LE ANTICHE MOLE DI FONTANA LIRI

di Marcello Ottaviani
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 2012-07.jpgPochi sanno che Fontana Liri fin dai tempi più antichi è stata terra di mulini.1
Nel luogo in cui sembra che Quinto Cicerone avesse i suoi poderi, spesso visitati dall’amato fratello Marco, lungo il fiume Liri, nel 1600 e 1700 vi erano diversi mulini. Ma questi esistevano da tempo e ne abbiamo notizie nel 1221, quando, sotto il regno dell’imperatore Federico II di Svevia, il conte di Caserta Tommaso, feudatario delle terre di Fontana e di Arpino, concesse una Carta di Assisa ai Fontanesi in cui, tra l’altro, era scritto “Parimenti ai militari concediamo il macinato e il macinato dei molini…” 2 .
Altra interessante notizia sulle mole di Fontana l’attingiamo da una “Relatione” del 1579, quando il duca Giacomo Boncompagni acquistò il Ducato di Sora3. Il duca Giacomo (Jacopo) aveva bisogno di avere un quadro delle rendite delle sue terre. Incaricò della stesura della relazione un funzionario della cancelleria del Vescovato di Sora. Di Fontana questi scrive: “Questa terra detta è a banda manca del fiume [ Liri], posta in colle che pende assai; ha nel più alto una rocca di fabrica antica e trista, tutta rovinata di dentro. Può fare de circa 130 fuochi veramente e non secondo la descrition reggia; è habitata da persone assai civili per villa e fa buon vino: Confina a levante con Santo Padre, castello del marchese del Vasto, a tramontana con Arpino, a mezzo giorno con Arce et a ponente col fiume, dove V.E. ha parecchi molini da utile” 4. Le mole erano fonte sicura di reddito per i feudatari. Le mole di Fontana davano una rendita molto alta.
In un altro inventario di Giacomo Boncompagni (duca di Sora dal 1579 al 1612),  sempre del 1579, sono riportate queste notizie: “da Vangelista pallone affittuario delle mole di Fontana, dalli 16 marzo et per tutto aprile in parte della 3.a di pasqua d.ti cinquant’otto, carlini 9, gr. otto, et cavalli nove, per t.li cinquantatre et quarti doi e mezzo di grano, redutto a carlini undicii il t.lo nel modo che s’sé venduto l’altro à raggione di tomoli 429 l’anno d. 58-9.8.9  d.88-4.3.95.
I duchi Boncompagni comprarono molti mulini di Fontana: ad essere precisi frazioni di mulini, per intenderci parti di mole macinanti dei mulini. A partire dal 1619 e fino al 1644 abbiamo un lungo elenco di documenti attestanti tali compere. Le mole furono acquistate nei seguenti mulini: Mola Prima, Mola Seconda o Mola Grossa, Mola Mancina, Mola di S. Andrea, Mola di Proia, Mola di Mezzo, Li Molini, Le Mole, Mola Ultima o Mola di Là, Mola di Fontana, Mole vicino le Rave. Nei documenti consultati non si fa distinzione tra mola (palmento) e mulino.6
I proprietari delle mole di Fontana, ma il termine esatto da usare è “affittuari”, in quanto i duchi di Sora, sulla base di una giurisprudenza plurisecolare rivendicavano la proprietà del suolo, dell’uso dell’acqua del fiume e dei mulini stessi, erano riuniti in una specie di cooperativa, un’associazione, che potremmo chiamare con termine medioevale, corporazione: nei documenti viene usato il vocabolo “patronatus”. I feudatari erano costretti ad affidare la conduzione dei mulini ai privati, in quanto solo loro, con la lunga esperienza tramandata di padre in figlio, da famiglia a famiglia, erano in grado di far funzionare i macchinari complessi e delicati.
