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«Studi Cassinati», anno 2022, n. 3
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di Emilio Pistilli
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Il calvario di Cassino e del Cassinate, iniziato il 10 settembre 1943, terminò con la presa di Montecassino il 18 maggio 1944 e l’avanzata degli alleati verso Roma.
Ma non era tutto finito.
Con il rientro della popolazione iniziò un nuovo calvario, l’epidemia di malaria perniciosa, che fu opportunamente definita «l’altra battaglia di Cassino»1. Lo stagnare delle acque a causa dei numerosi crateri provocati dalle bombe e dallo straripamento dei corsi d’acqua, il Rapido soprattutto, l’afflusso di soggetti infetti nella zona del fronte, l’abbandono dei campi da parte dei contadini sfollati, resero l’infestazione assolutamente inevitabile.
Non si può dire che nel territorio della bassa Valle del Liri la malaria sia endemica, tuttavia svariate manifestazioni di tale problema sono state affidate alla storia fin da tempi lontani. La configurazione oro-idrografica della valle ne ha certamente favorito il diffondersi, ma quasi sempre con cause esterne come guerre e fenomeni sociali che hanno sconvolto l’assetto sanitario del territorio.
Nell’antichità non era conosciuta la malaria: le sue malefiche manifestazioni (molto spesso mortali) si facevano risalire a cause soprannaturali, come l’ira degli dei, o ad esalazioni mefitiche di acque stagnanti; colpivano ogni strato sociale: ne morivano re, principi e umili cittadini. Spesso la si faceva risalire ad altre pandemie, come il tifo petecchiale o, aggiungo io, la brucellosi, che causava febbri intermittenti.
La prima descrizione del quadro clinico della malaria, descritta come febbre intermittente, risale a Ippocrate2.
Senza andare molto lontano nei tempi – anche perché la causa specifica delle manifestazioni malariche non era ancora stata individuata – bisogna risalire alla metà dell’Ottocento perché si comprendesse la vera natura dell’infezione, che ha accompagnato l’uomo fin dalla preistoria. Grazie all’uso del microscopio si riuscì ad individuare il plasmodio, che veniva veicolato dalla zanzara di tipo anofele. Nel secolo XVIII se ne parlava come febbre “terzana” (o “quartana”) per il fatto che gli accessi febbrili si manifestavano ogni terzo giorno.
Alfonso Corradi nella sua opera Annali delle epidemie occorse in Italia3, scrive: «Erano in Napoli in quel tempo anche febbri maligne congiunte con esantemi di diversa natura […] le medesime erano sorte successivamente all’inverno, per buona parte caldo ed umido a cagione de’ venti australi e delle pioggie quasi continue. Ed oltre che nella capitale, il tifo petecchiale era sparso nelle provincie napoletane. Nel territorio Cassinese e particolarmente in San Germano quello dava la mano alle febbri intermittenti: la mortalità da parecchi anni andava crescendo e se ne dava colpa ai ristagni d’acqua non curati». In nota aggiunge: «Nel 1782 morirono in San Germano 121 persone, nel 1783, 81, 85, 86 i morti furono progressivamente 133, 248, 428, e 221 fino alla metà del settembre del 1787».
Numerose sono state le epidemie di malaria in Italia nei tempi successivi, ma in maniera esponenziale nei territori coinvolti nei grandi conflitti. Dopo la prima guerra mondiale si ebbe una espansione malarica in quasi tutte le regioni italiane. A prescindere dalle guerre conosciamo la situazione nell’agro pontino, paludoso e malsano, per il quale il fascismo si impegnò a fondo, sia per la bonifica che per la disinfestazione.
«La lotta alla malaria fu considerata dal fascismo un elemento centrale della politica interna, con l’obbiettivo di accreditare allo stesso Mussolini un notevole successo personale consentendogli anche di intervenire direttamente in decisioni di sanità pubblica. In questo programma si coniugavano investimenti economici e politiche demografiche di popolamento in aree depresse; si deve però sottolineare che l’ottica era squisitamente demagogica e tutta indirizzata al rafforzamento del regime»4.
Con l’occupazione tedesca l’intera area bonificata fu fortemente danneggiata con il diffondersi di nuovo della malaria. Qualcuno ha affermato che i tedeschi, per fermare l’avanzata alleata e per punire gli italiani per il loro “tradimento”, volutamente abbatterono gli argini dei canali di bonifica ed introdussero la malaria; ma questo non è comprovato da dati scientifici5.
