Studi Cassinati, anno 2014, n. 2
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di Costantino Jadecola
L’idea era quella di orientarsi su qualcosa di diverso. Di originale. I doni classici in occasione di eventi del genere erano ben noti (ricami, agnelli, prodotti locali, olio, vino, ecc.) per cui l’imperativo di indirizzarsi verso qualcosa che non avesse nulla a che vedere con essi era a dir poco categorico. Cosicché, dopo lungo pensare e varie ipotesi, si giunse alla conclusione che una bambola vestita nel tradizionale costume delle donne dell’Aquino di una volta poteva fare al caso. In fondo, a fare quel dono erano dei bambini, i bambini della Scuola elementare di Aquino, cosicché la sua originalità, soprattutto alla luce del fatto che il suo destinatario era il Papa, non poteva di certo passare inosservata.
Era la primavera del 1980 e l’allora pontefice Giovanni Paolo II aveva concesso udienza ai fedeli delle diocesi di Aquino, Sora e Pontecorvo forse anche nel ricordo della giornata trascorsa ad Aquino il 21 aprile 1974, quando era ancora il cardinale Karol Wojtyła, arcivescovo di Cracovia, nel contesto dei molti eventi coi quali per molto tempo si celebrò il Settimo centenario della morte dell’Angelico Dottore.
Poiché alla Scuola elementare di Aquino era stato consentito di poter partecipare all’udienza, la ricerca di un dono che potesse ben rappresentarla era diventata una priorità.
Chi scrive, essendo stato coinvolto nell’iniziativa, non ultimo per essere sua figlia Federica alunna e sua moglie insegnante presso quella scuola, associò subito l’idea della bambola, ma soprattutto, quella degli abiti con i quali la si voleva vestire all’abilità di provette sarte e di altrettanto provette ricamatrici quali erano le sorelle Giacinta, Lucia, Annina e Maria Di Bona di San Donato Val Comino, con le quali c’era un cordiale rapporto di amicizia, e che erano specializzate, tra l’altro, nella realizzazione e nel restauro delle vesti dei Santi.
L’idea, ovviamente, fu accolta con simpatia. E un grande entusiasmo ne fu la logica conseguenza.
Recuperato un manichino atto allo scopo (alto all’incirca un metro), s’incominciò a lavorare su di esso a cominciare dall’abbigliamento intimo. Il lavoro, che ovviamente si protrasse per qualche tempo, non sfuggi ai frequentatori del laboratorio delle sorelle Di Bona, in particolare ad alcuni sacerdoti, anche della curia sorana, i quali non nascosero il desiderio di far propria la bambola in lavorazione per destinarla alla medesima finalità. Senza, però, cavare un ragno dal buco.
Martedì 15 aprile 1980 è il giorno del fatidico appuntamento. Da Aquino si parte all’alba. O quasi. Mia figlia Federica e Tommaso Tomassi sono incaricati della consegna della bambola al Papa. Di conseguenza vestono anch’essi nel tradizionale costume locale. L’appuntamento è alla sala Nervi. Al nostro arrivo, la sala è già in buona parte gremita (oltre la nostra, c’è anche la diocesi di Grosseto). Quando facciamo il nostro ingresso, io, la bambola, Federica e Tommaso, è un applauso fragoroso. Lo stesso che ci accompagna durante tutta la traversata della sala. Giunti in fondo, ad alcuni metri dal trono papale, che fare? Che qualcuno possa venirti in soccorso, è speranza vana. Del resto, dal “recinto” delle autorità, anche qualche sacerdote “amico” sembra non filarti più di tanto. Che fare, allora? L’unica cosa possibile: consegnare la bambola ad un uomo del servizio d’ordine, cercando di fornirgli tutte le spiegazioni del caso nella speranza che esse giungano a destinazione. Insomma, ti rendi conto che una cosa per la quale hai lavorato e cui sei molto legato sta concludendosi con un “flop”. Un tantino amareggiati, a quel punto, io, Federica e Tommaso, stavolta senza la bambola, torniamo, come dire, sui nostri passi. Ma ne facciamo ben pochi perché, “turbato” dall’arroganza di certi soggetti recintati nello spazio riservato alle autorità, ovvero dalla faccia imbronciata di qualche monsignore che non era riuscito a cavare il ragno dal buco e dalla protervia di qualche “politico” piuttosto chiacchierato, decido di fare marcia indietro e di guadagnare lo spazio antistante il “recinto”, ovvero quello riservato agli ammalati: la situazione è quella che è ma Federica e Tommaso ad essa non danno peso più di tanto anche perché presi dall’euforia del momento e storditi dal frastuono che si leva tutt’intorno.
Il bello viene dopo che il Papa ha tenuto il suo discorso. Infatti il Pontefice lascia il trono e scende alla sua sinistra per iniziare il suo incontro con gli ammalati avendo per ognuno una carezza e una parola di conforto. Noi siamo dalla parte opposta: ad averci la bambola, sarebbe davvero come toccare il cielo con un dito. E allora, siccome tentare, come si dice, non nuoce, mi avvicino a un signore del servizio d’ordine, non certo quello cui l’avevo consegnata, al quale rappresento il caso così come esso era per pregarlo, infine, di voler cortesemente recuperare, se possibile, la bambola che, grazie a Dio, era quasi a vista. Tornatone in possesso, posi la bambola davanti a me, tra Federica e Tommaso, tutti e tre più o meno la stessa altezza, e così attendemmo ancora per qualche tempo, e non certo senza emozione, l’arrivo di Giovanni Paolo, che, quando avvenne, fu un momento inenarrabile.
Il Papa continuava a rispondere con cenni della testa e con il sorriso sulle labbra agli indirizzi di saluto che gli provenivano un po’ da ogni dove mentre con le mani carezzava le teste di Federica, della bambola e di Tommaso nella convinzione che si trattasse di tre bambini. E fu allora che, sollevata la bambola, precisai: «Santità, è una bambola!». Il Papa sembrò fortemente sorpreso da quel dono, così come piacevolmente stupisce la reazione immediatamente successiva. Infatti dopo un attimo di smarrimento, prendendola in braccio, disse: «Non ho mai giocato con le bambole. Ora, alla mia età…!?!».
Fu a questo punto che si scatenò il finimondo.
Per i fotografi, il Papa con in braccio una bambola fu un’occasione unica, irripetibile. Tant’è che quando, dopo alcuni minuti, poté di nuovo risalire verso il trono, fui sollecitato a lasciare andare anche Federica e Tommaso perché lo accompagnassero. E giù altre decine di flash mentre Giovanni Paolo si fermava per attendere i due bambini. E, poi, c’è un’inattesa appendice che, perciò, è molto gradita. Il giorno dopo, «L’Osservatore Romano» per sintetizzare quella udienza che foto aveva scelto? Ovvio: quella del Papa con la bambola.
Una bella storia. Ancora più bella da raccontare oggi che il suo protagonista è asceso alla gloria degli altari. Con molto più di un pizzico di soddisfazione da parte mia, soprattutto nel ripensare a certe facce imbronciate ed altezzose.
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