I rapporti tra i duchi Boncompagni e i padroni delle mole di Fontana non furono sempre pacifici: questi ultimi tendevano ad ignorare i diritti feudali, consolidati nei secoli, sulle acque e sui mulini, risalenti indietro nel tempo a Carlo Magno, a Federico I Barbarossa, a Federico II di Svevia, e più oltre, a tutta la giurisprudenza romana e giustinianea. I Padroni delle Mole di Fontana s’illudevano di aver raggiunto nel tempo, per diritto d’uso, una certa autonomia e libertà di azione. Ma i padroni-duchi non erano di quest’avviso e pertanto fu giocoforza giungere nel 1618 ad un chiarimento7. Il documento ha la seguente intestazione: “Fontana 3 Settembre 1618 Instrumento di Transazione tra la Ecc.ma Camera Baronale e li Padronati de Molini della Terra di Fontana Rogò Giacomo Marano Notaro di Sette Frati”. Il documento attesta con sicurezza che i “ I Signori delle Mole” di Fontana avevano raggiunto una grande autonomia nella gestione dei mulini, tanto da sfidare i duchi di Sora, che rivendicavano una quantità maggiore di farina macinata.
Ma chi erano questi padroni delle mole capaci di opporsi ai potenti duchi Boncompagni? Ecco i loro nomi: Antonio Armilleo, Antonio Proia, Domenico Proia, Biagio di Vona, Giovanni Battista Cassano (diventerà Casciano?), Valentino da Ceccano, Ferdinando Pallisco, Eleuterio Armilleo, Curzio Luchetta (diventerà Lucchetti?), Bartolomeo Golino, Bernardo Proia, Giacomo Golino, Crescenzo Golino, Salvatore Pallisco, Marco Aurelio Proia, Giovanni Domenico Pallisco, Giovanni Battista Proia, Giuseppe Venditto (diventerà Venditti?), Tarquinia Angelio, Giovanni Tommaso Armilleo, Cicerone Proia, Nicola Cecaro, Domenico Antonio Pallisco, Elena Pallisco, Cesare Pallisco, Silvano Pallisco, Bernardo Stella, Orazio Scafa, Curzio Scafa8.
Il 24 agosto 1618, convocati dal duca Gregorio Boncompagni (duca di Sora dal 1612 al 1621) si presentano nella “ Terra dell’Isola dei figli di Pietro, che è chiamata Interamna, Ducato di Sora e proprio nel Palazzo dell’Ill.mo Signore Duca di Sora Gregorio Boncompagni”, Giovanni Antonio Angelio di Arce e Ascenzio Pallisco della Terra di Fontana nominati procuratori dai padroni delle mole. Questi esibiscono la procura, rilasciata dai trasgressori fontanesi, firmata l’11 agosto 16189. I sopannominati padroni delle mole “… conoscendo in verità, che iniziando la lite, potevano ottenere una sentenza contro loro stessi, ed essendo dubbio l’esito della lite, … spontaneamente, non indotti con la forza, non con l’inganno, non con la paura, … per evitare liti, spese di liti, e altro, … hanno deciso di giungere alla nominata transazione, al patto, all’accordo”10. Era stato concesso agli antenati della Terra di Fontana di costruire dieci mole sul fiume Liri, a condizione che ogni padrone desse alla Camera Ducale metà dei beni, grano e farina, ricavati da dette mole11.
