Cassino, i francescani e S. Antonio.

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Studi Cassinati, anno 2017, n. 4
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di G. de Angelis-Curtis

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Nel corso del XIII secolo furono solo due gli ordini religiosi che vennero riconosciuti dalla Chiesa cattolica: l’Ordine dei frati predicatori (domenicani) e l’Ordine dei frati minori (Ordo Franciscanus), fondati, rispettivamente, da san Domenico di Guzmán e da San Francesco d’Assisi, ambedue inizialmente approvati oralmente da papa Innocenzo III e poi ufficialmente nel 1217 il primo e nel 1224 il secondo, tutti e due che si rifanno a una stile di vita basato su umiltà e povertà.

Per il riconoscimento ufficiale i francescani poterono contare a Roma sull’aiuto dei benedettini che, fin da subito, si erano mostrati propensi al poverello di Assisi e ai suoi seguaci. Così nel 1213, sette anni dopo la conversione di Francesco, il beato Villano, vescovo di Gubbio, già abate benedettino dell’abbazia di San Pietro, concesse ai frati di stabilire una loro sede nella città eugubina (lì dove è rimasto famoso l’episodio del lupo di Gubbio), parimenti la Porziuncola, la piccola chiesa oggi inglobata all’interno della Basilica di Santa Maria degli Angeli, presso Assisi, era benedettina e fu concessa a Francesco dall’abate del monastero di San Benedetto del Subasio.

Non dovette essere dunque un caso se ai due grandi ordini religiosi mendicanti riconosciuti nel corso del 1200 fu concesso di avere delle chiese a Cassino, allora S. Germano, dedicate ai due importanti fondatori e aspetti similari furono:

– ambedue le chiese, domenicana e francescana, erano poste al di fuori delle mura cittadine e dunque fuori dal centro abitato;

– ambedue le chiese furono realizzate annettendovi delle strutture conventuali;

– ambedue gli ordini religiosi permasero a Cassino fino a inizio Ottocento quando lasciarono la città dopo che le leggi sull’eversione della feudalità emanate da Giaocchino Murat li avevano privati di gran parte dei loro complessi edilizi che furono espropriati e assegnati al Comune e quindi destinati, per quello francescano, prima a caserma, poi a scuola e quindi, oggigiorno, a teatro, per quello domenicano a sede di organi giudiziari e poi a struttura di detenzione che nel nome di carcere di S. Domenico ricorda l’antico uso.

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La chiesa di S. Antonio di Padova

Una ventina d’anni dopo la costituzione dell’ordine francescano, poco più di quattro anni dopo la morte di S. Francesco (avvenuta nel 1226), e, singolarmente, solo venti giorni dopo la morte di Sant’Antonio1 i francescani ottennero la possibilità di edificare delle strutture religiose a Cassino. Infatti il 5 luglio 1231 il notaio Stefano stipulò un atto notarile con il quale l’abate di Montecassino Landolfo Sinibaldo concedeva all’Ordine di San Francesco di costruire, in un terreno presso il Monticello di San Nicola, una cappella dedicata a San Francesco con annesso convento. Ai francescani veniva concessa la custodia e la gestione della cappella che comunque rimaneva di proprietà di Montecassino. A quel tempo il luogo si trovava all’esterno delle mura cittadine, nella zona che Erasmo Gattola definisce il «largo di Rapido», chiamato dalla popolazione locale «fuori Rabbio». L’area era compresa tra il fiume Rapido, l’ospedale degli Infermi e la strada pubblica di accesso. Probabilmente alla data del 1231 i francescani erano già giunti a Cassino ed erano, dunque, già presenti in città, così come a quella stessa data va ipotizzato che fosse già stata edificata dai benedettini una chiesa intitolata a S. Francesco. Presumibilmente l’abate Sinibaldo concesse alla comunità francescana proprio quella chiesa dedicata al poverello d’Assisi, oltre al terreno circostante, e ciò spiegherebbe anche perché Montecassino si era riservata la proprietà della struttura.

