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«Studi Cassinati», anno 2019, n. 1
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di Gaetano de Angelis Curtis
Ore 20 del 15 marzo 1944, settantacinque anni fa, termina l’agonia di Cassino con la conquista della «palma del martirio» come scrisse Gaetano Di Biasio, che poi volle definirla come «città sacrificata», «città martire». Il bombardamento aveva avuto inizio alle ore 8.30 quando era giunta la prima formazione di bombardieri alleati. La città, già fortemente danneggiata, andò totalmente distrutta dopo le prime tre ore e mezzo di fuoco divenendo un cumulo di macerie dalle quali si alzavano solo polvere e fumo. «Per dar tempo alla polvere di diradarsi e facilitare l’inquadramento del bersaglio, le ondate dei bombardieri si susseguirono ad intervalli di dieci minuti fino alle 9 [di quel mattino], poi di quindici minuti fino a mezzogiorno». Il piano predisposto dalle alte sfere militari alleati prevedeva che dopo quello aereo il bombardamento continuasse via terra. Infatti appena l’ultimo bombardiere ebbe sganciato il suo carico entrarono in azione le artiglierie alleate. Da mezzogiorno «le batterie appartenenti a tutti i corpi della V armata», compresi «tre pezzi montati su carri ferroviari serviti da squadre di artiglieri italiani», aprirono il fuoco per quaranta minuti su Cassino. A partire dalle ore 13 riprese il bombardamento aereo. Diverse formazioni non riuscirono a sganciare i loro carichi a causa delle «dense nuvole di polvere» che coprivano l’area. Tuttavia bombardieri e cacciabombardieri continuarono l’opera fino al termine ultimo delle operazioni fissato alle ore 20. Non tutto il carico di bombe raggiunse la città di Cassino. Infatti «soltanto il 43% delle bombe sganciate colpì la zona in un raggio di 1 chilometro dal centro della città». Invece il 53% cadde all’esterno dell’abitato e sui rilievi montuosi circostanti colpendo e uccidendo anche militari alleati. Il restante 4% cadde in zone molto distanti dall’obiettivo, ad esempio a Venafro, Pozzilli, Montaquila. Gli errori di mira commessi sono imputabili solo all’imprecisione degli equipaggi alleati. Infatti non ci fu nessuna minaccia area, la Luftwaffe «era assente dai cieli e la contraerea tedesca nella zona di Cassino era pressoché inesistente».
Per bombardare Cassino gli alleati concentrarono «la più ingente flotta aerea che fosse mai comparsa sul teatro di guerra del Mediterraneo». Furono impiegati circa 500 bombardieri medi e pesanti e 200 cacciabombardieri cui si aggiunsero «890 tra cannoni, obici e mortai di ogni tipo».
L’aviazione sganciò oltre 1.000 tonnellate di bombe, mentre le batterie terrestri spararono circa 200.000 granate.
Il bombardamento iniziò alle 8.30 del mattino e terminò alle otto di sera. Complessivamente l’intera area fu sottoposta a undici ore e mezzo di fuoco tra bombardamento aereo e terrestre.
A presidio di Cassino c’erano circa 350 paracadutisti tedeschi e il rapporto tra il quantitativo di esplosivo impiegato e il numero di militari tedeschi che presidiavano Cassino fu «di circa quattro tonnellate» per ognuno dei difensori della città. Oltre ai militari tedeschi c’erano a Cassino anche «alcuni civili italiani» che condivisero con i paracadutisti l’«esperienza del bombardamento: si trattava di povera gente che per volontà propria o perché costretta dagli eventi era rimasta a vivere in città, rifugiandosi nella rete fognaria».
Le tonnellate di bombe lanciate su Cassino non ebbero l’effetto sperato.
