Studi Cassinati, anno 2014, n. 4
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di Fernando Riccardi
Fino al 1870 il corso del fiume Liri ha separato in maniera indelebile due Stati: a sud vi era il Regno delle Due Sicilie e poi, dopo il 1860 e l’avvento dei piemontesi nel meridione, il Regno d’Italia. A nord, invece, si estendeva lo Stato Pontificio ossia il territorio che apparteneva da secoli al romano pontefice.
Quella linea di confine millenaria, che la storica inglese Giorgina Masson ha definito la più longeva dell’intero continente europeo, essendo rimasta in vita dal 702 d. C. fino al 1870, separava la parte settentrionale della provincia borbonica (e poi italiana) di Terra di Lavoro dalla circoscrizione pontificia di Campagna.
E così mentre Arce era «regnicola», Ceprano e Falvaterra, poste sull’altro versante del fiume, erano «papaline». E per passare da un paese all’altro si doveva per forza di cose oltrepassare una frontiera e, inevitabilmente, sottoporsi ai controlli doganali di rito.
Nella seconda metà del 1860, dopo gli sconvolgimenti epocali che in rapida successione si verificarono nella parte meridionale della penisola (la spedizione dei Mille con Garibaldi in marcia trionfale fino a Napoli, la fuga dei sovrani borbonici nella fortezza di Gaeta e, infine, l’arrivo di sua maestà Vittorio Emanuele II di Savoia che si impossessa, quasi senza colpo ferire, di un Regno ben più vasto e più prospero del suo piccolo Piemonte), anche nella zona di frontiera dove il Liri faceva da spartiacque l’atmosfera diventò frizzante.
Le sommosse contadine, che ben presto sfociarono nel brigantaggio vero e proprio, iniziarono a manifestarsi con particolare virulenza, fino a trasformarsi in una vera e propria sollevazione di massa che mise a dura prova, per dieci lunghi anni e anche di più, la malferma organizzazione statale sabauda che non si aspettava una reazione così feroce e generalizzata.
D’altro canto quella sorta di terra di nessuno, di zona franca posta a cavallo della frontiera tra i due stati, era sempre stata, anche in passato, un territorio particolarmente «caldo», anche per una intensa attività di contrabbando di merci quasi fisiologica in quel particolare contesto.
Lo scoppio del brigantaggio subito dopo l’Unità, però, fece sì che la situazione in quella zona da calda si trasformasse in rovente. Non a caso l’alta Terra di Lavoro è considerata una delle zone dove quel particolare fenomeno assunse proporzioni eclatanti e durature. E i motivi sono facilmente intuibili.
Innanzitutto la presenza di quella linea di confine che divideva i due Stati.
Per tanto tempo i briganti poterono compiere agevolmente il “salto della quaglia”, passando da una parte all’altra, sfuggendo così agli inseguimenti e all’attività di repressione, specialmente nei primi anni del decennio postunitario quando le autorità pontificie guardavano di buon occhio la sollevazione antipiemontese che infiammava l’ex Regno borbonico. È rimasta celebre la frase attribuita ai gendarmi papalini di stanza alla frontiera di fronte al dilagante fenomeno dei briganti che entravano senza alcuna difficoltà nello Stato della Chiesa: « È roba di Chiavone, vanno ad aiutare Franceschiello»1.
E poi c’era la particolare conformazione fisica del territorio, un susseguirsi pressoché ininterrotto di fitti boschi, dirupi scoscesi, profonde caverne, imponenti rocce, insomma l’habitat ideale per le bande brigantesche.
Fu soprattutto nel biennio 1861-1862 che il brigantaggio di frontiera prosperò e rimase in vita. E quello fu il momento in cui la lotta assunse una connotazione più propriamente politica.
Si sperava, infatti, sia a Roma che nel meridione, che la sollevazione popolare riuscisse a disarcionare il traballante governo italiano che stentava maledettamente ad imporre la sua linea di azione e di condotta.
In questo lasso di tempo tantissimi furono gli episodi bellici che si verificarono nei pressi della linea di confine.
Il più importante si ebbe l’11 novembre del 1861 quando i briganti di Luigi Alonzi di Sora, alias Chiavone, si impadronirono del castello di Isoletta (nella zuffa morirono otto soldati italiani e a Isoletta c’è una stele funeraria in pietra che ricorda tale episodio)2 e poi occuparono San Giovanni Incarico. In seguito le truppe sabaude tornarono in forze e liberarono il paese, uccidendo e catturando parecchi chiavonisti.
Fu proprio in questa occasione che nella piazza principale di San Giovanni Incarico venne messo a morte in maniera sommaria e brutale il nobile marchese belga Alfred De Trazegnies3, uno dei tanti legittimisti venuti da tutta l’Europa cattolica per sostenere la disperata lotta dei briganti contro i piemontesi.
Nei paesi di frontiera, comunque, l’aria si mantenne vivace almeno fino all’estate del 1862 quando si consumò un evento imprevisto che modificò radicalmente la situazione.
Alla fine del mese di giugno un improvvisato tribunale legittimista condannò a morte Chiavone che venne giustiziato nella valle dell’Inferno, nei pressi della certosa di Trisulti4. La scomparsa del brigante sorano determinò un assopimento della guerriglia antipiemontese nella zona di confine. I comandanti stranieri inviati dalla centrale legittimista capitolina (i vari Tristany, Zimmermann, De Riviere) non furono più in grado di creare grossi problemi alle truppe sabaude che ormai erano affluite in numero rilevante, a differenza di ciò che accadeva qualche mese prima.
