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«Studi Cassinati», anno 2022, n. 3
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di Vincenzo Ruggiero Perrino
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Nei numeri 2 e 4 del 2017 di questa Rivista venne pubblicato un Profilo storico dello spettacolo e del teatro nel Lazio Meridionale, nel quale, partendo dall’antichità romana e giungendo alla prima metà del Novecento, si tracciava un quadro delle esperienze sceniche, drammaturgiche e più in generale legate al multiforme mondo dello spettacolo, relative al territorio identificabile con l’attuale provincia di Frosinone. A quegli esiti, si aggiunse, nel numero 1-2 del 2020, una Prima Addenda, con i frutti di nuove ricerche. In questa Seconda Addenda si forniscono ulteriori risultati delle indagini condotte negli ultimi tempi.
Per quel che concerne l’antichità classica, bisogna riferire che tra i reperti ritrovati nel sito archeologico dell’antica città romana di Fregellae (precisamente laddove sorgevano le terme) e conservati presso il locale Museo Archeologico «Amedeo Maiuri», è possibile ammirare una suggestiva serie di lastre fittili, decorate con maschere tragiche a rilievo. Ammesso che le lastre fittili si riferiscano ad un’attività teatrale cittadina, è da precisare che gli spettacoli teatrali di Fregellae si svolgessero verosimilmente su costruzioni provvisorie e palcoscenici removibili (la costruzione di teatri in pietra sul territorio romano non iniziò prima della seconda metà del I sec. a.C., quando ormai Fregellae non esisteva nemmeno più).
Al teatro va, con ogni probabilità, ricondotto anche il nome dello scrittore fregellano Terenzio Libone. Benché la critica tardo ottocentesca lo abbia voluto inserire tra gli oratori, al pari dell’altro poeta fregellano Lucio Papirio1, più probabilmente egli fu un commediografo. Infatti, l’unica notizia riferita a Terenzio Libone la leggiamo nella Vita Terentii di Donato, che scrive: «Nam duos Terentios poetas fuisse scribit Maecius, quorum alter Fregellanus fuerit Terentius Libo, alter libertinus Terentius Afer patria». La citazione, che lo accosta al più celebre Terenzio, induce a credere ad una comunanza letteraria, e dunque anche Libone potrebbe essere stato un commediografo, grosso modo coevo al più noto omonimo (e quindi attivo nel II sec. a.C.).
Al II sec. a.C. è ascrivibile anche l’opera di Quinto Valerio Sorano, vissuto tra il 140 circa a.C. e l’82 a.C. Poeta, grammatico e tribuno della plebe nella tarda Repubblica, venne giustiziato sotto Silla, per aver favorito il rituale dell’evocatio. Infatti nell’antichità era consuetudine comune non rivelare il vero nome della città e Quinto Valerio Sorano, nel turbolento periodo della guerra civile tra Mario e Silla, fu condannato alla pena capitale per aver rivelato, nella sua opera Epoptides (I misteri svelati), il nome segreto di Roma (questa fu la ragione ufficiale della sua morte, che Plutarco più verosimilmente fa dipendere dalla sua vicinanza politica a Mario), che avrebbe potuto essere nominato impropriamente dai nemici di Roma tramite il rituale dell’evocatio. Il racconto è di Servio Mario Onorato, grammatico e commentatore del IV secolo d.C., che scrive: «Denique tribunus plebei quidam Valerius Soranus, ut ait Varro et multi alii, hoc nomen ausus enuntiare, ut quidam dicunt raptus a senatu et in crucem levatus est, ut alii, metu supplicii fugit et in Sicilia comprehensus a praetore praecepto senatus occisus est»2.
Definito da Cicerone (De oratore, 3.43) come litteratissimum togatorum omnium, Quinto Valerio Sorano ebbe una vastissima cultura, versato nelle Graecis litteris et Latinis. L’unica sua opera certa è la citata Epoptides, ma pochissimi sono i frammenti che ci sono giunti. Alcuni brani di Quinto Valerio sono trasmessi dal De Civitate Dei di Agostino, ma possediamo altre citazioni indirette3. Una di queste, che ci viene da Varrone, lega il nome di Quinto Valerio al teatro tragico a lui coevo, e in particolare ad Accio. Scrive Varrone (LL, 10.70): «Accius in tragoediis longius a prisca consuetudine movere coepit et ad formas Graecas verborum magis revocare, a quo Valerius ait: “Accius Hectorem nollet facere, Hectora mallet”». Che il Valerius nominato sia proprio Valerio Sorano è cosa acclarata: qui Varrone lo nomina solo con il nome, dal momento che in precedenza (7.31) lo ha nominato in forma estesa. Valerio aveva conoscenza delle tragedie di Accio, che verosimilmente avrà potuto vedere rappresentate a Roma, città nella quale possedeva sicuramente una casa4.
A Sant’Elia Fiumerapido sono state ritrovare delle iscrizioni epigrafiche di un qualche interesse per l’argomento teatrale. Una in particolare (CIL X 5282, purtroppo oggi dispersa), conteneva un carme sepolcrale per il liberto C. Quinctius Protymus. Era stata dettata da C. Quinctius Valgus, magistrato di età sillana, il quale, in qualità di duoviro quinquennale, fu costruttore sia dell’anfiteatro5 che del theatrum tectum6 di Pompei.
