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«Studi Cassinati», anno 2018, n. 2
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di Giovanni Petrucci
Riporto la trascrizione di due documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Caserta riguardanti il primo l’uccisione di una lupa nelle campagne di Sant’Elia, avvenuta il 6 marzo 1870 e l’altro, più interessante, sull’apertura dell’Ufficio del Telegrafo, risalente agli anni intorno al 1875. A seguire il rinvenimento di un pezzo di cornicione e alcune considerazioni sulla questione delle mura ciclopiche a Sant’Elia Fiumerapido.
Uccisione di una lupa
«Sora, 29 marzo 1870
Sotto-Prefettura del Circondario di Sora
Oggetto: Uccisione di una lupa in S. Elia
Ill.mo Sig. Prefetto della Provincia di Caserta
Ai sensi della Circolare del Ministero delle Finanze del 24 febbraio 1843 fo tenere a V. S. Ill.ma il verbale sull’uccisione di una lupa in S. Elia con l’orecchio che il Sindaco assicura di aver fatto uccidere in sua presenza con preghiera di disporre il pagamento del premio.
Il Sotto Prefetto
Fr. De Gennaro
Provincia di Terra di Lavoro. Comune di Sant’Elia Fiumerapido
Verbale per l’uccisione di una lupa
L’anno 1870 il giorno sette marzo alle ore 10 nella Segreteria Comunale di Sant’Elia Fiumerapido dinanzi a Noi Andrea Secondini, Sindaco ff. del suddetto Comune si è presentato Francesco Rizza di Angelo di anni 34 domiciliato fuori di questo Comune nella Contrada di Cese presentando una lupa che ha dichiarato di averla ammazzata nel giorno di ieri verso le ore 11 nella contrada Campoieiuni che dista da questo abitato circa Chilometri due. Noi ai termini delle istruzioni del Ministero delle Finanze 25 Agosto 1819 dopo di avere esaminato di essere realmente di sesso femminile dell’età di circa anni tre e reale la dichiarazione del Rizza provochiamo la debita ricompensa stabilita dalla Circolare del Ministero delle Finanze 24 febbraio 1848.
L’uccisore della lupa illetterato
Il Sindaco
(F.to Andrea Secondini)»1.
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Ufficio telegrafico
L’importante avvenimento dell’impianto del telegrafo nell’Ufficio Poste e Telegrafi di Sant’Elia ci fu dopo il 1873, vista la lettera di sollecito, riportata in calce, del 30 luglio dello stesso anno e il primo telegrafista fu Bonaventura Fiorillo, proveniente da Santa Maria Capua Vetere2.
«Prefettura di Terra di Lavoro
Caserta 30 luglio 1873
Classificazione
Serie 8 Categoria 71
Divisione 4
Protocollo n.18007, Spedizione n.14609
Oggetto: Impianto dell’Ufficio Telegrafico
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Alla Direzione Compartimentale dei Telegrafi di Napoli
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A premura del Sindaco di Sant’Elia Fiumerapido, interesso la S. V. a compiacersi provvedere per il sollecito impianto in quel Comune dell’Ufficio Telegrafico, tanto più perché sono stato assicurato di avere il Municipio ad impiantarsi fuori obblighi fin dal principio del cadente mese.
Il Prefetto
(f.to ill.)» 3.
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L’impianto non ebbe la risonanza che dura da secoli a Sorrento.
Qui l’episodio della richiesta dell’istallazione del telegrafo ebbe luogo molto più tardi e si ricorda per la celeberrima canzone Torna a Surriento, quando partì il presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli, il quale era stato ospite per un breve soggiorno nell’hotel di Guglielmo Tramontano, sindaco della città, che commissionò improvvisamente a Ernesto De Curtis la canzone.
Il musicista la compose in una serata su parole del fratello Giambattista, per ricordare all’illustre ospite di mantenere l’impegno di far realizzare opere pubbliche nella cittadina e soprattutto aprire un ufficio postale di prima classe con il telegrafo4.
E così, al momento della partenza, il presidente sentì da un’orchestra improvvisata l’invito a “tornare a Surriento”.
Il pubblico l’ascoltò probabilmente la prima volta dal duo Giovanni Amorosini e Maria Cappiello nel 1902.
