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«Studi Cassinati», anno 2019, n. 1
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di Abate d. Donato Ogliari (osb)
Si ringrazia vivamente il padre abate di Montecassino d. Donato Ogliari per aver consentito la pubblicazione dell’omelia della S. Messa votiva in onore di S. Benedetto celebrata il 15 febbraio 2019.
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Nel Diario di guerra, redatto dai monaci Eusebio Grossetti e Martino Matronola, al giorno Martedì 15 febbraio 1944 (quindi esattamente 75 anni fa) troviamo descritta la prima fase del terribile bombardamento che distruggerà l’abbazia:
«Ore 8.30 circa, recitiamo Prima, Terza e Messa conventuale (…). Dopo ci rechiamo nella stanzetta del P. Abate a dire Sesta e Nona. Mentre recitiamo in ginocchio l’antifona finale della Madonna [l’antifona Ave, Regina caelorum, quella che anche noi oggi abbiamo cantato al termine della processione introitale] (…), atterriti sentiamo improvvisa una tremenda esplosione. Ad esse seguono altre senza numero, sono le 9.45 circa. Ci raccogliamo in ginocchio in un angolo della stanzetta, attorno a P. Abate che è ritto in piedi: egli ci dà l’assoluzione: diciamo giaculatorie per il gran passo. Le esplosioni ci scuotono fortemente: mettiamo l’ovatta nelle orecchie. Le spesse mura del rifugio con tutto l’ambiente, sussultano in modo spaventoso [si tratta dell’angolo Nord-Ovest dell’abbazia, al di sopra della conigliera]. Dalle strette finestre entra polvere e fumo, e si vedono le fiamme di quelle bombe che cadono sul fianco del Collegio. (…) Alle ore 11.15 circa si ha una sosta nel bombardamento. Grazie a Dio tutta la piccola comunità è salva».
Se facciamo un salto indietro di quasi quindici secoli, in una sua opera intitolata I Dialoghi, il papa Gregorio Magno racconta di come S. Benedetto ebbe la rivelazione della prima distruzione di Montecassino – quella del 577, ad opera dei Longobardi –, assieme all’assicurazione che ai monaci sarebbe stata risparmiata la vita.
Benedetto pianse a dirotto al pensiero di ciò che sarebbe accaduto al monastero, e tuttavia interpretò la sua distruzione alla luce di un’insondabile permissione divina («per giudizio di Dio onnipotente»).
Il 15 marzo 1945, dopo tredici mesi esatti dal bombardamento di Montecassino, e a un anno da quello della città di Cassino, l’ottuagenario Ab. Gregorio Diamare – sopravvissuto, assieme ad un gruppetto di suoi monaci, alla distruzione dell’abbazia –, durante la mesta cerimonia della posa della prima pietra in vista della ricostruzione del monastero, espresse una convinzione analoga a quella di S. Benedetto: «Dio così ha voluto. Non scrutiamo gli arcani della Provvidenza».Ogni guerra, con il suo carico di atrocità, di devastazione e di morte, rappresenta il fallimento della ragione e lo svilimento dell’anelito alla pace e alla fraternità universali. Tuttavia, la sapienza che si nutre del Vangelo sa cogliere, anche al di là degli eventi più drammatici e dolorosi, l’esistenza di un disegno più grande, un disegno che solo gli occhi della fede sanno percepire e nel quale l’ultima parola spetta a Dio. Anche se questa nostra storia appare zigzagata, travagliata e piena di una violenza talora inaudita, una fede limpida e profonda sa che – per quanto misteriosamente – Dio ne tiene saldamente in mano le redini e non cessa di guidarla verso un traguardo di salvezza. Ma vuole che noi l’aiutiamo! È alla luce di questa fede che vorrei riflettere brevissimamente con voi su tre parole sulle quali basare il nostro impegno fattivo nel mondo, contro ogni violenza e ogni guerra: memoria, pace, speranza.