Sempre con riferimento all’epoca antica, bisogna segnalare l’esistenza di un rilievo marmoreo, rivenuto in Anagni, recante la rappresentazione della danza dei Salii7. Della originaria composizione, restano tre figure maschili in costume sacro, le quali sono intente in una sorta di processione rituale, vestiti con ricchi ornamenti. È evidente che sia raffigurata una danza di carattere solenne, probabilmente quella dei Salii, attesi i particolari delle tuniche, degli scudi, delle aste ed elmi che ne erano il corredo sacro secondo le fonti, Dionigi di Alicarnasso e Plutarco su tutti.
Per quel che attiene all’anfiteatro atinate, nuovi studi condotti recentemente, ne confermano l’ubicazione nella zona attualmente occupata dal civico cimitero8.
Presso il Museo della città di Aquino è possibile vedere un sarcofago romano, dalla forma a vasca, in marmo bianco e scolpito ad altorilievo. Questo reperto (che, in base ad una valutazione stilistica, è ascrivibile alla fine del III sec. – inizi del IV sec. d.C.) era stato scoperto nel 1872 all’interno della Chiesa romanica di Santa Maria della Libera, che sorge laddove un tempo c’era la necropoli orientale della città romana di Aquinum. Nel 1991 era stato rubato; poi era stato ritrovato nel 2012 dalla Guardia di Finanza in una collezione londinese e riportato nella cittadina. È interessante ai fini di questo profilo, perché sulla parte frontale è ritratta una vivacissima scena di gara di quadrighe nel Circo Massimo (peraltro non esistono che una decina di esempi di sarcofagi decorati con scene del genere): quattro carri trainati ciascuno da quattro cavalli s’inseguono lungo il circuito. Gli aurighi indossano una realistica divisa con casco e frustino. Le redini girano intorno alla loro vita in modo da mantenere la presa. I cavalli, con finimenti curati, criniera ordinata e coda annodata, sono rappresentati in una impetuosa posa rampante. Sotto le loro zampe quattro inservienti, con anfore tra le mani, si protendono a rischio della vita, per favorire la propria squadra: l’acqua forse serviva per tenere bassa la polvere del circuito o rinfrescare gli animali. Sullo sfondo della scena alcuni monumenti tipici della spina del Circo Massimo: i marcatori del giro di pista (le mete), edifici sacri, strutture contagiri con simbolici delfini e uova; una statua alata della Vittoria, con corona e ramo di palma per premiare l’auriga vittorioso, che verosimilmente è da identificare con il defunto per il quale il sarcofago era stato preparato9.
Per pura curiosità storica, segnaliamo infine che in un libro del napoletano M. Pyrrho Liguori, andato in stampa nel 1552, l’autore chiarisce un dubbio interpretativo circa la presenza di un teatro a Boville: «Non si può uscir degli errori fatti per la simiglianza de nomi moderni con gli antichi. Da la quale ingannati hanno creduto, alcuni, che capo di Boue presso san Sebastiano, altri, che Bauco sia Bovilla. Ma come può ne l’uno, ne l’altro di questi luoghi esser Bovilla? Come dice Marco Tullio, pro Milone, se Bovilla era nella via Appia, o come accenna anzi mostra chiaro Persio nella sesta Satira, tra Albano, o Aricia, a tredici o quattordici miglia da Roma: Bauco è […] nella via Latina, nel paese degli Hernici lontanissimo»10.
Risale al tardo X sec. il cosiddetto «Scrigno di Veroli», un contenitore in avorio e metallo, realizzato a Costantinopoli e attualmente conservato presso il «Victoria and Albert Museum» di Londra. Precedentemente, fino al 1861, faceva parte del tesoro della cattedrale della cittadina ernica. Presumibilmente, venne realizzato per una persona vicina alla corte imperiale di Costantinopoli, con il proposito di fare da custodia per gioielli e ampolle di profumo. Questo cofanetto è composto da pannelli intagliati che mostrano scene della mitologia greca e romana: sul coperchio è una rappresentazione del ratto di Europa; sul fronte sono scene dalle storie di Bellerofonte e Ifigenia. Ma la sua peculiarità è la rappresentazione, sul retro, di una processione dionisiaca con un carro istoriato con pantere e una ninfa in sella ad un cavalluccio marino. Lo spettacolo è accompagnato dalla presenza di un ensemble di musicisti e tre danzatori: gli strumenti musicali e l’iconografia della danza, permettono, ad uno sguardo più attento, di distinguere molti elementi della vita quotidiana del periodo di mezzo dell’impero bizantino, nascosti sotto la patina antica delle decorazioni11.
Fu attivo nella prima metà del XIII sec. Stephanus de Sancto Georgio, un letterato mediolatino nativo di San Giorgio a Liri, uomo di corte ed esponente di rilievo dell’ars dictandi. Arte che divenne il modello di qualunque dettato, comprendente anche la letteratura d’invenzione, tanto quella scritta in latino quanto quella in volgare. E che mostra molte vicinanze con l’ars narrandi e le poetriae, che furono alla base della nascita della commedia elegiaca. In generale la Terra di Lavoro fu il luogo dove prese corpo una tradizione stilistica retorico-epistolare nota come “scuola di Capua”, che formò numerosi e importanti dictatores, attivi presso le cancellerie papale, sveva, ed angioina, nonché in altre corti d’Europa. Tale tradizione, che può essere fatta risalire ad Alberico di Montecassino, autore attorno al 1080 di uno dei più antichi trattati in materia, il Breviarium de dictamine, e nella quale sono confluiti apporti di varia provenienza, culmina nel suo più celebrato esponente, il capuano Pier della Vigna, protonotario e logoteta imperiale di Federico II di Svevia e noto anche al di fuori dell’ambito specialistico grazie a Dante, che lo ha immortalato nel XIII canto dell’Inferno. Altri esponenti dell’ars dictandi sono Tommaso da Capua, Terrisio d’Atina, Tommaso da Gaeta, e Taddeo da Sessa. Infine Stefano di San Giorgio, che operante nel periodo immediatamente successivo alla disfatta degli Svevi, può essere considerato come l’ultimo grande esponente di questa scuola.