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Rinvenimento del pezzo di cornicione
Sapevo dell’esistenza del pezzo di cornicione di Santa Maria Maggiore e mi interessai del recupero nell’estate del 1979, nel corso dei lavori di costruzione della strada che porta alla chiesetta. Gli operai furono molto disponibili alla mia richiesta di aiuto e si prodigarono a metterlo in vista quando fu rinvenuto.
A giudizio di d. Angelo Pantoni, il reperto non è «originario di S. Maria Maggiore, [ma] viene dal paese di S. Elia. Occorrerebbe rintracciare la fonte da cui Carettoni, in Casinum derivò la notizia dell’esistenza di questo pezzo, per ricavare qualche eventuale indizio sulla sua provenienza.
A S. Maria Maggiore fu posto dall’arciprete Iucci, che certo ne fece acquisto, facendolo lavorare per adattarlo a gradino. Meno male che si è conservato benissimo dopo quaranta anni di «messa a dimora» […].
Carettoni (p. 47, nota 2) si riferisce espressamente a G. Mancini, Giornali Scavi Pompei, (IV, p. 45), ma il detto autore ricorda a S. Elia “un gran frammento di superba cornice dentellata”, ora [1948] scomparsa.
Bisognerebbe vedere se il citato Mancini, accenna al luogo, in paese, ove questo frammento era visibile. Il Giornale citato si troverà certo a Roma o a Napoli»5.
Il compianto amico, assessore del Consiglio comunale, ins. Michele Di Mambro, preferì un luogo più adatto all’ingresso del Palazzo Comunale. Nacque, però, grande contrarietà nei residenti della località, che hanno grande cura della Chiesetta e dei vari reperti, testimonianza di epoca romana, regolarmente da me catalogati nel 20056.
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Mura ciclopiche
Sulle mura ciclopiche del paese occorre fare una precisazione.
Fino a qualche anno fa studiosi di archeologia accennavano vagamente all’esistenza di mura ciclopiche nei pressi di S. Maria Maggiore. L’ipotesi fu avanzata per la prima volta da Carmelo Mancini7 e ripresa da Gian Filippo Carettoni8. L’archeologo d. Angelo Pantoni, cui si debbono importantissimi studi sugli affreschi della Chiesetta, confessava di non saperne nulla9. Probabilmente si riferivano al breve tratto di muro a secco di contenimento dello spiazzo sul giardino sottostante, dove era il primo cimitero del paese. In esso si notano alcune pietre di notevole grandezza, ma è un fatto comune nella costruzione delle «macere» nei nostri campi, perché i massi vengono utilizzati come si trovano, anche se di diversa dimensione. Certo è che in una ricerca fatta accuratamente da me negli anni 2000 all’intorno, per tutta la collina e lungo la strada per Valleluce, non ne scopersi traccia alcuna.
Le vere mura ciclopiche invece furono scoperte da Sabatino Di Cicco su monte Cierro, a 461 metri l.s.m., durante i lavori di rinvenimento del tracciato dell’acquedotto romano10, con le sorgenti in località «Bagnaturo»11, iniziati nel 1991 e durati alcuni anni: sono mura poligonali piuttosto di prima che di seconda maniera. Si affacciano sulla pedemontana Casinum-Atinae-Sora e si trovano a sud-ovest di monte Cifalco di fronte ad un’altura altrettanto inospitale di Campopiano, del Comune di Belmonte Castello, quasi alla stessa altitudine. Qui massi sporgenti anche alcuni metri dal suolo e disposti naturalmente piuttosto vicini fanno pensare a simili mura, ma tali non sono12. Un breve tratto intorno ad una quercia è senza dubbio una “macera”, in quanto il terreno fino ad un cinquantennio fa era abitato dalla famiglia Capraro. Del resto non ne parlano i Belmontesi, né Alfredo Mario Iannetta nel suo studio13. È lo stesso fenomeno che si verifica su monte Aia Franchi, 1002 metri l.s.m., a lato di monte Cerrone a Cese, dove, dal basso, si vede il bianco alla cresta somigliante a mura. Ebbi in tempi lontani, a febbraio del 2008, una sorta di disillusione: man mano che salivo con i miei amici14 i massi risultavano sfalsati e anche distanti. In una spianata vi sono pietre sul fondo del prato e altre appaiono quasi squadrate; ma esperti hanno precisato che in quelle zone fino ad un cinquantennio fa, nell’estate, sostavano i pastori.
