Studi Cassinati, anno 2014, n. 3
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di Maurizio Zambardi
Colle Cannavinelle, estremità nord-occidentale del Massiccio del Monte Cèsima, ha alle pendici ovest una serie di monti minori e tondeggianti colline, quali Colle Monticello, Monte Rotondo, Mont’Elce (anche noto come Colle Altare), Colle Pescheto e Monte Lungo. Tale sequenza di alture crea uno sbarramento meridionale della piccola Valle di San Pietro Infine, che a sua volta è un’appendice nord-orientale dell’ampia Valle del Liri. Sul versante opposto, invece, a delimitare la piccola pianura è il massiccio del Monte Sambùcaro (noto anche come Monte Sammucro), sulla cui vetta, a 1205 metri, si incontrano i confini di tre Regioni: Lazio, Campania e Molise.
Le due gole che si vengono a formare tra Monte Rotondo e Colle Cannavinelle, a est, e Monte Rotondo e Mont’Elce, ad ovest, hanno da sempre permesso un rapido collegamento tra la Valle di San Pietro Infine e quella di Mignano. Già in epoca antica, infatti, per la gola di Mont’Elce passava l’importante Via Latina. Invece per la gola di Colle Cannavinelle, chiamata anche “La Forcella”1, passava un percorso viario secondario che collegava direttamente il ramo principale della Via Latina, nella valle di Mignano2, con la sua diramazione che da Ad Flexum3 si inerpicava per il valico delle Tre Torri per poi ridiscendere nella Valle di Venafro. Questo collegamento viario secondario, una sorta di scorciatoia, trova riscontro anche dalla presenza di strutture antiche4 che gravitavano, appunto, proprio lungo tale percorso.
Ed è proprio su alcune terrazze agricole (a quota 140 metri circa), tra le pendici occidentali di Colle Monticello e il versante nord-orientale di Monte Rotondo, nei pressi del percorso viario secondario, che sono localizzati i resti di altre strutture murarie, riconducibili ad una villa rustica di epoca romana5, di cui si occupa questo lavoro.
Descrizione delle strutture.
Tra una fitta vegetazione spon-tanea è possibile riconoscere una struttura muraria in opera incerta6 che delimita e contiene un ambiente voltato, lungo 30 metri circa e largo 3,80, con asse maggiore posto in direzione nord-ovest/sud-est. Le strutture murarie dell’ambiente chiudo- no, sul lato ovest, un ampio terrazzamento superiore (Figg. 1-2).
Anche le pareti interne dell’ambiente sono in opera incerta, formata da pietre calcaree di dimensioni che variano da 10 a 30 cm (Fig. 3), mentre la copertura è formata da una volta a tutto sesto realizzata in opus caementicium, sono, infatti, visibili le impronte lasciate dalla cassaforma. Inoltre, nei punti dove la volta è crollata, è possibile notare che nel realizzare l’intradosso della volta si è avuta cura di disporre le pietre, sbozzate a mo’ di conci7, lungo tutta la curvatura. La malta cementizia ha poi completato l’opera inglobando e riempiendo gli spazi rimasti vuoti. La parete di testata posta a nord-ovest del lungo ambiente voltato risulta staccata a causa di una profonda lesione. Inoltre nella parete sono stati aperti, ma in epoca successiva, un vano di ingresso e una piccola finestra. La parete di testata posta a sud-est, invece, manca del tutto, perché crollata insieme a parte della volta.
Ortogonalmente al grosso ambiente, nella parte a valle del terrazzamento, rimangono i resti di due corpi di fabbrica che si protendono in avanti, anch’essi coperti con volta a tutto sesto. La presenza di altri resti murari che si innestano all’estremità meridionale del grosso ambiente, fa, comunque, facilmente intuire che in origine i corpi avanzati fossero tre. In pratica due disposti, in maniera simmetrica, alle estremità del grosso ambiente, e un terzo, più stretto, e meno alto, posto nella parte centrale.
Il corpo avanzato più a nord ovest, le cui misure sono pari a 3,80×3,70 metri, presenta nella zona pavimentale, sebbene mascherata parzialmente da materiale detritico, delle vasche sagomate e rivestite con intonaco impermeabile.
L’ambiente appena descritto, che presenta anch’esso tracce di intonaco, ha la parete di testata ovest rifatta8, probabilmente per un suo riuso in epoca successiva. Nell’angolo sud-ovest della volta un grosso foro verticale, del diametro di circa 60 cm, si prolunga fino al piano di calpestio superiore, probabilmente con funzione di attingitoio. In sommità un grosso blocco calcareo chiude il foro.