Nel nome di Tommaso D’Aquino e sulle sue posizioni nei confronti dello spettacolo teatrale, va segnalata anche la circostanza che molti attori e teorici seicenteschi si avvantaggiarono delle idee del santo in materia teatrale. Tra essi Pier Maria Cecchini, che a Lione nel 1601 pubblicò l’anonimo libretto Trattato sopra l’arte comica cavato dall’opere di san Tomaso e da altri santi, nel quale ci sono ripetuti riferimenti all’Aquinate12.
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Il XV SECOLO
Uno dei massimi umanisti quattrocenteschi fu Martino Filetico, nativo di Filettino, ma che legò il suo nome soprattutto a Ferentino. Qui, infatti, trascorse gli ultimi anni di vita, organizzando nella propria casa una vera e propria scuola pubblica. Fu poeta, retore, studioso di codici antichi, commentatore, traduttore (sia dal greco che dal latino, cosa di straordinaria eccezionalità nel Quattrocento). La sua opera più importante – non a caso in forma dialogica – sono i Dialoghi urbinati, conosciuti anche come le Iocundissime disputationes, scritti alla corte dei Montefeltro. In questa rassegna è importante citarlo, poiché il Filetico fu autore di un commento all’Ars Poetica di Orazio (tramandatoci dal Cod. Ottob. Lat. 1256 conservato alla Biblioteca Vaticana), opera nella quale il poeta latino detta le “regole”, sulla falsa riga della Poetica aristotelica, per la composizione delle opere teatrali. Fu Giovanni Mercati, leggendo più attentamente dei suoi predecessori le note in margine ai testi dell’Ottob. Lat. 1256, ad attribuirne la paternità a Martino Filetico. Lo studioso identificò l’estensore materiale dei commenti in Mariano de Blanchellis, che appunto ebbe la semplice funzione di mettere per iscritto i commenti, in qualità di allievo del Filetico. Si tratta dunque della revisione degli appunti “di classe” di uno dei più solerti allievi del Filetico presso lo Studium Urbis13.
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Il XVI SECOLO
Con riferimento al musicista monticiano Giovan Tomaso Cimello, vissuto nel XVI secolo, che abbiamo già ricordato come teorico (Della perfettione delle 4 note maggiori massima, longa, breve, semibreve), dobbiamo accennare al fatto che compose un madrigale per una commedia rappresentata a Napoli dall’Accademia dei Sereni (della quale faceva probabilmente parte). Il che ha indotto a credere che Cimello fosse napoletano14. In realtà, nacque e morì a Monte San Giovanni Campano. Però, a Napoli, ebbe la sua fioritura come musicista. Del resto la città partenopea poteva vantare una consolidata tradizione musicale, grazie anche al mecenatismo del re Alfonso d’Aragona, alla cui corte operavano Johannes Tintoris (direttore del coro) e Franchino Gaffurio (amico di Leonardo da Vinci e autore del Theoricum opus musicae disciplinae15). Al 1518 potrebbe risalire il suo incontro a Sora con l’inventore della stampa musicale Ottaviano Petrucci, come egli stesso ricorda nel trattatello Della perfettione delle quattro note maggiori: «Ottauiano Petrucci da Forosempronio famoso stampatore, ch’io l’ho conosciuto, e gl’ho parlato, non posso dire il quando e ’l come, ma in Sora Città famosa degli Equicoli». Al periodo napoletano appartengono il suo probabile accoglimento nell’Accademia dei Sereni e soprattutto la pubblicazione delle sue due raccolte musicali: Canzone villanesche al modo napolitano a tre voci di Thomaso Cimello da Napoli Con una Bataglia villanescha a tre del medesimo autore nuovamente poste in luce. Libro primo (Venezia 1545), e Di Giovanthom. Cimello / Libro primo de canti a quatro voci / Sopra Madriale et altre Rime Con li Nomi delli loro authori volgari et con le / Più grande necessarie osservanze instromentali, e più convenevoli avvertenze / De toni accio si possono anchora Sonare / et Cantare insieme (Venezia 1548). Questo secondo tomo comprende trenta componimenti su varie forme poetiche: canzoni, madrigali, terze rime, ottave, i cui testi, di autori di chiara fama (Petrarca, Bembo, Ariosto, Vittoria Colonna ecc.), risultano tuttavia liberamente adattati dal musicista.
Il frate predicatore Giacomo Affinati di Acuto, attivo alla fine del ‘500, fu autore di opere dottrinarie in forma dialogica, che però non hanno nulla a che vedere con il teatro o lo spettacolo16.
