Studi Cassinati, anno 2015, n. 1
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di Gaetano de Angelis-Curtis
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Alla memoria di Domenico de Angelis ed Ernesta Resta,
tra le vittime ad Avezzano del terremoto
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Alle ore 7,53 del 13 gennaio 1915 si registrò una forte scossa di terremoto dell’XI grado della scala Mercalli (magnitudo 7.0) e della durata di trenta secondi, cui seguì uno sciame sismico proseguito per circa un anno. La violenza del movimento tellurico, uno dei maggiori nella storia sismica italiana, colpì un’ampia area. Ebbe come epicentro la conca del Fucino, a ridosso di Avezzano, in Abruzzo, ma l’ondata sismica colpì fortemente tutta la Marsica, la Valle di Roveto nonché le aree dell’odierno Lazio meridionale, in particolare Sora1, il Sorano e la Valle di Comino (ma forti danni subirono pure Cassino2 e Frosinone3) e fu percepito distintamente in città e paesi ubicati anche a centinaia di chilometri di distanza4. Gravissime le perdite in termini di vite umane, circa trentatremila le vittime (di cui oltre diecimila, il 95% della popolazione residente, nella sola Avezzano e circa quattrocento a Sora5) su un totale di 120.000 abitanti, e migliaia i feriti. Ingentissimi i danni ai centri abitati: Avezzano fu totalmente distrutta, ma anche Sora, i centri limitrofi e i paesi cominesi furono duramente colpiti. Rispetto al capoluogo del Fucino dove tutte le case erano crollate, l’aspetto di Sora si presentava in modo differente poiché i suoi edifici apparivano, per la maggior parte, integri anche se tutti i muri dei fabbricati erano solcati da larghe fenditure e non rimanevano che i muri maestri mentre all’interno era tutto distrutto. Un ammasso di rovine erano divenute Corso Volsci e Piazza Santa Restituta con la sua chiesa intitolata alla patrona della città. «Solo il simulacro della Santa, che si ergeva tra quelle rovine, era rimasto intatto; nemmeno un dito delle sue mani era spezzato né una scalfittura sfregiò la statua». Altre chiese seriamente danneggiate furono quella di San Francesco e quella di San Silvestro, il monastero di San Pietro Celestino e quello di S. Chiara, la badia cistercense di S. Domenico e il Palazzo arcivescovile ubicato in Piazza Indipendenza. Molti edifici scolastici furono fortemente danneggiati al pari dell’Ospedale che dovette essere evacuato. Della stazione erano rimasti «in piedi le due ali estreme. La casa del capostazione, gli uffici del telegrafo e le sale d’aspetto erano tutte distrutte». Nel cimitero erano crollate quasi tutte le cappelle e gli ossari. Nella campagna avevano ceduto tutte quelle case rurali edificate su terreni argillosi, mentre rimasero intatte quelle «costruite su roccia». A Isola Liri crollarono i palazzi Pantanella, Pizzitutto, Giannitti e Pisani. Anche la chiesa di S. Antonio andò distrutta e il crollo risparmiò «solo la statua del santo nella sua nicchia». Complessivamente nella cittadina fluviale si contarono un centinaio di vittime mentre 80 furono quelle di Castelliri, sette di Posta Fibreno e diverse decine in altri centri. Ad Alvito gravi lesioni subirono le chiese di S. Simeone, S. Nicola con il collegio salesiano, S. Maria delle Grazie e S. Maria del Campo, i palazzi Mazzenga, Ferrante, Masetti. Ad Atina non ci furono vittime ma i danni al patrimonio edilizio furono considerevoli, così come a Picinisco, Pescosolido, Settefrati e Vicalvi6.
Già nelle edizioni della sera dei vari giornali d’Italia veniva riportata la notizia del terremoto, con coscienza della gravità dell’accaduto7. La stampa nazionale e quella locale dettero molto risalto alla disastrosa situazione provocata dal terremoto e alle visite fatte dalle autorità a conforto delle popolazioni così fortemente colpite. Il sovrano, re Vittorio Emanuele III, giunse il 14 con treno speciale alla stazione di Avezzano, visitò la città distrutta, i paesi limitrofi e quindi Sora. Nella notte raggiunse prima Avezzano e poi Sora l’on. Achille Visocchi8 di Atina, sottosegretario ai LL.PP, che poi si portò anche a Isola Liri e in altri centri.
«Sora, 15 notte
Avvicinandoci a Sora, riceviamo nuova e più sconfortante conferma intorno al disastro che ha funestato i vari paesi della valle del Liri.
Sora non è più, ci hanno ripetuto lungo la via tutti i nostri informatori. Sora è distrutta. Le vittime non si contano. E quando siamo arrivati a Sora abbiamo dolorosamente visto che le informazioni erano tutt’altro che pessimistiche o infondate.
Sora è infatti completamente distrutta; le sue case sono state tutte abbattute o rese inabitabili dal terremoto: dalle macerie sono stati estratti oltre 500 cadaveri, ma sotto le case crollate giacciono ancora parecchie altre centinaia di vittime. Alle porte del paese incontriamo carabinieri e granatieri intenti a costruire barelle e baracche. Qualche squadra di soccorso giunge con noi da Roma e con lo spuntare del sole le opere di salvataggio vengono riprese. Dopo due giorni si spera ancora di poter rinvenire tra le macerie qualcuno che si mantenga ancora in vita e che possa essere sottratto alla morte. Un breve scambio di idee ha luogo tra il prefetto ed il maggiore del secondo granatieri, Cav. Guardabassi. A Sora sono concentrati, fra granatieri e carabinieri, 1000 uomini. Come utilizzare queste forze che in verità, data l’immensità del disastro, sono assai esigue? Vi sono ancora vittime da salvare? Vi è ancora sotto le macerie qualcuno che possa essere restituito alla vita? Si ricorda il precedente di Messina: dopo quattro, dopo cinque, dopo otto giorni furono rinvenuti fra le macerie alcuni che erano riusciti a mantenersi in vita. Perché dunque non compiere anche qui quest’ultimo tentativo di salvataggio? Si stabilisce che una squadra di carabinieri percorra la città chiamando, ascoltando, interrogando le macerie per assicurarsi se da esse parta qualche voce o lamento. Frattanto, negli altri punti della città, dove si ritiene che un maggior numero di vittime sia stato sepolto, i granatieri compiono lavori di demolizione e di scavo. Ed i lavori fervono intorno alla cattedrale della città, la chiesa di Santa Restituta, che è collocata nel centro del paese su di una piazza piuttosto ampia che era circondata da costruzioni decorose ed eleganti.