Nel corso dei secoli nelle vicinanze del monastero francescano iniziò a svolgersi una fiera che era appunto denominata fiera di S. Francesco che si teneva per cinque giorni a partire dal 4 ottobre. Inoltre il ricordo della presenza della struttura francescana a Cassino è dato dal toponimo «orti di S. Francesco» che indica l’area circostante alla chiesa dove evidentemente si recavano i francescani a coltivare i campi.

Inizialmente, accanto alla chiesa dedicata a S. Francesco fu costruita una struttura conventuale, e successivamente, dall’altro lato fu realizzata una cappella, governata da una Confraternita laica e dedicata a S. Antonio di Padova.

Nella seconda metà del 1700 tutto il complesso edilizio fu oggetto di ristrutturazioni e ampliamenti. Nel 1765 iniziarono i lavori che vennero finanziati dall’allora procuratore generale dell’Ordine francescano (poi vescovo di Bitetto), frate Giacinto Maria Barbero il quale era nativo di San Germano. Mentre erano in corso i lavori edilizi che interessarono il convento e la chiesa di San Francesco, le funzioni religiose si svolgevano nella cappella di S. Antonio. La riconsacrazione si ebbe il 22 maggio 1774. Si può ipotizzare che proprio nell’ambito di questa riconsacrazione sia avvenuta la traslazione nella titolarità della chiesa perché da quei momenti nei documenti non è più menzionata la chiesa di S. Francesco ma solo il convento di S. Francesco mentre è citata la chiesa di S. Antonio adiacente al convento di S. Francesco. Nella chiesa di S. Antonio si conservava il SS. Sacramento che prima dei lavori di ristrutturazione edilizia si trovava nella chiesa di S. Francesco.

Quindi con l’arrivo del 1800 iniziò un periodo di forti stravolgimenti che portarono a profondi modifiche. Il sopraggiungere delle truppe della Repubblica francese in transito verso Napoli dove il 23 gennaio 1799 instaurarono la Repubblica Napolitana salvo far precipitosamente ritorno in patria dopo soli quattro mesi, transitando nuovamente per Cassino, allora S. Germano, il passaggio delle armate borboniche, gli scontri militari portarono a un uso militare anche di alcune strutture religiose come la chiesa di S. Antonio che fu utilizzata per ricoverarvi la biada dei cavalli. Quindi i francesi tornarono nel 1806 e nel 1808 la legge sull’eversione della feudalità emanata da Gioacchino Murat portò alla confisca del convento di S. Francesco (al pari di quello di S. Domenico) che fu posto nella disponibilità del Comune. La chiesa di S. Antonio, con il locale a fianco che fungeva da cappella, furono gestite da una confraternita che decise di dare un uso civile a quell’ambiente laterale. Fu così dato in locazione, affittandolo per quattro anni, a tal Angelo De Cesare che lo destinò a conceria per la lavorazione del cuoio. Nel 1859, però, l’abate di Montecassino, d. Simplicio Pappalettere, volle che quel locale venisse restaurato e tornasse al culto religioso. Furono eseguiti allora dei lavori edilizi esterni e interni che portarono anche alla realizzazione di un arco in pietra per mettere in comunicazione la cappella con la chiesa, nonché la posa in opera di alcuni scalini in quanto il piano di calpestio della cappella risultava più basso rispetto a quello della chiesa2.

Poco si conosce della chiesa nei successivi sessanta anni.

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Dalla parrocchia di S. Andrea alla parrocchia di S. Antonio di Padova

La chiesa di S. Antonio era ubicata nel territorio ricadente nella parrocchia di S. Andrea. La chiesa di S. Andrea era stata edificata prima del 1600 ed era situata nel quartiere di Campo dei Fiori tra le attuali vie De Nicola e Varrone. Venne gravemente danneggiata dal terremoto di Avezzano del 13 gennaio 1915 e fu talmente tanto colpita dal sisma che dovette essere chiusa al culto e in tale situazione rimase fino alla sua totale distruzione nel corso della seconda guerra mondiale.

