LA SOCIETÀ CARTIERE MERIDIONALI E LE MANIFESTAZIONI DI PROTESTA A ISOLA LIRI NEL FEBBRAIO 1949

Print Friendly, PDF & Email
«Studi Cassinati», anno 2023, nn. 2-3

> Scarica l’intero numero di «Studi Cassinati» in pdf

> Scarica l’articolo in pdf

di

Gaetano de Angelis-Curtis

L’area dell’alta Valle del Liri ricompresa nel triangolo Sora-Isola Liri-Arpino è storicamente una delle più industrializzate del Mezzogiorno d’Italia.

In specie per Isola Liri che, a partire dall’inizio dell’Ottocento, divenne uno dei maggiori centri produttivi con numerose industrie cartarie che vi furono installate a opera della borghesia imprenditoriale, in particolare quella francese. L’insediamento fu facilitato anche dalla congiuntura favorevole delle risorse naturali presenti (acqua dei fiumi Liri e Fibreno e di torrenti secondari, abbondante e a una temperatura ottimale per la produzione, oltre a legno da alberi), con gli stabilimenti che nel corso dei decenni successivi furono ammodernati e ampliati, divenendo tra i più avanzati d’Europa e cambiando pure proprietà.

Isola Liri: ingresso delle Cartiere Meridionali.

Fra le industrie operanti a Isola Liri vi era la Società Cartiere Meridionali che nel corso di vari anni acquisì altri stabilimenti funzionanti nella stessa cittadina o nei dintorni. Costituitasi a Napoli nel 1873 subentrò, in quello stesso anno, alle Cartiere del Liri già Sorvillo e rilevò la Cartiera dell’Anitrella (Monte San Giovanni Campano) dal conte Valentino Lucernari. Quindi nel 1892 prese in affitto le Cartiere del Fibreno già dei Lefebvre che acquisì definitivamente a inizio del secolo successivo, collegandole a quelle del Liri con una ferrovia elettrica. Sono gli anni di massimo splendore sia per quantità che per qualità di carta prodotta (da sigarette, da parati, da stampa, da scrivere ecc.), esportata in tutto il mondo1.

L’immediato secondo dopoguerra

Nei nove mesi di guerra compresi tra il settembre 1943 e il maggio 1944, quando il fronte bellico investì pesantemente tutto il Lazio meridionale, la produzione delle Cartiere Meridionali si andò gradualmente a ridurre fino alla completa sospensione.

Al momento della liberazione del territorio si poté constatare che il passaggio della guerra aveva provocato forti danneggiamenti ai fabbricati e alle centrali elettriche delle Cartiere Meridionali a causa delle mine fatte brillare dalle truppe tedesche prima della loro ritirata mentre invece i macchinari non avevano subito seri danni in quanto salvati dagli operai che ne avevano impedito la distruzione o l’asportazione. Già nell’estate del ‘44 le attrezzature cominciarono a essere rimesse in funzione, riparandole ingegnosamente con i pochi mezzi a disposizione e nel successivo ottobre lo stabilimento era pronto a riprendere l’«attività limitatamente ad alcuni tipi di carta»2. Quindi nel novembre poté essere riavviata la lavorazione inizialmente nella fabbrica di Isola Liri mentre poco dopo riprese l’attività anche la Cartiera dell’Anitrella con una produzione, in ognuno degli stabilimenti, di circa 50 quintali di carta al giorno. Tali quantitativi nel giro di pochi mesi avrebbero potuto raddoppiare, aumentando l’impiego di manodopera che vedeva inizialmente l’occupazione di 300 operai, se la cartiera fosse stata rifornita sufficientemente di materie prime (alcune delle quali la Società contava di reperire localmente oltre a soddisfare il fabbisogno di prodotti chimici con una produzione interna) e di combustibili3.

«l’Unità», a. XXVI, n. 27, 1 febbraio 1949.

Ancora in quei frangenti le Cartiere Meridionali rappresentavano il complesso industriale più importante del centro-sud Italia relativamente alla produzione di carta per sigarette che copriva il fabbisogno dei Monopoli di Stato (oltre che per esportazione, nell’anteguerra, in Egitto, Oriente e verso i Balcani). Proprio la presenza di tale tipologia di carta associata alla scarsità di lavoro generò un aspetto particolare in quanto, considerate le difficoltà nella ripresa della produzione e nell’assorbimento di mano d’opera, furono adottate soluzioni occupazionali alternative, anche se illegali. Riuscendo, infatti, a far affluire in zona discreti quantitativi di tabacco prodotto a Pontecorvo, venne organizzata la fabbricazione clandestina delle sigarette che finì per creare un forte contenzioso tra le autorità civili e militari da una parte, che cercavano di reprimere il contrabbando, e la popolazione dall’altra, che rivendicava invece il lavoro4.

Manifestazioni di protesta

La ripresa della produzione, malgrado la ferma volontà di operai e proprietà, venne a essere ostacolata dall’insufficiente rifornimento di materie prime e, soprattutto, dalle difficoltà di approvvigionamento di carbone, difficoltà protrattesi per tutto il 1946. Conseguentemente tali aspetti negativi finirono per ripercuotersi sulla società locale in quanto non solo non si riuscivano a raggiungere i livelli occupazionali prebellici ma neanche a garantire il lavoro agli operai. Così nel 1946 si svolsero a Isola Liri due scioperi a difesa dell’occupazione e a sostegno dei lavoratori minacciati di licenziamento.

Il proposito delle Cartiere Meridionali di licenziare 300 dipendenti scatenò il 24 ottobre 1946 la protesta di circa 1500 operai. Questi manifestarono davanti al municipio e non ritenendosi tutelati dal primo cittadino della cittadina, anzi giudicandolo consenziente alle decisioni annunciate dai vertici dell’azienda, gli imposero di rassegnare le dimissioni, «cosa che il Sindaco faceva per evitare disordini».

Ancora più articolato fu lo sciopero che si protrasse dal 18 al 24 novembre e che vide coinvolti 1300 operai, sempre delle Cartiere Meridionali, a sostegno di 13 operai licenziati e che venne esteso a tutte le maestranze di Isola Liri nella giornata del 20 novembre.