Nel 1575 a Giacomo Buoncompagni, duca di Sora, venne dedicata un’ampia antologia poetica, curata da Mutio Manfredi, e contenente liriche di diversi autori e ispirate da Donne romane, a ulteriore segno della munificenza del duca verso le manifestazioni di carattere letterario e culturale.
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Il XVII SECOLO
Nuove notizie si aggiungono a quelle inerenti le opere rappresentate o date alle stampe nel corso del Seicento. Horatio Silvestri, di origine pofana e autore di una Constanza. Trionfo del martirio di S. Sebastiano (1604) fu canonico di Santa Maria in Cosmedin a Roma; fu anche il segretario del cardinale Ascanio Colonna – al quale l’opera è dedicata –; e morì a Roma il 12 settembre del 1610.
Nel 1614 viene dato alle stampe il volumetto Amor pudico, ideato da Giacomo Cicognini, appartenente alla romana Accademia degli Humoristi (con lo pseudonimo di “Il Confidente”). Questi “festini e balli danzati” vennero messi in scena per le nozze del principe di Venafro Michele Perretti con la principessa Anna Maria Cesis, nel palazzo della Cancelleria a Roma. L’edizione, che venne stampata a Viterbo, è particolarmente ricca ed include una preziosissima lettera di Romolo Paradiso, nella quale è descritto piuttosto dettagliatamente tutto lo svolgimento dello spettacolo. Il Paradiso riporta i nomi di tutti gli attori, tra i quali elenca anche il “Sig. Pietro Ciamoricone”, che era un suddiacono e cerimoniere pontificio, originario di Sezze. Infine, viene specificato che le scenografie ritraenti la “Roma nuova”, furono realizzate da Tarquinio Ligustri di Viterbo, al quale «glie ne commise la cura il Sig. Berardino Cesari fratello del Sig. Cav. Gioseppe d’Arpino: i cui pennelli non comportano, che questo nostro secolo riguardi con l’invidia l’antico». Inoltre, il Cavalier d’Arpino fu autore del frontespizio inciso per l’edizione de Le Rime del sig. Francesco Balducci, pubblicate nell’aprile del 1631. In esso, firmato come “Eques Ioseph Caesar Arpinas Inventor”, appaiono due fanciulle con strumenti musicali.
Presso la Sala «Lucchesi Palli» della Biblioteca Nazionale di Napoli, sono conservate tre opere manoscritte di Matteo Pagani, drammaturgo che abbiamo più volte incontrato nella storia teatrale del Seicento, particolarmente legato al nome del Cavalier d’Arpino. Le tre opere in questione sono radunate sotto il titolo complessivo di Opere di Matteo Pagani detto il Vigilante, e vennero composte e portate in scena in un periodo che va dal 1619 al 1632. La prima di esse si intitola Li travagli amorosi, una commedia agrodolce in quattro atti. Ad essa segue Il limbo, o vero Attolide Porta, una tragedia spirituale in tre atti, che venne rappresentata proprio ad Arpino «nella festa di S. Pietro martire di essa terra protettore» nel 1632. Chiude il trittico la commedia La vedova che venne dedicata proprio a Giuseppe Cesare d’Arpino (la dedica reca la data del novembre 1629); in coda al testo dell’opera seguono un madrigale e nove sonetti. Peraltro, sempre al Cavalier d’Arpino, il Pagani dedicò una curiosa operetta dialogica, intitolata Dialogo della Vigilanza (da cui egli dovette probabilmente trarre il suo pseudonimo “accademico”), stampata a Roma nel 1623, «nella quale si mostra quanto sia utile à ogn’uno abbracciare la Virtù, & fuggire l’otio; e si dichiara il presente stato con la destinazione del Campidoglio».
Della famiglia Colonna di Paliano, dedicataria di numerose opere teatrali, faceva parte anche il principe di Sonnino, Federico, primogenito del Gran Contestabile di Napoli, al quale nel 1622 venne dedicata la commedia pastorale Duello di amore e fedeltà di Lorenzo Guidotti. Alcuni esemplari dell’opera conservano una striscia di carta incollata sul frontespizio sulla parola Sonnino, corretta con Paliano; analogamente avviene per l’intestazione della dedica. Infine, questa operetta è accompagnata da un particolare aneddoto, che apprendiamo da una nota manoscritta alla fine dell’esemplare conservato presso la Biblioteca Nazionale di Firenze: «Qui seguirebbero gli Campi elisi egloga di Lorenzo Guidotti. Dedicata all’Ill.mo et ecc.mo Sig.re Il Sig.r D. Girolamo Colonna secondo Genito del Gran Contestabile di Napoli. Della quale opera non si ottenne il Publicetur».
Nel 1625, il principe Carlo Colonna (terzogenito) patrocinò il festino fatto nelle nozze del suddetto Federico con Margherita d’Austria, durante il quale venne rappresentato Amor Perfetto dello stesso Lorenzo Guidotti. Quest’ultimo fu particolarmente prolifico, tanto da dare alle stampe altre opere dedicate ai Colonna: Li duoi banchi (definito “pratica allegorica” e dedicato a Marco Antonio Colonna, quartogenito del Gran Contestabile); Il bosco (commedia boschereccia per il quintogenito, Giovanni Colonna); Sdegno de ingiusto amore (“traggi pastorale” per il sestogenito Prospero Colonna pubblicata nel 1626 e chiusa anche questa da una nota manoscritta analoga a quella suddetta, ma riferita ad una tragedia chiamata Giusti sdegni e dedicata al settimo figlio Pietro Colonna, della quale si negò l’imprimatur).