Da quel momento anche nella zona di frontiera la situazione andò gradualmente normalizzandosi anche se di tanto in tanto si registrò qualche forte ma sporadica recrudescenza. La lotta politica, però, aveva ormai ceduto il posto ad altre motivazioni nelle quali spicca soprattutto quella di natura sociale.
Due, comunque, furono le pietre miliari che segnarono la seconda parte di quel travagliato decennio postunitario. La prima è rappresentata dal cosiddetto «editto Pericoli», anzi dagli «editti Pericoli», varati in rapida successione il primo il 17 dicembre 1865, il secondo l’11 luglio 1866 e il terzo il 18 marzo 1867 da mons. Luigi Pericoli, delegato apostolico della città e provincia di Frosinone, contenenti una serie di norme dirette, come si legge testualmente, «alla più efficace e pronta repressione del flagello brigantaggio che infesta le province di Velletri e Frosinone5.
Un cambiamento di rotta radicale quello operato dalla Stato Pontificio: ormai il favore e la connivenza dei primi anni aveva ceduto definitivamente il passo alla repressione. E ciò almeno per due ordini di motivi: il primo è che anche a Roma si erano avveduti che la rivolta brigantesca era ormai sul punto di spegnersi senza riuscire a reinsediare Francesco II di Borbone sul trono di Napoli. E poi non bisogna dimenticare che il 15 settembre del 1864 tra il governo italiano e Napoleone III era stata stipulata la «Convenzione di Settembre»6 in virtù della quale la Francia si impegnava a ritirare le sue truppe da Roma e dallo Stato Pontificio mentre l’Italia assumeva l’impegno di rispettare l’integrità territoriale dello Stato della Chiesa e di provvedere a spostare la capitale, entro sei mesi, da Torino a Firenze. Nella convenzione venne inserita una clausola molto importante: le autorità papaline avevano l’obbligo di «tenere tranquilla la frontiera» evitando di concedere rifugio ed ausilio alle bande brigantesche. Venendo meno tale requisito lo Stato italiano era autorizzato a compiere un’azione di forza e, quindi, a invadere con il suo esercito il territorio papalino.
Ecco spiegato, dunque, in estrema sintesi, le motivazioni che indussero lo Stato Pontificio a rivedere completamente la linea di condotta in materia di brigantaggio.
E poi, e qui veniamo al secondo di quei motivi, accanto ai provvedimenti di mons. Pericoli, è doveroso ricordare la «Convenzione di Cassino» del 24 febbraio 1867, il primo accordo in tema di repressione del brigantaggio tra il governo italiano e lo Stato papalino7.
La convenzione si componeva di soli 6 articoli e sanciva, in parole povere, una più stretta collaborazione tra i due Stati nella lotta ai briganti.
In particolar modo era previsto che le truppe impegnate nella attività di repressione non avevano più l’obbligo di arrestarsi alla frontiera ma potevano continuare l’inseguimento anche nell’altrui territorio. Siamo di fronte, come si può chiaramente comprendere, ad una radicale inversione di tendenza rispetto a quanto accadeva in precedenza.
La Chiesa con la stipula della «Convenzione di Cassino» tentava di salvare il salvabile e, soprattutto, di preservare la sua integrità territoriale limitata alla sola regione laziale.
Ma anche ciò servì a poco.
La storia ormai marciava velocemente in tutt’altra direzione.
Di lì a qualche mese i bersaglieri italo-sabaudi facevano irruzione a Roma mettendo fine, e per sempre, al potere temporale della Chiesa.
A Pio IX, l’ultimo papa-re, rimaneva soltanto l’esiguo francobollo della città del Vaticano.
Era l’anno del Signore 1870, il 20 di settembre.oletta e San Giovanni Incarico, in «Studi Cassinati», anno X, n. 4, ottobre-dicembre 2010, pp. 246-248.storia tutta da scrivere, Arte Stampa Editore, Roccasecca 2011, pp. 63-66.ione del brigantaggio nella provincia di Campagna, in «Quaderni Coldragonesi», 2, a cura del comune di Colfelice, Tipografia Casa Editrice Arte Stampa, Roccasecca 2011, pp. 87-102.
1 C. Cesari, Il brigantaggio e l’opera dell’esercito italiano dal 1860 al 1870, Ausonia, Roma 1920, ristampa anastatica a cura di Arnaldo Forni Editore, Sala Bolognese 2007, p. 53.
2 F. Riccardi, 1861: Briganti all’assalto di Isoletta e San Giovanni Incarico, in «Studi Cassinati», anno X, n. 4, ottobre-dicembre 2010, pp. 246-248.
3 F. Riccardi, Brigantaggio postunitario. Una storia tutta da scrivere, Arte Stampa Editore, Roccasecca 2011, pp. 63-66.
4 Sulla misteriosa fine di Luigi Alonzi cfr. Michele Ferri – Domenico Celestino, Il brigante Chiavone. Storia della guerriglia filoborbonica alla frontiera pontificia (1860-1862), Edizione Centro Studi Cominium, Tipografia Editrice Pasquarelli, Sora 1984, pp. 337-349.
5 F. Riccardi, L’estirpazione del brigantaggio nella provincia di Campagna, in «Quaderni Coldragonesi», 2, a cura del comune di Colfelice, Tipografia Casa Editrice Arte Stampa, Roccasecca 2011, pp. 87-102.
6 F. Riccardi, L’estirpazione del brigantaggio … cit, pp. 91-92.
7 Ivi, pp. 97-98.
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