Anche il 1947 venne caratterizzato dall’adozione della politica deflazionistica attuata dal quarto ministero De Gasperi, la cosiddetta «linea Einaudi», che comportava la limitazione della concessione di prestiti bancari, il controllo sulle scorte industriali ed altre misure economiche. Tali provvedimenti economici finirono per condizionare negativamente l’attività soprattutto di medie e piccole industrie le quali furono costrette a ridurre il ritmo produttivo con aumento della disoccupazione e generando ulteriori momenti di tensione sociale e di protesta. In specie per le industrie cartarie, i problemi sorti nel collocamento dei prodotti e la mancanza di commissioni, condizionarono fortemente l’attività produttiva. Così tra la fine del ‘47 e per tutto il ‘48 si svolsero vari scioperi nei quali la rivendicazione della corresponsione dei salari e della difesa dell’occupazione si alternava a manifestazioni di protesta non propriamente legate al mondo del lavoro. Nel novembre del ’47 si giunse pure alla richiesta di alcuni disoccupati di Isola del Liri, reduci ed ex-lavoratori delle industrie, che venissero diminuite le ore di lavoro degli addetti occupati negli stabilimenti locali in modo da poter consentire l’assunzione anche di altre maestranze. Manifestazioni di protesta si svolsero anche presso la Cartiera Arata-Visocchi di Ceprano con i Carabinieri della locale stazione che denunciarono il segretario della Camera del Lavoro, Augusto Potini.

Augusto Potini in un comizio (fonte: E. Mazzocchi).

Tale provvedimento portò le maestranze a protestare con la proclamazione di uno sciopero per il 19 novembre esteso a tutti gli addetti dell’industria cartaria di Isola del Liri (anche se, nella sua relazione il prefetto della provincia, sottolineava che le misure adottate dalla Questura avevano fatto fallire parzialmente lo sciopero in quanto a Isola Liri si erano astenuti dal lavoro, dalle ore 11 alle ore 12 di quel giorno, «solo 220» operai su 4000)5.

I fatti del febbraio 19496

In considerazione della situazione economica generale, la proprietà delle Cartiere Meridionali, a cavallo tra la fine del 1948 e l’inizio del nuovo anno, mise a punto un nuovo piano industriale che prevedeva il licenziamento di 250 lavoratori sui 1200 complessivamente impiegati nello stabilimento. Per scongiurare tale ridimensionamento occupazionale, gli operai delle Meridionali, come si evince dalla ricostruzione offerta dall’on. Domenico Marzi7 alla Camera dei Deputati, avevano provveduto a sottoporre alla Direzione della Società una proposta tesa a scongiurare la perdita del lavoro di circa il 20% delle maestranze impiegate nell’impianto industriale. Tale proposta tendeva alla salvaguardia dei livelli occupazionali della fabbrica tramite la diminuzione del monte ore giornaliero di lavoro di ciascun operaio. In tale modo i lavoratori «si sarebbero adattati a diminuire un’ora di lavoro, in modo che le 200 ore di lavoro sarebbero diventate a favore degli industriali ben 1200 ore settimanali». Di contro la proprietà oppose un netto «rifiuto» a quanto prospettato. Allora gli operai e la Commissione interna alla fabbrica «insistettero ancora dicendo che erano disposti a rinunciare a due ore giornaliere in modo che gli industriali avrebbero potuto risparmiare il pagamento di 2400 ore settimanali. Ebbene, gli industriali non vollero assolutamente accettare anche tale proposta».

In risposta alrigetto delle proposte avanzate, sindacati e maestranze intesero attuare, a partire dal 19 gennaio 1949, una particolare forma di protesta, quella dello «sciopero “a singhiozzo”» che si basa sull’astensione dal lavoro nell’ultima ora di ogni turno di lavoro.

Il 26 gennaio l’on. Marzi tenne, all’interno dello stabilimento, un discorso agli operai con cui, secondo la ricostruzione del prefetto Antero Temperini8, «li sobillava contro i datori di lavoro, e li eccitava ad opporsi a qualsiasi accordo che contenesse il licenziamento anche di un operaio».

Quindi la vertenza parve trovare definizione con la mediazione della prefettura di Frosinone. Infatti a distanza di soli due giorni, cioè il 28 gennaio, anche se «dopo lunghe e laboriose discussioni» presso gli uffici del palazzo di governo del capoluogo provinciale si giunse a siglare un accordo che prevedeva il ridimensionamento del piano di esuberi con la diminuzione dei licenziamenti che dai 250 originariamente previsti scendevano a 50, cui si aggiungeva il collocamento a riposo di altre 12 unità per raggiunti limiti di età9. Inoltre la società Cartiere Meridionali si impegnava «a non procedere a ulteriori licenziamenti di carattere collettivo, per esuberanza di mano d’opera, fino al 31 marzo 1950».

Gli organi di stampa di sinistra presentarono la conclusione della vicenda come un «pieno successo delle maestranze» in quanto «nessun lavoratore [aveva] perso il diritto al lavoro e nessuna famiglia [era] stata gettata sul lastrico». Nell’articolo pubblicato ne «l’Unità» del primo febbraio, venivano posti in evidenza due aspetti e cioè che per un anno la proprietà non avrebbe proceduto a nessun nuovo licenziamento nonché l’impegno al «riassorbimento degli operai licenziati». Infatti se da un lato il piano di esuberi veniva confermato, dall’altro le autorità statali provinciali, cioè il direttore dell’Ufficio provinciale del Lavoro in collaborazione con il prefetto, si impegnavano «solennemente» ad «assicurare un altro lavoro ai 50 licenziati» avviandoli ad altro impiego entro il 31 marzo 1949 oppure «facilitando anche eventuali richieste dei medesimi per il collocamento all’estero»10.

