Il Valico fortificato delle «Tre Torri», a confine tra Campania e Molise.

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Studi Cassinati, anno 2013, n. 3
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di Maurizio Zambardi

047-06-1Le «Tre Torri» sono oggi null’altro che un toponimo derivante da un castello difensivo di età medievale di cui non rimangono che pochissime tracce, visibili, tra l’altro, solo da occhi esperti. Al loro posto vi sono oggi antenne radio e ripetitori vari che creano un forte impatto negativo per l’ambiente.
Non si può parlare di «Tre Torri», comunque, se prima non si parla dell’omonimo valico, noto anche come Passo dell’Annunziata Lunga1, da cui è certamente scaturita la struttura difensiva.
Il valico delle Tre Torri, una sorta di sella naturale che si viene a formare – a quota 440 metri circa – tra Monte Sambúcaro (o Sammucro) e Monte Cèsima, è sempre stato strategicamente importante in quanto punto di passaggio obbligato di percorsi viari che mettevano in comunicazione l’ampia Valle del Liri (Fig. 1) con quella di Venafro. Importanza che è venuta meno, a partire dai primi anni ’60, con l’apertura di una galleria a quota inferiore che ha permesso un collegamento diretto tra le due pianure senza necessariamente passare per il valico.
Già in epoca arcaica il collegamento tra le due valli era reso possibile grazie ad un percorso protostorico, che dalla piana di Venafro si inerpicava sul valico per poi ridiscendere nella Valle del Liri. L’asse viario, dopo aver raggiunto la località Santa Maria del Piano, nella Valle di San Pietro Infine, si incrociava con un altro asse viario protostorico che dalla Pianura Campana conduceva nella Valle di Comino, molto ricca di giacimenti metalliferi. In epoca romana tali percorsi furono ripresi e potenziati dall’antica Via Latina, e proprio in corrispondenza dell’incrocio venne a formarsi nel tempo un vicus noto con il toponimo Ad Flexum2. Da tale punto la Via Latina svoltava verso la Campania, puntando dritto al valico di Colle Altare, mentre una diramazione affrontava la salita del versante sud-est di Monte Sambúcaro, con tracciato molto più agevole dell’asse protostorico.
047-06-2Proprio in età romana sul valico dovette sorgere una torre di avvistamento e controllo del passo montano. La torre è stata certamente sostituita, o inglobata, in epoca medievale, da un sistema fortificato più articolato formato da una struttura con tre torri.
Procedendo dal valico verso la Pianura di Venafro il percorso viario protostorico scendeva rapidamente di quota passando prima per l’attuale borgo di Vallecupa e poi nella pianura compresa tra le alture di San Nazario e il versante orientale di Monte Sambúcaro. Mentre in epoca romana il tratto più ripido del percorso fu doppiato da una strada molto più agevole che scendeva gradatamente lungo il versante orientale di Sambúcaro fino alla località Sant’Emidio, nella parte bassa di Ceppagna, dove si ricollegava al tracciato più antico, per poi raggiungere l’antica Venafrum.
La prova dell’importanza del valico anche in età romana ce la fornisce la presenza di un miliare, ora scomparso, che era posto proprio nei pressi della fortezza delle Tre Torri3. Il Garrucci, nella sua pubblicazione su Venafro scrive: «alla Nunziata a lungo, sotto il castello, sulla via che mena a Venafro da S. Pietro in fine […] sotto le torri, dei mezzi tempi […] [vi sono i resti di un miliare che recita:] [I]MP. CAESAR. DI[VI F. AVG.] / COS. XI. TR. POTESTA[TE] / EX. S. C.»4.
Da un disegno acquarellato di Marcello Guglielmelli, realizzato nel XVIII secolo e conservato – insieme ad altri – presso la celebre Abbazia di Montecassino, si nota, al limite del territorio di San Pietro Infine, proprio nei pressi del Valico dell’Annunziata Lunga, una struttura formata da tre torri disposte ai vertici di un triangolo, collegate tra loro con alte mura5. La struttura è indicata con la scritta «Castello Saraceno» (Fig. 2).
Quindi è probabile che tale struttura sia stata in qualche maniera caratterizzata dalla presenza dei saraceni, che non avevano certamente sottovalutato l’importanza strategica del passo montano.
Si ha, comunque, notizia di un potenziamento del sistema difensivo del valico, avvenuto nel 1412, su ordine del re Ladislao. Questi, dopo la sconfitta subita nella pianura di Roccasecca da Luigi d’Angiò, decise di ritirarsi nel cassinate per riorganizzare il proprio esercito. Temendo, però, un attacco alle spalle delle truppe nemiche, che avrebbero potuto facilmente aggirare l’area del loro stazionamento, fortificò tutti i passi montani più importanti tra cui anche il passo dell’Annunziata Lunga e quello di Mignano6.
La struttura difensiva è situata a confine tra i comuni di San Pietro Infine e Venafro, o meglio a confine tra le regioni Campania e Molise7.
047-06-3Dall’analisi della Tavoletta IGM n° 161 III N.O. (Venafro), in scala 1:25.000, si nota che i ruderi della struttura sono prossimi al confine regionale ma ricadenti nel territorio molisano. Va però precisato che alcuni altri resti di strutture murarie, che dovevano far parte del sistema di controllo e difesa del valico, di cui si dirà più avanti, ricadono decisamente nel versante campano.
Dalle testimonianze di alcuni anziani dei paesi limitrofi è emerso che prima della seconda guerra mondiale erano ancora in piedi gran parte delle torri, che erano di forma cilindrica, ed anche buona parte delle mura di cinta che si allacciavano alle torri stesse. Le mura di cinta erano alte tre metri circa8, ma l’altezza originaria doveva essere almeno il doppio. Una delle torri era di dimensioni maggiori, con diametro pari ad una decina di metri (era certamente un «donjon»), mentre le altre due erano più piccole. Queste ultime erano aperte nella parete che prospettava all’interno alla fortezza ed erano poste a ridosso della porta d’accesso all’intera struttura fortificata.
