Modifiche territoriali, amministratori e soppressione di Terra di Lavoro: Bicentenario dell’elevazione di Caserta a capoluogo di provincia (1818-2018).

.

«Studi Cassinati», anno 2018, n. 4
> Scarica l’intero numero di «Studi Cassinati» in pdf
> Scarica l’articolo in pdf

.

di Gaetano de Angelis-Curtis

Vincenzo Casaburi, notaio di Cervaro, ultimo presidente della Deputazione provinciale di Terra di Lavoro.
Vincenzo Casaburi, notaio di Cervaro, ultimo presidente della Deputazione provinciale di Terra di Lavoro.

Il 15 dicembre 1818, con decreto n. 1416, il capoluogo amministrativo della storica provincia di Terra di Lavoro venne fissato definitivamente a Caserta. Si trattava della città nuova, quella sorta attorno alle aree acquistate nel 1750 da re Carlo III di Borbone nella pianura sottostante alla città vecchia di Caserta nata probabilmente in età longobarda e arroccata sul monte Tifati. Nei nuovi spazi acquisiti re Carlo III aveva fatto erigere dall’arch. Luigi Vanvitelli un grandissimo e splendido palazzo per la corte borbonica, la Reggia, i cui dintorni andarono progressivamente a popolarsi, ad abbellirsi di strade, piazze, palazzi, chiese, strutture militari e della stazione ferroviaria con strada ferrata (una delle prime del Regno) di collegamento con Napoli.
Il decreto reale che elevava Caserta a nuovo capoluogo della provincia di Terra di Lavoro, con l’implicito riconoscimento dell’importanza assunta dalla città, era stato emanato da Ferdinando IV di Borbone, tornato sul trono di Napoli da pochi anni dopo l’esilio a Palermo iniziato nel 1806 quando l’avanzata delle truppe napoleoniche l’avevano costretto ad abbandonare la capitale partenopea. Napoleone Bonaparte aveva assegnato la corona al fratello Giuseppe, sostituito, dopo il suo trasferimento sul trono di Spagna, dal 1808 da Gioacchino Murat, cognato dell’imperatore.
Tornato, dopo la sconfitta napoleonica di Waterloo e il Congresso di Vienna, Ferdinando IV sul trono di Napoli (che dal 1816 assunse la titolazione di Regno delle Due Sicilie in sostituzione di quella di Regno di Napoli), il restaurato regime borbonico recepì quasi integralmente l’impianto dei vari ordinamenti (amministrativo, legislativo e giudiziario) introdotti nel cosiddetto decennio dei napoleonidi. Così furono mantenute le ripartizioni amministrative del territorio conservando, ad esempio, la provincia di Napoli istituita nel 1808 dai francesi. Differentemente, invece, la residenza dell’intendente della provincia di Terra di Lavoro, che inizialmente era stata posta a Capua, nel 1806 fu spostata a Santa Maria Capua Vetere salvo poi essere riportata nel 1808 a Capua, per essere poi definitivamente fissata, appunto il 15 dicembre 1818, a Caserta, con la città che assurgeva a capoluogo della provincia di Terra di Lavoro. Quest’ultima circoscrizione amministrativa, suddivisa inizialmente in tre distretti (S. Maria, poi Capua, Gaeta e Sora), poi saliti a quattro (Nola) e poi definitivamente a cinque (Piedimonte d’Alife oggi Piedimonte Matese), all’epoca risultava essere, per dimensione, più una subregione che una provincia.
Al momento dell’Unità d’Italia (sancita a Torino il 17 marzo 1861) la provincia di Terra di Lavoro venne confermata. Subì, però, alcune modifiche territoriali con la perdita di una parte del suo territorio e, conseguentemente, della sua consistenza demografica. Infatti con l’Unità, dai 237 Comuni di cui si componeva in età borbonica, scese a 187 e parimenti passò da 798.829 a 653.464 abitanti. La decurtazione che interessò, dunque, 51 Comuni, si ebbe in conseguenza della creazione della provincia di Benevento, formata con decreto del 26 ottobre 1860 del prodittatore Giorgio Pallavicino su ordine di Garibaldi. Terra di Lavoro cedette direttamente alla nuova circoscrizione amministrativa beneventana 24 Comuni, mentre, per compensazione le furono sottratti 14 Comuni a favore della provincia di Avellino e inizialmente 13 a favore di quella del Molise (Campobasso, salvo poi passare a Isernia nel 1970 al momento della sua istituzione) poi ridottisi a 12 (Presenzano nel 1878 riuscì a farsi riaggregare a Caserta; singolare invece la denominazione che volle acquisire dopo l’Unità il Comune di Sesto che nel 1862 decise di aggiungere Campano a formare il nome di «Sesto Campano» proprio per rivendicare la secolare appartenenza alla Campania pur essendo stato da due anni aggregato al Molise). Al contrario l’unica acquisizione territoriale fu quella di Pontecorvo, che, al pari di Benevento, rappresentava nel Regno delle Due Sicilie una enclave dello Stato pontificio e con l’Unità entrò a far parte del Regno d’Italia nell’ambito della provincia di Terra di Lavoro.
