Intervento del presidente del CDSC-Onlus

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«Studi Cassinati», anno 2018, n. 1
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Il «Giorno della Memoria», dedicato «al ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti», è stato istituito con legge n. 211 del 20 luglio 2000. Un giorno teso a ricordare nella stessa occasione sia le vittime della Shoah (e cioè lo sterminio del popolo ebraico) sia la persecuzione italiana nei confronti dei cittadini ebrei, ma anche gli italiani che subirono la deportazione, la prigionia, la morte. Quindi con la risoluzione 60/7 del primo novembre 2005, le Nazioni Unite hanno fissato la data del 27 gennaio (in coincidenza con il giorno in cui le truppe dell’Armata Rossa arrivarono ad Auschwitz, avvenuto appunto il 27 gennaio 1945) per la commemorazione del ricordo.

Per poter capire meglio questo complesso fenomeno, così fortemente cruento, parliamo prima un po’ di cifre:

  • nella storia dell’umanità la Seconda guerra mondiale è stato il conflitto più sanguinoso, più grave in termine di perdite di vite umane. In quasi sei anni di guerra sono morti tra i 55 e i 60 milioni di individui (c’è qualche storico che stima la cifra al rialzo, fino a 80 milioni e tanto per fare un paragone l’altra guerra mondiale, la Prima, si chiuse con bilancio di circa 8 milioni di morti);
  • nella storia dell’umanità la Seconda guerra mondiale è stato il conflitto in cui, per la prima volta, il numero dei civili morti ha superato quello dei militari caduti con circa 31 milioni di civili che persero la vita rispetto ai circa 24 milioni di militari;
  • di quei 55-60 milioni di morti, circa 40 milioni hanno perso la vita in Europa;
  • di quei circa 40 milioni di morti circa 12 milioni hanno perso la vita nei campi di concentramento, di prigionia, di sterminio della Germania nazista;
  • di quei 12 milioni di morti nei campi di concentramento tra i 5 e i 6 milioni erano di origine ebraica, uccisi, per la maggior parte, in sei campi di sterminio nazisti di cui il più grande era quello di Auschwitz (nome tedesco della cittadina polacca di Oswiecin) con i suoi due enormi campi di Birkenau e Monowitz e poi Belzec, Chelmno, Majdanek, Sobibor, Treblinka, tutti lager ubicati in Polonia;
  • l’altra metà di quei 12 milioni di morti nei campi di concentramento erano i cosiddetti «nemici della Germania». Quindi altre sei milioni e mezzo di persone furono sterminate nei lager, tra cui tre milioni di polacchi, mezzo milione di zingari e poi omosessuali, persone con disabilità fisiche e psichiche, oppositori politici, religiosi, ecc.

La vastità, la mostruosità, la complessità delle questioni venutesi a determinare ha portato ad avere difficoltà persino nell’identificarle e racchiuderle in un unico termine e se ne usano o ne sono stati usati tre differenti: «Olocausto», «Genocidio», «Shoah».

1- «Olocausto»: l’orrore scaturito dalla scoperta della mostruosità nazista perpetrata su scala industriale, portò, per identificare lo sterminio degli ebrei, a utilizzare inizialmente il termine «olocausto», un termine adoperato fino ad allora per indicare lo sterminio di massa che era stato attuato a danno di un popolo (nel corso della storia dell’uomo ci sono numerosi esempi di massacri, la «crociata contro gli Albigesi», la decimazione di Incas e Aztechi da parte dei colonizzatori europei, lo sterminio degli armeni avvenuto a cavallo tra fine 800 e inizio 900 da parte dell’Impero Ottomano). Tuttavia il termine «olocausto» è di derivazione religiosa e deriva dal greco «holocaustos», parola composta in cui «holos» significa «totale», mentre «kaustos» significa «bruciare». Nel suo significato originario «olocausto» descrive l’«atto di distruggere con il fuoco», dunque una immolazione, una offerta destinata a Dio oppure una distruzione di massa o totale della vita, solitamente mediante l’utilizzo del fuoco. Tuttavia il termine «olocausto» a causa di questa sua derivazione religiosa con cui si ricordano i sacrifici biblici, fatti con il fuoco, bruciando, immolando, sacrificando, e che dunque offre “implicitamente” un “senso” alla morte non si addice propriamente allo sterminio dei campi nazisti a milioni di persone a cui è stata data una morte insensata e incomprensibile. Il termine può dunque essere utilizzato per indicare l’uccisione di singole persone e non lo sterminio di un intero popolo (ad esempio si parla di «olocausto» di Salvo D’Acquisto o di altri carabinieri come Vittorio Marandola di Cervaro o Alberto La Rocca di Sora che si sono fatti fucilare al posto di ostaggi nella mani dei tedeschi e che dunque si sono immolati, si sono sacrificati per salvare le vite di altre persone);