Nell’ambiente voltato grande, proprio in proiezione dell’ambiente sporgente verso l’esterno, quello cioè appena descritto, vi è un’ulteriore vasca, che conserva anch’essa l’intonaco (Fig. 4), ricolma di materiale detritico, posta a quota leggermente superiore di quelle dell’ambiente sporgente. Due canaletti, formati da coppi di laterizio affrontati, provenienti dal livello superiore, attraversano internamente la parete, con diversa inclinazione, per confluire nella vasca. Mentre altri due canaletti fittili, sono inseriti nella muratura che separa la vasca dell’ambiente voltato grande dalle vasche dell’ambiente sporgente.
Nella parete interna, posta sul lato est del grosso ambiente, in maniera perpendicolare all’asse principale, si sviluppa un cunicolo, voltato anch’esso a botte e leggermente in pendenza, che si inoltra all’interno del terrazzamento superiore per circa 10 metri9. Qui un foro irregolare, vagamente circolare, con diametro di circa un metro, taglia la volta e mette in comunicazione il cunicolo con il terrazzamento superiore.
Il cunicolo, largo 1,40 m circa, contiene al suo interno, per circa la metà dell’altezza, abbondante pietrame calcareo sciolto, di pezzatura compresa tra i 10 e i 30 cm. Sul lato opposto, in prosecuzione del cunicolo, si trova l’ambiente avanzato intermedio, che ha una larghezza pari a 1,75 metri (Fig. 5), e una lunghezza pari a quattro metri circa. Non si esclude, però, che fosse ancora più lungo, poiché manca la parete di chiusura a causa di un crollo. Le pareti laterali, che conservano ancora l’intonaco, presentano una serie di lesioni inclinate e parallele.
Il grosso ambiente voltato contiene due muri trasversali, dovuti certamente ad un riutilizzo dello stesso in epoca successiva10, che separano l’ambiente in tre parti, comunque intercomunicanti grazie a dei vani porta ricavati nella muratura stessa (Figg. 6 e 7).
Il riutilizzo della struttura è testimoniato anche dalla presenza di un piccolo forno, ricavato sulla parete sud-ovest del lungo ambiente voltato, proprio in corrispondenza del terzo ambiente avanzato, di cui rimangono, come già detto, solo gli innesti murari. Il forno, la cui calotta è ottenuta riutilizzando frammenti di tegole e mattoni antichi, si inserisce sfruttando una porzione di muratura crollata del grosso ambiente voltato11.
Nella terrazza superiore (Fig. 8), quasi a ridosso della proiezione del bordo nord-orientale dell’ambiente grande, sono visibili alcuni grossi blocchi di pietra calcarea sagomati. Uno di questi ha la forma riconducibile ad un parallelepipedo con dimensioni pari a 125x100x50 cm circa (Fig. 9). La metà superiore è rifinita anche lateralmente, mentre quella inferiore è grezza. Sulla faccia principale vi sono due incassi rettangolari paralleli, i foramina, distanti tra loro 30 cm e larghi 30×66 cm per una profondità di 7 cm. L’interno degli incassi presentano a loro volta ulteriori incassi, sempre di forma rettangolare, di misure 24×53 cm, e profondi 4 cm, che se si sommano agli altri 7 cm danno una profondità totale pari a 11 cm (Fig. 10). Gli incassi ci consentono di poter affermare che si tratta di un lapis pedicinus per arbores di un torcular12 . E poiché il lapis pedicinus13, che, pur se lievemente rimosso dalla sua sede, conserva un lieve allineamento con un altro grosso blocco calcareo rimasto impiantato in sede sull’estradossato dell’ambiente voltato, è possibile sostenere l’ipotesi che proprio lì vi fosse il vano del torchio.
Sempre sul terrazzamento superiore, nei pressi dei due blocchi appena descritti, sono visibili altri grossi blocchi calcarei sparsi. Uno di questi presenta da un lato una incavatura ad angolo retto. Nella stessa area, negli anni ’80 del secolo scorso, fu rinvenuto anche un capitello tuscanico in pietra calcarea. Il reperto è formato da un blocco unico, composto di abaco, echino e una piccola porzione di colonna, priva di scanalature. L’abaco presenta una piccola frattura in un angolo.
All’esterno della cisterna, a circa 50 metri verso sud, il terrazzamento superiore è sostenuto da una muratura in opera reticolata realizzata con tufelli policromi, di colore grigio e giallo, disposti a strisce alterne (Fig. 11). Le dimensioni dei cubilia sono pari a 6×6 cm. A sud-est dell’opera reticolata vi sono i resti di altre strutture murarie in opera cementizia.