Nonostante le decurtazioni territoriali subite, Terra di Lavoro, con i suoi 5.269 Kmq., era la più vasta delle cinque province campane e, dopo quella partenopea, la più popolosa. Quindi tra il 1861 e il 1927 il numero complessivo dei Comuni di Terra di Lavoro passò da 187 a 192. Le variazioni furono dovute all’elevazione a Comune autonomo di sette borgate o frazioni (S. Leucio, S. Maria la Fossa, Pratella, Elena, Acquafondata) mentre nel 1907 si sancì la divisione di Vallefredda in Vallemaio e Sant’Andrea sul Garigliano. Intanto nel 1878 si era giunti alla riaggregazione di Presenzano mentre nel 1923 alla istituzione di Colfelice. Gli altri movimenti territoriali riguardarono la perdita di tre Comuni per fusione (S. Pietro in Curolis e Roccaguglielma diedero vita a Esperia, mentre S. Erasmo e Sirico furono accorpati a Saviano).
Poi la secolare omogeneità delle aree nord campane venne dispersa dal fascismo che, nell’ottica di un ampio movimento di ridefinizione territoriale di respiro nazionale, operò una duplice modifica. Nel 1927, infatti, giunse alla soppressione, unico caso in Italia, della storica provincia di Terra di Lavoro e le sue aree di riferimento vennero disperse tra cinque circoscrizioni amministrative limitrofe. Dei 192 Comuni di Terra di Lavoro, 102 andarono alla provincia di Napoli, 16 a Benevento, 7 ad Avellino, 15 a Roma e 52 a Frosinone.
La seconda modifica interessò il territorio che oggigiorno costituisce il Lazio meridionale e si ebbe in seguito all’istituzione della provincia di Frosinone, avvenuta con R.D. n. 1 del 2 gennaio 1927 contemporaneamente alla soppressione di Terra di Lavoro.
La neo istituita provincia di Frosinone risultò avere una popolazione complessiva di 424.634 abitanti, avere un ambito amministrativo costituito da 89 Comuni (solo nel secondo dopoguerra con il riconoscimento dell’autonomia amministrativa di Gallinaro e Posta Fibreno è salita ai 91 Comuni odierni) nonché essere frutto dell’aggregazione di territori pontifici con quelli campani. Infatti degli originari 89 Comuni, 52 erano appartenuti da secoli a Terra di Lavoro mentre 37 avevano fatto parte per secoli dello Stato della Chiesa (il fascismo finì per ridisegnare tutta la geografia della regione Lazio creando, a fianco della provincia di Roma, quelle di Viterbo, di Rieti nonché di Frosinone cui si aggiunse nel 1934 quella di Littoria-Latina, sottraendo territori all’Umbria, all’Abruzzo e alla Campania).
Con l’Unità d’Italia fu esteso al Mezzogiorno un nuovo ordinamento amministrativo per Comuni e Province. Queste ultime venivano amministrate da un Consiglio provinciale composto da un numero di membri, minimo 20 massimo 60, in relazione alla consistenza demografica della circoscrizione. A Terra di Lavoro furono assegnati 60 consiglieri provinciali che venivano eletti nel 50 mandamenti di cui si componeva (dunque per la maggior parte si trattava di collegi uninominali, mentre alcuni, in base alla consistenza demografica, eleggevano due consiglieri, come Cassino, Arpino, Sora ecc.). I consiglieri provinciale eleggevano al loro interno il presidente del Consiglio provinciale e i membri di varie commissioni delegate all’amministrazione di specifiche materie. L’altro e ben più importante organo esecutivo e tutorio della provincia era la Deputazione provinciale (pendant della Giunta municipale dei Comuni) dotato di ampi compiti fra cui quello del controllo di merito degli atti amministrativi dei Comuni. La presidenza della Deputazione spettava di diritto al prefetto della provincia finché con la riforma crispina del 30 dicembre 1888 n. 5865 anche il presidente veniva eletto in seno al Consiglio provinciale ma alla figura del prefetto fu riservata la presidenza di un nuovo organo appositamente costituito, la Giunta provinciale amministrativa a cui spettava la funzione di controllo sui Comuni.
