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«Studi Cassinati», anno 2019, n. 4
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di Silvano Tanzilli
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In una giornata qualunque del 1924, il postino esce dal suo ufficio di Gallinaro, che all’epoca si affacciava su piazza Santa Maria, si dirige verso via del Girone il cui imbocco dista solo un centinaio di metri e si reca in piazza Umberto I, al centro del paese (1700 anime circa all’epoca), presso l’abitazione della famiglia Casale. La revisione toponomastica aveva purtroppo modificato quasi tutti i nomi delle strade del centro storico perché ritenuti obsoleti, ma che avevano invece il fascino semantico della parola scelta secoli prima: la nostra ad esempio si chiamava «via Paracelletti». Proprio in via del Girone (ex Paracelletti) abitava la mia bisnonna materna Lucia Casale, vedova di Salvatore Apruzzese – erede della dinastia «Pietr’la Pica» – destinataria, ma solo per la lettura, della lettera proveniente da Parigi e spedita dal fratello Gerardo Casale alla moglie Chiaruccia, che appunto in quanto analfabeta gliel’aveva consegnata, come faceva d’abitudine ogni volta che riceveva la posta in P.zza Umberto I. Nella lettera di Gerardo alla moglie vi era, tra le altre raccomandazioni, esattamente anche questa: «Vestiti male, siamo diventati ricchi, sono l’erede dei beni di Giovanna Romani». Le qualità di amministratore di Gerardo Casale, che nel dopoguerra lo sarà per i beni dell’illustre famiglia Visocchi di Atina e anche per le rimesse di mio nonno Michele Apruzzese (emigrato negli USA e morto a Filadelfia nel 1954) è risaputa e la mia bisnonna Lucia, vedova con 6 figli dal 1904, nel leggere la lettera non poté celare il disappunto e la delusione per la mancata inclusione nel testamento stilato dalla famosa cugina Juana Romani. La tradizione orale farà il resto, e di generazione in generazione il racconto è arrivato a chi scrive queste brevi note.
Ma per comprendere appieno la vicenda descritta e legarla al doloroso epilogo della morte di Juana Romani bisogna ritornare indietro di molti anni. Era precisamente il 1866, durante la fase post-unitaria che ha visto il nostro territorio, in particolare la Valle di Comino, subire la prima grande emigrazione economica dovuta alle politiche Sabaude che avevano distrutto il nostro forte tessuto produttivo causando disoccupazione e indigenza diffusa, quando le sorelle Manuela e Loreta, con i loro genitori Marcantonio Schiavi e Angela Pignatelli, lasciarono Gallinaro per raggiungere Velletri, nella campagna romana, meta preferita al pari di Parigi di tantissimi nostri concittadini.
Dal matrimonio di Manuela Schiavi con Giacinto Carlesimo di Casalvieri, celebrato nello stesso anno, il 14 aprile 1867 nacque «Juana Romani», all’anagrafe Giovanna Carolina Carlesimo. Nello stesso periodo Loreta Schiavi sposò Pasquale Casale e da questa unione nacque Lucia, la mia bisnonna, di cui abbiamo parlato all’inizio del racconto. Il censimento del 1871 vede la due famiglie dimorare in un comune caseggiato della campagna di Velletri, in una condizione che farebbe immaginare per loro una tranquilla e decorosa vita lavorativa.
Le vicende, purtroppo o per fortuna, procedettero diversamente: Giacinto entrò a far parte del brigantaggio politico prima e criminoso poi, che lo portò ad allontanarsi ripetutamente dalla propria famiglia e dalla moglie Manuela che, in quegli anni e a seguito di tali avvenimenti, era entrata in servizio – da domestica – presso la ricca e borghese famiglia Romani. Gli eventi precipitarono, Manuela diventò ben presto l’amante di Temistocle, uno dei rampolli della famiglia Romani che, come ovvio per l’epoca, non poteva accettare l’unione di una povera sarta, peraltro moglie di un brigante, con un discendente della famiglia stessa. La divisione dei beni dei Romani del 1873 e la morte misteriosa di Giacinto Carlesimo all’inizio del 1876, determinarono la disgregazione della famiglia: Loreta Schiavi e Pasquale Casale con la mia bisnonna Lucia, di pochi anni, rientrarono a Gallinaro con i loro genitori, mentre Manuela e Temistocle con la piccola Carolina emigrarono a Parigi.