Invece col passare del tempo i padroni delle mole, oltre la metà, in farina o grano, prendono per sé qualcosa in più. Con la transazione del 1618 viene ribadito “che ogni padrone, oltre la metà del grano è tenuto a dare metà della farina [presa in più] al nominato Ecc.mo Signore con il compenso di tomoli12quattro di grano per ogni mola, e per ogni anno, in modo che si arrivi alla somma di tomoli quaranta, che debbono essere consegnati tre volte all’anno al detto Ecc.mo Signore Percettore…”  13. Non si scherzava con le leggi feudali: il patrimonio amministrato dai feudatari, nel nostro caso dai duchi Boncompagni, restava proprietà del sovrano, cioè del re di Napoli. I padroni delle mole di Fontana si erano mostrati coraggiosi sfidando i duchi di Sora. Già il defunto duca Giacomo li aveva più volte avvertiti, per cui, nel momento in cui viene stipulata la transazione, la corda era ormai troppo tesa e rischiava di spezzarsi. Ci sono punti in questo documento in cui i padroni delle mole vengono trattati con deferenza, se non addirittura blanditi, basti notare la ripetuta espressione “Domini Molendinorum”, “Signori delle Mole”, ma in un altro punto il “bastone” infiorato del duca Gregorio mostra la sua vera natura e il documento ha espressioni dure e minacciose: “… le quali cose premesse sopra possono farsi con la costrizione… . i nominati Contraenti e ciascuno di loro si obbligano ad osservare e adempiere… sotto ipoteca e obbligo dei loro beni e di quelli di tutti gli eredi… con la facoltà di impadronirsi delle sostanze…..In caso di violazione si obblighi ad una pena di venticinque once d’oro…”14.
Dopo la transazione del 1618 i rapporti tra i padroni delle mole e i duchi Boncompagni furono tranquilli, anche se i Fontanesi non dimenticarono e aspettavano l’occasione propizia per una rivalsa.
L’occasione si presentò nel 1792.
Alcuni decenni prima, nel 1743, i Deputati di Fontana avevano redatto il Catasto Onciario15. Vennero tassati anche i beni burgensatici16 del duca di Sora. I mulini di Fontana del duca non vennero tassati, perché ritenuti feudali. Nel 1792, il 19 ottobre a Fontana erano stati eletti “inter cives”, per stabilire la tassa annua, Antonio Palleschi, Notar Giacomo Bianchi e Notar Giuseppe Venditto. Furono “ritrovati” 30 “istrumenti” di compere di mole degli anni 1643-1644, di cui si è fatto cenno più sopra, per cui fu intimato alla  Camera Ducale di Sora di pagare le somme arretrate all’Università di Fontana, somme ammontanti a 6666 once annuali, che, moltiplicate per gli ultimi dieci anni, giungevano a ducati 5900 circa, somma considerevole anche per i duchi di Sora. Si ordinò inoltre all’affittuario delle mole Pacifico Giannetti di non versare l’affitto all’Erario Ducale. Seguì una nuova lunga vertenza, ma anche questa volta il barone non pagò. Venne ribadito ancora una volta che i mulini sul fiume Liri erano proprietà del barone, come pure il suolo e l’acqua del Liri. Come spiegare allora la vendita delle mole ai duchi di Sora? Il pagamento delle mole non fu altro che un indennizzo, una contropartita, per i macchinari delle mole installati dai privati cittadini: “L’acquisto delle Machine indi fattone da medesimi Baroni [sono] una inseparabile accessione al Feudo; ne risulti sempre incontrovertibile la feudalità, a pari dell’acqua e del suolo, e conseguentemente non abbia diritto l’Università di Fontana di pretendere la bonatenenza….”17. Bisogna aggiungere che alla fine del 1700 dei dieci mulini posseduti dai duchi di Sora, ne erano rimasti solo tre, tra cui le “Mole Vecchie”.18
Nel 1796 il Ducato di Sora venne reintegrato nel Regno di Napoli e i mulini ex-baronali di Fontana Liri, tra cui le “Mole Vecchie”, divennero demanio reale19. Giuseppe Bonaparte, re di Napoli dal 1806 al 1808, promulgò la legge n. 130 del 2 agosto 1806, che abolì la feudalità. A Giuseppe Bonaparte subentrò come re di Napoli Gioacchino Murat, che istituì una Commissione Feudale, presieduta da David Winspeare (1775-1847), con il compito di dirimere le controversie feudali. Il Decurionato di Fontana presentò una istanza alla Commissione Feudale e “… pretese inoltre che il duca versasse alle casse comunali le imposte regie sui mulini e sui frantoi….”. La Commissione Feudale, nelle sedute dell’11 gennaio e 30 aprile 1810 “… condannò il duca di Sora a pagare la bonatenenza sui beni burgensatici dalla pubblicazione del catasto (1852) e gli altri pesi reali…”20.