Sia le torri che le mura di cinta recavano diversi fori, di forma tonda e quadrata, con misure variabili tra i 15 e 20 centimetri9, che probabilmente erano fori d’andito, cioè fori di ancoraggio alla muratura dell’impalcatura in legno, usata per la costruzione della fortezza.
La struttura delle «Tre Torri» doveva avere una forma molto simile al limitrofo nucleo fortificato di Roccapipirozzi10 e, probabilmente, le due strutture dovevano essere coeve, sorte quindi a seguito di un unico progetto difensivo del territorio in questione. Entrambe dovevano creare una sorta di ponte visivo che consentiva di controllare l’imbocco della Valle del Liri e la Valle di Venafro. Infatti la sola struttura delle Tre Torri permetteva il controllo sulla Valle del Liri ma non quello diretto sulla Valle di Venafro. Tale compito era invece affidato al castello di Roccapipirozzi, che, come la torre quadrangolare di Monte San Nazario11, era posto su un’altura che prospettava direttamente sulla Piana di Venafro.
Purtroppo le «Tre Torri» furono abbattute durante la seconda guerra mondiale dai tedeschi in ritirata, che le fecero saltare con la dinamite, per «esigenze tattiche difensive»12. Da una foto dell’epoca è possibile vedere ciò che rimaneva della fortezza (Fig. 3). La foto mostra due militari americani che osservano con un binocolo la Valle di San Pietro Infine e il limitrofo Montelungo, protetti proprio dai resti dei muri di collegamento delle torri.
In sostanza sul valico delle Tre Torri oggi non rimangono che sparute tracce murarie, poste su una piccola altura distante una trentina di metri dalla strada Annunziata Lunga (Fig. 4).
Collegando ciò che rimane della muratura in opera incerta (con spessore compreso tra i 55 e i 70 cm e affioranti poche decine di centimetri dal terreno) formata da scapoli in pietra calcarea locale di medie dimensioni, si ottengono due tratti di muri, lunghi circa una ventina di metri ciascuno, che sono ciò che rimane delle pareti di collegamento delle torri della fortezza. Dei due muri quello a ovest presenta, in pianta, una curvatura proprio in corrispondenza dell’attacco con la torre più grande (quest’ultima è riconoscibile grazie ad un lieve rilievo del terreno, di forma grossolanamente anulare), il tratto di muro posto a est presenta, invece, a circa sette metri dalla torre maggiore, una leggera deviazione che punta verso l’interno dell’area recintata (Figg. 5 e 6).
Più a valle, sul versante verso San Pietro Infine, a monte di un viottolo che rimarca il tratto della diramazione della Via Latina che conduce al Passo dell’Annunziata Lunga, vi sono i resti di un muro in opera cementizia che si estende in direzione nord-sud, lungo due metri circa e spesso 80 cm. Il muro affiora dal terreno in pendio per un’altezza di circa 70 cm. I resti murari emergono da un’area interessata da strutture crollate che si estende su una trentina di metri quadri.
Inoltre sono ancora percepibili i resti di un’altra struttura crollata, estesa su una superficie pari a circa 150 metri quadrati, posti a pochi metri dalla strada provinciale Annunziata Lunga, proprio a monte dell’imbocco della prima curva che si incontra scendendo dal passo verso Venafro. I resti si trovano ad una quota superiore (circa quattro metri) rispetto al piano stradale. Sulla parete tagliata dalla strada è visibile una struttura muraria concava, con diametro ricostruito pari a circa 1,70 metri, rivestita in cocciopesto. Alcune persone del posto13 sostengono che, nel dopoguerra, tale struttura veniva utilizzata come forno, anche se va precisato che attualmente non vi è traccia di mattoncini, elementi fondamentali per il rivestimento interno dei forni. È probabile, comunque, che in origine tale struttura fosse una piccola cisterna a servizio della costruzione di cui si vedono i resti in crollo, e che nel tempo (probabilmente a seguito della costruzione della strada provinciale, risalente alla prima metà del XIX secolo) sia stata riutilizzata adattandovi un forno.
Si ha anche notizia dell’esistenza di una grossa cisterna realizzata in pietra e malta, del diametro di circa 5 metri e profonda da 2 a 3 metri, posta sul lato opposto della strada, proprio in direzione delle strutture crollate appena descritte14. La cisterna ora non è più visibile poiché, alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, a seguito dei lavori per la costruzione di un edificio a servizio dell’acquedotto «Campate Forme», fu riempita con materiale vario di riporto.
Merita, infine, la segnalazione del rinvenimento, avvenuto in una spianata naturale posta sulla dorsale del Monte Cèsima, a un centinaio di metri a monte del valico, di un collare in rame da schiavo, recante un’iscrizione in latino su un lato, di cui ci si è già ampiamente occupati15. Il collare, che è stato ritrovato accartocciato è costituito da una stretta lamina, larga appena 1 cm, spessa poco più di 1 mm e lunga 40 cm, terminante con estremità a cordoncino. Una estremità presenta un doppio giro in modo da formare un occhiello, l’altra estremità, invece, è sagomata in modo da formare un gancio, così da permettere, con l’occhiello, la chiusura del collare. La scritta che vi è riportata è composta, in totale, da 25 segni, con altezza media delle lettere pari a 8 mm circa, e reca la formula usuale «tene me ne fugias», per cui si è ipotizzato che il collare fosse stato imposto ad uno schiavo, affinché questi venisse riconosciuto come tale in caso di fuga.

