L’ARMA DEI CARABINIERI A CASSINO

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«Studi Cassinati», anno 2023, nn. 2-3

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di

Gaetano de Angelis-Curtis

Stemma dell’Arma dei Carabinieri.

Il Corpo dei Carabinieri fu istituito a Torino con Regio Decreto del 13 luglio 1814 da re Vittorio Emanuele I di Savoia. Era uno speciale corpo militare formato da uomini a piedi e a cavallo, sorto con il compito di mantenere il controllo della sicurezza interna dello Stato e dei cittadini, nonché l’ordine pubblico con una presenza capillare nei vari paesi e città. Era nato nell’allora capitale sabauda del Regno di Sardegna e non aveva corrispondenza negli altri sei Stati in cui era divisa allora l’Italia. Nemmeno nel Regno delle Due Sicilie che aveva come capitale Napoli (cui apparteneva anche il territorio del Cassinate), dove operavano altre forze di polizia come la «Gendarmeria». Re Vittorio Emanuele I aveva scelto per il nuovo corpo militare la denominazione di «Carabinieri» (anzi Carabinieri Reali denominazione che mantenne fino al 2 giugno 1946) scartando quella di «Gendarmeria» perché ricordava troppo la dolorosa occupazione e annessione alla Francia del regno di Sardegna che aveva avuto termine solo con la fine dell’epopea napoleonica. Dunque l’istituzione era avvenuta in età prerisorgimentale ma mezzo secolo dopo le guerre risorgimentali portarono all’allargamento del Regno di Sardegna e quindi con la formazione del Regno d’Italia. La Seconda guerra d’indipendenza italiana, combattuta nel 1859, portò all’annessione al Regno di Sardegna delle aree dell’ex Regno Lombardo-Veneto. A Milano fu inviato l’allora maggiore generale Trofimo Arnulfi con il compito di formare il «Comando dei carabinieri reali in Lombardia».

Poi Giuseppe Garibaldi con le sue Camicie rosse, partito da Quarto, sbarcato a Marsala, dopo aver risalito la penisola italiana, il 7 settembre 1860 entrò a Napoli. Il 15 ottobre firmò a S. Angelo in Formis l’annessione delle «provincie napoletane» dell’ex Regno delle Due Sicilie che consegnò a re Vittorio Emanuele II nel famoso incontro nei pressi di Teano del 26 ottobre 1860. Così tre giorni prima dello storico incontro, il 23 ottobre 1860, il Comando Generale del corpo dei Carabinieri inviò nell’ex capitale partenopea lo stesso maggiore generale Trofimo Arnulfi, allo scopo, anche questa volta, di provvedere all’istituzione pure nelle aree ex borboniche di un corpo analogo a quello piemontese.

Il magg. gen. Trofino Arnulfi.

Nel giro di sole tre settimane vide la luce un «Reggimento Carabinieri per la città di Napoli», formato da 62 ufficiali e 240 uomini della disciolta Gendarmeria borbonica. Poi in poco tempo sorsero le varie «Legioni» dei carabinieri tra cui la 7a legione, con competenza su Campania, Abruzzo e Molise che è quella che più interessa il territorio del centrosud. In tal modo la «capillare distribuzione sul territorio, che era stata caratteristica dei Carabinieri di Sardegna, veniva conservata anche con l’allargamento del Corpo a tutta l’area del nuovo Stato». Capillare distribuzione significa che man mano venivano aperte delle Stazioni dei Carabinieri se non in tutti ma nella stragrande maggioranza dei Comuni ex borbonici. Verso la fine del 1860 i Carabinieri giunsero anche a Cassino (che allora ancora si chiamava S. Germano). La Stazione dei Reali Carabinieri, che aveva bisogno di spazi adeguati, si insediò in alcuni ambienti siti nel più grande immobile esistente allora in città. Cioè il palazzo badiale ubicato al centro della città e di proprietà di Montecassino. Lo stabile era occupato in parte dagli uffici della Curia mentre altri ambienti erano utilizzati da parecchi inquilini. I Carabinieri si installarono al pian terreno, che in parte fu adibito a stalla per il ricovero dei cavalli.

