D. Gaetano De Paola, i sacerdoti e la guerra.

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«Studi Cassinati», anno 2019, n. 2
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15_MArtini3Il volume Il mite arciprete don Gaetano De Paola e la liberazione dei polacchi, fresco di stampa, contiene in sé il nobile proposito di d. Antonio “Tonino” Martini teso alla rievocazione, nel 75° anniversario dal passaggio della guerra nel Lazio meridionale, dell’opera svolta dal clero (vescovi parroci, monaci, religiosi, religiose), in modo che ne rimanga testimonianza (un «libro “è per sempre”» scrive d. Tonino, scripta manent dicevano gli antichi latini), in modo che non vada disperso il ricordo dei sacerdoti e di quanto fecero a tutela, salvaguardia e difesa delle popolazioni nel corso di nove lunghi mesi. Furono sacerdoti fucilati, sputacchiati, schiaffeggiati, uccisi, persino violentati, nei dolorosi e tristi anni di guerra ma anche dopo la fine degli eventi bellici, basti pensare al cosiddetto triangolo della morte in Emilia Romagna nel 1946-1947 con l’uccisione di un centinaio di uomini della Chiesa (fra essi Rolando Rivi un seminarista quattordicenne ucciso nel 1945 che nel 2013 è stato proclamato beato). Ecco dunque gli intenti che si ritrovano nel III, IV, V e VI capitolo della quarta parte del volume dedicati ai Sacerdoti dediti alle opere di misericordia, ai Sacerdoti guidati dalla Parola di Dio e non da strategie diplomatiche, ai Sacerdoti perseguitati nel 1944 e alle loro opere svolte Nella difficile situazione nei bombardamenti, e, infine, nel III capitolo della quinta parte intitolato i Sacerdoti morti nella II guerra mondiale.

Gli eroi sono quelli riconosciuti e onorati dalle Nazioni, ma, come scrive opportunamente d. Tonino, a fianco a essi ce ne sono tantissimi altri, «silenziosi, nascosti» che sono stati trascurati dalla storiografia ufficiale, ma risultano perfino dimenticati nelle comunità locali dove hanno operato. Si tratta di «eroi del quotidiano» se possono essere definiti in tal modo, che si sono sacrificati offrendo la loro vita o ponendosi come baluardi alla barbarie della guerra, alla prepotenza, alla arroganza di chi impugnava le armi.

Ottima e lodevole l’iniziativa editoriale di d. Tonino perché proprio il territorio della provincia di Frosinone, e nella fattispecie della sua parte più meridionale, che ha conosciuto un lungo, drammatico, tragico, luttuoso, doloroso periodo durato quasi nove mesi, offre numerosi esempi di «eroi del quotidiano». D. Tonino propone un primo elenco di sacerdoti, anzi ne sollecita la compilazione di uno completo, e allora si può ben apprezzare il tentativo di giungere a predisporre una sorta di schedatura di questi «eroi del quotidiano», trascrivendone circostanze ed eventi affinché il loro esempio non venga dimenticato e la loro opera non cada nell’oblio.Tonino ricorda così alcuni martiri del Lazio meridionale come d. Giuseppe Morosini di Ferentino, fucilato nel gennaio 1944 per la sua attività resistenziale; come d. Aristide Masia di San Pietro Infine che fu ucciso dai tedeschi nel corso delle concitate fasi di sfollamento del paese nel novembre 1943; come d. Alberto Terilli di Esperia che subì le violenze delle truppe coloniali nordafricane e morì nel 1945 portando nella sua tomba il suo terribile segreto; come d. Antonio Favocci e d. Ascenzo De Rosa due cappellani uccisi o morti a fine 1942 nel corso della Campagna di Russia mentre assistevano o cercavano di proteggere i soldati italiani fatti prigionieri.

Invece tra quei prelati sopravvissuti alla guerra e che nella temperie del conflitto bellico si adoperarono per salvaguardare le popolazioni locali, mettendo in pericolo anche la loro stessa vita, vanno ricordati sia i vari vescovi delle diocesi del Lazio meridionale che i molti parroci e religiosi in genere dei paesi. Come non menzionare i sacrifici, gli atti di aiuto, i gesti di soccorso, i tentativi di tutela svolti da mons. Gregorio Diamare abate del monastero di Montecassino distrutto per la quarta volta nella sua più che millenaria storia, da mons. Michele Facchini», «defensor civitatis» nato a Carnello di cui fu anche parroco e divenuto vescovo della diocesi di Alatri, da mons. Michele Fontevecchia vescovo della Diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo. Inoltre ci sono i tanti parroci rimasti in paese, volontariamente o perché obbligati, oppure costretti a sfollare anch’essi, che si dedicarono in tempo di guerra al loro gregge, che non chiesero protezioni, che non fuggirono ma rimasero accanto ai loro fedeli non solo vivendo le stesse difficoltà, gli stessi stenti, gli stessi problemi ma anche ponendosi come protettori, come baluardi di una derelitta popolazione in balia degli eventi, come mediatori e intercessori nei confronti di militari sempre più incattiviti dalle vicende di guerra in un momento in cui le istituzioni italiane o si erano sciolte, dileguate, oppure agivano allo stesso modo degli efferati tedeschi.