Nonostante si fossero appena affievoliti i bagliori dell’assedio di Parigi, terminato alcuni anni prima (1871) con la grave disfatta dei Francesi a favore del nascente Reich Tedesco – che tanti lutti e distruzioni porterà nel ‘900 in tutto il mondo -, la città che essi trovarono nel 1877 era un focolaio di nuove idee. Le trasformazioni urbanistiche del Barone Haussmann, come si sa, in un ventennio avevano sconvolto la Parigi dei minuscoli vicoli medievali e avevano consegnato al mondo una Ville Lumiere che, con teatri, caffè, boulevards, nuovi mezzi di trasporto, la tour Eiffel, ecc., diventerà, fino allo scoppio della prima guerra mondiale, il punto di riferimento della letteratura e dell’arte, in quella che sarà poi definita la Belle Époque.
Fu proprio la comunità gallinarese che in quegli anni si era consolidata e radicata nelle misere abitazioni del quartiere di Montparnasse, povero ma con prezzi abbordabili, ad accogliere la nuova famiglia Romani che entrò da subito in contatto con i parenti di Manuela, la cui professione era quella di modelli e modelle: Cesidio Pignatelli per Rodin, Carmela Bevilacqua per Falguiere, Anna e Adele Apruzzese sempre per Rodin, ecc. La vita che svolgevano i modelli è risaputa, i loro luoghi di ritrovo erano soprattutto l’incrocio Vavin, Place Pigalle o rue de la Gaité, dove sostavano circa 50-100 connazionali (la maggior parte provenienti dalla Valle di Comino e l’80% da Gallinaro) con le loro facce scure, gli occhi e i capelli neri, con i loro atteggiamenti sempre malinconici, mal vestiti, ma con andatura fiera e altezzosa, sempre in attesa di un ingaggio spesso di sopravvivenza.
La sorte di Juana fu più benevola, l’eredità dei Romani favorì una decorosa esistenza alla famiglia, ma solo per alcuni anni, tanto che già nel 1881 Temistocle, buon musicista, inizia ad esibirsi nei Caffè, Manuela riprende il mestiere di sarta e Juana inizia a posare come modella. Saranno le accademie private dei nostri connazionali di maggior successo come «L’Académie Vitti» delle sorelle Maria, Anna e Giacinta Caira di Gallinaro e, in particolare, quella di Filippo Colarossi, proveniente da Picinisco, ad accogliere Juana nella sede della sua scuola in rue de la grand Chaumière a Montparnasse, frequentata da maestri del calibro di Modigliani, Falguière, un giovane Matisse, C. Claudel ecc. Sarà sempre Filippo Colarossi, scultore affermato (espose al Salon del 1889), a porre Juana sotto la sua ala protettrice, ad indirizzarla presso gli atelier dei più grandi accademici e a favorirla – insieme ad altri – nell’ascesa nel mondo dell’arte.
La Diane Chasseresse di Alexandre Falguière del 1882 rappresenta l’esordio della sua carriera da modella e ad ingaggiarla saranno esclusivamente i più grandi artisti di Parigi. L’incontro con il pittore Carolus Duran sarà fulminante, o ancora quello con Victor Prouvé, che la immortala nel suo Sardanapale (1885) e in numerosi studi. Posa dal 1886 per Raphael Collin (suo probabile amante), raffinatissimo pittore di origine americana dalle forti influenze orientali, che la ritrae in Intimité, oggi esposta al «Musée Rodin» di Parigi. Dal 1884 inizia il sodalizio artistico con Jean-Jacques Henner, il «pittore delle ninfe», grande ritrattista, che la dipinge in numerosi studi idealizzati: Solitude (1886), Liseuse (1887), Hérodiade (1887). La Romani, dal 1884, diventerà modella e musa di Ferdinand Roybet: grazie ai due artisti (di Roybert, 44 anni già sposato con una figlia, diviene compagna di vita dal 1892), la giovane raggiungerà una piena maturità, che le permetterà di esporre agli annuali Salons parigini. L’esperienza come modella, fondamentale per la sua carriera artistica, offre da subito l’opportunità a Juana di prendere consapevolezza del proprio talento e di acquisire molte tecniche solo osservando i pittori che la ritraevano. Verso Juana tutti si mostrano estremamente cortesi: dal direttore stesso dell’Accademia Filippo Colarossi (dall’età di 12 anni la modella passava i pomeriggi raccogliendo pezzi di carboncino per completare schizzi abbandonati dai grandi artisti) che la incoraggia a coltivare la pratica del disegno, a Victor Prouvé che lascia Juana scarabocchiare i suoi studi preparatori.