Poi il 17 febbraio 1861 (esattamente un mese prima della proclamazione del Regno d’Italia avvenuta a Torino il 17 marzo con Vittorio Emanuele II che assumeva il titolo di re «per grazia di Dio e volontà della nazione») la Luogotenenza generale del regno nelle province napoletane emanò il primo decreto luogotenenziale. Quest’ultimo riguardava il nuovo Ordinamento giudiziario del Mezzogiorno d’Italia che portò a un ampliamento delle sedi giudiziarie. Infatti i quindici Tribunali già esistenti e operanti nell’ex regno delle Due Sicilie (le «sedi antiche») furono affiancati da altri quindici Tribunali (le «sedi nuove» cui si aggiunsero poi delle «sedi nuovissime»). Uno dei quindici nuovi Tribunali istituiti fu quello di Cassino. Sulla scelta della città come sede di Uffici giudiziari influì positivamente l’interessamento dell’allora abate di Montecassino d. Simplicio Pappalettere il quale, peraltro, aveva chiesto pure che Cassino divenisse sede di prefettura e quindi capoluogo di provincia, cosa che non avvenne né in quei momenti né mai successivamente.

Una volta istituito il Tribunale con il Decreto luogotenenziale si venne a porre la questione di dove ubicare fisicamente la sede degli Uffici giudiziari. In sostanza si trattava di individuare uno stabile all’interno della città che potesse ospitare il Tribunale. Il luogo più opportuno fu individuato nel Palazzo vescovile, cioè il palazzo badiale di proprietà del monastero di Montecassino. Si trattava, come scriveva il 7 dicembre 1861 in una relazione il giudice regio Fortebraccio, di un edificio che «formava un vasto quadrilatero al cui interno si trovava una spaziosa corte. Vi si accedeva tramite un ingresso principale che dava su una bella piazza». Se si fa mente locale al palazzo badiale di oggi non si troveranno differenze con quella descrizione. A pensarci bene però l’immutabilità di siti e luoghi all’interno di un centro abitato è cosa normale in tutte le città d’Italia meno che a Cassino. La distruzione totale dovuta alla Seconda guerra mondiale ha comportato il cambiamento totale del profilo urbanistico di Cassino. Tuttavia il palazzo badiale odierno assomiglia a quello pre-bellico (c’è solo in più l’Aula Pacis) poiché esso è stato ricostruito sulla base del volere dicotomico dell’abate Ildefonso Rea «dov’era com’era» che non ha riguardato solo l’abbazia di Montecassino ma anche, appunto, il palazzo badiale e la chiesa di S. Antonio.

In merito alle vicende del 1861, la questione che si aprì riguardava il fatto che nel palazzo badiale da qualche mese si erano installati i Carabinieri la cui presenza, così come di altri affittuari, non possedeva al suo interno degli spazi sufficienti anche per insediarvi il Tribunale. Per poter consentire l’installazione degli Uffici giudiziari non era sufficiente che l’appartamento dell’abate dovesse ridursi in volumetria ma era necessario che la Stazione dei carabinieri si spostasse in un’altra ala dello stesso immobile. Cominciò allora un vorticoso giro di note di richiesta e di solleciti tra le autorità giudiziarie, i Comandi dei Carabinieri a Caserta e Napoli, il prefetto della provincia, il Comune e l’abbazia di Montecassino. L’accelerazione si ebbe in seguito al decreto del 20 novembre 1861 che rendeva effettiva l’istituzione dei nuovi quindici Tribunali. Nel caso di Cassino bisogna giungere velocemente allo spostamento della Stazione dei Reali Carabinieri per far posto a tutti gli uffici giudiziari. Si concordò allora il trasferimento dei Carabinieri nella parte superiore dell’ala occidentale dell’immobile (oltre a piano terra) mentre l’abbazia di Montecassino si assumeva l’onere economico di fare «a sue spese le necessarie sistemazioni» e i «restauri necessari».