Le unità tedesche furono indebolite ma non annientate. Morirono 160 paracadutisti sui circa 350 a presidio. Molti soldati sopravvissuti avevano trovato rifugio in una caverna ubicata ai piedi di Montecassino, nelle vicinanze dell’hotel Continental, quella che poi è stata definita come la «grotta di Foltin» dal nome del capitano tedesco che vi condusse, nel corso di una pausa del bombardamento, i suoi uomini e che divenne una sorta di rifugio antiaereo, raggiunto anche da altre compagnie. Dopo la valanga di fuoco i tedeschi sopravvissuti reagirono veementemente «all’apparire dei primi fanti» alleati, organizzarono la difesa della città tra le macerie e riuscirono a bloccare l’avanzata alleata, poiché era praticamente impossibile per i carri armati avanzare tra tutti quei detriti e quei cumuli di macerie. Infatti dopo il bombardamento al posto di strade e case vi erano solo macerie e crateri causati dalle esplosioni.
La città era completamente rasa al suolo. La distruzione fu dunque del cento per cento.
Ma tutto il Cassinate fu una «terra murata di sangue e di martirio».
Distrutto al 100 per cento fu Piedimonte San Germano.
Distrutto al 100 per cento fu Villa Santa Lucia.
Distrutto al 100 per cento fu Pontecorvo.
Tutti Comuni oltre la Linea Gustav; ma anche prima della Linea Gustav.
Distrutto al 100 per cento fu San Biagio Saracinisco.
Distrutto al 98 per cento fu Cervaro.
Distrutto al 98 per cento fu S. Pietro Infine.
Distrutto al 96 per cento fu Vallemaio.
Distrutto al 96 per cento fu Viticuso.
Distrutto al 95 per cento furono Acquafondata, Atina, Belmonte, Castelnuovo Parano, Picinisco, S. Ambrogio, S. Apollinare, S. Andrea, Vallerotonda e via via tutti gli altri.
La guerra a Cassino non ha assunto ‘solo’ il significato di distruzione totale. La guerra a Cassino non si è “limitata” a seminare morte, a spazzare via fisicamente palazzi, monumenti, abitazioni, infrastrutture della città prebellica.
Cassino non fu solo «distrutta, polverizzata, massacrata», non fu solo frantumata, devastata, sbriciolata, ridotta in mille brandelli.
La guerra a Cassino ha polverizzato anche il ricordo, la memoria, la storia stessa della città. La guerra è stata una cesura totale, uno spartiacque tra quello che era la città prima della distruzione e quello che sarà Cassino dopo.
La guerra ha distrutto la continuità, lo scorrere, il fluire della vita quotidiana di una città di provincia, laboriosa e bella. Si è venuto a interrompere il normale flusso della storia degli uomini, delle donne della città.
Infatti, e non è un caso, ci sono voluti 75 anni perché emergessero dalla polvere della città distrutta alcune vicende come quelle dei cugini Efrati e della PAI.
Sono dovuti trascorre 75 anni per scoprire che due figli di Cassino di origine ebraica furono, con le loro famiglie, deportati e uccisi nel campo di sterminio di Auschwitz. Li abbiamo voluti ricordare con una semplice cerimonia il 30 gennaio scorso ponendo, di concerto con l’allora amministrazione D’Alessandro, delle targhe a loro ricordo collocate su quei blocchi di pietra che sono i resti della città prebellica.
Sono dovuti trascorre 75 anni per scoprire che la Cassino prebellica ospitava anche un distaccamento della Polizia dell’Africa Italiana con magazzini e reparti e che nel corso del primo bombardamento della città, quello del 10 settembre 1943, morirono quattro guardie della PAI e la moglie del comandante del distaccamento PAI di Cassino.
Per quattro lunghi mesi Cassino e il Cassinate sono divenuti, loro malgrado, l’ombelico della seconda guerra mondiale.
A Londra, a Washington, in Nuova Zelanda e in tutte le capitali degli Stati che avevano i loro eserciti nel Cassinate, i potenti della terra si domandavano e si interrogavano sui motivi che avevano arrestato l’avanzata di uno dei più grandi e possenti eserciti del mondo, dotato di enormi risorse in termini di armamenti.
E mentre i potenti della terra si interrogavano la città e il territorio continuavano ad essere martellati incessantemente.