La Chiesa – ricca di ori e di stucchi – pregevole per un antico portale, è tutta crollata, e sotto le macerie sono nascoste vittime assai numerose. Sono i fedeli che nell’ora del disastro si trovavano raccolti nel Tempio. Quanti erano? Quanti sono riusciti a scappare? Si calcola che sotto la volta della chiesa siano cadute un centinaio di persone. E tutto intorno alla piazza ed in una altra piccola piazzetta situata dietro la chiesa, sono altre case crollate. Tra le macerie della cattedrale e le case che la circondano, lavorano febbrilmente i granatieri. Ieri, quando essi arrivarono da Roma – e fino a ieri Sora fu completamente abbandonata – si misero subito al lavoro, furono colpiti proprio mentre si accingevano alle ricerche nelle macerie di Santa Restituta, da un tenue lamento.
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NEL CENTRO CITTA’
È possibile un salvataggio? I giovani ardimentosi lavorano per oltre sei ore e finalmente rinvennero fra le macerie il corpo di un giovane morente. Gli apprestarono ogni cura, lo ristorarono, cercarono di trarlo completamente fuori dalle macerie, ma fu inutile; il corpo del giovane, ancora vivo, era serrato fra quelli dei suoi genitori morti: il padre si era battuto pesantemente su di lui, bocconi: la madre giaceva da un lato. Ogni cura fu inutile, il giovane morente parve per un momento risollevato, ma egli aveva perduto i sensi e delirava. Diceva di aver fame e canticchiava, ma quando gli portavano da mangiare, rifiutò ogni cibo, poi alle 10 di sera morì. Ora i soldati lavorano per estrarre il suo corpo e quello dei suoi genitori tra il cumulo delle macerie che su di lui si è abbattuto. A pochi passi sono numerosi cesti di erbivendole e qua e là fra le macerie sono mazzi di cavoli e di cicorie, ormai appassiti. Solevano le vincitrici di erbe a Sora raccogliersi per la rivendita sulla piazzetta dietro la chiesa. Quivi, il terremoto le colpì e i loro corpi sono sepolti tra le macerie della cattedrale. Intorno, tutte le altre case sono crollate. Siamo nel centro della città, il punto più duramente colpito. I locali del Circolo Vittorio Emanuele, quelli del Telefono, i negozi più ricchi ed eleganti, sono tutti crollati: e nelle vie adiacenti, i principali palazzi di Sora: il palazzo Cenciosi, quello Pagliari, gli altri dei signori Bastardi, la casa della famiglia La Pietra, sono tutti crollati, ma quante sono a Sora le case rimaste intatte? L’immensità del disastro è proprio questa: la città non esiste più, sebbene non si abbiano a deplorare quelle migliaia di vittime che sono sepolte sotto le macerie di Avezzano. Sora contava 77.000 abitanti; di essi circa 10.000 vivevano in paese. Gli altri abitavano le numerose case campestri che si stendono lungo il Liri fino all’isola. Il terremoto ha danneggiato gravemente tutte le case di campagna: un gran numero di esse è crollato. Ma s’ignora quale sia stata la sorte di coloro che le abitavano. Nelle case di città nell’ora del terremoto erano rimaste poche migliaia di persone, quasi tutte donne e fanciulli. E fra essi deve deplorarsi il maggior numero delle vittime. Ma il grosso della popolazione per fortuna era già fuori per il lavoro dei campi e a ciò soltanto deve attribuirsi se le conseguenze del terremoto siano state a Sora meno gravi di quelle che hanno funestato Avezzano e gli altri paesi della Marsica. Ma se la popolazione è salva, la città è tutto distrutta. Poche case sono rimaste in piedi ma anche esse sono state gravemente lesionate.
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FRA I SUPERSTITI
In più parti del paese sorsero baraccamenti per i superstiti e ad essi fu distribuito il pane. Il comm. Dazzi fece ricerche di pane nei casolari di campagna nei negozi semidiroccati. Telegrafò anche perché il pane fosse spedito da Caserta e da Frosinone e ieri sera cominciò a giungere qualche primo soccorso, ma i superstiti nonostante tutto soffrono sempre la fame ed il freddo. Le poche baracche costruite non bastano. In una di dieci metri quadrati sono raccolte 150 persone. In un’altra più piccola ne erano 54 che s’erano stretti alla meglio nello spazio breve, e senza materassi e senza coperte in preda ad un’agitazione vivissima, senza dormire, nell’attesa paurosa di altre scosse di terremoto, desiderosi di poter presto rivedere il sole e ritornare all’opera di soccorso fra le macerie. Sono in molti coloro che fra le case diroccate vanno a ricercare affannosamente i corpi delle persone care, ma l’opera loro non basta: si trovano dinanzi a grossi cumuli di macerie da cui devono ritrarsi sconfortati e quando si avvedono che i loro sforzi non bastano essi fanno appello all’aiuto dei soldati. Allora i capi dislocarono in vari punti della città i loro uomini. Ma anche i soldati qui inviati non bastano per soddisfare tutte le richieste ed il pellegrinaggio doloroso continuo. – Ho qui – ci dice piangendo un contadino – mia moglie e quattro bambini! Sono tra le macerie e forse sono ancora vivi! Mi aiutino anche loro e facciano venir presto i soldati. Io solo non basto. E si sofferma a contemplare la sua casa in frantumi, silenziosamente piangendo. Più in là erano due giovani arrivati da Roma in cerca della mamma. Erano accorsi sulla via laddove la loro casa si è abbattuta. Anch’essi invocano l’aiuto dei soldati ed un’altra volta l’autorità ha dovuto rispondere con un diniego. I soldati hanno continuato per tutta la mattinata a lavorare fra le macerie. Nella piazza principale in un angolo a fianco della sede del Circolo Vittorio Emanuele era casa dei signori La Pietra, ridotta in un cumulo di macerie e sotto di esse sono la moglie e i figli del La Pietra. Sono essi ancora vivi?
I granatieri rimuovono le macerie: fra essi con maggior fervore lavora un soldato del 9° fanteria: è un figlio dei coniugi La Pietra. Suo padre che nell’ora del terremoto era fuori di casa si è salvato. Egli si aggira fra le macerie ansiosamente. Ad un tratto rimuovendo un cumulo di sassi si scorgono delle scarpe. Le ricerche si fanno più febbrili ma è inutile continuarle: si vede subito che le due donne sono morte, ed il soldato si allontana piangendo. Coloro che si sono salvati con tutta la famiglia si affaccendano a ricercare fra i rottami le masserizie rimaste intatte.
Nella piazza di Santa Restituta sono già allineati dei mobili intatti: tavole, sedie ed altre masserizie. Da qualche casa scoperchiata e non del tutto demolita si vedono arredamenti ancora intatti. Nei locali del circolo e nella sacrestia della chiesa sono rimasti attaccati alle pareti due orologi che entrambi segnano le 7.54: l’ora del disastro.
Altre masserizie sono allineate nei lungo Liri che fiancheggiano la città. Si scorgono sedie, tavoli, coperte, reti metalliche, che con grande cura sono stati tolti dalle macerie. Altri mobili sono accatastati nella piazza dell’Indipendenza e nel giardino pubblico dove sono sorte altre baracche e dove stamane dinanzi ad un altare improvvisato si sono radunati centinaia di fedeli ad ascoltare la messa.