Rimanendo nell’ambito della famiglia Colonna, alla “Illustrissima & Eccellentissima Signora D. Anna Colonna Barberini” venne dedicata (nel giorno del suo onomastico del 1628) la “sacroscena” L’infecondità feconda d’Anna santissima madre della Madre di Dio, scritta da padre Berardino Turamini, minore osservante17. Nel 1641 nella casa romana del Cardinale Colonna va in scena con il patrocinio di monsignor Francesco Angelo Rapaccioli (che diventerà cardinale due anni dopo) la commedia dello spoletano accademico “Occupato” Gioseppe Spinio La luna nel pozzo, stampata quello stesso anno a Viterbo. In occasione dei festeggiamenti carnevaleschi dell’anno 1647, il Contestabile Marcantonio V Colonna patrocinò il carro musicale Il trionfo della fatica, un dramma in musica scritto da un non meglio noto “poeta inesperto” e musicato da Filiberto Laurentij18.
Nel febbraio del 1651 vengono rappresentati per ben due volte Tre intermedi di tre attioni ridotte all’unità d’un dramma musicale, probabilmente in forma di prologo e intermezzi intercalati ad un altro lavoro drammatico in tre atti. Le recite avvennero a Roma, in casa di Margherita Branciforte, principessa di Butera (una cittadina siciliana nei pressi di Gela), e vedova di Federico Colonna. Benché caso non unico, questo spettacolo si segnala per essere stato eseguito interamente da sole donne.
Nel 1669 a Lorenzo Honofrio Colonna viene dedicato il dramma per musica del lucchese Francesco Beverini, Il Demofonte, che già era stato precedentemente messo in scena (e stampato) a Palermo, e che successivamente verrà nuovamente rappresentato e stampato a Torino e a Firenze. Al medesimo principe romano (nella cui casa in Borgo andò in scena nel carnevale del 1676) verrà dedicato anche il dramma per musica La donna è ancora fedele, scritto dall’abate Domenico Filippo Contini, e più volte ristampato.
Nel 1671 alla principessa Maria Mancini Colonna viene dedicato Il novello Giasone, nel teatro di Tordinona. Il testo di Giacinto Andrea Cicognini e musicato da Francesco Cavalli era andato in scena a Venezia nel 1649, con il titolo di Giasone, ottenendo uno straordinario successo. Per la rappresentazione romana al «Tordinona», Filippo Acciaioli fu incaricato di apportare qualche modifica comica all’opera, mentre la parte musicale fu completamente rivisitata da Alessandro Stradella. Queste modifiche, le sole che possano giustificare l’aggiunta nel titolo di “novello”, furono dettate dalla volontà di rappresentare nel nuovo teatro romano uno dei melodrammi più applauditi del secolo19. Un anno dopo, alla stessa principessa Maria Mancini Colonna viene dedicato il volumetto contenente il melodramma Il Tito, che era stato in quell’anno portato in scena nel Teatro di Tordinona a Roma20. Il testo era di Nicola Beragan e la musica di Antonio Cesti; una prima rappresentazione, anch’essa dedicata alla principessa Colonna di Paliano, era stata fatta al Teatro SS. Giovanni e Paolo di Venezia nel 1666.
Dedicato a Laurentia de la Cerda Colonna, all’epoca principessa di Paliano, è il dramma per musica La Tessalonica di Niccolò Minato, opera che conobbe tre rappresentazioni (e altrettante edizioni a stampa): a Vienna nel 1673 (con la musica di Antonio Draghi), a Roma nel 1683 (per la musica di Bernardo Pasquini) e a Firenze nel 1686 (nella medesima versione romana). Risale al 1685 il dramma per musica L’Arianna, che venne rappresentato in Roma nel teatro del Gran Contestabile Colonna21.
Risale alla prima metà del Seicento un manoscritto della biblioteca Giovardiana di Veroli, peraltro redatto con inchiostri colorati (il cui frontespizio è purtroppo un po’ rovinato), che riporta una sorta di “sceneggiatura”, In festo traslationis corporis beati Sixti Papae.
Tra i manoscritti conservati presso la Biblioteca Angelica di Roma ve n’è uno che contiene «Esercitazioni retoriche e letterarie del seminario di Alatri», databile al primo decennio del Settecento.
Nel 1620 viene dato nuovamente alle stampe Il Secondo Libro d’intavolatura di Chitarra alla Spagnuola del compositore Giovanni Ambrosio Colonna. Dedicato al duca di Alvito Francesco Gallio, il manuale del Colonna si segnala per aver creato un vero e proprio standard performativo, benché non sempre la stampa dell’epoca renda effettivamente giustizia alle innovazioni introdotte dall’autore.