Pur tuttavia l’accordo faticosamente raggiunto fu messo in discussione a distanza di pochi giorni. Infatti il 4 febbraio successivo Augusto Potini11, segretario della Camera Confederale del Lavoro di Frosinone, «eccependo infrazioni procedurali», denunciò l’accordo del 28 gennaio e chiese che venisse totalmente azzerato il piano di licenziamenti. Il sindacato contestava che il patto sottoscritto non potesse più avere esecuzione in quanto la Società delle Cartiere Meridionali non aveva rispettato l’Accordo interconfederale poiché l’individuazione degli operai non era stata effettuata sulla base di «criteri obiettivi concordati tra Direzione e Commissione Interna» dei lavoratori. In più, in una successiva nota del 9 febbraio, Augusto Potini deplorava da un lato l’atteggiamento antisindacale assunto dalla Direzione che vietava l’ingresso in fabbrica di rappresentanti delle organizzazioni degli operai e dall’altro lato eccepiva il ricorso al lavoro straordinario del personale svolto nelle domeniche del 30 gennaio e del 6 febbraio, un fatto che, a giudizio dell’esponente sindacale, stava a dimostrare la «capacità dell’azienda di assorbire tutta la manodopera» occupata nello stabilimento. Alle note di Potini replicò il direttore generale delle Cartiere, Guglielmo Turini, con una lettera indirizzata al prefetto di Frosinone in cui respingeva gli addebiti mossi dalla Camera del Lavoro. In merito all’individuazione delle maestranze da licenziare precisava che prima della scadenza del 31 gennaio, come previsto dall’accordo, la Direzione aveva tentato «inutilmente» di «prender contatto con la Commissione Interna» senza però riuscirvi e, in sostanza, approssimandosi quella data aveva provveduto autonomamente. Ribadendo con fermezza che «allo scadere del preavviso di licenziamento gli operai licenziati non sarebbero più ammessi o comunque tollerati in Cartiera», specificava che la Direzione non aveva acconsentito all’ingresso nello stabilimento in orario di lavoro di sindacalisti i quali intendevano tenere riunioni non finalizzate alla creazione di un clima di collaborazione e pacificazione ma, al contrario, «per mantenere viva una agitazione» effettuando «comizi, consultazioni o riunioni», mentre l’azienda aveva il diritto a che lo svolgimento di attività politico-sindacali avvenisse al di fuori dello stabilimento in modo da non compromettere l’attività lavorativa. Inoltre chiariva che nelle due domeniche non era stato svolto del lavoro straordinario ma erano stati fatti eseguire da alcuni operai dei «lavori di ordinaria manutenzione del macchinario» per consentire la normale ripresa dell’attività produttiva il lunedì successivo così come pochi altri lavoratori, in un momento caratterizzato «dalla mancanza di energia per la persistente s[i]ccità», avevano provveduto alla preparazione della «pasta legno nell’intento di assicurare» la produzione nei successivi sei giorni feriali. Infine comunicava che «nell’intento di gravare il meno possibile [sulla] massa operaia [e] su richiesta degli stessi interessati» aveva acconsentito «a sostituire lavoratori non cartai con operaie dello stesso nucleo famigliare addette ai reparti allestimento e stracceria». Di contro la Camera del Lavoro, per dare maggior vigore alla richiesta di blocco dei licenziamenti in difesa «del pane e del lavoro» e affinché non ci fosse a Isola Liri «nessun nuovo disoccupato», dispose la «ripresa del cosiddetto sciopero “a singhiozzo”». A sua volta la Direzione generale della società reagì stigmatizzando il comportamento del sindacato teso a «rendere nullo un accordo solennemente e liberamente firmato dalle parti nessuna esclusa» e, allo stesso tempo, denunciando una serie di soprusi, o presunti tali. Infatti lamentava che venivano commessi abusi poiché alcuni lavoratori non intenzionati ad aderire allo sciopero erano stati minacciati; oppure che i componenti della Commissione interna, i quali «da molti, troppi giorni» di tutto si occupavano «meno che lavorare», facevano «urlare la sirena, commettendo un reato». In tal modo si venivano a «creare sistematicamente delle disastrose interruzioni di un’ora durante il ciclo produttivo» e tale situazione di voluta indisciplina collettiva non rendeva «possibile il proseguimento della normale attività» e finiva per causare la perdita di lavorati, semi-lavorati, la dispersione di energia e l’inutilizzazione della «tanto preziosa» acqua. Allora fu richiesta la vigilanza da parte delle Forze dell’ordine e così due Carabinieri furono posti a presidio della portineria delle Cartiere con il compito di «impedire che venisse azionata la sirena» che dava il segnale di inizio dell’astensione lavorativa ma tra essi e gli operai si venne a determinare un «piccolo tafferuglio», finendo per essere allontanati dallo stabilimento. Nella notte seguente i «carabinieri, entrando nelle abitazioni attraverso le finestre, arrestarono quattro operai» e «si montò il relativo processo, che si doveva celebrare il 15 febbraio» successivo. Tuttavia quel giorno i Carabinieri non si presentarono all’udienza, per cui il procedimento giudiziario, come ricostruì la vicenda l’on. Marzi, fu «rinviato e il tribunale, nella sua serenità, concesse libertà provvisoria a tutti gli operai, perché tutti di ottimi precedenti».

Nel frattempo la Direzione dello stabilimento era giunta a minacciare l’adozione di «provvedimenti, anche i più gravi». Infatti, fallito ogni tentativo di comporre la vertenza e «stante il rilevante danno causato dalle saltuarie adesioni dal lavoro» che avevano messo la Cartiera «nelle condizioni di non poter contare su di un ritmo costante di lavoro impostato su normali necessità economiche», la società comunicò al prefetto di Frosinone che a partire dalle sei del mattino del 15 febbraio avrebbe provveduto a sospendere l’attività produttiva fino a che non fosse stato raggiunto un nuovo accordo. Tuttavia quando le maestranze smontarono dal turno di notte, esse si rifiutarono di lasciare lo stabilimento e lo occuparono anche con l’aiuto di altri elementi introdottisi nel frattempo nella fabbrica, tra cui il segretario della Camera del Lavoro, Augusto Potini. Alle cinque del mattino fu annunziato dalle sirene di tutti gli stabilimenti la proclamazione dello sciopero generale che coinvolse non solo dipendenti e lavoratori delle fabbriche di Isola Liri ma anche gran parte della popolazione locale. Inizialmente le Forze dell’ordine presenti in città, al fine di prevenire «atti di violenza o di sabotaggio», si limitarono ad attuare un’azione di vigilanza esterna della Cartiera, lungo un perimetro di oltre tre chilometri. Le giornate del 15 e del 16 trascorsero tranquillamente, si verificò solo qualche «raro intervento della forza pubblica per impedire l’ingresso nella cartiera, scavalcando il muro perimetrale, di elementi che volevano introdurvisi». Gli operai continuarono il loro consueto lavoro nello stabilimento, né ci fu alcun «atto di sabotaggio né di indisciplina». La sera del 16 febbraio giunsero a Isola Liri rinforzi di Carabinieri e agenti di P.S. e ad alcuni di essi venne affidato il servizio di vigilanza anche dell’ingresso di un tunnel che metteva in comunicazione il reparto «stracceria» sito nel palazzo “Fibreno” con le Cartiere Meridionali12, poiché tramite tale passaggio si sarebbero potuti introdurre all’interno dello stabilimento «elementi perturbatori» oppure far affluire armi. Nella notte tra il 16 e il 17 febbraio alcune lavoratrici delle «Fibreno» addette alla cernita degli stracci e che nella notte si erano recate al salone «allestimento carte» delle Meridionali perché riscaldato, facendo ritorno al loro luogo di lavoro notarono quattro agenti davanti al tunnel. Secondo le testimonianze delle quattro operaie pubblicate su «L’Umanità» del 26 febbraio e raccolte da Giovanni Antonioletti, inviato speciale del quotidiano del Psdi portatosi a Isola Liri con lo specifico compito di svolgere un’inchiesta sui fatti accaduti, le dipendenti giunte al tunnel erano state «respinte e colpite dagli sfollagente». Esse testimoniarono che «solo gli agenti di P.S. adoperarono mezzi energici, mentre i carabinieri fecero di tutto per riportare la calma». A giudizio di Antonioletti fu proprio tale «atto di prepotenza» che avrebbe poi determinato la «reazione violenta da parte degli operai».