2- «Genocidio»: neologismo composto da «gènos» che in greco vuol dire «stirpe» e dalla radice «–cidium (homicidium)» cioè omicidio, che fu coniato nel corso del processo contro i gerarchi nazisti svoltosi a Norimberga tra il 1945 e il 1946, per indicare i crimini commessi contro l’umanità. Letteralmente sta, dunque, a significare assassinio di una stirpe, di una razza, e quindi sterminio di un popolo. Tuttavia nei lager nazisti non sono morti solo ebrei. Furono sterminati, ad esempio, gli Zingari e va rimarcato che anche gli Zingari hanno un termine nella loro lingua per indicare il dramma subito dal loro popolo durante il regime nazista che è «porrajmos», che significa «devastazione», «grande divoramento» un significato dunque, analogo a quello di «Olocausto».

3 – «Shoah»: termine che nell’ebraico biblico significa «tempesta devastante», «distruzione totale», «distruzione assoluta» e «catastrofe che annienta». Un termine che dunque rappresenta maggiormente la catastrofe conosciuta dal genere umano nel corso della Seconda guerra mondiale ma con l’avvertenza che pur essendo di estrazione della cultura e della religione ebraica esso ricomprende una catastrofe moto più ampia.

Ci sarebbe molto da parlare sulle tappe che hanno condotto il nazismo alla shoah, allo sterminio di milioni di persone nei loro lager:

  • l’iniziale clima di acceso antisemitismo che permeava in tutta Europa a partire almeno dalla fine dell’Ottocento (basti ricordare l’«affaire Dreyfus» in Francia) rispolverando paure ancestrali veicolate da antichissime e false leggende antisemitiche;
  • il sentimento antiebraico presente fin nel Mein Kampf (1925) e instillato dalla politica razziale di Hitler nel popolo tedesco;
  • le leggi antiebraiche di Norimberga «per la protezione del sangue e dell’onore tedeschi»;
  • la purezza della razza con l’obbligatorietà di dimostrare di essere di razza ariana;
  • le violenze contro gli ebrei fino alla cosiddetta «Notte dei cristalli» (Kristallnacht) del 9-10 novembre 1938 (termine quasi onomatopeico che evoca il rumore delle vetrine dei negozi di ebrei distrutte oltre al rogo di libri ebraici o che si interessavano di questioni ebraiche);
  • la politica di emigrazione forzata e l’esodo di migliaia di ebrei dal Terzo Reich (uomini di cultura come Thomas Mann, lo psicanalista Sigmund Freud, decine di scienziati fra cui Einstein lasciarono la Germania, l’Austria con un effetto negativo per la ricerca scientifica tedesca perché proprio questa diaspora scientifica permise agli americani di colmare il gap con la più avanzata ricerca europea e giungere per primi alla messa a punto della bomba nucleare, così come in Italia fu Enrico Fermi a abbandonare la penisola a causa dei pericoli che poteva correre la sua famiglia essendo sposato con una ebrea e anch’egli partecipò alle fasi di studio e messa a punto dalla bomba nucleare);
  • le ipotesi di trasferimento forzato degli ebrei d’Europa in aree extra europee come la Palestina oppure la Siberia o il Madagascar;
  • il rastrellamento, la caccia, anche spietata e crudele, agli ebrei nei territori del Terzo Reich e poi, dopo lo scoppio della guerra, in tutti quelli conquistati dalle armate tedesche;
  • l’utilizzo iniziale del ghetto di Varsavia come contenitore degli ebrei catturati (ad un anno dall’inizio della guerra c’erano già più di due milioni di ebrei internati) e poi della Polonia;
  • l’obiettivo di avere un mondo «Judenfrei» («ripulito» dagli ebrei) e l’adozione della «soluzione finale della questione ebraica» con il cosiddetto «protocollo di Wannsee»;
  • l’organizzazione di un sistema di sterminio di massa sempre più sinistramente efficiente per aumentare il numero di persone da eliminare con l’inganno (avviati e sollecitati a entrare in cameroni, capaci di contenere fino a 2.000 persone, per fare la doccia, con la fuoriuscita dai tubi non di acqua ma di un gas mortale, lo Zyklon B, acido prussico cristallizzato. I prigionieri morivano nel giro di pochi minuti, dopo di che, passata circa un’ora, si aprivano le porte. I corpi venivano rimossi e dai cadaveri veniva tolto perfino l’oro dei denti per essere poi fuso con anelli, bracciali. Infine l’ultima fase riguardava l’eliminazione nei forni crematori).