Anche se tardi, i Fontanesi avevano avuto giustizia.
Dopo la Restaurazione (1815) i mulini di Fontana tornarono a far parte del demanio del Regno di Napoli. Si perdono le tracce degli altri mulini e si hanno notizie certe delle “Mole Vecchie”, che, dopo la proclamazione del Regno d’Italia (1861), divengono demanio dello stato.
Nel 1864 il Comune di Fontana si rivolse al Real Corpo del Genio di Caserta, Direzione Opere Pubbliche, per avere l’approvazione per lavori a queste mole. La Prefettura, dopo gli accertamenti d’obbligo, approvò la spesa complessiva di lire 241,2521.
Trovandosi in gravi difficoltà economiche, con successive leggi, lo stato italiano decise di vendere parte dei suoi beni demaniali e parte dei beni ecclesiastici22. Le “Mole Vecchie” di Fontana furono messe all’asta: con processo verbale del 18 agosto 1869 il signor Emile Grevenich acquistò il mulino sunnominato23.
Nell’ultimo decennio del sec. XIX si verificarono avvenimenti che dovevano cambiare il volto di Fontana Liri. Su pressante e determinante interessamento  di Federico Grossi24, avvocato e deputato arcese, fu scelta Fontana Liri per la preparazione del nuovo esplosivo, indispensabile alle forze armate italiane, che allora si chiamava “polvere senza fumo”25. Di Fontana Liri fu scelta la zona pianeggiante,  poco popolata, vicina al Liri, indicata come Santa Maria dei Zapponi. Si rese indispensabile l’espropriazione di diversi terreni per la costruzione del nuovo stabilimento e fu necessario redigere tutti i documenti per il rimborso agli espropriati. Molti documenti sono conservati nell’Archivio di Caserta. Alcune proprietà di questa zona, tra cui le “Mole Vecchie”, appartenevano a Chiara Carolina Levasseur, vedova Doumic, erede di Emile Grevenich26. Anche questi terreni con le “Mole Vecchie” furono espropriati per far posto al nuovo stabilimento. Al fine di rimborsare le proprietà espropriate, furono stese accurate relazioni da parte delle autorità militari. Abbiamo perciò, per nostra fortuna, una dettagliata descrizione delle “Mole Vecchie” con i relativi disegni e piantine. Il mulino era composto di due locali, l’uno con una macina per il grano, l’altro con due macine per il granoturco. Le macine, di pietra dura arenaria, avevano un diametro di m. 1,35 e uno spessore di cm. 28. Vicino alla macina del grano vi era un buratto con setacci, che serviva a separare il grano dalle impurità. Sotto il pavimento vi erano due canali, che portavano l’acqua alle mole. Molti ingranaggi erano ancora in legno27.
I mulini ad acqua sono stati fino all’inizio del Novecento uno degli elementi costitutivi del nostro paesaggio rurale. Ancora nel 1901 nel Comune di Fontana Liri la popolazione, per lo più contadina, sparsa nelle campagne, era del 61,7 %28. In questo contesto, anche con l’introduzione del vapore e poi dell’elettricità, il mulino ad acqua era indispensabile. Il primitivo mulino ad acqua, con le pietre macinanti29era preferito nelle piccole comunità, perché dava la macinazione a fondo, che forniva la massima quantità di farina possibile. “Il ceto agricolo … non dà molta importanza alla netta separazione delle farine dalla crusca, dal momento che essa gli occorre per l’alimentazione del bestiame e anche perché il contadino servendosi di un mulino primitivo può controllare più facilmente la quantità di grano che egli fa macinare, dal momento che in lui è radicata l’abitudine di servirsi del proprio grano”30.