Invece nella ricostruzione offerta dall’on. Lizzadri, i Carabinieri erano riusciti a penetrare nello stabilimento ancor prima che alle cinque di mattina del 17 febbraio risuonasse la sirena dello stabilimento. Quindi sui muri della città vennero affissi dei manifesti che informavano sulla «serrata» e poco dopo una «folla di tremila persone», fra lavoratori e loro familiari («mogli e bambini – tutta gente che naturalmente non poteva essere minacciosa né pericolosa per l’ordine pubblico»), si radunò sul piazzale antistante l’ingresso principale delle Cartiere. Secondo l’on Marzi quella «gente fu duramente ricacciata e molti rimasero contusi; alcuni subirono delle fratture per colpi di sfollagente, di manganelli e di calcio di fucile».

Per le autorità di polizia, invece, le Forze dell’ordine, al fine di evitare «incresciosi incidenti», avevano cercato di persuadere la folla a sgomberare, un tentativo fallito in quanto Augusto Potini, a giudizio del comandante generale dei Carabinieri, gen. De Giorgis, penetrato «clandestinamente» all’interno della fabbrica, aveva incitato le «maestranze a resistere ad oltranza», nonché aveva organizzato delle squadre per impedire l’«eventuale occupazione dell’opificio» e aveva consigliato «a tutti, in casi estremi, di compiere atti di sabotaggio prima di abbandonare lo stabilimento». Nel frattempo si era portato a Isola Liri anche Domenico Marzi allo scopo di «incoraggiare gli operai e la popolazione alla resistenza alle forze dell’ordine». Verso le 6,15 le forze di polizia, «senza far comunque uso di armi e sfollagente», iniziarono lo «sgombero della strada nazionale che fiancheggia il muro di cinta delle cartiere». Contemporaneamente apposite squadre di «agit-prop», organizzate dai dimostranti, approntarono tre blocchi stradali al fine di sbarrare l’accesso alla cittadina lirina. Uno fu allestito sulla strada di collegamento con Frosinone ponendo trasversalmente «sulla strada tronchi di albero di circa 7 metri di lunghezza per un diametro di 40 cm. … inchiodati e legati con solido filo di ferro liscio e spinato», così come altri fili di metallo furono tesi a un’altezza «di oltre metri 2,50». Tale materiale, a giudizio delle autorità militari, era stato «preventivamente preparato» non solo allo scopo di impedire il transito di veicoli provenienti dal capoluogo di provincia, ma anche «al chiaro fine di offendere fisicamente i carabinieri e gli agenti viaggianti in piedi sugli autocarri scoperti» mentre erano in procinto di raggiungere la cittadina. Inoltre a una decina di metri prima dei tronchi si trovava un «autocarro pesante carico di sacchi di cemento che si dirigeva verso Frosinone e che l’autista dovette fermare sotto minaccia». Gli altri due blocchi stradali furono realizzati sulla strada di collegamento tra Sora e Isola Liri inferiore utilizzando «autocorriere di passaggio, delle quali erano stati forati [gli] pneumatici».

«l’Unità», a. XXVI, n. 43, 19 febbraio 1949.

La Forza pubblica presente a Isola Liri tentò di rimuovere i posti di blocco senza peraltro riuscirvi a causa della «notevole massa di dimostranti (volutamente formata in prevalenza di donne e bambini) che ostacolava ogni movimento». Negli stessi momenti i «rivoltosi, asserragliati nella fabbrica, entrarono in azione con una fitta sassaiola contro gli agenti, alcuni dei quali rimasero contusi, assieme a qualche dimostrante che si trovava più vicino alla forza pubblica». Quindi giunse notizia dell’«imminente arrivo di rinforzi» provenienti da Frosinone. Alle 8.15 arrivarono due contingenti, uno formato da 50 carabinieri del Battaglione Mobile “Lazio” al comando di un capitano e uno di 35 agenti di P.S., che dovettero però fermarsi trovando la via d’accesso sbarrata dal blocco stradale. I «facinorosi accolsero i carabinieri con urla, fischi, ingiurie e minacce, mentre molte donne, tra le più scalmanate si asserragliarono intorno ai tronchi per impedirne la rimozione». I rinforzi di polizia, dopo aver rimosso il primo blocco stradale, si apprestarono ad attraversare la cittadina lirina al fine di rimuovere anche l’altro blocco posto all’estremità dell’abitato ma gli agenti furono fatti «segno alle più volgari ingiurie e atti di minaccia». La «folla accorsa si dimostrò immediatamente ostilissima alla forza pubblica» e così, di fronte a tale «atteggiamento aggressivo», venne impartito l’ordine a Carabinieri a poliziotti di «caricare la folla con gli sfollagenti e disperderla». Di nuovo gli operai posizionati oltre il muro di cinta della cartiera lanciarono «contro la polizia grossi sassi, rottami ferrosi, pezzi di legno, di vetro ed altro» fra cui un «artifizio lacrimogeno», cioè un petardo, nonché furono esplosi dei colpi d’arma da fuoco. La polizia rispose aprendo il fuoco. Lanciò nove lacrimogeni e poi sparò alcune «raffiche di mitra» a scopo intimidatorio non contro la «folla ammassata sulla strada» né contro gli operai appostati sulla collina soprastante lo stabilimento, ma «prima in aria e poi contro il muro di cinta della cartiera» con alcune pallottole che forarono le «lamiere di un cancello» dello stabilimento e ferirono vari dimostranti appostati dietro di essa, all’interno dell’impianto.

Alle ore 13,15 di quel 17 febbraio il sindaco di Isola Liri, il «Parroco (!) e alcuni maggiori esponenti comunisti» della cittadina fluviale accompagnati dall’on. Marzi si recarono in prefettura a Frosinone «per chiedere il rilascio degli arrestati e una tregua (sic) tra le forze di Polizia e gli operai asserragliati nelle Cartiere Meridionali fino alla composizione della vertenza sindacale da parte del Ministero del Lavoro». Tuttavia il prefetto si rifiutò di ricevere la delegazione non volendo intraprendere alcuna trattativa con chi, a suo giudizio, si era reso responsabile dei «gravi fatti» accaduti nella mattina13. Nel frattempo corse voce che i rivoltosi, oltre ad avere ammassato armi nello stabilimento, avessero provveduto a «immettere la corrente elettrica ad alta tensione nel reticolato sovrastante il muro di cinta della cartiera e nei numerosi cancelli d’ingresso». Una notizia ritenuta «assolutamente infondat[a]» e rigettata decisamente dai vertici della Cgil nazionale14. Differentemente il prefetto «giudicò indispensabile l’invio sul posto di mezzi corazzati [quattro autoblindo] per sfondare i cancelli» e liberare la fabbrica occupata da circa mille operai asserragliati nello stabilimento. Alle 15.30 giunse in macchina il comandante dell’autocolonna corazzata Legione Lazio, col. Ugo Luca, il quale, «coadiuvato in un secondo momento dal sindaco del posto, comunista», prima di effettuare azioni di forza, intese imbastire una trattativa con gli operai per lo sgombero della fabbrica. I lavoratori erano stati informati fin dal primo pomeriggio dell’imminente arrivo dei rinforzi in quanto avevano, come scriveva il prefetto Temperini, il «controllo dei telefoni, essendo direttore dell’agenzia della T.E.T.I. di Frosinone un fervente comunista». Le forze dell’ordine lanciarono un ultimatum ai lavoratori di sgombero della fabbrica entro mezz’ora. Al che gli operai, avendo notato il sopraggiungere delle autoblindo con scorta, «dopo violente discussioni fra loro», spontaneamente abbandonarono lo stabilimento al fine di evitare lo spargimento di altro sangue.

