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«Studi Cassinati», anno 2021, n. 1-2
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di Anna Maria Arciero
«L’ABATE ORDINARIO
……………..DI
……MONTECASSINO
Roma 4 giugno 1944
Collegio S. Anselmo
Via di Porta Lavernale 19
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Incoraggiato dalla grande e commovente carità che pie Istituzioni e privati hanno generosamente usata coi miei poveri sfollati dalla Badia e dalla Diocesi di Montecassino rifugiatisi a Roma, oso pregarla di qualche nuovo aiuto nelle circostanze che in questi ultimi giorni si son venute creando.
I miei diocesani cominciano ora da ogni parte a tornare nei propri paesi e primi fra loro i rispettivi Parroci. Ma in tutta la Diocesi appena una decina di Chiese sono ancora in piedi; le altre molto gravemente danneggiate o del tutto distrutte. Con la rovina delle Chiese è andata perduta la loro suppellettile e quanto è necessario al culto e all’amministrazione dei Sacramenti.
Occorre quindi urgentemente provvedere che almeno la maggior parte delle 72 Chiese parrocchiali o succursali siano fornite:
di un altare portatile arredato di quanto è strettamente necessario, cioè di tovaglie, di un Crocefisso e due candelieri;
di quanto è prescritto per la celebrazione della S. Messa: calice con patena, corporale, purificatoi, cartegloria, ampolline;
degli indumenti sacerdotali: pianeta con stola e manipolo, càmice, cingolo, amitto;
e inoltre di cotte, velo omerale e vasetti per la conservazione degli Olii santi.
Se la S.V. o l’Istituzione cui presiede può donare qualcuno degli oggetti enumerati, sia pure il più modesto, od anche altro che può prevedere utile al culto, farà certamente cosa gradita al Signore; e San Benedetto la ricompenserà con la sua valida intercessione.
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Gregorio Diamare
Vescovo Abate Ord. di Montecassino»
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Questa lettera è stata ritrovata in un cassetto della sacrestia della Chiesa di S. Lucia di Trocchio e ora è incorniciata e appesa alla parete della cappella della Misericordia nello stesso edificio religioso. Come sia finita qui non è dato saperlo, forse portata da qualche sacerdote che veniva a dir Messa la domenica, visto che a quei tempi la Chiesa non era ancora Parrocchia. Lo diventò nel 1947, quando l’abate Ildelfonso Rea venne a dare la Cresima a una moltitudine di bambini e proferì questa promessa: «Non ho niente da regalarvi, vi regalo la Parrocchia».
Nel corso dell’esilio romano successivo alla distruzione di Montecassino del 15 febbraio 1944, mons. Diamare risolse ogni sua energia «a soccorrere i profughi della Diocesi cassinese ricoverati in città o altrove, organizzando sussidi in denaro, cibi, vestiti, e un servizio di corrispondenza delle notizie per militari e civili dispersi qua e là»1.
Come riporta d. Mariano Dell’Omo nell’articolo in Ricordo di Gregorio Diamare, vescovo e abate di Montecassino, a 75 anni dalla morte. Pastore coraggioso in mezzo alla tempesta, in questo stesso numero alle pp. 95-100, il 15 maggio 1944 mons. Diamare indirizzò da S. Anselmo in Roma una lettera al cardinale Schuster in cui auspicava la riunione della comunità religiosa cassinese che risultava «sparpagliata tra S. Anselmo, S. Paolo e S. Girolamo a Roma, e tra Perugia, Farfa e Subiaco ed anche altrove», e, fra le alte cose, chiedeva che venisse dotata «delle cose più semplici e più necessarie per la vita materiale, monastica e spirituale». Allo stesso modo mons. Diamare si preoccupava della diocesi cassinese in quanto la distruzione delle chiese aveva determinato la perdita dell’archivio della curia e di «tutti gli archivi, libri e documenti parrocchiali. Inoltre in Cassino e in quasi tutti gli altri paesi gli archivi civili sono andati ugualmente distrutti o perduti. Bisogna ricominciare da capo!! Il disastro è enorme». Chiudeva scrivendo: «sia fatta sempre la volontà di Dio».