Nella bassa Valle del Liri e nel Cassinate nel 1940 si poté affermare che la malaria era stata debellata.
Ma dopo la guerra avemmo la situazione ricordata all’inizio: l’epidemia si manifestò in tutta la sua gravità e perniciosità. Oltre le ferite della guerra, dunque, c’era ora da impegnarsi per sconfiggere quest’altra micidiale iattura, che colpì gran parte della popolazione causando numerose vittime. Si calcola che nell’area del Cassinate le infezioni siano state almeno 40.000 con non meno di 300 decessi.
A fronteggiare l’emergenza giunse a Cassino una struttura a dir poco provvidenziale, il Centro di Malariologia «Ettore Marchiafava» (Dirett. Prof. Giuseppe Bastianelli – Condirett. Prof. Giulio Raffaele, Commiss. Straord. del Comitato Provinciale Antimalarico) con l’istituzione di centri di diagnosi e cura a Pontecorvo e a Cassino. La struttura operò da luglio 1945 ad aprile 1946, sotto la direzione del dott. Alberto Coluzzi, medico chirurgo specializzato in malariologia.
Temporaneamente fu ospitato presso l’Ospedale di Pontecorvo dove già operava l’Ufficiale Sanitario Dott. Michele Notaro con altri medici. Lì fu istituito il primo regolare Ambulatorio Antimalarico con Centro Diagnostico; vi collaborò anche l’economa della Maternità e Infanzia di Pontecorvo, Adriana Borghetti. «Sola, senza l’aiuto di personale sanitario ausiliario – ricorda Coluzzi –, faceva del tutto per assistere i neonati di madri indigenti».
Un altro settore della provincia duramente colpito fu quello alla confluenza del Sacco con il Liri. Anche a Ceprano, dunque, fu aperto l’ambulatorio antimalarico sotto la direzione del dott. Roberto Jacovacci, Ufficiale Sanitario di Ceprano.
A Cassino il Centro di diagnosi e cura fu collocato in una delle nuove case per senzatetto fatte costruire dal Genio Civile nel rione Colosseo, lungo la via Casilina; il dott. Coluzzi fu affiancato dal medico condotto dott. Filippo Matronola.
Successivamente furono istituiti 10 centri diagnostici e 20 ambulatori antimalarici con Ottanta profilassatori. Questo personale era dotato di biciclette, di medicamenti per la profilassi o terapia d’urgenza e del necessario per i prelievi.
Altri centri furono organizzati a S. Pasquale, S. Apollinare, Monticelli (Casa delle Palme).
Coluzzi ci ha lasciato un diario nel quale descrive la struttura di Cassino: «Ci fu consegnato un piccolo fabbricato di quattro locali a piano terra. Una camera da letto per Matronola, una per me, una stanza da adibire ad ambulatorio ed una per la Signora Anna Ratta, anziana infermiera, inviata dall’Istituto per coadiuvarmi nel lavoro di ambulatorio, prelievi di sangue e terapia antimalarica. Nella mia camera riuscii a sistemare una brandina da campo, un piccolo armadio, una sedia, un sostegno di ferro a tre piedi con incassi per un bacile, una brocca e un piattino portasapone e vicino alla finestra, un tavolo con il microscopio, l’apparecchiatura per le ricerche indispensabili ed un lume ad olio».
Per i suoi spostamenti giornalieri non fu dotato neppure di un mezzo per muoversi; per questo dovette servirsi della sua motocicletta.
Erano persone e tempi eroici quelli. Squadre di operai in bicicletta andavano dappertutto nel territorio con i loro bidoni per la disinfestazione. Purtroppo si è persa memoria di tanti volontari che per solo spirito di servizio si misero a disposizione. L’amico Pino Candido mi segnala la partecipazione del padre Pasqualino, il mitico “infermiere” di Cassino nel dopoguerra: «Pasqualino prestò la sua amorevole opera di profilassatore di chinino con il dott. Coluzzi a Sant’Antonino, in bicicletta per le campagne cassinati. Arrivò dalla Calabria in una città spettrale, con poche case in piedi ed invece di scappare portò anche mia madre ed andarono a vivere alle Pastenelle in una casa sgarupata. Ce ne parlava con orgoglio e umiltà».
Va ricordato anche il contributo dato al funzionamento della struttura di S. Antonino dalla crocerossina Angela Miglioli, da Padova, che ha abitato in una delle baracche fino agli anni ‘80 indossando sempre il suo abito da crocerossina, anche quando non svolgeva più le sue mansioni.