Ispezioni e arresti

Dopo essere riuscite a penetrare nella fabbrica sgomberata, le Forze di polizia rinvennero vario materiale contundente (spezzoni ferrosi e di ghisa, materiali di legno e di pietra, pezzi di vetro e un frammento di artifizio lacrimogeno, «adoperati dai rivoltosi contro la forza pubblica») nonché armi («1 moschetto automatico “Thompson” efficiente con un caricatore e 15 cartucce; 1 pistola a rotazione cal. 6,35, con 4 cartucce esplose; 9 bombe a mano efficienti, di cui 4 inglesi e 5 italiane»)15.

Furono fermate per accertamenti dieci persone mentre altre quattro furono arrestate. Si trattava del segretario della Camera del Lavoro Augusto Potini16, di Sante Guaglieri17, di Silvio Tedesci18 e di Domenico Accettola19. Il 2 maggio seguente, su mandato di cattura emesso dalla Procura della Repubblica di Cassino, furono arrestati altri tre operai delle Cartiere (Iris Quadrini fu Francesco, Rolando Martino di Raffaele, Tonino Pantanella fu Francesco) in quanto «responsabili di “costituzione e partecipazione a blocco stradale” nei noti incidenti verificatisi il 17 febbraio u.s. ad Isolaliri», nonché alla denuncia di altre 29 persone20.

Poco prima di mezzanotte sempre del 17 febbraio la Cgil (Confederazione generale italiana del lavoro) inviò un telegramma al ministro dell’Interno, on. Scelba, per denunciare che le forze dell’ordine avevano aperto il «fuoco contro lavoratori inermi» causando il ferimento di 34 persone «di cui 7 in gravissime condizioni». Si chiedeva, pertanto, l’«urgente intervento» dell’esponente di governo «al fine di far cessare l’illegale azione delle Forze di Polizia contro masse lavoratici».

Secondo i dati delle autorità ministeriali e di polizia, invece, i rivoltosi feriti erano in numero di sette, di cui uno in grave condizioni21. Nelle relazioni si precisava che i colpi d’arma da fuoco non erano stati diretti «contro la folla ammassata sulla strada», ma si riteneva che di rimbalzo «alcune pallottole [avessero raggiunto] il cancello della cartiera e perforatane la lamiera, [avessero ferito] sette operai appostati dietro di essa». A giudizio dell’on. Marzi non si trattava di «pallottole rimbalzate, ma di pallottole tirate direttamente, pallottole blindate che non [erano state usate] neppure contro i fascisti e contro i nazisti». L’on. Lizzadri aggiunse pure che la «Commissione di inchiesta (andata a fare un sopraluogo subito dopo l’accaduto) [aveva] detto che non potevano esservi palle rimbalzate perché la polizia [aveva] sparato e le pallottole [erano] passate attraverso le sbarre del cancello». Viceversa tra le forze dell’ordine erano stati feriti dal lancio di «pezzi di ferro (rotaie) e colpi di pietra» complessivamente quattordici Carabinieri, di cui un ufficiale, e nove poliziotti.

Comizio a Roma – piazzale del Colosseo

La Camera del Lavoro di Roma e Provincia indisse una manifestazione di protesta da tenersi nella capitale, davanti al Colosseo. Inizialmente il comizio non fu autorizzato perché non notificato in tempo ma poi fu accordato in via eccezionale e si svolse dalle ore 17.40-18.45 del 18 febbraio 1949. Alla dimostrazione di protesta contro la «brigantesca aggressione» perpetrata a danno del «popolo e degli operai di Isola Liri»22 presero parte circa 10.000 persone alcune delle quali, come scriveva il questore Saverio Pòlito nella sua relazione, brandivano cartelli del seguente tenore: «Aguzzini, la maledizione dei lavoratori cadrà sulle vostre teste – Verrà un giorno in cui il popolo farà giustizia – Il sangue dei lavoratori non sarà sparso invano – Fuori dal governo i fomentatori di discordie – Basta con i soprusi polizieschi». La manifestazione, che subì un ritardo di 40 minuti a causa del «mancato rientro» della commissione della Cgil recatasi presso esponenti del governo a rappresentare la protesta dei lavoratori, fu aperta del comizio tenuto dal sen. Cesare Massini23. Secondo il giudizio del questore, il parlamentare comunista aveva asserito, anche se «in maniera piuttosto confusa», «che l’episodio di Isola Liri [andava] inserito nel quadro generale della lotta [in quei momenti] in corso in Italia, fra la reazione appoggiata dal Governo e la classe lavoratrice». Tuttavia agli «ingiustificati licenziamenti» e agli «innumeri tentativi di indurre i lavoratori ad allontanarsi dalla loro grande organizzazione sindacale» aveva fatto conseguentemente seguito la reazione da parte della classe operaia che si esplicitava anche attraverso l’occupazione delle fabbriche. Prese poi la parola il segretario della locale Camera del Lavoro Nazareno Buschi, il quale richiamò l’attenzione «sullo scopo della riunione» incentrata sui fatti di Isola Liri nel corso dei quali, alle «giuste rivendicazioni della classe lavoratrice», si rispondeva «facendo uso di mezzi di lotta di trista memoria nazifascista», un «inaudito metodo di lotta: la fucilazione dei lavoratori che difendono il proprio pane». L’ultimo oratore a intervenire fu l’on. Fernando Santi, segretario confederale della Cgil, il quale definì l’episodio si Isola Liri alla stregua di una «aggressione perpetrata da armati al servizio del Governo, contro inermi lavoratori». Annunciò che in quei momenti una commissione della Cgil capeggiata dall’on. Di Vittorio si trovava in attesa di essere ricevuta dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi per rappresentare l’«inquietudine» e il «malcontento» delle masse operaie. Quindi il comizio si concluse con l’approvazione per acclamazione, di un ordine del giorno con cui si esprimeva la «profonda indignazione» per l’accaduto, si inviava il saluto alle maestranze di Isola Liri e al segretario della Camera del Lavoro di cui si chiedeva l’«immediata scarcerazione», si denunciava il «proposito del Governo di esasperare la situazione economica e sindacale» al fine di «provocare la collera violenta dei lavoratori» e si dichiarava la volontà di lottare decisi «a difesa del diritto al lavoro».