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Memoria
La “trasfusione” della memoria – soprattutto quando si tratta di eventi tragici del passato – è un prezioso antidoto e un efficace antibiotico contro la barbarie dello spirito e la deformazione etica che ne deriva. Occorre, però, che tale “trasfusione” sia accolta e recepita da menti e cuori liberi da pregiudizi, sostenuti da una sincera ricerca del bene, e sospinti dal desiderio di contribuire alla costruzione di un mondo più giusto e pacifico. In quanto cristiani, poi, la memoria di quanto accaduto nel passato deve mantenere desta la nostra responsabilità nei confronti del mondo, un mondo che siamo chiamati ad animare come lievito nella pasta, per testimoniarvi con coraggio e generosità la forza luminosa e prorompente dell’amore evangelico, puro, cristallino e gratuito, l’unico in grado di contrastare le tenebre del male.
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Pace
Come abbiamo sentito nel brano evangelico proclamato, Gesù afferma che quanti si impegnano ad essere ovunque seminatori di pace «saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Si è “figli di Dio”, dunque, quando modelliamo il nostro cuore sulla pace che Gesù ci ha insegnato. Certo, non si tratta di un compito facile, poiché la pace «è come un fiore fragile che cerca di sbocciare in mezzo alle pietre della violenza» (Charles Péguy).Per questo essere artigiani della pace è una sfida da accogliere giorno dopo giorno, una sfida che richiede una continua conversione della mente e del cuore, e che passa attraverso il rifiuto dell’intransigenza e della collera, passaggio – questo – indispensabile se vogliamo seminare parole e gesti di bene nei solchi della nostra vita, aprendoci al rispetto e al riconoscimento della preziosità dell’altro, stringendo relazioni positive, sanando le ferite e costruendo ponti. Invito ciascuno di noi a far sua la preghiera di san Francesco d’Assisi: «Fa’ di me, o Signore, uno strumento della tua pace: dove c’è odio io porti amore; dove c’è offesa io porti perdono; dove c’è discordia io porti l’unione». Amore, perdono, unione sono le parole urgenti che ora tocca a noi tradurre concretamente nella nostra quotidianità.
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Speranza
«È vero, per l’albero c’è speranza: se viene tagliato, ancora si rinnova [praecisum … virescit], e i suoi germogli non cessano di crescere» (Giobbe 14,7).È molto probabile che l’espressione «succisa virescit», utilizzata per indicare la rinascita seguita ad ogni distruzione di Montecassino, si rifaccia a questo versetto del Libro di Giobbe. In esso è racchiuso anche il senso profondo della speranza cristiana, quella speranza che spinge il credente ha guardare in avanti e a scrutare il futuro con fiducia, certo che le parole della pace, dell’amore, del perdono e della comunione prenderanno il sopravvento su quelle della violenza e della malvagità. La speranza cristiana è un’energia di vita che, proprio perché ha la sua fonte in Dio stesso, è in grado di guidare i passi dell’uomo anche nelle situazioni più disperate. Lo scrittore francese Charles Péguy descrive questa virtù con l’immagine di una bambina che sta in mezzo alle due sorelle più grandi (la fede e la carità). Sembra che siano esse, le due sorelle grandi, a tenere per mano e ad accompagnare la sorellina, e invece è proprio quest’ultima che trascina le due sorelle verso il futuro! Quindi Péguy mette sulla bocca di Dio queste parole:«La virtù che più amo (…) è la speranza. (…) la Speranza, sì, che mi sorprende. (…) Che questi poveri figli vedano (…) come vanno le cose oggi e credano che andrà meglio domattina. Questo sì che è sorprendente (…) E dev’essere perché la mia grazia possiede davvero una forza incredibile. Perché sgorga da una sorgente come un fiume inesauribile. Come la stella ha guidato i tre re dal più remoto Oriente verso la culla di mio Figlio, così (…) lei sola guiderà le virtù e i mondi».Riaffidiamoci a questa forza intima e segreta. La speranza guidi i nostri passi verso il futuro che ci attende, e nello stesso tempo mantenga viva la nostra testimonianza nel mondo. Esso non ha bisogno di bombe e di guerre fratricide, ma di presenze luminose che, alla luce del Vangelo di Gesù, edifichino la civiltà dell’Amore e della Pace. Ci sostenga in questo nostro impegno l’intercessione di S. Benedetto. E così sia.
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