Con la fine dei mulini ad acqua è tramontato un mondo intero, popolato di figure che sono rimaste impresse nella nostra immaginazione: il mugnaio e la mugnaia, gli asini con i sacchi, il cavallo e il carretto, l’odore caldo della farina, l’odore pungente dell’urina degli animali, il rumore dell’acqua e delle macine …
Spiace dover sottolineare che “Le Mole Vecchie”, (come altri mulini di Fontana e della Valle del Liri), poteva essere salvato e divenire un monumento archeologico-industriale, ma le leggi del progresso sono inesorabili: doveva essere abbattuto per far posto alla nuova centrale idroelettrica del polverificio.31
Vogliamo chiudere con una battuta ottimistica? Le mole sono scomparse, ma ci è rimasta la… “Sogliola alla mugnaia”! *

1 In questo lavoro quando parliamo di  mulino o mola, intendiamo mulino ad acqua.
2 “Item militibus concedimus molendina, …Et moletura de molendinis…”. Il documento (conservato nell’Archivio Caietani, al n. 665) è riportato da Generoso Pistilli in “Fontana Liri due centri una storia”, Fontana Liri, 2000, pagg. 78 e 86.
3 Il ducato di Sora, di cui faceva parte la Terra di Fontana, era stato possesso dei Cantelmo (1439-1471), dei Della Rovere (1472-1516), dei di Croy (1519-1533), ancora dei Della Rovere (1533-1573) e infine dei Boncompagni (poi Ludovisi) (1579-1595-96).
4 Archivio Segreto Vaticano, Archivio Boncompagni-Ludovisi, prot. 29,20; Sergio M. Pagano, “Fonti per la storia del Ducato di Sora nell’Archivio Boncompagni-Ludovisi”, in “Latium”, 2-1985, Appendice 5, pag.232.
5 Ferdinando Corradini, “…di Arce in Terra di Lavoro”, Arce 2004, vvol. II, pagg. 153 e 157. Corradini attinge tali dati dall’Archivio di Stato di Urbino, I, G. 216, fogli 811-815.
6 A SV, Archivio Boncompagni Ludovisi, prot. 38.
7 Ivi, prot. 38, pagg.14-19 recto e verso. Trascrizione e traduzione dal latino del documento del 1618 sono dell’Autore del presente lavoro
8 Ivi, pag.15.
9 Ivi, pag. 14 verso.
10 Ivi, pag. 17.
11 Ivi, pag. 16 verso.
12 Il tomolo napoletano equivaleva a circa 52 litri e serviva a misurare prodotti sfusi, come grano, granturco, orzo, farina, legumi, ecc…
13 Ivi, pag. 17 recto.
14 Ivi, pag. 16 recto e verso.
15 Il re di Napoli Carlo III di Borbone, con dispaccio del 4 ottobre 1740, introdusse il Catasto Onciario, così detto perché la riscossione delle tasse era fatta in once (l’oncia napoletana valeva 1/6 del ducato).
16 Burgensatico o allodiale: patrimonio, generalmente fondiario, ereditario, non feudale, di piena proprietà del titolare.
17 ASV, Archivio Boncompagni-Ludovisi, “L’Illustre Duca di Sora contro L’Università, e Cittadini della Terra di Fontana”, 1795, prot. 39, pagg. 344-354 recto e verso.
18 Un altro mulino, La Mola dello Zippo, venne costruito nel 1714 vicino al lago Solfatara ed era animato con la sua acqua; altro mulino sorgeva ove ora c’è l’ex-stabilimento Tersigni e si chiamava Mola vecchia: devo queste notizie alla cortesia della signora Amelia Tersigni, vedova Schirinzi, che ringrazio di cuore. Nella zona detta Fontecupa, di fronte ad Anitrella, esistevano altri due mulini, quello della famiglia Nicolamasi e quello detto Mola di Regno.
19 Ferdinando Corradini, “Un inedito di Federico Grossi: ‘Come fu prescelto Fontana Liri per il nuovo Polverificio’”, in “Terra dei Volsci”, 1, 1998. A pag. 141 scrive F. Grossi: “…al quale quel Cespite [ le Mole Vecchie] era passato per il soppresso maiorascato d’uno dei figli del Borbone”.