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NOTE
1 Archivio di Stato di Caserta, Prefettura I Serie, Cat. 22, b. 262. I tempi sono cambiati: oggi il lupo rientra nella fauna protetta, perciò è severamente vietato ucciderlo. Le associazioni ambientalistiche sono sempre attente a quanto può accadere specie in luoghi isolati di alta montagna.
2 Da un particolare della contabilità nella Relazione del segretario comunale di S. Elia Ernesto Frey, confermato dal Direttore della Banca Popolare, Bonaventura Fiorillo, il quale informa che ancora oggi una località è chiamata “I Sciurilli”.
3 Archivio di Stato di Caserta, Prefettura I Serie, Cat. 22, Busta 262.
4 V. Paliotti, La Canzone Napoletana, p. 74 e segg.
5 Da una lettera del 27 ottobre 1979 dell’archeologo Pantoni al sottoscritto e da una precedente del 4 luglio 1979: «ringrazio vivamente per la premura con la quale mi ha trasmesso una foto del pezzo di cornicione romano presso la Chiesa di S. Maria Maggiore, che io vidi nel 1938, quando era stato appena da poco adibito a gradino di scala rustica, per merito di Don Gennaro Iucci, che non volle saperne di mutare una così degradante sistemazione. È un altro segno della presenza romana, della quale nel fondo valle di costì, si hanno ripetuti indizi, specialmente a Casalucense.Adesso lei completerà l’opera e faccia portare il pezzo così ricuperato nella sacrestia di S. Maria Maggiore dove potrebbe essere custodito, dato che in paese nulla c’è che possa configurarsi a un museo o a una raccolta di antichità […]».
6 G. Petrucci, Gli affreschi di Santa Maria Maggiore in Sant’Elia Fiumerapido, Tracce di epoca romana, Cassino 2005, pp. 10-16.
7 C. Mancini, Giornale degli scavi di Pompei, IV, 1891, p. 45: «[…] Ma la indubbia dimostrazione della remotissima origine di questo Paese, S. Elia Fiumerapido, sta certamente nei ruderi delle mura poligone da me veduti circa un chilometro di distanza presso la vetusta chiesa detta S. Maria Maggiore […]».
8 G. F. Carettoni, Casinum, Regio I – Latium et Campania, Roma, MCMXL, p. 106: «Dell’esistenza di mura poligonali vicino alla chiesa di S. Maria Maggiore, a nord di S. Elia Fiumerapido, parlano vari studiosi del secolo scorso; attualmente non è più possibile identificare alcun resto di tale muraglia, e se gli avanzi erano di poca entità è facile che siano andati distrutti. Pochi macigni isolati, inseriti in un muro moderno sotto l’abside della chiesa, provengono forse dalle antiche mura».
9 Da una lettera del 27 ottobre 1979 dell’archeologo Pantoni al sottoscritto: «Un tempo parlavano di “mura ciclopiche” presso S. Maria Maggiore, ma io non le ho mai viste e neppure Carettoni».
10 S. Di Cicco, L’Acquedotto Romano da Valleluce a Cassino, Cassino 1995. Il primo accenno, in cui non c’è ancora piena consapevolezza della preziosissima scoperta, figura a pag. 86: «L’ultimo tratto, che esce dal vallo di Casalucense, è formato da un muro a secco per una quarantina di metri; in questi la malta che legava le pietre tra loro si è staccata completamente».
11 G. Petrucci, Le origini romane di Valleluce a S. Elia Fiumerapido in «LAZIOsud», nn. 9-10, settembre ottobre 1983, pp. 6-8.
12 Da una ricerca effettuata nel 2012 insieme con la famiglia del collaboratore Pasquale D’Agostino e dalle fotografie.
13 A. M. Iannetta, Belmonte Castello – Storia – Leggenda – Tradizioni Varie, Belmonte Castello 1990.
14 Il già citato D’Agostino, Pietro Soave, il figlio Michele e Michele Gallaccio.
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