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Tuttavia all’epoca qual era la situazione in Italia?

Come ha recentemente dichiarato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, le leggi razziali varate dal fascismo nel settembre 1938 (giusto appunto 80 anni fa) costituiscono una «macchia indelebile e infamante» della storia italiana. Si tratta di leggi che sono, per alcuni versi, anche più restrittive rispetto a quelle naziste di Norimberga del 1935 e che introducevano una serie di divieti per gli ebrei: quello di svolgere attività professionali (avvocati, medici ecc.) se non all’interno della propria comunità; di svolgere professioni intellettuali (notai e giornalisti); di frequentare scuole pubbliche; di contrarre matrimonio con ariani; di essere dipendenti di pubbliche amministrazioni, enti privati; di avere alle proprie dipendenze personale ariano ecc. Venne posta in essere una campagna giornalistica antiebraica di preparazione e nel 1938 fu pubblicato il Manifesto della razza o Manifesto degli scienziati razzisti.

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Cosa successe in Italia agli ebrei nel corso della Seconda guerra mondiale?

Fino all’8 settembre 1943 la situazione si mantenne ‘relativamente’ normale. Ad esempio fu autorizzato il libero rientro in Italia degli ebrei italiani che si trovavano in Francia sia quella occupata dai nazisti, sia quella del regime di Vichy. Ad esempio nell’area di occupazione italiana della Francia meridionale i funzionari italiani riuscirono a bloccare la consegna alla Germania di ebrei presenti in quella parte del territorio transalpino che divenne anzi meta di trasferimento di molti ebrei provenienti da tutta la Francia. Inoltre in Italia non ci fu alcun caso di rastrellamento, di cattura, né di ebrei italiani né stranieri, nessun treno partì dall’Italia alla volta dei lager nazisti (più tardi si ebbero episodi all’estero che portarono al salvataggio di ebrei come quello di Giorgio Perlasca, lo ‘Schindler italiano’).

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Quanti erano gli ebrei in Italia?

Secondo i dati di un censimento, nell’autunno del 1938 la presenza di ebrei in Italia si attestava a 58.412 unità, di cui 48.032 italiani e 10.380 stranieri. Quest’ultimo gruppo era rappresentato da persone scappate dalle nazioni d’origini a causa della politica razziale attuata (Germania, Austria e Paesi dell’est europeo). L’Italia non rappresentava una destinazione definitiva ma solo una tappa di transito verso altri Stati (Francia, Gran Bretagna, America Latina). Nel corso del 1939 circa 5.000 ebrei stranieri riuscirono a lasciare l’Italia, invece l’altra metà fu costretta a permanervi a causa delle «difficoltà incontrate nell’ottenere i visti di ingresso nelle altre nazioni», a causa del rapido esaurirsi delle quote di immigrazione (il trasferimento degli ebrei provenienti dal Terzo Reich e dai Paesi dell’est fu considerato dalle nazioni dell’occidente alla stregua di un normale flusso migratorio con numero annuo o mensile contingentato ecc.), poi per questioni legate all’acquisto dei biglietti di viaggio, oppure a quelle dovute al mancato rinnovo del passaporto o alla perdita della cittadinanza. In vista della dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940 il fascismo non emanò alcuna direttiva in merito agli ebrei italiani. Invece avviò gli ebrei stranieri in «campi di concentramento» in particolare quello di Ferramonti ubicato nel comune di Tarsia, in provincia di Cosenza, oppure li costrinse al soggiorno obbligato in località militarmente non importanti, soprattutto Comuni dell’entroterra, lontani dalle vie di comunicazione, nei quali dovevano trovarsi una sistemazione presso abitazioni locali, non erano obbligati a restrizioni particolari se non quelle del divieto di uscire dai confini comunali e di portarsi regolarmente nella locale caserma dei Carabinieri.

Anche in provincia di Frosinone furono individuati dei paesi destinati all’internamento libero come San Donato Val di Comino in cui soggiornarono una ventina di ebrei stranieri (fra cui Margarethe “Grete” Bloch, una berlinese che era stata compagna del filosofo Franz Kafka).

Questa situazione permase, senza gravi conseguenze, fino all’8 settembre 1943, data spartiacque anche in merito alla questione degli ebrei. Dopo l’armistizio l’internamento, che fino a quel momento aveva riguardato solo gli ebrei stranieri, dal novembre fu allargato anche a quelli italiani. Nel frattempo i nazisti avevano iniziato le operazioni di cattura: in particolare il 16 ottobre a Roma si ebbe il rastrellamento del ghetto di Roma che portò alla deportazione ad Auschwitz di 1.023 ebrei italiani. Papa Pio XII ordinò l’apertura di conventi, chiese, collegi cattolici per nascondere, ricoverare, proteggere gli ebrei a Roma e in tutta Italia.