Nel 1706 veniva ristampato (e rappresentato dagli Accademici Erranti nel teatro del palazzo di Bassano) il libretto del melodramma Il lino generoso in occasione delle nozze di Vincenzo Giustiniani, principe di Bassano, con Maria Costanza Buoncompagni, figlia di Gregorio. È da aggiungere che l’omonimo nonno del principe, morto nel 1637, fu amatore di arte e di musica, e fu dedicatario di una “fabula macaronea” intitolata Carnovale (1620). Gregorio Buoncompagni fu, tra l’altro, pastore arcade con il nome di Vitalbio Cinosurio, e sotto questo nome alcuni suoi componimenti sono raccolti in manoscritti conservati presso la Biblioteca Angelica di Roma. In particolare presso questa biblioteca è conservato il corposo volume Quarta stagione de’ Componimenti Arcadici. Volume quarto dal IV° dopo il XX° di Sciroforione cadente l’anno primo dell’Olimpiade DCXVIIIa fino al VIII° dopo il X° di Targelione andante l’anno II° della stessa Olimpiade, nel quale, tra le altre cose, del duca si può leggere un’egloga alle carte 94-95 (datata 1694)22.
Se nel 1660, presso il palazzo dei Buoncompagni di Isola di Sora sarebbe andato in scena un Costantino, un’altra tragedia omonima era stata rappresentata nel carnevale del 1653. Definita dal Mandosio «opus insigne», il Costantino in parola era opera di Giovan Battista Filippo Ghirardelli. La rappresentazione di questa tragedia fu salutata da un’inconsueta selva di polemiche, che peraltro vengono ricordate nella prefazione; queste polemiche diedero luogo ad una opposizione tale che sfociò in un’aperta censura. Al momento della pubblicazione (nel mese di luglio), il Ghirardelli vi aveva aggiunto una dotta Difesa. Benché l’autore morì nel settembre di quello stesso anno a soli trent’anni, le polemiche intorno alla tragedia non cessarono23. Il fratello dell’autore, mons. Stefano Ghirardelli, insieme con altri munifici amici, provvide alla ristampa della tragedia, la cui prima edizione era stata nel frattempo esaurita. Mons. Ghirardelli, canonico del Santuario di Loreto, sarebbe morto nel 1708 ad Alatri.
A Marc’Antonio Borghese, figlio di Eleonora Buoncompagni (già dedicataria di diverse opere teatrali), viene dedicata l’edizione a stampa de L’onore perseguitato (1678), dramma morale e recitativo di Giuseppe Berneri, nel quale agiscono le allegorie di virtù e vizi umani. L’opera venne ristampata nel 1686 a Bologna. Al medesimo Marc’Antonio verrà dedicata anche l’opera scenica di Stefano Seragnoli di Montefortino (attuale Artena) L’adultera pudica (1690)24. Invece, nel palazzo del principe Borghese (marito di Eleonora) venne rappresentato il 24 marzo 1690 (che era di venerdì santo) l’oratorio La vittoria innocente, opera di Grogerio (evidente refuso per Gregorio) Della Rosa e musicata dal priore Giuseppe Pacieri.
Alla principessa Ippolita Buoncompagni Ludovisi Rezonico, venne dedicato Il Cidde, rifacimento in musica del celeberrimo capolavoro di Corneille, musicato dal maestro di cappella napoletano Antonio Sacchini, e andato in scena nel carnevale del 1769 al «Teatro di Torre Argentina» a Roma.
Sempre con riferimento alla cittadina di Sora, dobbiamo registrare un’altra opera, un dramma sacro in latino, Samson vindicatus (1695). Andato in scena il 25 marzo dello stesso anno, presso il Sacello dell’Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso, si avvale della musica di Alessandro Scarlatti. Il testo, inizialmente (ed erroneamente) attribuito al cardinal Benedetto Pamphili, dev’essere certamente attribuito al gesuita sorano Ubertino Carrara, professore di retorica nel Collegio Romano, protetto del cardinale Pamphili e membro dell’Arcadia dall’anno precedente. L’attribuzione si ricava da una nota manoscritta sull’esemplare conservato presso la Biblioteca Nazionale di Roma, che recita: «Auctor est P. Carrara».
Il già citato Giovanni Battista Grappelli, avvocato e poeta nato a Frosinone nel 1650 e morto nel 1720 circa, oltre che pastore arcade con il nome di Melanto Argeateo, fu socio di varie Accademie dell’epoca (Accademie degli Infecondi, del Platano e dei Disuniti di Roma, Accademia degli Insensati di Perugia, Accademia degli Spensierati di Rossano, Accademia dei Filoponi di Faenza). Di lui ricordiamo almeno l’oratorio a quattro voci (recitato in San Girolamo della Carità) La decollazione di S. Gio. Battista (1699, poi ristampato nel 1703 a seguito di una rappresentazione durante la quale fu «cantato con sommo applauso»), un Componimento drammatico (1700), un oratorio intitolato La caduta di Simon Mago (1706), e infine un oratorio a quattro voci Il martirio de’ Santi Ilario e Valentino (1714), recitato a Viterbo nella chiesa di S. Girolamo della Carità.
È ascrivibile al XVII secolo anche il drammaturgo Giuseppe de Lauro, nato in Terra di Lavoro, e autore di una Madalena romita (1645), titolo sul quale ci sono almeno due curiosità da riferire. La prima riguarda una presunta edizione del 1642 – segnalata nel repertorio di Leone Allacci – che tuttavia è introvabile e probabilmente mai esistita, poiché la dedica al principe Rinaldo d’Este è inequivocabilmente datata 28 marzo 1645. La seconda riguarda il fatto che l’autore fece comparire sulla scena Cristo, cosa che venne criticata dal Lacroix, benché tra i testi teatrali del Seicento questo non sia il solo che faccia apparire Gesù.