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SEICENTO CADAVERI DISSEPOLTI
Finora sono stati dissepolti circa seicento cadaveri: e finalmente si può dare con precisione un primo elenco di vittime: gli abitanti del Palazzo Carrara – circa 150 – sono stati tutti sepolti dalle macerie: e sono rimasti vittime del terremoto i componenti la famiglia Bastardi9. Di essa non si è salvato che un ragazzo di otto anni, a nome Guido. Sono morte le sette suore di carità ricoverate nel convento di Sora: il terremoto le ha colpite mentre esse con la loro compagna – Suor Antonietta – la sola che si sia salvata – erano raccolte nell’oratorio del convento ove il sacerdote Anerasi impartiva loro la comunione. Le sette suore e il sacerdote solo sepolti fra le macerie10. Suor Antonietta che mentre la catastrofe avvenne era prona in davanti per ricevere dal sacerdote l’ostia sacra, è riuscita a salvarsi.
È crollato, come dicemmo, il palazzo Rossi, presso la stazione, e sotto le macerie sono 40 vittime11. Della famiglia del cappellaio Loffredo composta di sette persone si sono salvati solamente due bambini, l’uno di tre, l’altro di quattro anni: si è salvata invece la famiglia Rossini. Fra le vittime sono, come dicemmo il pretore De Tilla, con la famiglia, il dott. Cianciosi, con la famiglia, il segretario della sottoprefettura cav. De Mattia e tutta la sua famiglia, e quattro figli del segretario capo del Comune, cav. Marchetti, che nel giorno della catastrofe si trovava a Portici.
Sora è ancora isolata da Avezzano. Le comunicazioni ferroviarie sono state riprese da Roccasecca a Sora, ma da Sora il treno non può procedere oltre verso l’Abruzzo. Da Sora ad Avezzano sono altri paesi distrutti: Pescosolido, Balsorano hanno avuto tutte le loro case distrutte. Anche qui in gran parte gli abitanti sono riusciti a salvarsi. Qualche fuggiasco arrivato a Sora ha dato notizie circa la sorte di quei paesi che ora rimangono isolati completamente sui monti, fra la neve alta.
Coloro che sono scampati al terremoto attendono soccorsi: ma fino a stamane non una tenda, non un carro di viveri, non carro di medicinali era partito a quella volta e i superstiti sono certo condannati a soffrire il freddo e la fame. Quando si provvederà? Il comm. Dezza12 si è mostrato subito premuroso ed energico: ma egli aveva scarsi mezzi a sua disposizione né oggi le condizioni di Sora e degli altri paesi della valle del Liri sono migliorate, sebbene da Roma e Napoli sia arrivata qualche altra squadra di soccorso e qualche automobile carica di viveri e di medicinali. Ma non basta ancora: a Sora e negli altri paesi della valle del Liri – colpiti dal terremoto – occorrono soccorsi e uomini non meno degli altri paesi della danneggiatissima Marsica.
Filippo Ungaro»13.
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PRIMI SOCCORSI
Nella prima seduta del Consiglio provinciale di Terra di Lavoro successiva al terremoto tenutasi il 21 gennaio 1915, il presidente dell’assise, l’avv. Benedetto Nicoletti di Cassino, in apertura, dopo aver ricordato che tutti i «ridenti paesi del Fucino con la fiorente città di Avezzano erano un cumulo di macerie e pochi abitanti si salvarono», affermò: «Ricordo in particolare la nobile Sora, fiorente per industria, commercio, coltura di campi ed illustre per gli insigni uomini a cui dette i natali, sotto le cui rovine sono imprigionati centinaia di defunti, i suoi migliori palazzi sono crollati e molti altri ancora minacciano di crollare. I ridenti comuni che circondavano la disgraziata città son tutti un cumulo di rovine, Isola Liri, la città industre per eccellenza della regione non è stata risparmiata; Arce, Settefrati, Atina, Alvito, Pignataro Interamna, Roccasecca, Cassino, sono state tutte danneggiate, le case lesionate, gli abitanti accampati, sono pervasi da un panico indescrivibile»14.
L’«intervento prioritario del governo fu quello di assicurare un ricovero ai superstiti che si trovavano ad affrontare un inverno molto rigido in critiche condizioni fisiche e morali» (nei giorni precedenti al sisma in tutta la zona era caduta ininterrottamente una pioggia torrenziale accompagnata da un vento impetuoso e le montagne circostanti erano innevate). Inizialmente fu attuato un piano che prevedeva il trasferimento dei sopravvissuti in centri attrezzati in vari Comuni d’Italia. Tuttavia l’afflusso di circa quattordicimila profughi a Roma aveva finito per paralizzare la città per cui si giunse a mutare il piano originario adottandone uno teso a «non allontanare le popolazioni dei loro paesi» e a incentivare i superstiti giunti nella capitale «a ritornare nei luoghi d’appartenenza». Tuttavia una quarantina di terremotati provenienti da Sora giunsero a Formia15 mentre invece alcune famiglie si trasferirono a Carbognano, in provincia di Viterbo «dove ricevettero sussidi finanziari concessi dal Comitato di soccorso della Tuscia»16. Molti altri, circa 1.120, decisero di trasferirsi in Piemonte, ospitati a Torino e in provincia di Cuneo, inceve altre persone, «desiderose di raggiungere i parenti in Francia» dove viveva una «nutrita colonia di emigrati proveniente dalla Valle del Liri», furono respinte alla frontiera in quanto «sprovviste di documenti». Un problema aggiuntivo fu rappresentato dall’assistenza ai «minorenni orfani o abbandonati in seguito al terremoto». Ben 4.673 bambini furono accolti dall’Opera nazionale del patronato «Regina Elena»17. Con i ricongiungimenti familiari tale numero scese successivamente a 1.926 e al fine di tutelare i bambini di età inferiore ai cinque anni che non erano in grado di riferire le generalità dei genitori e di poter trovare le loro famiglie di appartenenza e facilitarne il riconoscimento, si dispose di fotografarli «inviandone subito un esemplare all’Ufficio del Bollettino Ricerche» corredato di tutti gli elementi utili alla identificazione18.
I primissimi soccorsi alla popolazione furono portati, come a Isola Liri, dai Carabinieri scampati al crollo della loro caserma. Immediatamente dopo giunsero nel Sorano «due squadre napoletane, una di fontanieri e l’altra composta da guardie del Comune di Napoli». Quindi la macchina dei soccorsi si mise in moto19. Già il giorno successivo cominciarono ad arrivare nelle zone colpite dal terremoto uomini, attrezzature e viveri. Sui luoghi del disastro furono inviati militari dell’Esercito, utilizzati per la sicurezza pubblica, per la rimozione delle macerie, per il salvataggio di eventuali sopravvissuti, per prevenire atti di sciacallaggio, e personale sanitario per l’allestimento di ambulatori e per soccorrere i feriti20. A Sora giunsero una trentina di Carabinieri da Cassino e poi altri 280 da Napoli e Caserta, quindi i militari dell’82° Reggimento fanteria di Roma, del 24° Artiglieria e del 1° del Genio21. L’ingresso di strade e case era impedito da militari che presidiavano anche i ponti, mentre la popolazione, accampata nei pressi del fiume Liri, offriva sì un «quadro di animazione e di vita, ma l’animazione è tragica e la vita è la sofferenza di 15.000 persone colpite dal disastro»22. L’opera di soccorso fu resa ancor più difficile da una nuova forte scossa di terremoto verificatasi il 14 gennaio alle ore 8,16 che provocò ulteriori crolli «rendendo scarse le speranze di trovare vive le persone sepolte»23.