20 Generoso Pistilli, op. cit., pagg. 126-127. Pistilli cita l’ASN, “Bollettino delle sentenze emanate dalla Suprema Commissione feudale…” , Bollettino n. 1 del 1810, sentenza n. 14 e Bollettino n. 4 del 1810, sentenza n. 146.
21 ASCE, Prefettura, Affari Amministrativi, I, fasc. 2213; G. Pistilli, op. cit., pag. 169.
22 “Quotizzazione dei beni comunali” (1861); Legge di alienazione del demanio dello stato (1862); “Eversione dell’asse ecclesiastico” (1866-1867). Alla fine della III guerra d’indipendenza del 1866, con la sconfitta di Custoza contro l’Austria, il disavanzo dello stato era piombato a 721 milioni di lire!
23 ASCE, Prefettura, I serie, cat. 16 b. 50 fasc. 111. La figura di Emile Grevenich meriterebbe una trattazione a parte. Era nato a Parigi l’1/6/1806 da Francois Joseph e da Jaquotot Marie-Antoinette-Emilie nel 4 arrondissement (devo queste notizie al dott. Fabio Bianchi che ringrazio). Negli anni quaranta del 1800 lo troviamo direttore della Cartiera del Fibreno. Negli Atti Notarili dichiara di essere domiciliato a Montemontano (Isola Liri). Acquista grandi proprietà di qua e di là del Liri (Fontana Liri, Colli di Monte S. Giovanni Campano). Probabilmente era un informatore del Governo Pontificio di Monte San Giovanni Campano. Fece costruire il ponte che unisce la provinciale Valle del Liri con Colli, che ancora è detto “Ponte del Francese”. Cfr. P. Valeriani-F. Velocci, “Colli”, 1998; Marcello Ottaviani, “Cartiera Piccardo di Fontana Liri” 2010; F. Corradini, “Un inedito di Federico Grossi…”, op. cit.; ASV, Archivio Boncompagni Ludovisi “ Pel Principe di Piombino D. Antonio Ludovisi Buoncompagni, non che Pel Principe D. Baldassarre Ludovisi Buoncompagni contro il Sig. Emilio Grevenich, ed altri, prot. 39, n. 179, Napoli, 1861.
24 Su questo importante personaggio cfr. Ferdinando Corradini, “…di Arce…” , op. cit., vol. III, pagg. 103-107 e “Un inedito di Federico Grossi…” , art. cit.
25 Era stato Alfredo Nobel (Stoccolma 1833-San Remo 1896) a produrre la dinamite e la polvere senza fumo.
26 Di tutte le questioni giuridiche riguardanti le espropriazioni e i rimborsi a favore della Levasseur, erede Grevenich, si occupò Federico Grossi, cfr. ASCE, Prefettura, fasc. 110-111.
27 ASCE, Prefettura, I serie, cat. 16, fasc. 110 .
28 Maria Teresa Protasi, Operai e contadini della Valle del Liri, Sora 2002, pag. 271. Solo nei decenni successivi il Polverificio cambiò l’economia di questo comune.
29 I mulini a cilindri si diffusero prima nei grandi centri, in quanto la popolazione delle città aveva bisogno di diversi tipi di farina (pane, dolci, ecc…). Cfr. Giovanni Alberti, Mulini, mugnai e problemi annonari dal 1860 al 1880, Giunti, Firenze, 1970.
30 G. Negri, La macinazione agricola dei cereali per un migliore sfruttamento, Milano, 1930, pag. 79.
31 Ad Anitrella di Monte S. Giovanni Campano è operante un mulino con macine in pietra, di cui si hanno notizie già nel sec. XV, perfettamente efficiente, nel 1800 proprietà dei conti Lucernari, ora di Gerardo Caldaroni.* Questo scritto è parte di un lavoro più vasto sulle mole di Fontana, che l’Autore spera di pubblicare al più presto.

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