Si ha menzione che nell’area antistante la parete ovest della cisterna, durante lo scavo di alcune buche per impiantarvi alberi da frutto, ad una profondità di circa 60 cm, sia stato rinvenuto un pavimento formato da piccole scaglie in marmo bianco. Va segnalato pure che a 35 metri circa ad ovest delle strutture descritte, semicoperto da una folta vegetazione, vi è un notevole accumulo di pietre e frammenti di tegole che andrebbe investigata.
Inoltre, proprio in questi giorni, in occasione dei lavori del nuovo Gasdotto Busso-Paliano, a circa un centinaio di metri a nord-ovest della villa romana, sono venuti alla luce i resti di strutture murarie e pavimentali riconducibili alla villa rustica di cui si sta trattando14.
Considerazioni conclusive
La localizzazione della struttura, posta cioè su terrazzi agricoli, alle pendici di un colle, la vicinanze alla Via Latina, l’utilizzo dell’opera incerta e la presenza del lapis pedicinus, riconducibile ad un torchio del tipo “C”15 della tipologia del Brun16, ci consentono di poter dedurre che la struttura sia riconducibile alla pars rustica di una villa romana di età repubblicana, attestabile intorno alla seconda metà del II sec. a. C.
La villa dovette rimanere in uso, con probabili adattamenti e rifacimenti successivi, fino ai primi secoli dell’età imperiale, come è possibile desumere dalle murature in opus reticolatum site sul lato meridionale del terrazzamento, ed anche dal materiale ceramico osservabile in superficie.
Ora cerchiamo di capire più nel dettaglio la funzione degli ambienti rinvenuti17.
Il lungo ambiente voltato, oltre a delimitare il terrazzo superiore, dove era impiantata la villa, doveva avere in origine la funzione di ampia cisterna, tant’è che non presenta aperture nella volta, tali da far supporre che fosse un criptoportico. L’ambiente non conserva tracce di intonaco, se non in corrispondenza della vasca posta a nord-ovest, e negli ambienti laterali avanzati. La presenza, però dell’arriccio sull’opera cementizia della volta e su gran parte dell’opera incerta delle pareti verticali, ci porta a dedurre che in origine doveva esserci. Il lungo cunicolo doveva avere la funzione di convogliare acqua piovana all’interno della cisterna. Acqua che doveva essere raccolta da appositi canali posti alle pendici sia di Colle Monticello che di Colle Cannavinelle. La presenza dell’enorme quantità di pietre presenti nel cunicolo potrebbe essere giustificata dal fatto che queste dovevano fungere da filtro18. Tale condotta poteva, probabilmente, essere utilizzata anche per accedere alla cisterna dalla villa sovrastante, per le operazioni di pulitura della stessa.
Mentre il corpo avanzato centrale, posto quasi in asse al cunicolo, doveva contenere delle aperture da cui far uscire l’acqua della cisterna per le attività agricole, oppure alimentare delle fontane, o anche ninfei.
La presenza della vasca di testata dell’ambiente grande doveva avere la funzione di rendere il più possibile potabile l’acqua. Infatti le due condotte presenti nella parete nord-est dovevano convogliare l’acqua piovana proveniente direttamente dal tetto, quindi di per sé anche più pulita. A questo punto potremmo supporre che i due canali fittili, posti, quasi orizzontalmente, sul punto di affioramento della vasca, e inseriti nella parete di separazione tra l’ambiente grande e quello avanzato a nord-ovest, consentissero il travaso dell’acqua decantata, nelle vasche di quest’ultimo, dove avveniva un ulteriore filtraggio per decantazione. Il foro posto nell’angolo sud-ovest della volta, di cui si è parlato, doveva, quindi, fungere proprio da attingitoio19. La stessa cosa doveva accadere per l’altro ambiente avanzato posto sul lato opposto. Ma al momento non si hanno dati sufficienti per poterlo sostenere.
La presenza poi di un grosso foro, successivamente richiuso, posto sul lato occidentale della volta dell’ambiente grande, porterebbe ad ipotizzare che in origine vi fosse anche qui una botola per attingitoio che serviva a prelevare l’acqua, meno filtrata e meno decantata, da destinare agli usi prettamente domestici della villa.
Con il passare del tempo la villa dovette subire delle modifiche per cui probabilmente rimasero in uso le vasche per l’acqua potabile, mentre la cisterna grande dovette essere trasformata in un ambiente ad uso di deposito delle derrate alimentari o anche come locale per la raccolta dei prodotti della torchiatura, quali olio e vino.