Nel 1668 viene pubblicata a Roma una specie di opera omnia postuma di Andrea Salvatori, contenente diciannove opere teatrali, tutte rappresentate a Firenze tra il 1616 e il 1629. Tra esse segnaliamo Il serraglio degl’Amori, un epitalamio cantato e ballato in occasione delle nozze di Jacopo Salvati duca di Giuliano di Roma con Veronica Cibo dei principi di Massa e Carrara.
Molto probabilmente era di Ferentino il capitano della guardia del Governatore di Roma, Carlo Filippo Tani, vissuto nel XVII secolo. A costui vennero dedicate due opere teatrali: La Verità riconosciuta (1664), scritta probabilmente da un tale avvocato Cristoforo Berardi, e All’amico non si fida ne la donna, ne la spada (1668) di Pietro Susini (e non come indicato nel frontespizio di Giovanni Moniglia, il cui stile è completamente diverso).
Nel 1728, a Francesco Gallio, duca di Alvito, viene dedicata la tragedia Ines De Castro. Si tratta di un’opera di Houdard De La Motte, tradotta dal francese e recitata dai convittori del Collegio Clementino di Roma nelle vacanze di carnevale di quello stesso anno. Come per la Festa accademica già segnalata25, anche in questo caso parteciparono i rampolli della meglio nobiltà del tempo, più o meno legata alla corona portoghese.
Al convento di Santa Maria delle Grazie di Vallecorsa apparteneva un manoscritto, redatto da frate minore Bernardino da Bisignano (e oggi conservato presso la Biblioteca Nazionale di Roma), contenente Avvertimenti circa l’osservanza ed uniformità delle Cerimonie, e costumi, che si pratticano nei Conventi della Recollectione detti communemente del Ritiro della Provincia Riformata Romana, databile al 1693.
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[fine prima parte – continua]
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NOTE
1 Cfr. A. Tartara, I precursori di Cicerone, in «Annali delle Università toscane», tomo XVIII, Pisa 1888, pp. 291-528, in particolare p. 392.
2 In A. Zizza, Sine nomine: il nome segreto di Roma, in «Mediterraneo antico», alla pagina web https://mediterraneoantico.it/articoli/sine-nomine-il-nome-segreto-di-roma/, 30 settembre 2018.
3 Un’antologia delle quali si trova alla pagina web https://latin.packhum.org/loc/678/1/0#0.
4 Cfr. L. Schifi, M. C. Ricci, V. Tito, Santa Palomba (Roma). La cd. Villa di Quinto Valerio Sorano in località Fontanile di Palazzo, in «Amoenitas», VI (2017), pp. 61-72.
5 Cfr. CIL X 852: C. Quinctius C.f. Valgus / M. Porcius M.f. duo vir(i) / quinq(uennales) coloniai honoris / caussa spectcula de sua peq(unia) fac(ienda) coer(averunt) et coloneis / locum in perpetuom deder(unt).
6 Cfr. CIL X 884: C. Quictius C.f. Valg(us) / M. Porcius M.f. / duovir(i) dec(urionum) decr(eto) / theatrum tectum / fac(ieudum) locar(unt) eidemq(ue) prob(arunt).
7 Ne ricaviamo la notizia da O. Benndof, Rilievo di Anagni con rappresentanza dei Salii, in «Annali dell’Istituto di corrispondenza archeologica», XLI, 1869, pp. 70-76.
8 Cfr. M. Lauria, L’urbanistica romana di Atina nella continuità con l’insediamento fortificato sannitico. Nuove acquisizioni per la forma urbana, in C. Corsi ed E. Polito (a cura di), Dalle sorgenti alla foce: Il bacino del Liri-Garigliano nell’antichità, atti del convegno di Frosinone-Formia, 10-12 novembre 2005, Roma 2008, pp. 167-187.
9 Cfr. E. Canetri, Il sarcofago aquinate con scene di circo, in A. Nicosia, G. Ceraudo (a cura di), Ager Aquinas. Storia e archeologia nella media valle dell’antico Liris, II, Aquino 2007, pp. 157-162; cfr. anche C. Jadecola, Il «sarcofago di Aquino è tornato a casa», in «Studi Cassinati», 3 (2012), pp. 202-205 e F. Di Fazio, La valorizzazione del territorio nell’arte: il «sarcofago delle quadrighe», in «Studi Cassinati», 2 (2017), pp. 139.145.10 M. Pyrrho, Delle antichità di Roma, nel quale si tratta de’ Circi, Theatri & Anfitheatri, Roma 1552, p. 70. Simili fraintendimenti si colgono qua e là pure ne Le memorie di Bauco negl’Ernici chiamato da Scrittori antichi Boville, che sono pubblicate in calce alla Vita di S. Pietro Ispano scritta da Giuseppe Capogna (ed edita a Roma nel 1710), che, peraltro, si segnala per la presenza di un sonetto del Grappelli.
11 Cfr. A. Papagiannaki, Performances on ivory: the musicians and dancers on the lid of the Veroli casket, in «Deltion tes Christianikes Archaiologikes Hetaireias», series 4, vol. 34 (2013), pp. 301-310.
12 Cfr. F. Fiaschini, “Ludus est necessarius”: Pier Maria Cecchini e la “Somma teologica” dei comici dell’arte, in S. Mazzone (a cura di), Studi di storia dello spettacolo. Omaggio a Siro Ferrone, Firenze 2011, pp. 115-136.