I nuovi locali della Stazione dei Carabinieri vennero approntati e ristrutturati velocemente e quando i lavori furono completati essi erano «perfettamente all’ordine». Lo stesso comandante della stazione di S. Germano aveva giudicato la nuova sede migliore della precedente poiché era «più bella e più ampia» di quella fin lì utilizzata. Tuttavia l’ordine di spostamento della Stazione dei Carabinieri tardava ad arrivare da parte delle autorità superiori. Il mancato trasloco da un lato aveva finito per ostacolare «il più che celere sviluppo delle opere» di ristrutturazione dei locali da adibire a organi giudiziari. Ma soprattutto c’era il timore che Cassino potesse correre il rischio di perdere la sede di Tribunale. Finalmente il 3 febbraio 1862 intervenne il generale comandante dei CC.RR in Napoli il quale impartì disposizioni per lo «sgombero» della brigata. Quindi il 5 febbraio il colonnello comandante della 7a Legione del Corpo dei Carabinieri Reali emanò «tosto l’ordine di trasferimento» e l’8 febbraio 1862 ebbe luogo l’insediamento nella nuova caserma. La Stazione dei Carabinieri di Cassino occupava parte del piano terreno in cui vi erano cortile, scuderia, selleria, cantine e fienile e parte del primo piano dove erano ubicati una decina di ambienti di sette camere utilizzate per domicilio, una per ufficio, due per sicurezza, una a uso magazzino e tre per usi vari.

Il contratto di affitto di quella porzione del palazzo badiale adibito a Caserma dei Carabinieri con l’abbazia di Montecassino, proprietaria dell’immobile fu rinnovato nel 1872. Il fitto fu fissato in Lire 1.780 l’anno. Un errore di trascrizione portò anche a una impasse. Infatti su sollecitazione dell’abate di Montecassino, il 19 febbraio 1872 il sindaco di Cassino, avvocato Benedetto Nicoletti, faceva notare al prefetto che sulle bozze dei documenti da firmare il fitto risultava indicato in Lire 1.708 annue anziché L. 1.780. Il funzionario provinciale interpretò ciò come una richiesta di aumento e replicò che non c’era nessuna ragione che giustificasse la variazione. Alla fine il contratto della durata di un quinquennio (1872-1877), venne sottoscritto il 3 maggio 1872 dall’abate dom Nicola D’Orgemont (da poco succeduto allo scomparso dom Carlo de Vera) e dal prefetto di Caserta, Giuseppe Colucci.

Un problema sollevato dalle autorità militari in quei momenti riguardava la mancanza di acqua potabile nella caserma. (La non potabilità dell’acqua era attestata da un certificato medico rilasciato dall’ufficiale sanitario del tempo, il dottor Gennaro Matrundola, nonché dal sindaco Nicoletti). I Carabinieri erano così costretti ad approvvigionarsi di acqua all’esterno con un aggravio di spese per il trasporto. In conseguenza si chiedeva alla proprietà dell’immobile di intervenire facendosi carico di risolvere il problema.

In quegli stessi frangenti, infatti, si era venuta a porre la questione delle «condizioni d’affittanza» in sostanza se la situazione dei locali che ospitavano le caserme a Cassino e nei vari Comuni del circondario fosse rispondente ai contratti d’affitto stipulati. In una nota trasmessa dalla legione dei Carabinieri, divisione di Caserta, al prefetto di Caserta si legge che «la stipula di un nuovo contratto non [avrebbe potuto] avvenire se prima non [fossero stati] eseguiti i restauri che occorr[evano]». Ad esempio a Cervaro nel decennio 1873-1883 la locale stazione dei Carabinieri si trovava ubicata nei locali di proprietà di Matteo Curtis. In una relazione datata 13 febbraio 1881, in previsione della scadenza del contratto d’affitto fissata a fine anno, venivano elencate alcune criticità dei locali e che erano le seguenti: «… alla caserma di Cervaro manca il pozzo e la camera di sicurezza per le donne, la latrina è mal costruita e meriterebbe essere rifatta. Le finestre tutte e i balconi non chiudono bene e devono essere perciò accomodati, infine la caserma in generale abbisogna di molte riparazioni alle porte finestre, pavimenti e muri».

Quindi nel periodo intercorrente tra le due guerre il rapporto tra i Carabinieri e Cassino si fece più intenso. Infatti la città alla fine del 1916 era stata prescelta per costruirvi un Campo di concentramento che fu realizzato in una vasta area lungo la strada che conduce nella frazione di Caira. Nel campo furono internati migliaia di prigionieri dell’Esercito austro-ungarico fatti prigionieri sui fronti di guerra. (Il più famoso era uno dei più importanti filosofi europei del tempo Ludwig Wittgenstein giunto al Campo nel novembre 1918 dove ebbe modo di completare la sua più ragguardevole opera filosofica). Nell’estate del 1920 lasciarono il Campo gli ultimi prigionieri, che erano ucraini, la comunità più viva culturalmente internata in quegli anni. Cementati da un forte sentimento nazionale che speravano si traducesse nella possibilità di costituire uno Stato autonomo. Come poi non successe inglobati, come furono, nell’Unione Sovietica passando da una dominazione all’altra.