In questo modo troverebbero giustificazione anche la presenza sul pavimento, nella parte addossata alla parete lunga posta ad est, le impronte lasciate nella malta cementizia di piccole vasche rettangolari, usate per raccogliere liquidi. Nell’impronta centrale si distingue chiaramente una bassa cavità a forma di calotta, probabilmente destinata ad accogliere un dolio. Il grosso contenitore doveva raccogliere l’olio, prodotto dal torchio superiore, grazie proprio ad un canale verticale preesistente, incassato nella muratura. In origine tale condotto era probabilmente usato anche esso per far affluire altra acqua piovana nella cisterna. Sul lato sinistro, a circa un metro di distanza dal canale fittile, una cavità tondeggiante, ricavata nella muratura, del diametro medio pari a circa 30 cm, e altrettanta profondità, con asse lievemente inclinato, fa ipotizzare che fosse l’impronta lasciata da un grosso trave che doveva essere funzionale al sollevamento, e quindi sostituzione dei contenitori.
A chiusura di queste brevi note archeologiche si coglie l’occasione per segnalare il rinvenimento di un altro lapis pedicinus20 avvenuto pochi anni fa in Via San Nicola, sul vecchio centro di San Pietro Infine, a seguito di alcuni lavori di sterro. Il grosso blocco calcareo ha la forma di un parallelepipedo di dimensioni 112x73x36 cm e reca nella faccia principale due incassi, poco profondi, foramina, le cui misure sono 22x38x6 cm circa (Fig. 12). Il blocco, faceva certamente parte di un torcular ma essendo stato, purtroppo, rinvenuto fuori contesto non si può sostenere con certezza se facesse parte di un torchio per vino o per olio. Anche se si protende per quest’ultimo, considerato che la coltivazione dell’olivo è sempre stata la produzione agricola prevalente del paese21. Ardua risulta essere anche la sua datazione poiché, oltre al fatto che il blocco potrebbe essere stato riutilizzato come materiale da costruzione in una delle case del vecchio centro di San Pietro Infine, va ricordato che molti di questi blocchi hanno mantenuto la stessa funzione fino ad epoche recenti. Attualmente il lapis pedicinus si trova incastonato, dalla recente pavimentazione in acciottolato fluviale, sul lato nord all’ingresso di Piazza San Nicola, anche se meriterebbe una sistemazione più adeguata e sicura. Tanto è che proprio di recente la caduta di una grossa pietra dalla parete che lo sovrasta ha provocato una grossa scheggiatura proprio nel bordo sinistro della vaschetta, danneggiandolo irrimediabilmente.
Le foto e i disegni sono dell’autore
1 È probabile che vada identificata con la Forcella di San Martino.
2 Che portava a Teanum e proseguiva poi per Casilinum.
3 M. Zambardi, Organizzazione del territorio in corrispondenza della mansio Ad Flexum, in Eugenio Polito (a cura di), Casinum Oppidum, Ercolano 2007, pp. 161-169; M. Zambardi, Rinvenimenti archeologici nel sito di Ad Flexum, in Per la conoscenza dei beni culturali II, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, 2009, pp. 41-51. M. Zambardi, La Via Latina nel territorio di Ad Flexum, in Spigolature Aquinati, Storia e archeologia nella media valle dell’antico Liris, II, Castrocielo, 2007, pp. 113-124.
4 M. Zambardi, Rinvenimenti archeologici nel territorio di Mignano Montelungo, in «Studi Cassinati», CDSC, anno X, n. 1, Cassino 2010, pp. 4-8; M. Zambardi, Recenti rinvenimenti archeologici nel territorio compreso tra Monte Sambùcaro e Monte Cèsima, in Heikki Solin (a cura di), Le epigrafi della Valle di Comino, Atti del Decimo Convegno Epigrafico Cominese, Sora – Abbazia di S. Domenico, giugno 2013, pp. 81-94.