Fu inizialmente l’on. Visocchi a sollecitare l’organizzazione dei servizi di soccorso in quelle zone. Il parlamentare di Atina «dispose l’invio giornaliero da Caserta della quantità di pane necessaria»24 a soddisfare i «bisogni di Sora e dei paesi vicini, chiese all’amministrazione militare la spedizione di 20.000 scatole di carne, di migliaia di tende e di coperte, che furono sollecitamente inviate». Si adoperò affinché giungessero alle stazioni di Sora e di Isola Liri «numerosi vagoni ferroviari» da utilizzare come ricoveri notturni e, «nel timore della rottura dell’acquedotto, fece arrivare dei vagoni cisterna per l’approvvigionamento dell’acqua». Quindi «fece requisire la maggior quantità di legname possibile per costruire baracche» e si «impegnò per la riattivazione dell’energia elettrica». Visocchi continuò il suo sopralluogo visitando Isola Liri e vari centri della Valle di Comino. Nella cittadina fluviale, avendo constatato che gli stabilimenti industriali per la maggior parte non avevano subito danni, esortò gli operai a riprendere il lavoro, trovando concorde l’amministratore delegato delle Cartiere meridionali, Emilio De Benedetti, che, inoltre, dette disposizioni per la riparazione delle abitazioni private dei lavoratori e donò la «somma di lire 1.000 per le famiglie colpite dal disastro»25. Anche l’on. Vittorio Lollini26 spedì al prefetto di Caserta alcuni telegrammi nella notte tra il 13 e il 14 gennaio in cui, riferendo delle disastrose condizioni di Sora e degli altri Comuni del Sorano27, chiedeva interventi urgenti di soccorso per la popolazione tra cui un «certo numero di vagoni ferroviari» utili per il ricovero provvisorio dei senza tetto28.
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SOLIDARIETA’ E AIUTI UMANITARI
Quando l’Italia prese coscienza della gravità della situazione si assistette a una gara di solidarietà tra privati cittadini, enti e istituzioni a favore delle sfortunate popolazioni della Marsica e dell’alto casertano. Da Roma e Napoli furono immediatamente inviati soccorsi materiali e aiuti economici. Il Consiglio provinciale di Terra di Lavoro approvò immediatamente la messa a disposizione «a pro delle vittime del terremoto» di un «fondo di lire duecentomila»29. Nella città di Caserta si attivò il sindaco, Cappiello, che indisse una riunione nel Palazzo municipale alla quale parteciparono autorità civili e militari, «assessori e consiglieri, direttori delle banche, presidenti dei circoli e dei sodalizi e molti esponenti della classe dirigente». Nel corso della riunione si giunse alla costituzione di un «Comitato di Caserta per i soccorsi ai danneggiati del terremoto» incaricata di raccogliere fondi nella società civile. La Giunta municipale deliberò l’offerta di L. 2.000, il Circolo sociale di L. 500, la Camera di Commercio e industria donò L. 1.600 (di cui una parte riservata agli operai degli stabilimenti di Isola Liri), la succursale di Caserta del Banco di Napoli aprì un conto su cui raccogliere fondi e contribuì con una somma di L. 100.000, il provveditore agli Studi, dott. Baglio, promosse una sottoscrizione tra gli insegnanti della provincia a beneficio delle famiglie dei colleghi superstiti, e, infine, furono organizzare serate di beneficenza al Teatro Cimarosa e al Politeama Vanvitelli. Anche i vari Comuni del circondario di Gaeta, come ebbe modo di evidenziare l’on. Fulco Tosti di Valminuta, si attivarono nella raccolta fondi destinati alla costruzione di abitazioni antisismiche in cemento armato. Nella sola città di Gaeta furono raccolte 3.000 lire30.
Numerose furono anche le offerte che pervennero a Sora provenienti «da tutta Italia: da Varese, Caserta, Castrovillari, Cuneo, Gallarate, Leonforte di Catania, Piombino», dal Comitato della Valle Caudina, da Lodivecchio (Milano) ed «altri centri, grandi e piccoli. Generi alimentari, indumenti e coperte vennero spesso raccolti e distribuiti alla popolazione da squadre dei vari Comitati di soccorso sorti un po’ ovunque nel Paese. I commercianti di Benevento, ad esempio, inviarono cento coperte e la Croce d’Oro di Prato mise a disposizione delle popolazioni terremotate cinquanta pezze di stoffa che furono consegnate al Consiglio Nazionale delle Dame Italiane di Roma» affinché provvedessero a confezionare capi di vestiario per i feriti. Gran parte degli aiuti pervenuti furono affidati alla Diocesi di Sora e distribuiti dal vescovo, mons. Antonio Iannotta31. Il Comitato di Busseto, in provincia di Parma, offrì una forte somma di denaro contribuendo alla costruzione di una Scuola tecnica pareggiata istituita in sostituzione della Scuola serale di disegno per artieri diretta dal professor Giuseppe Brigatti, nella quale si erano formati molti noti artigiani sorani, che era stata chiusa a causa della distruzione dello stabile che la ospitava. Il Comitato di soccorso di Reggio Emilia raccolse fondi utilizzati per la costruzione di un asilo infantile. Il Comitato di soccorso di Livorno curò la costruzione di 25 alloggi in legno e muratura e di una ventina di baracche in legno. Tali strutture sorsero su un terreno demaniale posto all’ingresso della città, lungo la SS. 82, e fu previsto che il nuovo quartiere «fosse denominato “Livorno”». Altre baracche furono donate alla città dal Comitato Valle Caudina e dal Comune toscano di Montevarchi. Da Castrovillari giunsero otto tonnellate di legname per la costruzione di tre baracche32.
Il quotidiano «Il Giornale d’Italia» promosse una raccolta fondi a favore dei terremotati. Le sottoscrizioni dei lettori giunsero da numerosi Comuni d’Italia tra i quali: Caldarola (Macerata), Capaccio (Salerno), Castellazzara (Grosseto), Deruta (Perugia), Minturno (Caserta, oggi Latina), Vasto e Villamagna (Chieti) Pisciotta (Salerno) e dalla Cassa di risparmio di Salerno. Complessivamente fu raccolta la somma di L. 25.000 utilizzata per la ricostruzione dell’Ospedale e per la costruzione di un Asilo infantile (intitolato allo stesso quotidiano) e di alcune casette antisismiche edificate in un’area sulla sponda sinistra del Liri. Oltre a Sora anche gli altri centri limitrofi poterono beneficiare della solidarietà umana e materiale dei vari Comitati di soccorso sorti in moltissime città d’Italia come dimostra l’opera svolta da quelli di Napoli e del Piemonte per Castelliri, di La Spezia, Livorno e Napoli per Isola Liri, di Faenza, La Spezia e del Piemonte per Pescosolido33.