Nel corso dei 65 anni di vita in età liberale, compresi tra il 1861 e il 1925 quando fu commissariata, preludio della soppressione del 1927, la provincia di Terra di Lavoro ha avuto complessivamente ventuno presidenti del Consiglio provinciale. Di essi, sette provenivano dal suo circondario più settentrionale, quello di Sora. Da Arpino proveniva l’industriale, deputato alla Camera e senatore Giuseppe Polsinelli (1861, 1863-1865), da Sora Alessandro Ferrara (1862), da Aquino l’industriale e deputato alla Camera Pasquale Pelagalli (1870-1874), da Arpino l’avvocato e deputato alla Camera Angelo Incagnoli (1878-1883), da Arce l’avvocato e deputato alla Camera Federico Grossi (1904-1905), da Atina l’industriale Francescantonio Visocchi (1907), da Cassino l’avvocato Benedetto Nicoletti (1908-1915) e da Atina l’industriale Orazio Visocchi (1916-1920). Invece i presidenti elettivi che si susseguirono, anche a più riprese, tra il 1889 e il 1925, nell’ancor più importante organo amministrativo della Depurazione provinciale furono quindici di cui ben sette provenienti dal circondario più settentrionale, quello di Sora e cioè da Vallerotonda l’avvocato Giuseppe Rossi (1892-1895, 1897-1898, 1901-1908), da Cassino Benedetto Nicoletti (1898-1900), da Casalvieri il generale del Genio Militare Domenico Coletti (1915-1916), da Alvito l’avvocato Vincenzo Mazzenga (1916-1920), da Roccadarce l’avvocato Bernardo Belli (1920-1922), da Arpino l’avvocato Nazareno Rea (1924-1925) e da Cervaro il notaio Vincenzo Casaburi (1925). Oltre al dato quantitativo, ce n’è uno ancor più eclatante se si considera la durata temporale della carica amministrativa. Per il Consiglio provinciale i presidenti provenienti dal circondario di Sora furono a capo di quell’organo, complessivamente, per ben trentacinque anni, quasi la metà dei sessantacinque anni (1861-1925) di vita della provincia nel Regno d’Italia. Ancor di più per la Deputazione provinciale, che, complessivamente, fu gestita per ben ventiquattro anni sui trentacinque di vita dell’organo (1889-1925). Sovente il presidente del Consiglio provinciale e quello della Deputazione provenivano da cittadine del circondario di Sora molto vicine. Anche in momenti molto delicati e difficili come gli anni della Prima guerra mondiale si ebbe, ad esempio, che allo scoppio del conflitto a presiedere il Consiglio provinciale fosse Benedetto Nicoletti (già sindaco di Cassino) mentre alla Deputazione il gen. Domenico Coletti di Casalvieri, che furono di lì a poco sostituiti, rispettivamente, dall’avv. Vincenzo Mazzenga e dall’industriale Orazio Visocchi provenienti l’uno da Alvito e l’altro da Atina, le due importanti cittadine della Valle di Comino distanti qualche decina di chilometri fra loro. Infine va rilevato che a Comuni del circondario di Sora appartenevano il primo presidente del Consiglio provinciale (Polsinelli di Arpino) e l’ultimo presidente della Deputazione provinciale (Casaburi di Cervaro).
Alla fine della Seconda guerra mondiale, con dllgt 11 giugno 1945 n. 373, si giunge alla ricostituzione della circoscrizione amministrativa nord campana che non solo assumeva definitivamente il nome di «provincia Caserta», perdendo quello storico di Terra di Lavoro, ma si ritrovò ad avere un territorio non coincidente con quello ante soppressione del 1927, cioè con dimensioni geografiche nettamente inferiori. Infatti andarono a far parte della provincia di Caserta solo 82 Comuni, rispetto agli originari 192 di Terra di Lavoro, riacquisendo solo parte delle aree aggregate a Napoli (23 Comuni del nolano continuarono a permanere nella provincia partenopea), tornarono tutti i Comuni trasferiti a Benevento (16) e a Campobasso (7) mentre perse tutte le aree assegnate al Lazio (province di Frosinone e Roma-Littoria-Latina). Nel corso degli anni il numero di Comuni della provincia di Caserta è andato aumentando, attestandosi, a tutt’oggi, a 104 perché agli 82 della ricostituzione se ne sono aggiunti 19 ai quali è stata ridata l’autonomia amministrativa persa nel ventennio fascista e altri 3 di nuova istituzione.

 

Bibliografia di riferimento: D. De Francesco (a cura di), La provincia di Terra di Lavoro oggi Caserta, Amm. Prov. di Caserta, Caserta 1961.

 

 

(410 Visualizzazioni)