Quindi nel corso del 1925 l’abate Diamare trasferì la sede parrocchiale da Sant’Andrea a Sant’Antonio3 con la cotitolazione di «Parrocchia di Sant’Andrea e di Sant’Antonio» e come parroco fu confermato d. Umberto di Meo4, il quale, negli anni successivi, si prodigò facendo svolgere dei lavori di consolidamento perché anche la chiesa di S. Antonio aveva subito forti danni dal terremoto della Marsica. Per ricordare l’antica chiesa d. Gregorio Diamare fece porre all’interno di quella di S. Antonio un quadro di Francesco Solimena, proveniente da Montecassino, raffigurante il martirio di Sant’Andrea, nonché vi fu collocata la settecentesca statua dell’Addolorata che era precedentemente ubicata nella cappella del palazzo Petrarcone e che era stata donata dalla famiglia alla parrocchia.

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Distruzione e ricostruzione

Ovviamente la chiesa di S. Antonio subì il destino della città di Cassino e del cenobio cassinese totalmente distrutti nel corso degli eventi bellici della seconda guerra mondiale.

Paradossalmente pur essendo ubicata proprio nel centro della città di Cassino fu l’edificio religioso meno danneggiato nel corso della guerra. Ecco perché fu tra i primi in cui iniziò l’opera di ricostruzione.

La progettazione della nuova chiesa fu affidata all’arch. Giuseppe Poggi, funzionario del Genio Civile, che

Cassino 1944-45: un carro armato semidistrutto abbandonato e un carretto con cavallo davanti ai resti della chiesa di S. Antonio.
Cassino 1944-45: un carro armato semidistrutto abbandonato e un carretto con cavallo davanti ai resti della chiesa di S. Antonio.

nella ricostruzione rispettò lo stile architettonico anteguerra anche su disposizione, come scrive d. Benedetto Minchella nella Prefazione, dell’abate Rea il quale si era opposto fortemente all’iniziale idea di ricostruire la Chiesa in sito diverso. Quindi l’«inizio [dello] sgombero» delle macerie e della «ricostruzione della Chiesa di S. Antonio» si ebbe il 20 marzo 19465.

L’arch. Poggi nel corso delle fasi di ricostruzione fu oggetto di forti critiche da parte di «sapientoni», come li definì, in merito alle soluzioni decorative e architettoniche che aveva individuato e attuato e poté contare, come egli stesso scrisse non senza una punta di amarezza nel Diario, solo sul sostegno dell’abate Rea. L’edificio sacro che egli volle riedificare era una chiesa che ricordava le antiche linee ma ricostruita su stile modernizzato, intonata all’ambiente circostante, soprattutto alle architetture dei palazzi moderni dell’Ina e dell’Inail lì prospicienti. Altre critiche ebbe per il campanile quando venne modificata la forma dei quadranti dell’orologio. Il campanile, inoltre, dovette essere ricavato dentro la canonica perché l’allargamento della sede stradale della Casilina, cioè del Corso della Repubblica, decisione adottata mentre erano in corso i lavori di ricostruzione di S. Antonio, determinò il taglio di circa tre metri di lunghezza per cui la struttura, alla fine, dovette essere addossata alla chiesa. Inoltre il campanile avrebbe dovuto essere sormontato da una statua simboleggiante il Cristo Re come allegoria della rinascita di Cassino. Fu ordinata a

Cassino 19 ottobre 2002: l’abate mons. Bernardo D’Onorio riconsacra la chiesa.
Cassino 19 ottobre 2002: l’abate mons. Bernardo D’Onorio riconsacra la chiesa.