Significativo il sostegno offerto in termini di aiuti economici e di soccorso alle popolazioni delle aree più settentrionali del Circondario di Sora da parte della città di Torino e dal Piemonte in generale che si rilevò di particolare rilevanza come si evince dal resoconto del seguente articolo pubblicato sul periodico «Terra di Lavoro»34. Poco meno della metà della «ragguardevole» somma ricavata dalla sottoscrizione promossa dal «Comitato piemontese per soccorsi ai danneggiati del terremoto della Marsica» fu impiegata in aiuti immediati in otto Comuni (Sora, Arpino, Isola Liri, Casalvieri, Castelliri, Civitella Roveto, Pescosolido e Santopadre), mentre fu deciso di investire l’altra metà nella realizzazione di «cinque opere stabili» (un Ospedale a Sora e quattro Asili d’Infanzia ad Arpino, Isola del Liri, Casalvieri e Santopadre). Tuttavia non si poté dare avvio immediatamente ai lavori di costruzione poiché nel frattempo era scoppiata la prima guerra mondiale, per cui le opere furono realizzate e ultimate nel dopoguerra:
«Casalvieri, 14 ottobre
(R.F.) – appena conosciutasi a Torino la gravità del terremoto della Marsica, per patriottica e generosa iniziativa della Gazzetta del Popolo, subito dopo assunta dal Municipio, fu aperta una sottoscrizione per soccorrere i danneggiati e si costituì all’uopo un Comitato di tutta la Regione Subalpina, alla cui presidenza fu chiamato l’assessore delle finanze del municipio di Torino, prof. comm. Costanzo Rinaudo35.
Ed avendo il sindaco di Torino, conte Rossi, deciso di recarsi sui luoghi del disastro, il presidente del Comitato telegrafò al generale Coletti36, che sapeva trovarsi nel circondario di Sora (pure colpito dal terremoto), invitandolo ad accompagnare nella Marsica il Sindaco di Torino.
Il generale Coletti rispose che era a completa disposizione del conte Rossi, ma che, accorrendo tutti nella Marsica, pregava d’iniziare la visita da Sora e dintorni, dove non vi erano molti morti, ma quasi tutte le case erano cadute o cadenti e gli abitanti, senza ricoveri di sorta, erano esposti alle intemperie del rigido inverno.
Il sindaco di Torino perciò venne direttamente a Sora: visitò pure tutti i paesi circostanti molto danneggiati, e passando per la Marsica se ne tornò a Torino, dove espose al Comitato Centrale di Soccorso lo stato di cose da lui accertato nella sua visita: fu così, che il Comitato Piemontese stabilì di esplicare la sua opera di ausilio più specialmente nel Circondario di Sora.
In pochi mesi intanto la sottoscrizione in Piemonte, con più che ammirevole slancio, raggiunse la ragguardevole somma di lire 733.000 circa, di cui 320 mila si erogarono per immediati pronti soccorsi sui luoghi del disastro ai profughi e per la costruzione di baracche in legno, ad uso di abitazioni provvisorie, Scuole, ecc.
Le rimanenti L. 413 mila lire il Comitato, con sapiente e provvida previdenza, decise di impiegarle nella costruzione di cinque opere stabili: un Ospedale a Sora e quattro Asili d’Infanzia, ad Arpino, Isola del Liri, Casalvieri e Santopadre.
E di queste opere fece compilare subito i relativi progetti particolareggiati dall’ing. cav. Pietro Gambetta, già inviato sul posto per le costruzioni delle baracche di legno.
La grande guerra sopravvenuta impedì, però, la costruzione delle Opere, e quantunque il capitale molto sagacemente amministrato dal Comitato venisse aumentato di circa 200 mila lire, pure, aggiornati gli estimativi dei progetti ai prezzi correnti nel 1919, risultò che la spesa delle costruzioni saliva a lire 1.560.000.
Il Comitato Piemontese, giovandosi della legge sul terremoto e di quella 4 giugno 1911 sulla costruzione degli Edifici Scolastici ed Asili Infantili, escogitò un nuovo sistema, per cui, in luogo di costruttore divenendo soccorritore o garante, si riprometteva di raggiungere lo scopo prefissasi.
Tutti gli Enti interessati aderirono senz’altro al nuovo programma; ma, per un complesso di cause varie, l’effettuazione procedette molto lentamente, non ostante le replicate insistenti sollecitazioni del Comitato ed ancor più non ostante quelle continue personali del suo Presidente.
Recentemente perciò è tornato fra noi l’insigne comm. prof. Costanzo Rinaudo, per stabilire definitivamente l’inizio delle opere, cominciando da Sora.
Egli, che aveva già nelle visite precedenti conquistato generali simpatie per quel suo tatto squisito e per i suoi modi estremamente cortesi, fu ricevuto con affettuosa accoglienza nel Palazzo municipale di Sora dal Commissario Prefettizio, dal Rappresentante del Sottoprefetto, dal Presidente e dai Membri della Congrega di Carità, dai Sanitari, dagl’Insegnanti e da altri cittadini notevoli di Sora, nonché dai Rappresentanti dei Paesi ed Enti Beneficati.
Il prof. Rinaudo espose con chiara, suggestiva ed efficace parola l’azione fattiva del Comitato, innanzi riassunta, illustrando nei particolari il nuovo programma escogitato per dare incremento alle costruzioni da eseguire e concluse il suo discorso, ascoltata con la massima attenzione e coronata da unanimi applausi, compiacendosi che, ottenuta finalmente l’approvazione ed il finanziamento dell’ospedale di Sora, fosse prossima ormai la posa della prima pietra, secondo il progetto elaborato dal bravo ingegnere del comitato cav. Gambetta.
Il Commissario Prefettizio di Sora, ringraziando a nome dei convenuti il prof. Rinaudo, comunicò che, per dargli un segno tangibile della loro riconoscenza, i Comuni beneficati avevano deciso di fargli coniare la medaglia d’oro conferitagli (nominalmente) fin dal 1916 dal governo, per benemerenze nel soccorrere i danneggiati del terremoto, e che intanto, nella città da lui amministrata, gli conferiva la cittadinanza onoraria di Sora.
Il prof. Rinaudo gradì, commosso, le cordiali e cortesi dimostrazioni fattegli, ritenendole indirizzate a tutto il Comitato ed alle quattro Provincie Piemontesi, delle quali recava il caloroso fraterno saluto. L’adunanza si chiuse con l’invio di un telegramma al conte Delfino Orsi, direttore della Gazzetta del Popolo, inteso a rinnovare il senso di riconoscenza per la generosa iniziativa del 1915 e ad augurargli pronta guarigione.