Finalmente il 14 aprile 1888, a ventuno anni, favorita dalla presenza in giuria di Carolus Duran, raccomandata personalmente da Henner che – al pari di Roybet – lei frequenta spesso nell’atelier di Place Pigalle, la Romani partecipa al suo primo Salon con Gitane, mostrando da subito una innata capacità di rappresentazione della figura, anche se tutto appare ancora ispirato dai suoi maestri, come subito riscontrato dalla critica più feroce.
Le partecipazioni ai Salons si susseguono, 1889 Femme surprise, 1890 Erodiade e Jeunesse, 1891 Judith, fino ad arrivare, attraverso passaggi stilistici progressivi – Rosina 1892, Bella donna 1892, Bohemienne 1892 – al Salon del 1893 con la Figlia di Teodora, in cui è visibile il primo tentativo di studio del suo stile personale: sfondo neutro su cui risalta il busto di donna vestita di ricchi tessuti damascati. La modella, come appare da una dedica posta su una cartolina con la riproduzione del quadro che rappresenta la figlia dell’imperatrice bizantina Teodora vissuta nel VI sec., è Anna Caira di Gallinaro, amica strettissima e più volte impiegata per dare le sembianze alle sue eroine. La critica ufficiale (P. Matz, A. Wolff) riconosce il talento di Juana e l’accosta alla tradizione italiana e veneta in particolare. Il quadro di recente è stato battuto da Christie’s a New York per un valore di circa € 18.000.
La svolta nella sua produzione artistica è certamente databile intorno al 1893, anno in cui si reca a Madrid in visita al Museo del Prado insieme a Ferdinand Roybet. Nel Museo Juana studia accuratamente i dipinti di Velázquez, le pose, gli incarnati, i ricchi tessuti damascati delle vesti che lei personalizza in alcuni suoi lavori, pensiamo a Portrait de jeune file (1893), opera simbolo dello stile che la renderà identificabile al grande pubblico. Prima di proseguire nell’elenco della produzione artistica, occorre descrivere il personaggio che Juana si è costruito e l’immagine della donna che appare agli occhi della complessa società parigina, fissandolo proprio nell’istante che precede la folgorante ascesa della sua popolarità e della sua ricchezza.
A partire dalla sua prima posa da modella a 14 anni, e negli anni successivi di durissimo lavoro (ore ed ore svestita al freddo e in ambienti insalubri a contato con maestri e allievi), Juana aveva intuito che per un vero artista la formazione dell’immagine è altrettanto importante quanto la capacità di produrre arte. Pertanto, parallelamente all’acquisizione di tale capacità che abbiamo già affrontato nei paragrafi precedenti, la Romani nel lavoro di metamorfosi della propria immagine concepì scelte profondamente radicali per lei e per la sua storia, ma abbastanza comuni nel mondo bohémienne della Parigi Fin de Siècle: allontanamento dall’abitazione della madre Manuela e del patrigno Temistocle a Montparnasse e trasferimento in rue de la Tour nel quartiere di Passy, apertura con Roybet di un centralissimo atelier in rue du Mont Thabor (una piccola via parallela agli Champs-Élysées), piena acquisizione di un suo personalissimo stile francese che si evidenzia nell’abbigliamento, nel cambio del nome da Giovanna a Juana, nel portamento, nella totale libertà di costumi, ecc. Contestualmente iniziarono frequentazioni e rapporti di forte amicizia con personaggi illustri e affermati, scrittori e poeti come A. Silvestre, critici d’arte e giornalisti come J. Caponi – fondatore del giornale «Fanfulla» –, imprenditori come Angelo Mariani produttore del vino alla coca del Perù̀, Antoine Lumière padre dei fratelli inventori del cinema, aristocratici come Consuelo Fould sua migliore amica, artisti italiani affermati a Parigi, in particolare il grande Giovanni Boldini, ecc.