Né va dimenticato il prezioso contributo di volontariato dell’infermiera Florenza Melano, torinese, che si prodigò anche verso altri bisognosi, soprattutto bambini6.
Tra i vari episodi narrati dal dott. Coluzzi va segnalato il suo incontro con un ufficiale
medico inglese. Questi gli chiese informazioni sull’attività che lì si stava svolgendo. Quando gli fu mostrato il registro degli esami del sangue l’ufficiale esclamò: «Ora si spiega tutto!»: circa 2000 uomini delle sue truppe, trasferite a Napoli per l’imbarco verso la madre patria, accusavano attacchi febbrili non spiegabili. Da Napoli l’ufficiale fece il percorso a ritroso per controllare i luoghi dove avevano sostato i suoi uomini; tra questi c’era anche la stazione ferroviaria di Cassino. Una volta compresa la situazione fece apporre dei cartelli sulla via Casilina ed alla stazione ferroviaria con la scritta in inglese «MALIGNANT MALARIA – KEEP OUT»: «malaria maligna – stare lontani».
L’operazione di controllo e cura della malaria, intanto, aveva assunto una notevole complessità. Un aiuto prezioso venne con la creazione di un piccolo ospedale prefabbricato, dono dell’American Relief for Italy, collocato a S. Antonino. L’ospedale «… era costituito da due corpi rettangolari – scrive Alberto Coluzzi nei suoi appunti – fu possibile attivare due corsie con un totale di 24 posti letto e un certo numero di camerette per ambulatorio, laboratorio e personale addetto all’assistenza. Vicino ad uno dei due corpi suddetti era stato posto un altro piccolo prefabbricato con un ambiente per la cucina, uno per la dispensa ed uno per il personale addetto ai servizi generali. L’Istituto di
Malariologia inviò un giovane medico, il Dott. Jappelli, con obbligo di residenza sul posto. Il Comitato Antimalarico assunse una persona per la cucina e due per le pulizie. A fornire gli alimenti per i malati e per il personale fisso provvide 1’U.N.R.R.A. Le consegne di questo piccolo ospedale mi vennero date da Calvanese il 1° luglio 1946. Da luglio a dicembre fu possibile ricoverare 275 pazienti. In 228 fu riscontrata malaria: 125 casi di terzana benigna, 93 di terzana maligna e 10 forme miste. Ricoverati per altre malattie: 47 in tutto, soprattutto per febbri tifoidee. Ambulatorialmente furono visitate e curate 1303 persone: 412 per malaria, 855 per altre malattie e 36 per pronto soccorso».
L’operazione malaria-Cassino, svolta con ristrettezze di mezzi (mancava addirittura il DDT) e con abnegazione del personale, fu presa a modello in tutta Europa. Tra il 1947 e 1948 la malaria era stata completamente debellata in tutta la provincia di Frosinone. «In media prestarono la loro opera in questa campagna di disinfestazione 40 operai organizzati in 7 squadre. In circa tre mesi (marzo, aprile, maggio) prima dell’inizio della stagione epidemica furono trattati 101.736 vani per un totale di 4.764.916 mq di superfici interne con una spesa complessiva di lire 7.857.671 al valore del 1947»7.
Secondo i dati del Prefetto Roberto Siragusa nel settembre 1945 la malattia aveva raggiunto nella Valle del Liri e nella Valle del Rapido percentuali del 95% e del 98%, numerosi i casi di decesso per perniciosa»8.
Alberto Coluzzi non lasciò subito il territorio; nel 1950 si stabilì in una residenza storica di inizio Novecento a Monticelli di Esperia, la «Casa delle palme», che aveva acquistato nel 1945. Lì allestì la stazione sperimentale Monticello dell’Istituto di malarialogia «Ettore Marchiafava» di cui nel 1962 fu vice-direttore.
Alberto Coluzzi morì nel 1989, aveva 81 anni, e per sua volontà fu sepolto nel cimitero di Monticelli.
Fino al 1990 la «Casa delle Palme» fu la residenza della famiglia Coluzzi, ma ospitò importanti convegni di studio sulla malaria, anche a carattere internazionale.
Dalla morte dei genitori la figlia Francesca Romana, nota attrice e pittrice, usò quella residenza come laboratorio di spettacoli e cortometraggi.
Successivamente la tenuta, con il suo parco, fu acquistata dalla dott.ssa Antonella Di Gennaro « … direi di impulso con mio marito – mi dice in un suo messaggio – proprio per la storia che rappresenta. Non ci siamo sentiti di lasciarla andare ad un destino forse senza memoria».