13 Cfr. G. Mercati, Tre dettati universitari dell’umanista Martino Filetico sopra Persio, Giovenale ed Orazio, in «Classical and Medieval studies in honor of Edward Kennard Rand», New York 1938, pp. 221-230.
14 Cfr. R. Casimiri, Lettere di Musicisti (1579-1585) al Cardinal Sirleto in «Note d’Archivio per la storia musicale», IX, 2, 1932, pag. 97 e ss. Il madrigale è il seguente: Veni, giocosa et florida Thalia, / Con l’altre tue sorelle / Saggie leggiadr’ et belle / A far più adorn’ et lieto il nostro choro / Et date ‘l sacro alloro/ A li Sereni che con canti et versi / Dolci soavi et tersi / Lodan’ insiem’ amore, / D’accortezze diletti et gioie autore. Cfr. anche la dettagliatissima scheda biografica su Cimello, redatta da A. Mastrantoni per il sito www.jongleurs.it.
15 È probabile che Gaffurius abbia composto musica anche per il re, in quanto il codice 871 di Montecassino, l’unica raccolta di composizioni della corte napoletana della seconda metà del XV secolo, lo nomina come autore di due opere.
16 Cfr. V. Ruggiero Perrino, Quel frate di Acuto e la teologia, in «Anagni-Alatri Uno», ottobre 2021, pp. 17-19.
17 L’anno seguente, Anna Colonna fu dedicataria di altre due opere. La prima è un libricino di Rime Spirituali, composte da Giovan Vittorio De’ Rossi, in occasione della monacazione di Silvia Costacci, che, prendendo il nome di suor Caterina, prese i voti nel monastero di S. Caterina Vergine e Martire a Viterbo. Nel libricino, si segnala il dialogo Tobia che venne recitato nel refettorio del detto monastero. L’altra è un’antologia di Componimenti poetici, che vari autori dedicarono alle nozze tra Anna Colonna e Taddeo Barberini, celebrate il 24 ottobre 1627. Questo volumetto, fra altre poesie in latino e in italiano, contiene un dramma di Domenico Benigni, e due componimenti per musica: Choro musicale di Mons. Giovanni Ciampoli (su musiche di Johannes Hieronymus Kapsberger) e Su l’auree foglie di Giulio Rospigliosi. Infine, nel volume Drammi musicali (1631) di Ottavio Tronsarelli è contenuto anche La Sirena: si tratta di una cantata che venne dedicata ai due sposi in occasione delle loro “augustissime nozze”.
18 L’opera viene ricordata nel diario manoscritto di Teodoro Ameyden, insigne avvocato della Dataria apostolica, alla data del 7 marzo 1647: «L’altro carro più magnifico è del Contestabile Colonna, porta una scena ove si recita un Dramma in musica intitolato il premio della fatica, la musica non è mala». Il diario è conservato presso la Biblioteca Casanatense (ms. 1831).
19 Il successo dell’opera fu eguagliato anche da quello dell’edizione a stampa, che in breve tempo andò esaurita, tanto da rendersi necessaria una ristampa nel 1676, che però contiene un refuso nel titolo, laddove Maria Mancini Colonna viene definita «Duchessa di Palliano».
20 All’inizio del nuovo secolo, il 7 gennaio 1700, stante anche la situazione politica in corso – l’opposizione tra i Borbone franco-spagnoli agli Asburgo – viene rinnovata la proibizione di spettacoli pubblici che Innocenzo XII aveva stabilito già nel 1698. Il teatro di «Tordinona» era stato demolito l’anno precedente, il «Capranica» chiuso nel 1699. Negli anni seguenti il divieto viene confermato anche a seguito del terremoto che sconvolse l’Italia centrale nel 1703 e spinse il nuovo pontefice Clemente XI a fare voto di astensione dagli spettacoli, pur concedendo licenza ai collegi di fare rappresentazioni carnevalesche e al Seminario Romano di preparare opere in musica. Il divieto cadrà nel 1709; cfr. S. Franchi, Drammaturgia romana, vol. II, Roma 1997.
21 Nel 1688 vennero pubblicate postume le Poesie latine e toscane di Giovanni Lotti, antologia in tre parti dedicata (anche) al principe Lorenzo Colonna. L’ampia miscellanea poetica contiene anche opere drammatiche (Il giuditio di Paride) e musicali, molte delle quali dedicate ai Colonna.
22 Nella “Quinta stagione” dell’anno seguente – il cui manoscritto è anch’esso all’Angelica – Vitalbio Cinosurio pubblicò altre tre egloghe di impianto scenico (cfr. carte 27-28, 49-52, 169-172). Invece nel volume relativo alla settima “ragunanza” (1697) e in quello dell’ottava (1698) del duca appaiono solo sonetti.
23 Ne fornisce un ampio ragguaglio G. F. Savaro, Il Parthenio contenente la censura fatta al libro intitolato Il Costantino, apparso nel 1655.
24 Seragnoli fu autore anche de Il Grimoaldo overo la generosità fra gli sdegni, un’opera scenica rappresentata a Roma nel carnevale del 1697 e stampata a Bologna quello stesso anno, dedicata a mons. Paolo Borghese, chierico di Camera.
25 Cfr. V. Ruggiero Perrino, Profilo storico dello spettacolo e del teatro nel Lazio Meridionale, in «Studi Cassinati», 2 (2017), p. 104.
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