveva impartito lezioni di disegno e pittura.
Gli indirizzi del Ricci circa la colonna salomonica e la pintura sabia si diffusero in tutta la penisola iberica e valicarono l’oceano per farsi riconoscere anche nell’arte messicana di quel periodo22.
Giovanni Ricci può essere considerato uno dei più rappresentativi esponenti della pittura ed architettura barocca di matrice spagnola.
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Nell’indice dei manoscritti di Montecassino segnalato da Salvador Salort Pons23 si annotano i seguenti testi di fray Juan Ricci / Johanis Andrea.
* Commentaria in S. Scriptura libros pluros (Codd. 469, 470, 471, en n. romanos);
* Executiones Morales seu Theologia Scholastica, Aureola Áurea (Cod. 472, en n. romanos);
* Tractatus Teologici (Codd. 537, lib. X);
* Opera Philosophica (Cod. 544);
* Commentaria in Genesis, Alia quedam opera (Cod. 545);
* Epitome Architecture, Index Pontificium Regum et imperatorum, Oracoli Turcheschi in Italia, De Sacrificio Messe, et vestibus sacerdotalibus (Cod. 590).
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NOTE
1 E. Pistilli, Vincenzo Bove: monaco e pittore a Montecassino, in «Studi Cassinati», a. XII, n. 1, gennaio-aprile 2012, pp. 85-87.
2 M. Armellini, Bibliotheca Benedictina Casinensis sive scriptorum casinensis Congregationis, Pars altera I, Assisi 1732, lett. I, p. 18.
3 E. Gattola, Historia Abbatiae Cassinensis, Venezia, 1733, II, p. 760.
4 M. Armellini, Bibliotheca Benedictina … cit.: «Joannes Andreas Ricci, natione Hispanicus, Professus quidèm Monasterii Montis Serrati Congr. Vallisoletanae, sed quod plurimos annos Casini ad obitum usque Monachi vitam transegerit, jure inter Casinenses recenseri meretur. Hic tam Scholasticis Scientiis, quam liberalibus artibus eruditus, et Theologum, et Concionatorem, et Pictorem, et Architectum, prout ingenium, aut occasio tulit, aequaliter se praebuit. Sacellum S.mi Sacramenti, quod in casinensi Ecclesia ad sinistrum latus juxta Chorum situm erat, ipse Picturis ornavit; quodque majus est, pietatem, et monasticam observantiam propensissime excoluit. Nocturnis enim, diurnisque horis Canonicis assiduus; quotidie Sacrum devotissime celebrabat, quidquid autem ab oratione supererat temporis, sacrarum litterarum studiis, et scriptioni, vel egregio cuipiam manuum labori impendebat. Longe à cibis abstinentiae, et antiquae austeritatis strenuus sectator, interiori indumento ex laneo, candidoque crassiori panno, vulgò Rascia, absque cujusque generis interula, utebatur. Somnum omninò vestitus, ad regulae praescriptum, brevem admodum capiebat, cella fenestra (res quidèm mira!) die, noctuque minime clausa, quamvis hjemalis bruma faviret, ac nix, si quando caderet, per fenestram ipsam in cellam intraret. Singulari erga Virginem Beatissimam Religione praeditus, scripsit librum, quem et Paulo V summo Pontifici obtulit De Conceptione Beatae Mariae Virginis. Plures alias lucubrationes sacras nonnihil tamen confusas, nec satis ordinatas, quae mss. asservantur Casini, ubi valde senex obiit circa annum 1685».
5 E. Gattola, Historia Abbatiae … cit.
6 M. Armellini, Bibliotheca Benedictina … cit.
7 Le note biografiche che seguono sono ampiamente tratte dal sito: https://es.wikipedia.org/wiki/ Juan_Andr%C3%A9s_Ricci, disponibile secondo la Licencia Creative Commons Atribución Compartir Igual 3.0, ben adatto agli intenti della presente ricerca, che non vuole sostituirsi alle più valide e documentate biografie a stampa, essendo interessata unicamente alla segnalazione di questo artista nell’ambito della cultura benedettina cassinese.
8 Giovan Battista Maino (o Mayno) 1581-1649, pittore barocco, si formò artisticamente in Italia, dove conobbe le opere di Caravaggio, Guido Reni, Annibale Carracci.
9 Secondo le costituzioni benedettine erano necessari sei anni di preparazione.
10 A. Palomino, El museo pictórico y escala óptica III. El parnaso español pintoresco laureado, Madrid, Aguilar S.A. de Ediciones, p. 335.
11 S. Salort Pons, El viaje de fray Juan Rizi a Italia: las obras y un documento nuevo, 2000, pp. 95-96.
12 «Vine a Roma para ver si podìa hacer definir el Misterio de la Immaculada Concepción», in Biblioteca di Montecassino, manoscritto 590 ff. 368-369.
13 L’ordine salomonico si basava sull’uso della colonna tortile, cioè attorcigliata in spirale sul proprio asse: un esempio classico sono le 4 colonne bronzee del baldacchino della basilica di San Pietro a Roma, opera del Bernini.
14 D. García López, Arte y pensamiento en el barroco: Fray Juan Andrés Ricci de Guevara (1600-1681), Madrid 2000.
15 Luca Giordano (1634-1705) eseguì molti lavori a Montecassino, tra cui gli affreschi della navata centrale e quello grandioso della consacrazione della basilica sulla parete di fondo, datati 1677; vd. A, Caravita, I codici e le arti a Monte Cassino, vol. III, pp. 352 e sgg.
16 Analogamente ha fatto Pietro Annigoni nell’affresco Apoteosi di S. Benedetto, del 1978, che sostituisce, in fondo alla basilica, quello di Luca Giordano andato perduto nel 1944, dove, oltre ad autografarsi in primo piano, ha riprodotto i volti di alcuni monaci e personaggi di quest’ultima fase del monastero, solo per indicarne alcuni: papa Paolo VI, il cardinale Schuster, lo storico Tommaso Leccisotti, gli abati Rea, Bernardo, ecc.
17 D. Pierantoni, Memorie del Lazio, Manoscritto dei secoli XVII e XVIII, vol. 25, p. 245.
18 M. Della Valle, Guida turistica di Trevi nel Lazio, 1994, p. 16.
19 S. Salort Pons, El viaje de fray Juan Rizi … cit., p.103.
20 D. García Lòpez, Pintura y teoría de las artes en el siglo XVII español. El cuarto centenario del nacimiento de fray Juan Ricci, rememoración y nuevas aportaciones, Anales de Historia del Arte, 2000, n. 10, pp. 101-148; p. 90: «La Pintura sabia se concibe como un verdadero tratado de pintura en la lìnea màs clàsica del Renacimiento, con sus apartados especìficos sobre geometrìa, perspectiva y anatomia, a los que se anaden los intereses propios del siglo XVII, el màs perceptibile el caractèr trascendental que adquiere la pintura como vehìculo privilegiato del mensaje propiciado por la Contrarreforma».
21 Il manoscritto è conservato nella Biblioteca della Fondazione Làzaro Galdiano di Madrid (M. 31/13 Ms. 265).
22 J. Bèrchez, F. Marìas; Fra Juanes Andrés Ricci De Guevara e la sua architettura teologica, in «Palladio», Annali di Architettura 2002, 14, p. 273.
23 S. Salort Pons, Fray Juan Rizi En Italia, in «Archivo Español De Arte», LXXII, 285, Enero-Marzo 1999, p. 4, nota 18.
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