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«Studi Cassinati», anno 2019, n. 1
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di Gaetano de Angelis-Curtis
Settantacinque anni dopo la distruzione: come la città di Cassino ha ricordato in modo tangibile quei fatti tragici e luttuosi nel corso di dodici lustri? Quali sono state le testi-monianze concrete (monumenti, opere, statue, sculture ecc.) che gli amministratori locali di Cassino hanno inteso erigere per consegnarle ai posteri di tutte le età e di tutte le nazioni affinché non andasse dispersa la memoria del sacrificio cui la città è stata chiamata a offrire con le sue vittime civili, i suoi caduti militari, i suoi sfollati dispersi ovunque e poi degli eroici ricostruttori con le loro donne al fianco, nonché non andasse dispersa la memoria del sacrificio di quelle migliaia di combattenti di tutte le nazionalità che sono venuti a combattere e a morire a Cassino per la «nostra libertà» (che per alcuni, come per i polacchi, era già stata segnata)?
Ben poco è stato fatto.
Se si escludono i sacrari militari (germanico a Caira, britannico a Sant’Angelo, polacco a Montecassino) opere dei rispettivi Stati, se si escludono alcune iniziative di privati cittadini (la campana della pace sul fiume Gari), se si escludono le installazioni frutto della caparbia volontà di Emilio Pistilli (il muro del martirologio, le pietre della memoria), rimangono l’Historiale (con tutti i limiti di fruizione), i monumenti
alla pace di Mastroianni (uno abbarbicato e solitario sulla collina in un contesto difforme dal progetto originario, l’altro nel centro della città posto in una infelice rotonda stradale e, si dice, pure modificato con asportazione di un pezzo per farlo entrare nel sito in cui è stato ubicato), un busto del gen. Anders (dono dei reduci polacchi d’America collocato in posizione decentrata), un monumentino innalzato dai neozelandesi alla stazione ferroviaria, il monumento ai caduti e l’altro alle vittime civili, quest’ultimo in uno spazio angusto, oltre a qualche data nella toponomastica cittadina.
Tutto qui.
Pure quello che era il simbolo della città distrutta dalla cecità umana, la torre campanaria, smontate le pietre salvatesi dalla distruzione, numerate e spostate varie volte, ora risultano abbandonate in modo informe in un angolo nei giardinetti dell’Historiale. Il Cdsc-Onlus ha prospettato un progetto di recupero di quelle pietre che sembra aver suscitato interesse per la sua realizzazione nella Banca Popolare del Cassinate. Al pari il Cdsc-Onlus già da qualche tempo si è fatto promotore, attraverso il suo presidente onorario Emilio Pistilli, dell’idea di installare in città un monumento a ricordo della «Donna ricostruttrice del Cassinate» (statua, o gruppo scultoreo o pannelli in altorilievo) che ha incontrato la convinta adesione di numerose Associazioni di varia natura operanti nel territorio, di imprenditori, di Istituti di credito, di privati cittadini, di connazionali all’estero ecc., mentre non appare ancora del tutto concretizzatosi il supporto dei rappresentati istituzionali locali dai quali non si può prescindere.
Tuttavia da qualche mese è possibile ‘ammirare’ a Cassino un ultimo manufatto. Si tratta della statua a Wojtek, un orso che è stato una inusuale mascotte a seguito delle truppe polacche, per di più mai transitato a Cassino. A prescindere dalla fattura, dall’estetica, dal colore, ora, e ciò fa rimanere stupiti, la rappresentazione simbolica dell’eroismo del Corpo polacco dissanguatosi sulla via per Montecassino è affidata a un orso. Più in generale, il ricordo di migliaia di soldati caduti nella conquista o nella difesa della città e delle alture circostanti, è demandato alla statua di un animale, che sa di offesa.
Provvidenzialmente lo Studio «Giacomo Bianchi & Partners Architects» ha presentato uno stupendo e avveniristico progetto per la realizzazione di un memorial, definito come luogo della memoria, dedicato al gen. Wladyslaw Anders e a tutti gli eroi polacchi di Montecassino, da ubicare il largo Dante, cui va tutto il sostegno del Cdsc-Onlus che si onora di annoverare l’arch. Giacomo Bianchi fra i suoi soci.
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NOTE
1 The bombing of Monte Cassino, 1988 del maggiore Bradford A. Evans, comandante dello squadrone bombardieri che sganciò le prime bombe sul monastero, traduz. dall’inglese di Arcangelo Evangelista, in «Spazio Aperto», anno II, 1990, n. 3, inserto; edizione successiva Bradford Evans, The indestructible Abbey – L’abbazia indistruttibile, Cassino 1994.
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