Negli anni che vanno dal 1893 all’Exposition Universelle del 1900 e oltre, sarà quindi una donna completamente nuova e perfettamente integrata nella Parigi mondana – in coppia con Roybet saranno quella più à la page per un decennio – ad accompagnare l’uscita delle sue opere che saranno sempre più richieste dagli esponenti dell’alta borghesia e della nobiltà, francese ed internazionale: Infanta nel 1894 di chiara ispirazione spagnola, Primavera nel 1895 un’opera che lei stessa definisce botticelliana per la forza espressiva e uno dei critici, Trogan, addirittura Fauves per le campiture dei colori, Fior d’Alpe nel 1896 la giovane fanciulla montana travolta dalla frenesia della città, Fiammetta nel 1897, Angelica e Salomè nel 1898 dove riesce per la prima volta ad esprimere appieno una icona della sua poetica la Femme Fatale, Mina da Fiesole nel 1899 opera anticipatrice dei tempi e di concezione femminista per la trasposizione di genere di un soggetto storico tipicamente maschile, Jeanne d’Arc e Leonora d’Este nel 1900, The Reader oggi negli USA, Tizianella nel 1902 opera di enorme successo anche questa di trasposizione di genere e, ancora oggi, di grande attualità. Sono questi gli anni di maggior successo (Juana è l’artista donna più produttiva) e di esplosione della critica nei suoi confronti, sia in Francia che nel resto d’Europa, Italia compresa dove, per la prima volta, la sua città natale Velletri, sensibilizzata dallo scultore Ernesto Biondi, dal giornale «La Favilla» e da altre personalità, rende omaggio all’illustre concittadina. Particolarmente commossa da tale attenzione (per lei che ha fatto dell’arte italiana e delle sue origini una continua fonte di ispirazione) e da un interesse che finalmente le rende giustizia anche in patria, dopo aver partecipato alla IV Biennale di Venezia con il suo Angelica, unica donna a rappresentare il Lazio, il 21 ottobre 1901 si reca in visita ufficiale a Velletri. «La Favilla», «Il Nuovo Censore» e il «Messaggero» nei giorni precedenti avevano annunciato la visita della Romani, ma in realtà l’incontro si stava organizzando già dall’anno precedente con un nutrito scambio di corrispondenza tra l’artista e il sindaco di Velletri Mario Barbetta. Le personalità che la accompagnano in questa importante visita ufficiale sono esse stesse la dimostrazione della grande considerazione che la Romani aveva raggiunto a livello internazionale: Roybet e G. Boldini (anche loro partecipanti alla Biennale), quest’ultimo proseguirà poi per Palermo forse in visita a Villa Florio, Antoine Lumière che reca una cinepresa in dono alla città (la prima storica proiezione L’uscita dalla officine Lumière era avvenuta da soli 6 anni al Grand Cafè del Boulevard des Capucines di Parigi), il grande poeta dialettale romano Trilussa, lo scultore Ernesto Biondi e il deputato Giacinto Frascara.
L’Juana Romani nel suo Atelier a Parigi (da «La vie illustrèe»).’accoglienza è di quelle riservate ai grandi personaggi: sindaco e Giunta con seguito di banda cittadina presenti all’arrivo alla stazione, ricevimento presso il Comune di Velletri e incontro con la popolazione, formale impegno di Juana – che si sentiva stranamente debitrice nei confronti di tutti i suoi vecchi concittadini – all’invio di cospicue somme in denaro e opere di grandi pittori per la creazione di una galleria d’arte di valore mondiale. Il Comune le dedicherà in vita la scuola di belle arti, ora scomparsa. La pittrice continuerà a spedire piccoli quadri e donazioni in denaro fino al 1906 ma, come spesso ancora oggi accade in Italia, il progetto è definitivamente abbandonato dalle successive Amministrazioni, con enorme delusione della Romani. La recente grande mostra internazionale dedicata a Juana Romani nel 2017, allestita nel refettorio del Convento del Carmine a Velletri (in occasione del 150° anniversario della nascita), e il bel catalogo edito dalla Erma colmano una lacuna che si era protratta per troppo tempo, e pongono di nuovo in primo piano la pittrice, la sua vita e la sua poetica artistica, suscitando grande interesse di pubblico e di critica. Lo stesso Vittorio Sgarbi, critico d’arte, prima visita la mostra di Velletri, successivamente espone un quadro della Romani in un’altra grande mostra itinerante che tratta il legame tra arte e follia, inaugurata di recente alle Cavallerizze di Lucca.