Ebbe poi luogo un banchetto di onore, a cui presero parte tutte le persone che erano intervenuti al Municipio, terminato con numerosi calorosi brindisi.
Nel pomeriggio dello stesso giorno, il prof. Rinaudo, accompagnato dal generale Coletti e dal conte Alessandro Michelini, ingegnere capo del comune di Sora, continuò le conferenze sopraluogo, recandosi a Isola del Liri, dove fu confermata la determinazione di costruire l’edificio per l’Asilo Infantile.
Nel mattino del successivo, 26, nella Casa Comunale di Santopadre, furono concretate con quel Sindaco le modalità per provvedere alla sede dell’Asilo Infantile da parte del Comune e di privati cittadini, mentre il Comitato Piemontese destinerebbe le 30 mila lire per patrimonio dell’Asilo, servendo così la rendita pel suo funzionamento37.
Successivamente il mattino stesso, ritornati in Arpino, il prof. Rinaudo fu ricevuto nel Palazzo Municipale dal Sindaco, dal Presidente e dai Componenti dell’Amministrazione dell’Asilo Infantile, da quelli della Congrega di Carità e da altre notabili persone di quella colta e industre città. Riassunte ivi le vicende dell’opera del Comitato, il prof. Rinaudo, accompagnato da tutti gl’intervenuti, si recò a visitare i vecchi fabbricati di proprietà municipale, diroccati in seguito al terremoto del 1915 e destinati alla costruzione dell’edificio dell’Asilo, secondo il progetto dell’ingegner Michelini, di cui prese particolareggiata visione. Dopo di che gli fu offerto un lieto banchetto, coronato da brillanti ed affettuosi brindisi augurali, iniziati dal sindaco prof. Conte, che lesse anche la deliberazione, con la quale, rilevate le benemerenze del prof. Rinaudo verso la città ed il suo valore letterario, quel Consiglio Comunale conferiva al prof. Rinaudo stesso la cittadinanza onoraria.
Altri salutarono in lui non solo il presidente del Comitato Piemontese, ma anche l’insigne storico e l’illustre professore sopra i cui libri, quasi tutti avevano appreso la storia, coi sensi di alto sentimento nazionale, a cui sono ispirati. Il mattino del 27, infine, il prof. Rinaudo, sempre in automobile, si recò a Casalvieri, ove, appena giunto, visitò l’Asilo d’Infanzia già in funzione, e che dal suo Consiglio d’Amministrazione è stato denominato Piemonte, appunto ad eterna riconoscenza per le benemerite Provincie Piemontesi.
Esaminò poi col presidente del Consiglio stesso, generale Coletti, la situazione economica della spesa per la sede dell’Asilo e poi ricevette in una sala dell’Asilo, dove gli fu offerto un vermut d’onore, i membri del Consiglio di Amministrazione dell’Asilo, il Sindaco con la Giunta Comunale, e i Membri della Congrega di Carità e molte altre persone notevoli del Paese, accorse a tributargli plauso, omaggi e fervide espressioni di riconoscenza. Casalvieri, che è legata al prof. Rinaudo da vincoli di famiglia, si è fatto il dovere di decretargli la cittadinanza onoraria, che si nutre fiducia gli sarà tanto più gradita: ieri questo Consiglio Comunale con voto unanime approvò la deliberazione.
Terminò così la visita più che celere del prof. Rinaudo38 in questi Paesi, nei quali il Comitato Piemontese lascerà memoria imperitura della sua opera benefica.
In riguardo, poi, alla medaglia d’oro fatta coniare pel prof. Rinaudo, aggiungiamo che essa sarà accompagnata da una pergamena illustrativa dell’offerta, e che l’iniziativa di essa fu presa dal gen. Coletti».
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Negli anni del dopoguerra la ricostruzione a Sora e nel Sorano risultava ancora ampiamente disattesa e, per di più, si erano venuti a sommare anche i danni provocati da una nuova scossa di terremoto del 29 dicembre 1922. A inizio dell’anno successivo il ministero dei Lavori Pubblici erogò un contributo pari a L. 100.000 a favore del Comune di Sora per la realizzazione di opere «di somma urgenza dipendenti dal terremoto dello scorso dicembre»39. Quindi alcuni di cittadini di Sora inviarono una «supplica al Re» Vittorio Emanuele III. In essa, ricordando al sovrano di essere accorso sui luoghi del terremoto «in quelle ore funeree, ed al vedere le vittime del disastro tellurico ancora sanguinanti e la città, di cui non era rimasta che la sagoma, pianse!» e lamentando che dalla fine della guerra nessun esponente del governo aveva fatto visita alla regione sorana per constatarne lo «stato miserando» in cui versava, chiedevano fattivi interventi economico-finanziari a favore delle popolazioni locali. Poco dopo l’on. Giuseppe Buonocore presentò un’interrogazione alla Camera dei Deputati sulla «necessità di urgenti provvedimenti per la zone del Sorano» cui rispose il 18 marzo il sottosegretario alle Finanze Pietro Lissia. Dalla relazione si evince che la Cassa Depositi e prestiti aveva provveduto a erogare alla sede di Sora dell’Unione Edilizia Nazionale, con D.M. 31.12.1921 n. 27354, l’importo di L. 2.039.885,49 e, con D.M. 1.07.1922, la somma di L. 1.572.702,57 per le opere di ricostruzione nel Circondario di Sora, mentre un terzo D.M. del 31.12.1922 n. 24304 per un ulteriore finanziamento di L. 2.742.233,45 si trovava per la registrazione presso la Corte dei Conti. Con la concessione di tali importi il governo nutriva «fiducia che le legittime aspettative delle popolazioni del Sorano po[tessero] essere gradualmente appagate»40.
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1 Una importante testimonianza su quei drammatici momenti è riportata nell’inedito memoriale del passionista p. Francesco Iannucci pubblicato a cura di L. Meglio, 13 gennaio 1915. Terremoto a Sora, in «Studi Cassinati», a. XIV, n. 4, ottobre-dicembre 2014, pp. 262-266.
2 Il terremoto a Cassino fu del VII grado della scala Mercalli (E.M. Beranger, Sora 1915, la terra trema, in «Il Cronista», Associazione Antares Piedimonte S. Germano, n. 1, giugno 2005) e vi si registrarono crolli e distruzioni a causa del suo «tessuto urbano per la maggior parte di origine medievale». Gli interventi urbanistici successivi mirarono alla creazione di un «nuovo polo cittadino» nelle aree adiacenti al Comune, al Teatro Manzoni e al Liceo-ginnasio nonché «lungo gli assi di collegamento con la stazione ferroviaria» (A. Pelliccio, Edilizia residenziale pubblica del secolo scorso: case popolari del 1911 e case asismiche del 1915, in «Studi Cassinati», a. V, n. 4, ottobre-dicembre 2005, pp. 228-229). Il sisma provocò molti danni anche a Montecassino (alle volte del seminario, alle mura e al piano superiore del collegio), a Valvori, Villalatina (con alcuni morti), Belmonte Castello, Valleluce e Atina (T. Vizzaccaro, Cassino dall’Ottocento al Novecento, S.E.L. Editrice, Roma 1977, p. 323).