Intanto nel tardo pomeriggio di quello stesso 18 febbraio una delegazione di parlamentari socialisti e comunisti si era portata a Isola Liri al fine di appurare i fatti. Al termine del sopralluogo fu stilato un resoconto nel quale veniva confutata la versione degli incidenti diramata delle autorità di polizia. Innanzi tutto vi si afferma che erano state le Forze di polizia a tentare di penetrare nella cartiera utilizzando il tunnel; che proprio questo «attacco improvviso» aveva scatenato la reazione degli operai i quali avevano provveduto a suonare le «sirene d’allarme»; che la popolazione era stata aggredita con manganelli e calci di fucile; che non era stato mai allestito alcun blocco stradale; che né all’interno né all’esterno dello stabilimento gli operai avessero fatto uso di armi, di filo spinato e «tanto meno» di corrente elettrica; che solo dopo l’arrivo dei rinforzi la situazione era degenerata con un attacco a fuoco diretto verso l’interno dello stabilimento e su una collina sovrastante la fabbrica; che la sparatoria era durata circa 15 minuti e si era conclusa con sette operai feriti da armi da fuoco, di cui due gravemente, e nessun ferito tra le forze dell’ordine; che, pur «di fronte alla ingiustificata e grave minaccia», i lavoratori avevano deciso di sgomberare «pacificamente» lo stabilimento al fine di «evitare danni agli impianti, alle donne operaie e ai bambini ricoverati nell’Asilo Nido»24.

Solidarietà

I fatti di Isola Liri ebbero eco tra i lavoratori di tutta Italia e immediatamente, tra il 18 e il 19 febbraio, scattò la solidarietà di operai e lavoratori di tutta Italia agli operai delle Cartiere Meridionali:     

– a Bologna le maestranze di vari stabilimenti industriali, su sollecitazione dell’Anpi, dell’Udi e di altre associazioni, votarono «ordini del giorno di protesta per i fatti di Isola Liri». Inoltre la Federazione Poligrafici dispose la sospensione dal lavoro per mezz’ora (16,30-17) nelle aziende grafiche e cartaie, invece nello stabilimento Sasib le maestranze interruppero il lavoro per dieci minuti, mentre gli operai della ditta Alga riuniti in assemblea straordinaria elevarono la «loro più vibrata protesta»;

– a Frosinone fu indetto uno sciopero generale di tutti i lavoratori della provincia di ventiquattro ore;

– a La Spezia nella quasi totalità degli stabilimenti gli operai anticiparono l’uscita dai cantieri alle ore 16 e circa 3000 maestranze si riunirono in piazza Verdi dove presero la parola il segretario della Federazione impiegati operai metallurgici e il presidente dell’Anpi;

– a Marghera i lavoratori degli stabilimenti Breda e Montecatini effettuarono uno sciopero dimostrativo di 15 minuti;

– a Pesaro gli operai poligrafici indissero mezz’ora di astensione dal lavoro (11.30-12) dichiarandosi pronti all’attuazione di «ulteriori lotte»;

– a Roma il 18 febbraio i poligrafici sospesero il lavoro dalle ore 11,30 alle 12 e poi dalle 18; il servizio filotranviario fu interrotto per quindici minuti; nelle aziende della capitale fu indetto uno sciopero generale di solidarietà a partire dalle ore 16 che coinvolse vari opifici (Breda, Fatme, Stefer, Fiorentini, Stigler, Otis, diversi cantieri edili e depositi)25;

– a Savona le maestranze degli stabilimenti industriali sospesero il lavoro in segno di protesta;

– a Taranto i lavoratori dell’Arsenale militare marittimo votarono un ordine del giorno di protesta;

– a Terni 88 operai dello stabilimento Alterocca proclamarono mezz’ora di astensione dal lavoro.

Anche i lavoratori di industrie del Lazio meridionale offrirono la loro solidarietà che non si limitò allo svolgimento di manifestazioni di protesta o scioperi, come ad esempio a Pontecorvo, ma fu anche materiale in quanto si giunse a effettuare delle sottoscrizioni in denaro, come accade a Ceprano dove furono raccolte 300.000 lire per «gli operai e le vittime della reazione governativa»26.

Conclusione

Per il mantenimento dell’ordine pubblico, nei giorni successivi rimasero a presidiare lo stabilimento e la cittadina fluviale «due autoblindo e 50 carabinieri del battaglione Lazio nonché 150 militari del gruppo di Frosinone e 100 agenti di P.S. con relativi funzionari». Le forze dell’ordine erano così riuscite a ristabilire l’ordine pur se gli operai, «malgrado tale intervento, persistevano [nel] loro atteggiamento decisamente aggressivo».

Invece la vicenda sindacale trovò la sua conclusione il 26 febbraio 1949. Con la mediazione del governo, rappresentato dall’on. Giorgio La Pira, fu convocata una riunione tenutasi a Roma presso il ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e alla quale parteciparono la Società Cartiere Meridionali (rappresentata dal comm. Turini, assistito dall’avv. Zanchi, dal dott. Vivarelli dell’Associazione Fabbricanti Carta e dal dott. Galella dell’Associazione Industriale di Frosinone) e i rappresentanti sindacali nazionali e locali (i sigg. Antonio Catello, Alfredo Pessia, Battista D’Orazio, Umberto Di Folco, gli esponenti della Filpc Valdarchi, Petrarca e Canali e il sen. Umberto Fiore27 in sostituzione del segretario della Camera del Lavoro di Frosinone, Augusto Potini, in stato di arresto). L’incontro si concluse ribadendo integralmente l’accordo sottoscritto il 28 gennaio precedente a Frosinone sia in termini numerici (50 esuberi) sia in termini economici a favore dei licenziati28. Si confermava pure che la lista dei «50 operai non cartai» sarebbe stata compilata «dalla Direzione» delle Cartiere Meridionali «d’intesa con la Commissione Interna entro 6 giorni dalla ripresa delle attività dell’azienda» che veniva fissata al primo marzo successivo. Infine la Società rinnovò l’impegno «a non procedere a ulteriori licenziamenti di carattere collettivo per esuberanza di mano d’opera fino al 31 marzo 1950».

A un mese di distanza dalla conclusione dei fatti che avevano visto la dura protesta attuata dagli operai di Isola Liri, il 28 marzo 1949 si svolse alla Camera dei Deputati la discussione congiunta sulle tre interrogazioni depositate in Parlamento sugli avvenimenti accaduti nella cittadina lirina.

La prima era stata presentata dagli onorevoli Augusto Fanelli e Giacomo De Palma, ambedue democristiani di Frosinone29, la seconda era stata presentata dagli onorevoli Marzi, Emanuelli, Maria Lisa Cinciari Rodano, Turchi e Aldo Natoli (tutti appartenenti al Pci) e Lizzadri (socialista)30 e infine la terza ancora dall’on. Oreste Lizzadri31.