La fortuna di Juana Romani, sia di critica che di pubblico, raggiunse l’apoteosi negli anni del transito epocale tra l’‘800 e il ‘900 e il consenso le procurò innumerevoli commissioni di opere e di conseguenza enormi ricchezze. Ma queste, continuamente dissipate e ricreate a causa delle regole richieste dal personaggio (Oscar Wilde, re delle tentazioni, impera a Parigi in quegli anni) che lei stessa alimentava con gossip e varie memorabili imprese, non derivavano solo dalla produzione artistica, ma anche dalla sua capacità di fare marketing della propria immagine.
Pierre Gustave Taverne riproduce in acquaforte Salomè, Tizianella, Primavera, Léon, Lambert la sua Bianca Capello. Il Portrait de m.lle Juana Romani, dipinto da Roybet, viene riprodotto da Adrien Didier, andando ad arricchire riviste come «L’Art». Juana guadagna la copertina non solo di riviste francesi («La Famille», «Paris-Illustré», «Paris-Noel»), che spesso le dedicano inserti speciali, ma anche riviste come «L’Illustrazione Italiana», o spagnole («Caras y Caretas», «La Illustracion Artisticai», «La Illustracion Iberica»). I suoi quadri vengono scelti per illustrare articoli di periodici tedeschi («Die Kunst fur Alle»), Inglesi («The Studioi») e americani («Metropolitan»). La sua notorietà di artista la rende precoce testimonial: nel 1896 reclamizza il vino dell’amico Angelo Mariani, stringendo nella mano un lungo ramo della pianta di Coca del Perù (la bevanda, dopo un successo planetario, sarà considerata nociva per la salute e tolta dal mercato nel 1913); verso la fine dell’Ottocento promuove i colori Léfranc e nel 1902 i profumi della Lanthéric. Una sua opera viene utilizzata come affiche pubblicitaria per i famosi magazzini Samaritaine.
Ma la grandezza di Juana Romani non risiede solo nella capacità, abbastanza comune all’epoca, di saper raffigurare le sue eroine con una tecnica sopraffina (di chiara derivazione accademica), ma, a mio avviso, è soprattutto quella di essere consapevole di trovarsi immersa in un particolare periodo della storia dell’arte che ha visto (proprio a Parigi) un susseguirsi di correnti artistiche sfociate poi nelle avanguardie del ‘900.
Per meglio comprendere questo complesso percorso, bisogna tener presente che l’Estetica solo alla fine del ‘700 ha riconquistato, grazie al tedesco Immanuel Kant, il rango che le compete tra le categorie filosofiche della conoscenza umana (erano stati Aristotele e soprattutto Platone a declassare l’arte e di conseguenza a ridurre anche gli artisti a più o meno grandissimi artigiani), e quindi l’interesse si è progressivamente spostato dal prodotto-opera d’arte all’artista stesso, e a tutto ciò che egli rappresenta culturalmente e psicologicamente (oggi si direbbe il suo Backgound).