3 Nel capoluogo non si registrarono «vittime tra la popolazione ma i danni materiali alla popolazione, alle chiese e alle sedi degli uffici furono notevoli, così come alle vecchie abitazioni del centro urbano». La città «fu soccorsa da forze del Genio militare provenienti da Roma e dei Vigili del Fuoco di Viterbo» (M. Federico, Frosinone e i suoi pompieri, Comune di Frosinone, Frosinone 2006, pp. 67-68).
4 Il R.D. 29 aprile 1915 n. 573, che disciplinava le norme per la riparazione e la ricostruzione degli edifici pubblici nei Comuni colpiti dal terremoto, ne elenca ben 299 ubicati in otto province di cui tre in Abruzzo (Aquila, Chieti e Teramo), e una, rispettivamente, in Campania (Caserta), nel Lazio (Roma), in Molise (Campobasso), in Umbria (Perugia) e nelle Marche (Ascoli).
5 Il terremoto colpì soprattutto persone anziane, donne, bambini che a quell’ora si trovavano in casa o nelle chiese mentre gli uomini, per la maggior parte, erano già fuori a svolgere le loro attività.
6 F. Gentile, Il terremoto del 1915 nel Sorano, Tesi di Laurea del «Corso di laurea in Valorizzazione e promozione dei beni culturali nel museo e nel territorio», Sede di Frosinone, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, A.A. 2008-2009, relatore prof.ssa Silvana Casmirri.
7 Nell’edizione del pomeriggio del 13 gennaio 1915 il «Corriere della Sera» riportava: «violente scosse di terremoto nell’Italia centrale e meridionale. Morti, feriti e crolli di fabbricati».
8 Achille Visocchi (Atina 6 aprile 1863 – Napoli 8 febbraio 1945), avvocato, industriale, per sette legislature consecutive fu eletto alla Camera dei Deputati, finché nel 1929 venne nominato senatore. Fu sottosegretario ai Lavori Pubblici nei due governi Salandra (1914-1916), al Tesoro nel gabinetto Orlando (1917-1919) e ministro dell’Agricoltura nel governo Nitti, dal giugno 1919 fino alle sue dimissioni presentate nel marzo 1920.
9 «Il Giornale d’Italia» del 15 gennaio 1915 riportava che nel palazzo Bastardi si erano avute quaranta vittime mentre quattrocento erano quelle di tutta la città. Oltre ai palazzi Bastardi, Rossi, Carrara e all’ex palazzo Ducale, altri immobili privati andati distrutti o fortemente lesionati furono quelli Lauri, i due Annoni, Mobili, Lucarelli, Marsella, Perigli, Gagliardi e quello della Banca Popolare.
10 L’articolista fa riferimento al crollo del tetto dell’oratorio del monastero di Santa Chiara.
11 Fra le vittime del crollo del palazzo Rossi, ubicato in Via XX settembre, ci furono una ventina di operai di una falegnameria (O. Cicchinelli, L’anniversario del Terremoto del 13 gennaio 1915 nella Valle del Liri, in «Paese Mio», a. V, n. 1, gennaio 2013).
12 Ricopriva l’incarico di «R. Commissario Civile» di Sora e a lui il prefetto di Caserta trasmetteva le prime richieste avanzate dai sindaci del Circondario: Isola Liri chiedeva tende e 6000 razioni di pane giornaliere; Arpino tende, forno da campagna, legname per baracche, soldati per demolizioni e per servizio pubblica sicurezza; Villa Latina pane, tende e soccorsi finanziari; Atina 20 zappatori, 300 tende e 500 razioni di pane giornaliere; Fontani Liri baracche e sussidi; Arce rinforzi alla locale stazione dei Carabinieri; Vicalvi, Casalvieri e Pignataro Interamna tecnici del Genio civile (Archivio di Stato di Caserta, Gabinetto Prefettura, b. 187, f. 1789).
13 F. Ungaro, La distruzione di Sora, in «Il Secolo», sabato 16 gennaio 1915, anno L, n. 17521.
14 Verbale del 21 gennaio 1915, in Atti del Consiglio Provinciale di Terra di Lavoro per l’anno 1915, Stab. tip. Basilicata, Nola 1920.
15 «Terra di Lavoro», 14 febbraio 1915.
16 F. Gentile, Il terremoto del 1915 nel Sorano … cit.
17 Anche la città di Gaeta si attivò e offrì la disponibilità a «ospitare e sostenere un ragguardevole numero di bambini profughi delle sfortunate terre» («Terra di Lavoro», 14 febbraio 1915).
18 F. Gentile, Il terremoto del 1915 nel Sorano … cit.
19 Non mancarono polemiche sui ritardi nei soccorsi. Se per le autorità governative essi erano stati avviati tempestivamente, diversamente si espresse Erminio Sipari, deputato del collegio Pescina-Pescasseroli che in un «risoluto e critico intervento» alla Camera attaccò il presidente del Consiglio, nonché ministro degli Interni ad interim, Antonio Salandra. Le critiche del parlamentare pescasserolese nato ad Alvito misero in evidenza «che l’esecutivo senz’altro sottovalutò la portata del disastro». Sipari evidenziò che a Roma i calcoli effettuati dal direttore dell’ufficio meteorologia e geodinamica del Collegio Romano immediatamente dopo la scossa, Luigi Palazzo, secondo cui l’epicentro doveva essere ubicato a cento chilometri dalla capitale, erano stati subito comunicati al ministero dell’Interno, così come al dicastero dell’Interno era giunto, alle dieci di quel giorno, un eloquente telegramma («Molti paesi risultano distrutti. Molte vittime. Molte persone sepolte. Macerie. Interrotto ogni tipo di comunicazioni. Urgono soccorsi») inviato dal vicesindaco di Tagliacozzo uno dei pochi centri in cui il telegrafo funzionava. I ritardi con cui si giunse all’organizzazione di un piano di aiuti alle popolazioni colpite dal terremoto «fu spiegato con l’attesa da parte del governo di una conferma dell’evento sismico che sarebbe dovuto pervenire dal sottoprefetto della zona terremotata, conferma che però non era mai arrivata perché lo stesso funzionario era rimasto sepolto sotto le macerie assieme ad undici concittadini» (F. Gentile, Il terremoto del 1915 nel Sorano … cit.).
20 A causa dell’inagibilità dell’Ospedale, Sora «fu dotata di tre padiglioni “Doecker”» installati nei pressi della stazione e adibiti a infermeria e sala di maternità, «più un baraccamento per ambulatorio con alloggi per i sanitari, cui si aggiunse, in seguito, un locale per malattie infettive. Va inoltre segnalato l’importante apporto della Croce Rossa Italiana, operativa con 6 unità dal 16 gennaio, e delle compagnie di Sanità militare di Roma e Napoli che allestirono un piccolo ospedale da campo, con padiglioni di medicazione ed una sala operatoria equipaggiata secondo i migliori standard militari del tempo» (F. Gentile, Il terremoto del 1915 nel Sorano … cit.).