Dunque una ventina di giorni dopo, il 4 giugno 1944 quando nelle stesse ore le avanguardie delle truppe alleate facevano finalmente ingresso a Roma e già gli sfollati cominciavano a preparare il rientro nelle città e nei paesi sconvolti dalla guerra, l’abate Diamare già guardava alla ripresa della vita religiosa della Diocesi di Montecassino per cui si appellava a «pie Istituzioni e privati» chiedendo loro aiuto e soccorso a favore dei parrocchiani. Quello che colpisce, oltre alla preoccupazione per quanto manca al fine del culto e dell’amministrazione dei Sacramenti – cosa peraltro precisata dettagliatamente – è l’affetto dell’abate Diamare per i suoi diocesani, «i miei poveri sfollati» come li definisce. Si percepisce in tali parole tutta la pietà che gli attanagliava il cuore. La stessa pietà che aveva mostrato aprendo le porte del monastero a quanti bussavano e accogliendoli dovunque si potesse trovare un posticino al riparo delle bombe e sempre proferendo la sua frase di rassegnazione e fiducia nell’opera divina: «Quel che Dio vuole sarà».
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1 B. D’Onorio, Gregorio Diamare Abate di Montecassino nel cinquantenario della morte (1945-1995), Cassino 1995, p. 8.
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L’abate Diamare rimase sempre in contatto con persone e sfollati della diocesi come dimostrano queste due Cartoline postali (scritte utilizzando ancora gli stampati del fascismo) indirizzate al prof. Giuseppe ‘Peppino’ Tomasso sfollato a Nicastro, in Calabria. Nella prima redatta l’8 luglio 1944 da S. Anselmo e che riporta pure il timbro della verifica della censura alleata, scriveva: «Lietissimo avere tue notizie grazie pensiero affettuoso [?] Carlomanno morto altri tutti bene. Ierlatro [?] Natalina cercava notizie tue se ancora Roma cercherò dargliene». Nell’altra redatta a S. Elia Fiumerapido il 6 gennaio 1945 scriveva: «Carissimo Peppino, grazie di cuore dei sentimenti di affetto e di attaccamento alla mia [?] persona ed al caro Monastero, che assieme agli auguri con la tua del 26 p.m. mi esprimi anche a nome dei tuoi. Ogni giorno, ma specialmente in questo periodo Natalizio ho cercato di pregare il meglio che potevo per tutti i miei figli spirituali ormai dispersi pel mondo. Confidiamo nel Signore che tutto dispone sempre pel nostro vero bene e non abbandona chi confida in Lui. Saluti e benedizioni a te ai tuoi fanciulli ed ai parenti che sono con te» (Archivio privato Mariella Tomasso per g.c.).
Nel Diario di guerra iniziato da d. Eusebio Grossetti e proseguito poi da d. Martino Matronola nel corso delle drammatiche fasi belliche, è riportata la testimonianza della premonizione di mons. Gregorio Diamare della distruzione di Montecassino. D. Martino riferisce infatti che il 25 gennaio 1944, vari confratelli, dopo la recita del Mattutino, si erano fermati «nella stanzetta del P. Abate, che si era già messo a letto per riposo». In quell’occasione mons. Diamare riferì «di un fatto miracoloso di cui fino allora non aveva mai fatto cenno a chicchessia». Raccontò che «nei primi anni in cui era abate, per ragioni familiari dovette recarsi a Nocera dei Pagani, e la sera fu ospite dei PP. Redentoristi nel Santuario di S. Alfonso dei Liguori; ivi aveva visitato pure il P. Losito, morto poi in odore di santità; e mentre era solo nella stanza che gli avevano dato, sentì una voce che piangeva e tra i singhiozzi diceva: “Montecassino! Montecassino! Montecassino”. Questo pianto ripetuto gli dette l’impressione che quella voce misteriosa piangesse per Montecassino» e mons. Diamare, considerando gravissimi pericoli che stava correndo la Badia in quei momenti, mise «in relazione quel pianto misterioso con la distruzione di Montecassino» e interpretò «quella voce come un segno premonitore» (E. Grossetti, M. Matronola, Il bombardamento di Montecassino. Diario di guerra, a cura di F. Avagliano, Montecassino 1997, p. 69).
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