Evacuati i prigionieri si decise di riconvertire quella struttura dell’ex Campo di concentramento, costituito da numerosi padiglioni con abbondanti spazi esterni, acqua corrente, latrine ecc. I Carabinieri che per effetto di varie disposizioni governative avevano visto aumentare il loro organico, decisero di installarvi un Battaglione della Scuola Allievi. Così il 18 settembre 1920 giunse a Cassino un primo scaglione di 400 allievi e man mano altri nei giorni successivi. Il distaccamento fu inaugurato l’11 novembre 1920 dall’abate di Montecassino, monsignor Gregorio Diamare. Nel mese di gennaio 1921 il contingente raggiunse la sua forza massima pari a circa 2.800 uomini. Ottimo il rapporto che si instaurò tra gli allievi e la popolazione di Cassino, ma anche di quella dei paesi limitrofi. La struttura portò in città migliaia di giovani allievi, contribuendo a far rifiorire le attività commerciali provate dalla Grande guerra. Il rapporto non si esaurì solo in merito a tali aspetti perché i giovani carabinieri portarono a Cassino anche delle novità in campo sportivo, facendo conoscere alla gioventù locale nuove discipline come il nascente gioco del calcio e la maratona. La scuola rappresentò un modello per il suo genere, sia per le tante comodità esistenti che per l’organizzazione dei servizi.

Alla fine, però, dopo sette anni, fu deciso di trasferire la Scuola Allievi a Gaeta. Il 29 novembre 1927 furono completate le operazioni di trasferimento iniziate nei mesi precedenti. Quella di Gaeta fu una soluzione tutt’altro che ottimale avendo la Scuola bisogno di spazi per gli alloggiamenti e per le attività connesse alle esercitazioni che Gaeta non poteva garantire tant’è che nel giro di qualche tempo la Scuola tornò a Roma. Era stato il fascismo a volere il trasferimento della Scuola Allievi. Infatti nel corso di quell’anno Cassino prima vide sfumare la possibilità di essere elevata a capoluogo di un suo territorio di riferimento amministrativo (e con aggregazione alla neo istituita provincia di Frosinone) poi giunse la perdita di strutture come la Scuola Allievi. Quel 1927, nonostante i tentativi di salvaguardare la città operati in più occasioni dall’abate Gregorio Diamare, potrebbe essere definito come l’«Annus Horribilis» di Cassino se poi non ci fosse il 1944, ma quest’ultimo è stato un «anno catastrofico».

Del rapporto tra la città e gli allievi carabinieri si è venuto a perdere ogni ricordo nella memoria collettiva se non fosse per la presenza nel Cimitero comunale di S. Bartolomeo di due monumentini che riportano i nomi di 51 giovani allievi morti a Cassino nel periodo novembre 1920 – novembre 1927. Con la ricostruzione della città di Cassino nel secondo dopoguerra, la caserma della Tenenza e della Stazione dei Carabinieri sono state allocate per anni in vari immobili (Via del foro, Via Sferracavalli). Da qualche tempo però sono tornate lì dove si trovavano originariamente più di un secolo e mezzo fa cioè nel palazzo badiale anche se l’ingresso non è più dirimpetto alla «bella piazza» con la Chiesa madre ma lungo Via Marconi.

Fonti

Archivio di Stato di Napoli, Carte della Luogotenenza, Ministero Grazia e Giustizia

Archivio di Stato di Caserta, Amministrazione Provinciale, Atti vari

Simona Giarrusso, Il distaccamento Allievi Carabinieri di Cassino, in «Studi Cassinati», a. XXII, n. 1 gennaio-marzo 2022, pp. 23-29

(anche in https://www.cdsconlus.it/index.php/2022/05/17/il-distaccamento-allievi-carabinieri-di-cassino/).

Carlo Nardone, Allievi Carabinieri del distaccamento di Caira deceduti a Cassino, in «Studi Cassinati», a. XXII, n. 1 gennaio-marzo 2022, pp. 30-36

(anche in https:// www.cdsconlus.it/index.php/2022/05/21/allievi-carabinieri-del-distaccamento-di-caira-deceduti-a-cassino/).

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