(Le foto e i grafici sono dell’Autore)


 

 

1 Cioè della “Annunziata alla longa”, quindi lontano dal centro abitato, probabilmente di Venafro.
2 M. Zambardi, La Via Latina nel territorio di Ad Flexum, in «Spigolature Aquinati, Storia e archeologia nella media valle dell’antico Liris», II, Castrocielo, 2007, pp. 113-124.
3 R. Garrucci, Venafro illustrata coll’aiuto delle lapidi antiche, Roma, 1874, p. 106 n. 185; G. Cotugno, Memorie istoriche di Venafro, Napoli 1824, p. 308; CIL X, 6903.
4 R. Garrucci, Venafro illustrata … cit., p. 106 n. 185.
5 M. Zambardi, San Pietro Infine – Monumento mondiale della pace, Penitro di Formia 1998, pp. 40 e 41.
6 G. Morra, Storia di Venafro dalle origini alla fine del Medioevo, Montecassino, 2000, pp. 505-506.
7 Se si segue, poi, la cresta di Sambúcaro e si arriva in cima, a quota 1205 metri, si trova il punto di unione delle due regioni con il Lazio. Tale punto è indicato dai locali come “I Tre Confini”.
8 Riferito dal signor Antonio Matteo di Vallecupa.
9 Vedi nota n° 8.
10 Cfr. F. Valente, Il nucleo fortificato di Roccapipirozzi, in Presenzano ed il Monte Cesima, «Quaderni Campano-Sannitici III», (a cura di D. Caiazza), 2002, pp. 113-133.
11 Cfr. M. Zambardi, Venafro: emergenze archeologiche su Monte San Nazario, in «Studi Cassinati», anno XI, n° 1, 2011, pp. 15-24.
12 Vedi nota n° 8.
13 Una di queste è Marciano Verrillo, che abita nei pressi del Valico delle Tre Torri.
14 Marciano Verrillo ha riferito che alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, proprio in pieno periodo del banditismo di Monte Cèsima, che vide protagonista la banda capeggiata da Agostino Martone, furono sequestrate e buttate nella cisterna, dai membri stessi della banda, 4 o 5 pecore. L’intento era di farle dare per disperse dal pastore in modo tale che durante la notte potevano andare a prelevarle indisturbati. Ma il belare delle pecore richiamò l’attenzione di un altro pastore che avvisò il proprietario, che era del vicino paese di Ceppagna. Quest’ultimo raggiunta la cisterna, poté recuperarle.
15 Cfr. M. Zambardi, Rinvenimenti su Monte Sambúcaro. Un collare da schiavo e ceramica a vernice nera, in «Studi Cassinati», anno XII, n° 4, 2012, pp. 276-282.

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