E di Alberto Coluzzi si dovrà serbare gelosa memoria per ciò che la sua opera ha significato per il territorio del basso Lazio in tempi tra i più difficili del dopoguerra.
Nel 1996, in seguito ad una mostra su quel periodo della malaria, organizzata dall’Università di Cassino, ebbi dal figlio di Alberto Coluzzi, il dott. Mario, Direttore dell’Istituto di parassitologia dell’università La Sapienza, una copia del prezioso registro degli esami del sangue.
Dal registro ho potuto rilevare che a Cassino nei dieci mesi tra il 1945 e 1946 furono effettuati prelievi del sangue a circa 4.000 persone9; quanto alla loro provenienza ho constatato che venivano prevalentemente dalle “Baracche” (Colosseo), da Caira, Piumarola, Cerro, Crocifisso, S. Pasquale, S. Antonino; poche da Cassino centro. Ciò ci dice che i Cassinati che tornavano dopo la guerra si erano stabiliti nelle zone circostanti la Città Martire, che, come è noto, era ancora un cumulo di macerie, anche se la ricostruzione in quegli anni era già incominciata.
Per sola curiosità statistica segnalo i cognomi più presenti nel registro di Coluzzi e, quindi, nel Cassinate, negli anni 1945-46:
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Abbruzzese Angelosanto Azzoli Cantasale Capaldi Capitanio Capraro Cavaliere Cesareo Cimino Colacicco Colella D’Agostino D’Aguanno D’Aliesio Di Carlo Di Fazio Di Giorgio Di Mambro Di Nallo Di Vetta Evangelista* Fardelli |
Franchitto Gigante Grossi* Iannarelli Lanni Leva Mariani Marrocco Marsella Martucci Massaro Mastrangelo Mastronardi Mattia Meta Miele* Mignanelli Nacci Nardone* Neri Pacitto Pelagalli Petrucci |
Picano Pignatelli Pinchera Pittiglio Pontone Raia Ruscillo Russo Sacco Saragosa Serra Sinagoga Solla Spigola Torrice Valente* Vallerotonda Varlese Vecchio Velardo Vettese Vittiglio Vizzaccaro |
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I cognomi contrassegnati con l’asterisco sono i più ricorrenti.
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Fonte principale per questo articolo è il citato volume: L’altra battaglia di Cassino edito dall’Università di Cassino e La Sapienza di Roma nel 1996.
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NOTE
1 L’altra battaglia di Cassino. Contro la malaria a cinquant’anni dall’epidemia della Valle del Liri, 1946-1996, Catalogo della mostra documentaria a cura di Lorenza Merzagora, Cassino 19 gennaio – 3 febbraio 1996.
2 De aere, aquis et locis, Sulle arie, sulle acque e sui luoghi – Trattato politico – medico – statistico” traduzione italiana a cura di Giovanni Capsoni, Milano 1939.
3 1876, Parte IV (pp. 388-389).
4 In La reintroduzione della malaria nell’Agro Pontino e a Cassino sul finire della II Guerra Mondiale. Guerra biologica o tattica di guerra totale? The re-introduction of malaria in the Pontine Marshes and the Cassino district during the end of World War II, Biological warfare or global war tactics Sergio Sabbatani, Sirio Fiorino, Roberto Manfredi Department of Infectious Diseases, “Alma Mater Studiorum”, University of Bologna, S. Orsola Hospital, Bologna, Italy; Department of Internal Medicine, Budrio General Hospital, Budrio, Italy.
5 F.M. Snowden, La conquista della malaria. Una modernizzazione italiana 1900-1962. Giulio Einaudi editore, Torino 2006.
6 Su Florenza Melano vale la pena leggere la memoria di Raul Lentini, Florenza Melano, crocerossina per vocazione, in «Studi Cassinati», a. XVIII, n. 3, luglio-settembre 2018, pp. 204 e sgg.
7 L’altra battaglia di Cassino … cit., p. 69.
8 Situazione provinciale mese di agosto 1945, 1 settembre 1945, in A.C.S., Ministero dell’Interno, fasc. Perm., b. 201, f. 3263; G. de Angelis-Curtis, Politica, economia e società in provincia di Frosinone (1944-1948), Caramanica ed., Marina di Minturno 1996, p. 184.
9 Questa cifra non ha attinenza con il numero complessivo dei contagi nel territorio, che, come abbiamo già visto, è di gran lunga superiore.
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