Alle tre interrogazioni rispose il sottosegretario all’Interno on. Achille Marazza che ricostruì la vicenda attenendosi alle relazioni redatte dal prefetto e dalle autorità di polizia. Nella replica l’on. Fanelli confermava la versione dei fatti esposta dal sottosegretario affermando che gli incidenti fossero stati dovuti «ad un movente politico più che sindacale». Allo stesso tempo colse l’occasione per chiedere che il governo affrontasse il «grave problema della disoccupazione» e delle industrie della provincia di Frosinone «danneggiate dagli eventi bellici», nonché l’adozione di provvedimenti per «diminuire la pressione fiscale» ed evitare ulteriori licenziamenti.

Domenico Marzi, nella sua replica, affermò che a Isola Liri si erano verificati «fatti gravissimi» i quali stavano a dimostrare che le autorità governative avevano inteso «affiancare la resistenza industriale, arrivando persino a inviare colà autoblinde e numerosi armati».

Per Oreste Lizzadri ciò che era successo a Isola Liri «non [era] un fatto isolato». Il parlamentare socialista attribuiva la responsabilità dei fatti di Isola Liri alla Confindustria la quale ogni volta che si palesava una controversia sindacale richiedeva l’intervento delle Forze dell’ordine, anche quando la questione si trovava in una fase iniziale, e mentre gli industriali si mostravano «sordi alle richieste dei lavoratori» il «Governo democristiano si [era] schierato a fianco dei padroni».

1 M. Cigola, Le cartiere storiche del basso Lazio, F. Ciolfi Ed., Cassino 2002. A partire dagli anni ottanta del Novecento una profonda crisi dell’intero settore cartario e una sopraggiunta crisi aziendale portò il 28 novembre 1982 alla sospensione dell’attività delle Cartiere Meridionali, cui seguì una ripresa nel 1986 sotto la gestione della NCM (Nuove Cartiere Meridionali) e poi la chiusura dello stabilimento nel 1993.

2 Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Dir. gen. P. S., cat. C2I, Rel. dei Prefetti 1944, b. 20.

3 Ibidem.

4 Allo scopo di consentire l’assorbimento della «locale manodopera disoccupata, e far in tal modo cessare l’industria clandestina dei tabacchi» era stato approvato un «complesso di perizie per l’esecuzione di lavori», un piano che tuttavia stentava a decollare. Né l’interessamento di esponenti del governo, come il ministro del Lavoro e della Previdenza sociale Gaetano Barbareschi, socialista, che il 23 settembre ‘45 si recò ad Isola Liri per occuparsi del problema occupazionale, né le continue sollecitazioni del prefetto che, paventando la minaccia di gravi disordini, chiedeva alle istituzioni di considerare «con particolare riguardo il problema», riuscirono ad accelerare l’avvio dei lavori progettati. Quindi l’opera di repressione della fabbricazione clandestina di sigarette fu avviata concretamente all’inizio del ’46. Tuttavia il 29 gennaio venne proclamato a Isola Liri uno sciopero generale di protesta a sostegno dei lavoratori impiegati nella manifattura illegale del tabacco. Poco dopo il sindaco socialista Romolo Campoli, in un comizio tenuto alla presenza di circa 1.500 persone che, a giudizio del prefetto, fu «commentato favorevolmente», chiese ai propri concittadini di astenersi dalla pratica del contrabbando e di rivolgersi ad attività lecite, praticando altre forme di lavoro. La vicenda però si trascinò ancora per qualche tempo poiché nel giugno ‘46 il prefetto avvertiva di un «certo fermento» tra gli operai disoccupati, e solo in agosto egli segnalava la scomparsa dal mercato delle sigarette di fabbricazione clandestina, anche se permaneva florido nella provincia il commercio illegale di tabacchi del Monopolio di Stato(G. de Angelis-Curtis, Politica, economa e società in provincia di Frosinone. 1944-1948, Caramanica Ed., Marina di Minturno 1996, pp. 82-83).

5 Ivi, p. 93.

6 La ricostruzione delle vicende è stata operata, lì dove non diversamente segnalato, attraverso la documentazione conservata in Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Gab. 1949, b. 8, f. 1234 e attraverso il resoconto stenografico in Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Seduta di Lunedì 28 marzo 1949, Tipografia della Camera dei Deputati, Roma 1949, pp. 7472-7477.

7 Domenico Marzi (1876-1959), avvocato, è stato uno dei maggiori protagonisti della storia politica della provincia di Frosinone. Organizzatore delle Leghe contadine agli inizi del ‘900, fu tra i fondatori del Psi e poi del Partito comunista d’Italia. Fu eletto alla Camera dei Deputati nel 1919, fu presidente del Comitato provinciale di liberazione, e, nell’immediato dopoguerra, fu nominato sindaco di Frosinone e presidente della Deputazione provinciale. Fu rieletto alla Camera dei Deputati nella prima legislazione repubblicana (1948-1953).

8 Prefetto della provincia di Frosinone dall’11 agosto 1948 al 2 gennaio 1954, quando fu trasferito prima a Brescia, quindi a Livorno e poi a Teramo.

9 Ai licenziati, oltre al pagamento della liquidazione contrattuale, «sarebbe stato corrisposto un importo pari alla retribuzione di 50 giornate di otto ore, compresa la contingenza; mentre ai pensionati sarebbe stato corrisposto un importo pari a 23 giornate e il salario dell’intero mese di gennaio».

10 «l’Unità», a. XXVI, n. 27, 1 febbraio 1949.

11 Augusto Potini, nato a Roma nel 1904, inserito nel Casellario Politico come sovversivo socialista fin dal 1925, partigiano, fu segretario della sezione Pci di Fiuggi, segretario della Camera confederale del lavoro provinciale, componente della Federazione provinciale del Pci e segretario responsabile della Cgil provinciale. Fu più volte denunciato per attività politica e sindacale (F. Di Giorgio, La Camera del Lavoro di Cassino, Cdsc-Onlus, Cassino 2018, p. 113).

12 Le Cartiere del Fibreno si trovano ubicate quasi di fronte alle Meridionali, a una distanza di un centinaio di metri l’una dall’altra, separate dalla strada. Dalle Fibreno, «per mezzo di un antico cunicolo, che passa sotto la strada Sora-Isola del Liri, si sbocca all’altezza della piccola chiesa di S. Francesco, nel terreno immediatamente attiguo alle Meridionali».