5 Che l’area avesse una certa rilevanza archeologica lo si desume anche dal lavoro di Gioia Conta Haller. Cfr. G. Conta Haller, Ricerche su alcuni centri fortificati in opera poligonale in area campano-sannitica, (Valle del Volturno – Territorio tra Liri e Volturno), Napoli 1978, Tav. 36, fig. 1. Un paio di anni dopo Gaetano Lena pubblicò anche il rilievo schematico della struttura (che egli definisce «cisterna») curato da Alceo Morone. Cfr. G. Lena, Scoperte archeologiche nel Cassinate – Note di topografia antica, Cassino 1980, p. 26, Tav. 10. Il sito è stato poi ulteriormente indagato dallo scrivente durante l’espletamento di un Dottorato di ricerche. Cfr. M. Zambardi, Carta archeologica di un settore di territorio a confine tra la Valle del Liri e la Piana di Venafro” Sito n. 51, Tesi di Dottorato di Ricerca in «Metodologie conoscitive per la Conservazione e Valorizzazione dei Beni Culturali» – XXIII° Ciclo – (Seconda Università di Napoli, anni 2007/10).
6 Sulla parete si osservano delle ampie zone dove la cortina esterna è stata rifatta.
7 Con misure medie pari a 10×12 cm per una profondità pari a 20 cm. circa.
8 Contenente anche un vano porta.
9 A causa della presenza di materiale di crollo e detriti vari non è stato possibile verificare se il cunicolo si prolungasse anche oltre.
10 Se ne può avere conferma, oltre che per la mancanza di ammorsature alle pareti laterali e alla volta, anche dal diverso tipo di muratura, che, se pur sempre in opera incerta, è di fattura meno accurata. Anche la malta utilizzata si presenta molto meno consistente di quella utilizzata nella struttura originaria.
11 Si ha notizia, dalla gente del posto, che l’ambiente lungo è stato utilizzato nel dopoguerra anche come ricovero per ovini.
12 Cioè un torchio a leva per olio, spesso usato anche per vino (va precisato che con il nome torcular si indicava anche il locale in cui il macchinario era alloggiato). Il lapis pedicinus è la pietra di base, dotata di foramina, in cui veniva alloggiato l’arbores, cioè una struttura composta da due grossi travi verticali in legno, o anche in pietra, che venivano poi ancorati al soffitto. L’albores, faceva da fulcro per il prelum, una grossa leva, sempre in legno, che, tramite un contrappeso esercitava una pressione sui fisci (cesti di corda intrecciati), che a loro volta erano ricolmi di pasta di olive. L’abbassamento del prelum poteva avvenire col sistema a vite o a verricello. Dalla spremitura si otteneva il liquido della spremitura, composto prevalentemente da un miscuglio di acqua e olio. Il liquido, confluiva nel canale circolare della pietra di base (che poteva essere anche in muratura) del torchio, e cioè l’ara (che poteva avere o meno un beccuccio), e quindi convogliato, mediante i canalis, in apposite vasche di decantazione o lacus. Se la vasca era destinata alla raccolta del vino prendeva il nome di “cella vinaria”.
13 Che potremmo supporre fosse incassato nel muro considerata la particolarità dei foramina.
14 Su tali aspetti cfr. la successiva nota di M. Zambardi, Rinvenimenti archeologici in località Monticello, pp. 174-175.
15 Questi torchi sono tipici degli impianti produttivi di alcune ville rustiche datate a partire dalla seconda metà del II secolo a.C. e in attività fino al I secolo dell’impero e oltre. Cfr. G. Renda, Testimonianze sulla produzione di vino e olio nel Caiatino in epoca antica, in «Archivio Storico del Caiatino II», 2001, pp. 19-37; G. Renda, Il territorio di Caiatia, in «Atlante tematico di Topografia antica», Suppl. XV, 2004, p. 291.
16 J. P. Brun, L’oléicolture antique en Provence. Les huileries du departement du Var, in «Revue Archéologique de Narbonnaise», Suppl. 15, Paris 1986.
17 È chiaro che quanto qui si ipotizza può essere confutato qualora altri rinvenimenti o nuovi reperti venissero alla luce, magari proprio in occasione di scavi archeologici.
18 Non si esclude, però, che il cunicolo, ormai in disuso, fosse stato usato come discarica del pietrame del terrazzamento superiore, per un riutilizzo dello stesso come terreno coltivabile.
19 Proprio questo foro-attingitoio e l’assenza di aperture originarie negli ambienti descritti, hanno fatto accantonare l’ipotesi che le vasche di cui si è parlato fossero usate per la decantazione dell’olio o anche come celle vinarie. Ipotesi che comunque potrà essere verificata qualora si effettuino scavi sistematici.
20 Cfr. M. Zambardi, Carta archeologica … cit., Sito n. 44.
21 Spesso, comunque, i torcularia venivano usati alternativamente, sia per la produzione di olio che per la produzione di vino.
1 Su tali aspetti cfr. l’articolo precedente di M. Zambardi, La villa rustica di età repubblicana del Monticello, pp. 165-173.
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