Tale percorso, ben conosciuto, diventa travolgente nella seconda metà dell’‘800: 1) i Romantici definiscono l’opera d’arte come sentimento ed emozione dell’artista e Courbet sdogana immagini scandalose; 2) dopo il Salon des Refusés (1864) Manet diviene il simbolo del rinnovamento artistico con i suoi Déjeuner sur l’herbe (1863) e Olympia (1863); 3) nel 1874 lo studio del fotografo Nadar ospita la prima mostra degli Impressionisti che, dileggiati all’inizio dalla critica, diventano i progenitori della pittura moderna, seguendo un procedimento che dall’esterno produce appunto impressioni all’interno, nella mente dell’artista; 4) finalmente il Simbolismo, un movimento che, sulla scia della letteratura (da Baudelaire a Flaubert, da Verlaine a Rimbaud) supera l’Impressionismo e impone all’osservatore del quadro l’«Io» dell’artista, un primo passo verso la modifica di un processo di produzione pittorica che, al contrario di quanto avviene per gli Impressionisti, va dall’interno (la mente dell’artista) all’esterno; 5) l’ultimo e definitivo passaggio avviene appunto con l’Espressionismo (Fauves, Cubismo, Surrealismo, Dada, ecc.) epoca che ancora oggi stiamo vivendo, che raffigura l’oggetto dell’opera d’arte solo e soltanto per come appare non nella realtà che tutti conosciamo, bensì nella mente dell’artista (Informale, Pop-Art, Arte Povera, Transavanguardia, ecc.).
In questo clima artisticamente eterogeneo e di grande fermento Juana Romani riesce ad imporsi con un suo stile personale che la rende da subito riconoscibile al grande pubblico e alla critica che la annovera tra i pittori italiani parisianisés, assieme a De Nittis, Antonio Mancini, Giovanni Boldini, Telemaco Signorini, e agli scultori come il napoletano Vincenzo Gemito.
Juana si specializza nel genere del ritratto femminile, dipingendo eroine del passato o soggetti allegorici ed è interprete della «pittura teatrale» che si lega alla tradizione pittorica del Seicento. Le protagoniste sono solo donne, decadenti, riccamente vestite, alla moda, ma anche simbolo di un potere femminile emergente (non femminista), quello della seduzione della Femme Fatale. Ma il suo è anche un simbolismo legato alla ricerca della spiritualità dei personaggi (rappresentati nella tela) che dalla mente dell’artista devono trasferirsi in quella dell’osservatore.
Allo stesso tempo, la sua pittura risulta rinnovata e Juana si allontana dalle posizioni accademiche e dalle memorie classiche (così come avviene per Boldini, ritenuto precursore del futurismo), per spingersi verso la modernità di un simbolismo profetico per le successive avanguardie, di cui abbiamo parlato, che dal 1905 con i Fauves e dal 1907 in poi con il quadro Les demoiselles d’Avignon di Picasso muteranno definitivamente la storia dell’arte moderna.
Anche se Juana, la donna più importante presente sulla scena artistica parigina, è ben consapevole di partecipare con la sua pittura ad un procedimento di trasformazione dell’arte (ma sul suo simbolismo a mio avviso si dovrà ancora indagare a lungo), la sua poetica artistica non verrà mai del tutto disgiunta dalle pitture accademiche dei suoi maestri e il tempo e la sua precoce malattia mentale, come vedremo, faranno approdare la Romani tra i tanti sconosciuti dell’arte, sacrificati sull’altare della modernità. Ma i veri artisti, quelli che hanno lasciato anche solo un piccolo segno nella storia dell’arte sono destinati a diventare immortali, studiati e riscoperti nel tempo, come nel caso della nostra Juana.
Tornando al personaggio, si potrebbe pensare, a questo punto, che la metamorfosi di Juana avesse mutato il suo rapporto con la comunità gallinarese, con i suoi parenti e con i modelli, per portarla ad allontanarsi definitivamente da essi. In realtà le cose andarono diversamente e in lei si produsse, io credo, solo una dicotomia nella condotta della sua esistenza. In essa riuscivano a convivere – non senza fatica – da una parte i comportamenti dell’artista e tutto quanto ne consegue, dall’altra gli affetti e le abitudini familiari, rimasti inalterati nel tempo.