13 Il prefetto Temperini, quando ebbe «sentore» che l’on. Marzi di lì a poco avrebbe provveduto a presentare «alla Camera un’interrogazione sui fatti di Isola del Liri», intese inviare al ministero dell’Interno una nota chiarificatrice del suo operato e sui motivi che lo avevano indotto a non ricevere la delegazione composta anche da un deputato nazionale, rappresentante delle istituzioni italiane. Temperini lamentava che dal giorno del suo insediamento, l’on. Marzi non era mai recato in prefettura malgrado fosse stato invitato più volte a partecipare «a riunioni per lo studio di problemi inerenti alla rinascita di questa Provincia». Invece Domenico Marzi «apparve» in prefettura, con altri, solo il 17 febbraio allo scopo di richiedere la scarcerazione di Potini e degli altri arrestati e al fine di caldeggiare una «tregua» tra le forze dell’ordine e gli operai delle Cartiere. Temperini non aveva voluto ricevere i componenti della delegazione ritenendoli responsabili dei fatti di Isola Liri e reputandoli dei «fuori legge» e aggiunse che giudicava Marzi ancor più responsabile in quanto, mentre egli da prefetto «compiva tutti i possibili sforzi per comporre la vertenza», al contrario il parlamentare comunista, da deputato e non da sindacalista, si era introdotto nello stabilimento il 26 gennaio tenendo un comizio nel quale aveva sobillato i lavoratori contro i datori di lavoro, così come nella giornata del 17 febbraio era stato costantemente a Isola Liri «per incoraggiare gli operai e la popolazione alla resistenza alle forze dell’ordine». In sostanza a giudizio di Temperini il parlamentare comunista si era «distinto soltanto nel dare alla vertenza sindacale un carattere squisitamente politico», operando per «sabotare» l’azione del prefetto «che faticosamente era riuscito ad avviarla a soluzione anche con soddisfazione della Camera del lavoro», come risultava dall’articolo pubblicato da «l’Unità» del primo febbraio 1949.

14 «l’Unità», a. XXVI, n. 43, 19 febbraio 1949.

15 Umberto Fiore (1896-1978), eletto all’Assemblea Costituente per il Pci, senatore di diritto nella I legislatura repubblicana e poi rieletto sempre al Senato nelle tre successive, in un telegramma inviato al ministro dell’Interno, lamentò che le forze dell’ordine dopo aver provveduto al rastrellamento all’interno dello stabilimento di materiale contundente («sassi pali ferro piastre ferro per rottami»), lo avevano accumulato nei pressi del muro di cinta «facendo indi eseguire fotografie» per cui la popolazione di Isola Liri e la Camera del Lavoro protestavano contro tali «indegni sistemi falsificazione tendenti giustificare menzognera versione governativa». Le fotografie dei materiali rinvenuti nella fabbrica e di quelli usati per la costruzione dei blocchi stradali, in numero di sette, vennero allegate alla relazione redatta dal gen. dei Carabinieri De Giorgis, trasmessa in data 23 febbraio al ministero dell’Interno.

16 Ritenuto «responsabile di ideazione e costituzione di blocchi stradali, di istigazione a disobbedire alle leggi, di organizzazione e promozione di arbitraria occupazione di aziende industriali e di oltraggio, violenza e resistenza a pubblico ufficiale».

17 Ritenuto «responsabile di istigazione a disobbedire alle leggi, di lancio di artifizi lacrimogeni ed illecito possesso degli stessi e costituzione di blocchi stradali».

18 Ritenuto «responsabile di violenze e resistenze a pubblico ufficiale e costituzione di blocchi stradali».

19 Ritenuto «responsabile di attentato alla libertà di lavoro e di lesioni gravi in danno di un operaio che rifiutava di partecipare all’occupazione della fabbrica».

20 Augusto Potini e gli altri tre operai delle Cartiere arrestati su mandato della Procura della Repubblica di Cassino, furono condannati a diciotto mesi di carcere e tornarono in libertà il 29 dicembre 1950 (F. Di Giorgio, La Camera del Lavoro … cit., p. 113). Potini fu arrestato ancora nel giugno 1951 in seguito a manifestazioni svoltasi a San Donato Val di Comino. Nell’estate le sue condizioni di salute andarono peggiorando, colpito il 22 agosto da un «nuovo grave attacco cardiaco» («l’Unità», a. XXVIII, 23 agosto 1951). Fu rimesso in libertà provvisoria dal Tribunale di Cassino il 21 settembre 1951 con l’obbligo di risiedere a Fiuggi («l’Unità», a. XXVIII, 22 settembre 1951).

21 Secondo alcune ricostruzioni l’operaio ferito gravemente parrebbe essere stato travolto da un automezzo della forza pubblica, spirando qualche tempo dopo.

22 «l’Unità», a. XXVI, n. 43, 19 febbraio 1949.

23 Cesare Massini (1886-1967), antifascista condannato più volte al confino, dirigente sindacale, venne eletto al Senato per la I e la II legislatura per il Pci.

24 «l’Unità», a. XXVI, n. 43, 19 febbraio 1949.

25 Ibidem.

26 E. Mazzocchi, Lotte politiche e sociali nel Lazio meridionale, Carocci ed., Roma 2003, p. 151.

27 Cfr. nora 15.

28 Il presidente delle Cartiere Meridionali, sen. Beniamino Donzelli, si dichiarò disponibile a versare ad ognuno degli operai licenziato una «somma pari all’importo di 600 ore di retribuzione (paga base e contingenza)». Quindi l’«indennità di licenziamento, che per tutte le industrie [era]di 600 lire, [venne] portata a 1000» (E. Mazzocchi, Lotte politiche e sociali nel Lazio meridionale, Carocci ed., Roma 2003, p. 151 n. 83).

29 Era tesa a «conoscere i motivi dei gravi incidenti svoltisi il giorno 18 febbraio 1949 nelle Cartiere meridionali di Isola Liri: incidenti che hanno causato 27 feriti fra le forze dell’ordine e 5 fra i dimostranti. Gli interroganti chiedono altresì quali provvedimenti intenda adottare nei riguardi dei responsabili onde prevenire il ripetersi di simili incresciosi incidenti».

30 Per conoscere i motivi e le ragioni: «a) del concentramento di imponenti forze di polizia a Isola Liri durante lo svolgimento normale e pacifico della vertenza sindacale circa il licenziamento di 250 operai delle Cartiere meridionali; b) del rafforzamento di tali forze alla vigilia della serrata iniziata il 15 febbraio scorso; c) della penetrazione dei carabinieri nella zona Fibreno, avvenuta la notte del 17 febbraio 1949; d) dello scioglimento violento della folla accorsa al suono delle sirene, nel quale rimasero contusi e feriti da mitraglia numerosi operai, anche all’interno della cartiera; e) dello sgombero dello stabilimento imposto alla maestranza con ultimatum comunicato alla commissione interna dal colonnello dei carabinieri al comando di carri armati, autoblinde e reparti appiedati».

31 Intendeva «conoscere i motivi dei gravi incidenti verificatisi a Isola Liri il 4 febbraio 1949, che causarono feriti fra la popolazione».

(5 Visualizzazioni)