Carrara sulla base dei bozzetti forniti dallo stesso arch. Poggi ma poi per ragioni amministrative non venne più fatta eseguire. Le critiche maggiori rivolte al progettista, però, riguardarono l’inserimento, su un lato della canonica, di vari «interessantissimi frammenti di capitelli e di altri elementi decorativi e architettonici» rinvenuti «tra le macerie della chiesa e del campanile»6. A distanza di settant’anni va riconosciuta la validità e l’opportunità delle soluzioni poste in essere dall’arch. Poggi. Quei frammenti e lo stile architettonico dato al nuovo edificio consentono di ricollegarci al passato, neanche tanto lontano, e se non ci fossero le nuove generazioni non avrebbero quasi nessuna possibilità anche solo di immaginare com’era la Cassino prebellica.

I lavori di ricostruzione, iniziati appunto il 20 marzo 1946, proseguirono con grande lentezza a causa delle limitate risorse economiche a disposizione, della penuria di materiali edilizi e di altre questioni, e ci vollero quasi sei anni per il definitivo completamento della struttura edilizia.

Tuttavia, mentre le opere di riedificazione, effettuate dalla ditta Gravaldi-Iacovitti, erano in corso, l’8 dicembre 1947 l’abate Rea celebrò nella chiesa la «funzione di Riconciliazione» alla presenza del provveditore alle OO.PP di Roma, del presidente della provincia di Frosinone e delle autorità locali, con i canti polifonici e gregoriani eseguiti dalla schola del seminario diretta dal d. Luigi De Sario, organista di Montecassino7.

10 DeAngelis 3S. Antonio fu dunque la prima chiesa a essere ripristinata e «per molti anni» rappresentò il «centro spirituale della città»8. Infatti, stante la lenta opera di ricostruzione delle altre strutture religiose, l’abate Rea si vide costretto a emanare, il 22 ottobre 1948, un decreto con cui si disponeva che a S. Antonio dovessero esercitare le funzioni parrocchiali anche i parroci di S. Germano, S. Giovanni e S. Pietro fino a quando non fossero state ricostruite le rispettive chiese9.

Dopo la riapertura ufficiale di quell’8 dicembre 1947 altre significative tappe che interessarono la chiesa di S. Antonio furono:

– il 9 gennaio 1948 alla ripresa delle lezioni scolastiche, l’abate Rea vi celebrò una funzione religiosa «rivolgendo la sua parola ai numerosi giovani convenuti», ai vari capi di Istituto (presidi di Liceo, Scuola Media e Scuola d’avviamento, direttore delle Scuole elementari), all’ispettore scolastico, a professori e insegnanti, ricordando loro «che le opere più belle nella letteratura, nell’arte nella scienza in tutti i secoli sono ispirati dalla religione»10;

– il 25 gennaio 1948 vi si tenne il tesseramento della Gioventù Maschile di Cassino dell’Azione Cattolica con la messa celebrata da d. Faustino Le Donne, delegato abbaziale, che consegnò le tessere, e alla presenza di d. Anselmo Lentini assistente diocesano della G.M.11;

– il 4 aprile 1948, per iniziativa della Giunta parrocchiale, vi fu riportata in processione la statua dell’Assunta, collocata provvisoriamente in un locale del palazzo De Rosa. La messa fu celebrata da d. Salvatore Mauriello, parroco di Secondigliano che predicò anche nei giorni seguenti fino all’8 aprile12;

– con decreto del 22 ottobre 1948 emesso dall’abate Rea, furono fissati i confini della parrocchia di S. Antonio13; nel cui territorio ricadeva anche la cappella pubblica, con annesso edificio e scuole, delle Suore Stimmatine14;

– 1952: la chiesa ospitò le spoglie di San Francesco Saverio Bianchi portate ad Arpino (città natale)15;

– 11 febbraio 1961 vi venne celebrata la messa di trigesimo, officiata dall’abate Rea, per la morte di Lucia Restagno, figlia del sen. P.C. Restagno16;