21 Un’altra polemica nazionale scoppiò in quei frangenti, portata avanti dal quotidiano «l’Avanti!» che il 15 gennaio scriveva: «I soldati sono stati mandati ad estrarre i cadaveri, a disseppellire i feriti invocanti soccorso, armati di tutto punto, collo zaino, col fucile, e la cartucciera, ma senza badili, senza zappe. Mancavano i soldati del genio, gli indispensabili».
22 «Terra di Lavoro», 24 gennaio 1915.
23 F. Gentile, Il terremoto del 1915 nel Sorano … cit.
24 Circa cinquanta quintali di pane al giorno furono inviati a partire dal 15 gennaio, dal Corpo d’Armata di stanza a Napoli. Quindi entrarono in funzione dei forni da campo che assicuravano alla popolazione novemila razioni di pane al giorno. La distribuzione era concentrata in tre punti della città: «Villa Boimond, Porta S. Rocco e Piazza dell’Indipendenza». L’on. Visocchi diede disposizioni per la fornitura di pane anche ad altri paesi: ad esempio 300 Kg., prodotti da un fornaio di Cassino, Pasquale Marsiglia, erano destinati a Valvori, frazione di Vallerotonda, così come chiese che da Cassino fossero spedite giornalmente 800 razioni ad Atina (Archivio di Stato di Caserta, Gabinetto Prefettura, b. 187, f. 1789). In quei frangenti ci furono aspre critiche sulla distribuzione del pane a Sora perché essa «avveniva senza nessun ordine» per cui alcuni ne prelevavano quantità esorbitanti mentre molti altri ne rimanevano privi (F. Gentile, Il terremoto del 1915 nel Sorano … cit.). Tumulti si registrarono a Isola Liri «in occasione del tentato arresto dell’avv. Bernardo Nardone che, vigorosamente, aveva sollecitato al sottoprefetto di Sora, Vallera, una più abbondante e razionale distribuzione del pane ed una più equa concessione degli aiuti umanitari amministrati essenzialmente dalla Diocesi di Sora, Aquino e Pontecorvo e da associazioni legate al mondo cattolico» (E.M. Beranger, Sora 1915 … cit.).
25 «Terra di Lavoro», 24 gennaio 1915.
26 Avvocato e politico socialista (1860-1924). Nel Psi faceva parte dell’ala riformista e nel 1924 aderì al Partito socialista unitario di Filippo Turati e Giacomo Matteotti. Fu deputato alla Camera per tre legislature (per la XXI eletto nel collegio di Gonzaga, per la XXV e la XXVI in quello di Terra di Lavoro). Per le elezioni della XXII, XXIII e XXIV legislatura tenutesi, rispettivamente, nel 1904, 1909 e 1913, si candidò nel collegio di Sora. Nell’elezione del 1904 fu escluso per soli due voti dal ballottaggio, mentre nelle altre due fu battuto da Vincenzo Simoncelli (1860-1917) avvocato e docente di Diritto civile ed ecclesiastico presso l’Università di Roma.
27 «Condizione Sora spaventevole vittime senza numero intiera città distrutta urge per Sora come per Isola Liri Castelliri ed altri paesi vicini opera efficace generosa governo essendo popolazione senza tetto senza pane senza riparo senza medicine e con pochissimi medici».
28 F. Gentile, Il terremoto del 1915 nel Sorano … cit. Nei vagoni già presenti in stazione e in altri arrivati furono ricoverati molti bambini, ragazze e donne mentre i macchinari degli uffici postali, telegrafico e telefonico furono collocati in un carro merci.
29 Verbale del 21 gennaio 1915, in Atti del Consiglio Provinciale … cit.
30 «Terra di Lavoro», 24 gennaio 1915; «Terra di Lavoro», 31 gennaio 1915; «Terra di Lavoro», 14 febbraio 1915.
31 Il vescovo Iannotta nella mattina del terremoto si trovava a Napoli e «affrontò un viaggio pieno di disagi pur di rientrare nella città e per restare vicino ai suoi diocesani».
32 F. Gentile, Il terremoto del 1915 nel Sorano … cit.
33 E.M. Beranger, Sora 1915 … cit.
34 «Terra di Lavoro», a. XXVIII, n. 43, 18 ottobre 1924.
35 «Nato a Busca (Cuneo) nel 1847 morì a Torino nel 1937. Storico, nel 1884, fondò la Rivista Storica Italiana di cui restò direttore fino al 1922. È autore di Cronologia della storia d’Italia dal 476 al 1870, Firenze 1886 e del Corso di storia generale per i Ginnasi, Licei e altri Istituti d’istruzione secondaria civili e militari, I-V, Firenze 1915» (F. Cappello, L’opera del Comitato Centrale Piemontese e l’istituzione di un asilo a Santopadre, in «Paese Mio», a. V, n. 1, gennaio 2013).
36 Domenico Coletti di Casalvieri, direttore del Genio Militare a Napoli, è stato «uno dei più colti e valorosi ufficiali superiori dell’esercito italiano». Maturò anche esperienze politico-amministrative in quanto fu eletto nel mandamento di Arpino al Consiglio provinciale di Terra di Lavoro «quando il terremoto calabro-siculo travolse in Messina l’illustre prof. Antonio Zincone». Nell’organo provinciale «Domenico Coletti seppe conquistarsi la stima e l’affetto dei suoi colleghi, per quella squisita cortesia di modi, che accompagnava[va] le sue parole, i suoi atti e per la sua solerzia costante e fattiva» (A. Lauri, Dizionario dei cittadini notevoli di Terra di Lavoro antichi e moderni, Ed. Vincenzo D’Amico, Sora 1915, p. 49).
37 Lunga e complicata la vicenda che portò all’installazione dell’Asilo d’infanzia a Santopadre, inaugurato solo l’8 novembre 1928 e intitolato al «Generale Domenico Coletti», dopo che la somma stanziata dal Comitato piemontese nel 1915, pari a L. 23.000, non risultò sufficiente a coprire le spese effettive di costruzione nel dopoguerra. Alla fine, dopo numerosi solleciti, il Comune, che rischiò di perdere anche l’importo di 30.000 lire messo a disposizione dal Comitato piemontese nel frattempo scioltosi, giunse al riattamento di due casette asismiche contigue da adibire ad asilo (F. Cappello, L’opera del Comitato Centrale Piemontese … cit.).
38 In merito all’attività svolta dal Comitato il prof. Rinaudo pubblicò una Relazione del Comitato piemontese sul suo operato a favore dei danneggiati dal terremoto della Marsica del 13 gennaio 1915, Tip. Palatina, Torino 1915.
39 «Terra di Lavoro», a. XXVII, n. 4, 20 gennaio 1923.
40 «Terra di Lavoro», a. XXVII, n. 15, 6 aprile 1923.
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