Assemblea del Cdsc-Onlus. Intervento di Maurizio Zambardi su «Ricerche archeologiche a Venafro»

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«Studi Cassinati», anno 2018, n. 1
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Mercoledì 28 febbraio, presso la «Sala San Benedetto», della Filiale di Cassino della Banca Popolare del Cassinate,  si è svolta l’Assemblea annuale del Centro Documentazione e Studi Cassinati-Onlus. Dopo le relazioni del presidente Gaetano de Angelis-Curtis e del tesoriere Fernando Sidonio, a fine Assemblea la parola è passata al socio Maurizio Zambardi che ha tenuto una interessante relazione sull’archeologia nel territorio di Venafro. Relazione che ha sostituito quella prevista di presentazione del libro La guerra dimenticata di Giuseppe Russo, perché lo stesso autore è rimasto impedito nel raggiungere Cassino a causa delle cattive condizioni meteorologiche.

L’architetto Zambardi, avvalendosi di immagini estremamente interessanti, ha illustrato brevemente le sue ricerche archeologiche condotte nel territorio venafrano a partire dal 1999, quando, quasi per caso, rinvenne il primo lungo tratto di mura in opera poligonale di epoca sannitica. I ritrovamenti archeologici sono poi proseguiti nel tempo fino a portare ad avanzare alcune ipotesi, ben supportate da dati archeologici, del sistema difensivo su Monte Santa Croce, proprio a ridosso della città di Venafro, in epoca sannitica e romana.

Molto interessante è risultata anche la ricerca condotta sugli studi storici compiuti sul terrazzamento in opera poligonale di Madonna della Libera, a 600 metri circa a nord-ovest della Cattedrale di Venafro.

Il sito, che rappresenta l’emergenza archeologica extraurbana più interessante nel territorio venafrano, si trova immerso in un’area ricca di oliveti secolari, su un lieve rilievo posto alla pendici di una grande cavea naturale che viene a formarsi tra Monte Santa Croce e Monte Corno.

La descrizione è iniziata trattando la storia degli studi che si sono avvicendati sui terrazzamenti di Madonna della Libera.

L’architetto Zambardi ha riferito che il primo studioso che, intorno all’anno 1875, si è occupato in maniera puntuale delle mura in opera poligonale, meglio note come mura ciclopiche, di Santa Maria della Libera di Venafro è stato il canonico Francesco Lucenteforte, un appassionato cultore di storia patria. Questi, avvalendosi di rilievi metrici molto precisi e di una dettagliata scheda descrittiva sulle mura, redatti dal nipote Enrico Lucenteforte, spedì una lunga lettera a Wilhelm Henzen, segretario dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma, in cui relazionava sulle strutture trattate e sulla loro origine. «Henzen – ha detto Zambardi – era amico del famoso epigrafista Theodor Mommsen, e quest’ultimo, tra l’altro, aveva avuto modo di visitare il sito di Madonna della Libera nel suo secondo sopralluogo effettuato a Venafro, nel 1875».

Molto suggestive sono anche le foto scattate, nel 1897, all’imponente terrazzamento dal padre domenicano Peter Paul Mackey, e ora conservate presso la British School at Rome, nella sezione dedicata alla Collezione Mackey.

Le ipotesi avanzate dai vari studiosi che si sono avvicendati nel tempo hanno sostenuto, in maniera alterna, che le emergenze erano riconducibili o ad una villa romana o a un santuario pagano extraurbano. Maurizio Zambardi nella sua relazione ha riferito di optare decisamente per la prima ipotesi. Egli ritiene, infatti, che le strutture facciano parte di una basis villae di una villa rustica di epoca repubblicana. Villa che è espressione di quel panorama agricolo delineato nel De agricultura di Catone, e cioè una villa a limitata manodopera schiavistica, basata su colture specializzate e selezionate, quali oliveti e vigneti, destinate alla vendita sul grande mercato di Roma e nei centri minori. Non dimentichiamo, infatti, che la bontà dell’olio di Venafrum è stata decantata anche da autorevoli autori classici, quali Catone, Orazio, Varrone, Strabone, Plinio, Marziale e Giovenale.

Interessante è risultata anche l’ipotesi, avanzata dallo stesso Zambardi, che le strutture del terrazzamento potessero essere in qualche maniera riconducibili proprio a quella villa rustica di Venafrum di cui parla Marco Porcio Catone nel suo De agricultura.

La relazione si è poi conclusa con una carrellata di belle immagini e rilievi relativi alle numerose cisterne di epoca romana che ancora si trovano nel territorio di Venafro, molte delle quali erano ancora ignote.

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