L’incredulità era stata talmente tale che immediatamente dopo lo sfondamento della Linea Gustav alcuni di quei grandi della terra vollero venire qui sul territorio per rendersi conto di persona della situazione e della difficoltà incontrate dall’esercito alleato.
Ad esempio il 28 maggio, appena dieci giorni dopo la conquista di Montecassino da parte dei polacchi, giunse il primo ministro neozelandese Peter Fraser che salì su monte Trocchio.
Solo un mese dopo fu la volta di S.M. re Giorgio VI, sovrano di Gran Bretagna. Anch’egli il 22 luglio 1944 salì su monte Trocchio lasciando a ricordo della visita una colonna di travertino collocata in località Pastenelle.
Quindi il 18 agosto successivo fu la volta del primo ministro britannico Winston Churchill.
Alla fine delle cruente operazioni di guerra che avevano interessato Cassino e il Cassinate non era rimasta che la desolazione più totale.
Si avviarono ben presto, ma con enormi difficoltà, le fasi di ricostruzione. Gaetano Di Biasio nominato sindaco di una città fantasma avrebbe voluto non rimuovere le rovine ma farle rimanere come «monumento storico d’una guerra scellerata» come «ammonimento e terrore», avrebbe voluto che non fossero toccate in quanto la «conservazione del vecchio abitato, distrutto dalla furia bellica, avrebbe dovuto assumere la funzione di rendere testimonianza dell’immane tragedia, di fungere da monito, in definitiva, per le generazioni successive». Il nuovo agglomerato urbano, la «Città Nuova», si sarebbe dovuto stendere «come un florido tappeto» ai «piedi» di quella distrutta. Tuttavia il mancato intervento diretto del governo italiano, che pur era stato prospettato, costrinse amministratori comunali e progettisti al «ripristino dei vecchi allineamenti stradali», all’avvio della ricostruzione dell’abitato di Cassino nel vecchio sito, con la sola esclusione della zona pedemontana e da tutto ciò si sono originati parte dei mali urbanisti che sono sotto gli occhi di tutti.
Bombe, malaria e coraggio è il titolo di un volume scritto da Fred Vittiglio e Fernando Fiorillo che i ragazzi partecipanti al premio hanno avuto modo di commentarne un brano nel corso della prova.
Le bombe sono quelle cadute su Cassino ma anche quelle che non esplosero e che provocarono altri morti e lutti nella ricostruzione.
La malaria è la malattia con più alta diffusione che infierì e mieté altre vittime assieme a tutte le altre, alla scarsissima alimentazione, al freddo, all’insufficiente igiene.
Coraggio fu quello dei padri e delle madri ricostruttori del territorio che operarono in una situazione difficilissima e precaria, tra continue sofferenze, tra difficoltà quotidiane, con pochissime risorse economico-finanziarie e scarsissime prospettive occupazionali.
Coraggio fu quello degli uomini, delle donne, dei figli che lasciarono, perché costretti, la loro terra natìa a causa delle scarsissime risorse e delle incertissime prospettive, e con la riapertura della valvola di sfogo dell’emigrazione per necessità di sopravvivenza iniziarono una nuova, difficile, vita in altri luoghi, in altri contesti. Ma questo è il tema di questo premio.
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Bibliografia di riferimento
- Böhmler, Monte Cassino, Baldini&Castoldi, Milano 1964
- Nardini, Cassino. Fino all’ultimo uomo, Mursia ed., Milano 1975
- Vittiglio, F. Fiorillo, Cassino. Bombe malaria e…coraggio, Ciarrapico ed., Roma 1979
- Jadecola, Linea Gustav, Centro Studi «Patriarca», Sora 1994
- Pistilli, La battaglia di Cassino giorno per giorno, Lamberti ed., Cassino 1999
- Cavallaro, Cassino. Le battaglie per la Linea Gustav, Mursia, Milano 2004
- de Angelis-Curtis, Gaetano Di Biasio (1877-1959). Carattere di impertinente ribelle e di sognatore, Cdsc-Onlus, Cassino 2012.
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