Juana e tutto quanto lei riuscì faticosamente a realizzare durante i suoi pochi anni di vita (56), diventò l’orgoglio e il riscatto di intere generazioni di emigrati che, a frotte, si recavano annualmente ai Salons solo ed unicamente per ammirare i suoi quadri. Lo ribadisco, per quanto conducesse una vita di vizi e di dissipazioni, Juana non perse mai il senso di appartenenza ad una comunità, quella dei gallinaresi a Parigi, che in un contesto difficile la proteggeva e allo stesso tempo la coccolava, e che lei ricambiava con continui aiuti economici, specie verso i più indigenti. Infatti, alla morte della madre nel 1909, i testimoni ufficiali che risultano dai registri francesi portano i cognomi dell’antica tradizione gallinarese: Giuseppe Franchi, domestico della madre e Ferdinando Apruzzese domestico di Juana nella sua dimora di rue de Mont Thabor. Lei stessa, sulla scia del giornalista J. Caponi presidente della «Società della Polenta», organizza feste a tema come «la serata all’italiana», dove sono presenti i prodotti del Lazio, in particolare i maccheroni, piatto principale che non è difficile immaginare essere preparato e servito dai suoi parenti o dai concittadini gallinaresi. Allo stesso modo risulta inalterato il suo senso di appartenenza all’Italia, unica vera Patria. Tutto ciò si evince sia dal desiderio di essere ritenuta celebre anche in Italia (varie biennali di Venezia e mostre a Torino), sia dal suo rapporto con Velletri, paese di nascita dove rientra solo dopo aver acquisito il riconoscimento di grande artista internazionale, e dove vuole riscattare una infelice infanzia, anche attraverso ingenti donazioni economiche per far studiare i ragazzi più poveri.
Purtroppo l’epilogo della sua vita è drammatico. I primi segnali della malattia mentale si manifestano nel 1903 con violente crisi nervose. Nel 1904 Juana e Roybet partono per San Remo per un periodo di riposo. Ma il lungo soggiorno in Italia accresce il nervosismo di Juana, quindi rientrano a Parigi, dove la situazione migliora. Nel 1905 Jacopo Caponi, il grande giornalista del «Fanfulla» suo carissimo amico, invita i più rinomati artisti italiani ad inviare un telegramma affettuoso a Juana: viene subito esaudito. Il 30 aprile 1906, in accordo con la madre Manuela e con F. Roybet, che non ha mai smesso di starle vicino, viene internata per la prima volta a Ivry Sur Seine per «psicosi allucinatoria cronica e delirio con manie di persecuzione».
Dopo la morte della madre Manuela (1909), Juana sarà assistita unicamente dalla sua migliore amica Consuelo Fould e dal suo amante Roybet. Il grave stato di salute si alterna a miracolose guarigioni, specie negli anni 1913-14, quando riesce persino a tornare a lavorare con il suo Roybet e a riallacciare i contatti con la comunità gallinarese subito accorsa, come sempre, in suo aiuto. Ma la sua condizione precipita definitivamente allo scoppio della grande guerra. La morte di Roybet (1920) e il passaggio in diverse cliniche determinano la fine di Juana che muore il 13 giugno 1923 nella più assoluta dimenticanza e abbandono. Sarà Federico Bevilacqua nel 1925 a darle degna sepoltura nel cimitero «Voltaire di Suresnes», alle porte della sua amata Parigi. Le cause della malattia possono essere molteplici e le ipotesi avanzate sono tante e, forse, non si arriverà mai a conoscere la vera origine del suo tragico male. Così come non sapremo mai quale sarebbe stata la sua evoluzione artistica nei primi decenni del ‘900 e il ruolo che avrebbe avuto nel susseguirsi delle avanguardie.
Il suo patrimonio, dopo le vendite all’asta per il pagamento delle ingenti spese sostenute per le lunghe cure mediche, viene disperso tra Francia e Italia. Nel 1924 Gerardo Casale, come risulta dagli atti notarili ufficiali (D. E. Poirier), fratello della mia bisnonna Lucia, rientrato dopo la guerra dagli USA dove sicuramente aveva svolto un ruolo importante nella vendita dei quadri della Romani e subito emigrato di nuovo a Parigi, sarà nominato esecutore testamentario di ciò che rimaneva dei beni di Juana. La lettera che spedirà a sua moglie Chiara nello stesso anno – di cui abbiamo parlato all’inizio – accenna anche dell’arrivo a Gallinaro di alcune opere (oggi conservate dalla famiglia Casale in via San Gerardo). La presenza di quadri della Romani a Gallinaro è indicativa e dimostra che il legame tra lei e la nostra comunità è rimasto spezzato solo in apparenza, ma in realtà è molto solido e bisognerà recuperarlo ancora di più negli anni a venire, per arrivare al 2023, centenario della morte di Juana, con una più completa ricostruzione della sua vita.
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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