– 30 giugno 1986 con decreto dell’abate Bernardo D’Onorio veniva modificata definitivamente la denominazione della parrocchia stabilendo che il titolo fosse quello di «S. Antonio di Padova»17;

– nel 2000 l’edificio è stato sottoposto a una serie di interventi di ristrutturazione che hanno permesso la riscoperta di strutture medievali già segnalate nel 1946 da d. Angelo Pantoni, monaco, ingegnere e studioso cassinese;

– il 19 ottobre 2002, finiti i lavori di ristrutturazione, la chiesa parrocchiale è stata riconsacrata dall’abate Bernardo D’Onorio.

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NOTE

1 Antonio di Padova, al secolo Fernando Martins de Bulhões, era di origini portoghesi essendo nato a Lisbona. A quindici anni era un canonico regolare a Coimbra poi nel 1220 entrò nell’ordine francescano. Quindi giunse in Italia dove ebbe la possibilità di conoscere personalmente San Francesco. La sua attività più significativa si svolse nella città di Padova e lì nei pressi morì (anche se è comunemente chiamato «Sant’Antonio da Padova», questa denominazione non indica la sua originaria provenienza per cui più correttamente va definito come «Sant’Antonio di Padova»). Fu papa Gregorio IX che nel 1232, dopo aver ascoltato la lettura dei cinquantatre miracoli approvati, proclamò solennemente e ufficialmente santo frate Antonio, fissandone la festa liturgica nel giorno anniversario della sua nascita in cielo, appunto il 13 giugno. I fedeli poterono festeggiare Antonio come santo un anno dopo la sua morte, anzi, per la precisione il processo di canonizzazione fu completato dopo soli 352 giorni ed è considerato il più veloce della storia della Chiesa Cattolica. È patrono del Portogallo, del Brasile e della Custodia di Terra Santa, nel 1946 è stato dichiarato dottore della Chiesa.

2 C. Mangiante, La chiesa di S. Antonio a Cassino, Cdsc-Onlus, Cassino 2017, pp. 5-14.

3 E. Pistilli, Le chiese di Cassino. Origini e vicende, Cdsc-Onlus, Cassino 2007, p. 130.

4 D. Umberto morì il 21 maggio 1954 all’età di 72 anni, i funerali si tennero il 24 e la messa fu celebrata dal pro vicario alla presenza dell’abate Rea, del vice sindaco Malatesta, con parole di elogio pronunciate da d. Antonio Sciullo a fine messa («Bollettino Diocesano», n. 3, maggio-giugno 1954, pp. 71, 76).

5 «Bollettino Diocesano», n. 2, aprile-giugno 1946, p. 44

6 C. Mangiante, La chiesa di S. Antonio … cit,, pp. 14-17.

7 «Bollettino Diocesano», n. 6, a. II, novembre-dicembre 1947, pp. 152-153.

8 E. Pistilli, Le chiese di Cassino … cit., p. 130.

9 Ivi, pp. 138-139.

10 «Bollettino Diocesano», n. 1, a. III, gennaio-febbraio 1948, p. 28.

11 Ibidem.

12 Ivi, p. 61

13 E. Pistilli, Le chiese di Cassino … cit., p. 140.

14 Il 9 ottobre 1982 l’abate Matronola consacrò il nuovo altare nella cappella (E. Pistilli, Le chiese di Cassino. Origini e vicende, Cdsc-Onlus, Cassino 2007, p. 152 che riporta anche la descrizione delle devastazioni subite dal convento delle cappuccine ad opera delle truppe francesi nel 1799, relazione pubblicata da d. Tommaso Leccisotti).

15 «Bollettino Diocesano», n. 4, luglio-settembre 1952, pp. 81-82.

16 «Bollettino Diocesano», n. 1, a. XVI, gennaio-marzo 1961, p. 40.

17 E. Pistilli, Le chiese di Cassino… cit., p. 140.

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