Uno di essi fu d. Gaetano De Paola arciprete di Piedimonte S. Germano. Anche lui subì le angherie, le prepotenze dei soldati tedeschi. Anche lui uscì profondamente segnato e provato dall’esperienza di guerra negli affetti familiari, nel fisico, nel morale. Così d. Tonino Martini ha provveduto a ricostruire le tristi vicende capitate a d. Gaetano, soprattutto quelle dei momenti più difficili e bui non solo per sé e per la sua famiglia ma per tutti i sui parrocchiani, affinché il ricordo di quel parroco di paese possa continuare a vivere, affinché il suo esempio possa essere tramandato di generazione in generazione.

Al tempo stesso d. Tonino tratteggia la figura di d. Gaetano sulla base della bibliografia edita, sulla base della documentazione ufficiale depositata presso l’Archivio diocesano di Sora e sulla base di cinque testimonianze offerte da chi ha vissuto quei tempi. Allo stesso tempo è opportunamente ricostruito il contesto sociale, familiare, religioso e storico in cui si formò e visse d. Gaetano.

Nato ad Alvito il 25 febbraio 1904, primogenito di tre figli, Gaetano De Paola iniziò il suo percorso religioso nel 1926 (suddiaconato, diaconato) fino all’ordinazione sacerdotale nel 1928. Il primo aprile 1930 prese possesso della parrocchia Santa Maria Maggiore di Piedimonte. Per tredici anni svolse le ‘normali’ funzioni di arciprete a Piedimonte dedito alla preghiera e a suoi parrocchiani finché arrivò la guerra, quando la popolazione locale, come quella di tutto il Cassinate, si trovò stretta in una morsa micidiale: da un lato prepotenza e prevaricazione dell’occupante tedesco, dall’altro il pericolo di morte quotidiano per i bombardamenti aerei e per i cannoneggiamenti degli alleati. Proprio Piedimonte fu, con Aquino, tra i primi paesi del Cassinate a conoscere gli effetti negativi del conflitto quando la guerra con il suo carico di morte e distruzione fece la sua apparizione su questo territorio con il bombardamento dell’aeroporto del 19 luglio 1943. Così Piedimonte San Germano, come tutti i paesi circostanti, si trasformò «“da ridente cittadina” a “teatro di operazioni” belliche di grande portata per lunghi dolorosi otto mesi».Gaetano non subì lo sfollamento coatto dei tedeschi del 27 novembre 1943. Rimase vicino ad accudire spiritualmente il suo popolo di fedeli. Il 25 dicembre celebrò la funzione religiosa del Natale nella chiesa di S. Maria Assunta, gremita di militari tedeschi, in quella chiesa collegiata in stile barocco dalla bella facciata, dalle tre navate e imponenti volte e sette altari, che era stata fatta ristrutturare nel 1941 proprio da d. Gaetano, ulteriore esempio del patrimonio di arte andato totalmente perso con la sua distruzione (si salvarono, anche se deturpate, solo alcune statue). Dal febbraio 1944, quando si intensificarono notevolmente i bombardamenti sul paese, parte della popolazione pedemontana corse a nascondersi nelle montagne circostanti. Anche d. Gaetano, con gli anziani genitori e le due sorelle, si riparò nelle grotte Ciarite lungo il fossato di S. Amasio evitando anche il secondo sfollamento coatto, quello del marzo 1944. In quei difficili frangenti visse «nelle angustie e tra i pericoli» e in quelle condizioni fatte di privazioni e dolori persero la vita sia il padre che la madre. Ogni giorno si portava nella chiesetta di S. Amasio per celebrare la messa con grave pericolo per la sua vita. Tentò di proteggere il suo popolo di fedeli cercando di placare la furia dei tedeschi, di rabbonirli, ma pagò dolorosamente questi tentativi. Subì oltraggi personali, fu beffeggiato, umiliato, schernito, minacciato di morte, fotografato «nelle pose più strambe». Una volta fu allontanato dai suoi parrocchiani e venne costretto a raccogliere un tronco di olivo, a caricarselo sulle spalle e a salire «su per un sentiero, come Gesù sotto la croce», sulla collina di S. Amasio, e poi a farlo a pezzi con un’ascia. Un breve bombardamento mise in fuga i soldati tedeschi e l’arciprete fu salvo e poté tornare tra la sua gente.

A liberazione avvenuta, dopo tanto patire, dopo la perdita dei familiari, provato nel fisico e nello spirito fece ritorno, assieme alla sorella superstite, nel suo paese d’origine, Alvito, dove l’11 giugno 1946 fu tra i testimoni della traslazione delle sacre spoglie di S. Valerio martire, patrono della città, in un’urna temporanea. Morì ad Alvito il 7 marzo 1992.

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