Nell’Italia spaccata in due si ebbe nel Regno del Sud, da parte del governo Badoglio, l’emissione di un’ordinanza di liberazione di tutti gli internati e gli ebrei che si trovavano a Ferramonti di Tarsia furono tra i primi a essere raggiunti dall’esercito alleato. Invece nel nord Italia la Rsi si apprestò ad allestire nuovi campi di concentramento, sostanzialmente quattro e cioè Borgo San Dalmazzo, in provincia di Cuneo, Fossoli vicino Carpi in provincia di Modena, Gries alla periferia di Bolzano, e la Risiera di San Sabba a Trieste. Essi «non furono campi di sterminio in senso stretto» in quanto avevano funzioni di transito verso i lager nazisti così quello di Fossoli divenne il campo di raccolta più grande d’Italia e quasi la metà degli ebrei deportati dall’Italia vi transitò prima della deportazione ad Auschwitz. Invece la Risiera di S. Sabba, oltre a funzionare da campo di transito, fu l’unico in Italia dotato di un forno crematorio nel quale perirono forse duemila persone, per la maggior parte antifascisti italiani, sloveni e croati.

Tornando agli ebrei internati di San Donato Val di Comino va detto che essi vissero in paese per circa tre anni instaurando normali rapporti con la popolazione locale e alcuni, forse nel tentativo di salvare la vita, giunsero persino a farsi battezzare e cresimare. Furono arrestati il 6 aprile 1944 (qualche settimana prima dello sfondamento della linea Gustav) dopo che alcuni soldati della Wehrmacht erano casualmente venuti a conoscenza della loro presenza (forse per una delazione tra gli stessi ebrei). Il gruppetto rastrellato era composto da 16 persone (di cui due bambini), mentre un altro gruppo familiare composto da tre persone era riuscito a fuggire a Roma. Gli arrestati furono portati a Rebibbia, poi a Fossoli e di lì deportati ad Auschwitz. Sopravvissero solo in tre.

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Gli Imi

L’art. 1 della legge istitutiva del «Giorno della Memoria» (la n. 211/2000) intende ricordare pure gli italiani che subirono la deportazione, la prigionia, la morte. In particolare si tratta di un elevato numero di militari italiani, catturati e deportati nei campi di concentramento del Terzo Reich (Germania, Austria, Polonia) e fin a ridosso della prima linea sul fronte orientale o nei Balcani, definiti IMI (Internati militari italiani) per i quali la legge n. 296 del 27 dicembre 2006, ha previsto la «Concessione della medaglia d’onore».

La storia degli Internati militari italiani è storia drammaticamente vissuta da quei soldati italiani deportati dopo l’8 settembre 1943, diventata una data spartiacque per l’Italia. L’annunzio della firma dell’Armistizio con gli alleati fu interpretato dalla maggior parte degli italiani, civili e militari, in Italia e sui vari fronti bellici, come la fine della guerra mentre invece non era che l’inizio di uno dei periodi più bui e drammatici che gli italiani si apprestavano a vivere.

Nelle ore e nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre ebbe inizio il calvario di oltre 700.000 militari italiani che furono catturati dai tedeschi, umiliati, derisi, deportati e internati nei lager nazisti, privati di ogni protezione giuridica, ridotti a schiavi, costretti a lavorare per sostenere lo sforzo bellico nazista nelle condizioni più drammatiche di malattie, fame, freddo e patimenti di ogni genere.

Nel periodo compreso tra l’8 settembre 1943 e il maggio 1945, cinquantamila furono i militari morti in questi lager, e di essi 623 provenivano dalla provincia di Frosinone.

Nel dopoguerra questo drammatico capitolo della storia italiana fu totalmente ignorato. Il trattamento riservato dalla società del dopoguerra agli ex Internati rientrati in Italia spinse molti di loro a tacere in merito a quella disumana esperienza vissuta nel corso di quasi due anni di dura prigionia. Nell’oblio istituzionale caddero anche i circa cinquantamila militari morti nei lager nazisti, i cosiddetti «dimenticati di Stato».

Solo alla fine degli anni ‘80 si cominciò a parlare della triste esperienza degli IMI e così cominciò a crescere l’interesse per quelle vittime di guerra. Recentemente lo Stato italiano sembra aver posto maggior attenzione sulla questione degli ex IMI, ad esempio con la concessione della Medaglia d’onore.

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