In margine ad una epigrafe medievale: da Casamari a Teano

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di Angelo Nicosia

In occasione del “Settimo convegno epigrafico cominese” tenutosi ad Atina nel mese di giugno del 2010 veniva portata all’attenzione dei partecipanti un’iscrizione medievale sepolcrale in caratteri gotici, mutila sul lato destro e nella parte inferiore, conservata nell’Abbazia di Casamari (fig. 1). Il testo che venne comunicato è il seguente:

Hic requies[cit – – -]
filius obedie[ns – – -]
amator ard[ens?- – -]
– – – – – –

002.jpgL’unico dubbio restava nell’integrazione del termine al terzo rigo ard[- – -], per il quale tuttavia è stato proposto l’aggettivo ardens associato al sostantivo amator. Riguardo all’anonimo personaggio della tomba si pensava ad un ecclesiastico, per il quale gli epiteti risultanti dal testo andrebbero riferiti alla sua obbedienza e al suo amore per la fede religiosa; tuttavia non veniva esclusa la possibilità che potesse trattarsi di un laico comunque ben relazionato con gli stessi valori religiosi dell’abbazia. Veniva quindi proposto di datare l’iscrizione alla seconda metà del XIII secolo sulla base delle caratteristiche paleografiche e della mano incisoria esprimente un certo gusto classicheggiante da mettere in relazione a quel ritorno all’“antico” che si riscontra nell’Italia meridionale, anche se per un tempo determinato, nell’età federiciana, richiamandone la stretta relazione temporale con la presenza dell’ordine cistercense in questa area geografica.
In merito ai riferimenti all’età federiciana posso aggiungere che la relazione tra i due contesti che sembra infatti manifestarsi in questa fase storica, oltre che nel settore dell’edilizia, dell’architettura e della scultura1, anche nello stile della scrittura gotica, sia libraria che epigrafica, era stato già notato a livello locale2. La venuta dei cistercensi in Italia, ma soprattutto nelle regioni meridionali, favorisce ed incrementa quel cambiamento già avviato durante la dominazione normanna con l’apertura verso i centri della cultura di loro provenienza e con l’attività di una cancelleria più laica e svincolata dalla tradizione monastica meridionale fortemente influenzata dai modelli scrittori della cosiddetta “beneventana”3. Infatti, come ha notato il Pratesi, “anche nel settore della scrittura l’età federiciana ha impresso una sua orma, non rivoluzionando il panorama grafico dell’età precedente, ma sviluppando in una direzione ben precisa e con più vasto respiro l’eredità del secolo XII e preparando la più decisa evoluzione del secolo XIV”4. Tuttavia, pur riconoscendo che il regno di Federico II, “caratterizzato da un ulteriore dilatarsi della cultura laica … e dall’affluire nel meridione di più vaste correnti di civiltà di provenienza diversa”, rappresenta secondo il Pratesi “sostanzialmente un’età di transizione” (loc. cit. e passim), ed è pur vero che durante quel periodo, “e fino a pochi decenni dopo la morte di Federico II nel 1250”, venne “sperimentato” “un sistema di forte impatto visivo dalle forme classicheggianti e dalla monumentalità fino ad allora non pienamente recuperata in ambito epigrafico”5. Più in generale gli esempi di questo tentativo di recupero della cultura classica sono le emissioni delle monete d’oro, gli “augustali” di Federico II, dove l’impostazione generale e gli elementi iconografici (busto dell’imperatore sul dritto e aquila sul rovescio) ripetono i tipi delle monete imperiali romane6. È pertanto possibile che il persistere di tonalità “classicistiche” nella nostra iscrizione di Casamari, come segnalato nel citato convegno, possa in qualche modo testimoniare una maggiore resistenza in ambito cistercense ad abbandonare quel richiamo “all’antico” appunto “sperimentato” durante il regno di Federico II.
Nell’occasione della presentazione di questa epigrafe veniva richiamata l’altra iscrizione in gotica presente a Casamari sullo zoccolo dell’altare a destra del transetto della chiesa, quella cioè di Marmenia: Hic (con)tine(n)tur r(eliquiae) S(an)c(t)o(rum) m(artirum) / Marmenie Leo(n)is (et) alio(rum), dove si sottolineava il ricorrente uso di abbreviazioni anche con segni derivati dal sistema tironiano (fig. 2). L’iscrizione viene messa in relazione con il rifacimento cistercense della chiesa iniziato nel 1203 e terminato nel 12177. Tuttavia devo notare (ma andrebbe fatta un’analisi più mirata) che lo stile grafico dell’iscrizione e proprio la frequenza e il tipo di tali abbreviazioni con l’uso di alcune persistenze delle note tironiane, il segno simile al 7 (et) e quello simile al 9 (con), farebbero pensare ad una datazione più tardiva rispetto a quella proposta.
Per il confronto con il formulario usato nella iscrizione di Casamari veniva proiettata l’immagine di un marmo con un’epitaffio altomedievale di Teano esemplificandone solo la parte iniziale del testo, i primi tre righi, ed evidenziandone la particolare paleografia. Questa epigrafe, che si trova nel Museo diocesano nella cripta della cattedrale di Teano, richiede una maggiore attenzione in quanto essa è stata edita nel 1957 dallo studioso locale Arminio De Monaco in maniera non corretta8 e la sola foto è stata poi pubblicata in un opuscolo del 2002 dove viene indicata una errata datazione al VI-VII secolo9.
Si tratta di una spessa lastra opistografa di marmo bianco con venature azzurrine riusata sul retro per la sepoltura del vescovo Vincenzo Serafino Asculano morto nel 1615. Probabilmente per il riuso nel 1615 la lastra è stata accorciata ai lati destro e sinistro con perdita di porzioni di testo all’inizio e alla fine dei righi; inoltre il testo mostra diverse lettere incise con solchi poco profondi, perciò, a causa anche dell’usura della superficie, ne risulta compromessa una sicura e completa leggibilità (fig. 3).
La lastra misura cm 112×74 e ha uno spessore di cm 9,5. Il testo altomedievale si sviluppa in cinque righi con lettere di altezza pressoché uniforme pari a cm 6. I righi non hanno la stessa lunghezza e risultano accostati a bandiera lungo il margine sinistro rifilato, ma in origine probabilmente dovevano rispettare una qualche diversa simmetria10.
Non sappiamo se si trattasse di una tomba a parete o a pavimento, perché l’usura delle lettere che farebbe propendere per questa seconda possibilità potrebbe essere stata causata successivamente o dal riuso della lastra nel 1615. Se per ipotesi doveva trattarsi della lastra di chiusura di un loculo di regolari dimensioni umane allora dovremmo pensare che manchi una buona porzione sul lato sinistro, almeno cm 40, e almeno cm 10 sul lato destro, per compensare la lunghezza di un corpo umano adulto (cm 112+40+10 = cm 162+). La mezzeria dello specchio epigrafico originario potrebbe corrispondere alla linea di congiunzione dei due incavi di ancoraggio per le grappe ancora presenti in alto e in basso, ma non è sicuro se essi siano pertinenti al riuso del 1615 o alla tomba altomedievale, che, in tal caso, considerata la loro posizione decentrata verso sinistra, confermerebbero una maggiore mancanza della lastra su quel lato e una minore porzione su quello destro.
Ho fatto diverse visite sul posto per osservare bene alcuni dettagli dell’iscrizione in quanto i lembi delle guide dei due montanti che ora sostengono la pesante lastra coprono le ultime lettere alle estremità dei righi e la inopportuna coloratura delle stesse lettere ne pregiudica la lettura di alcune parti11. Tuttavia il testo che appare sicuramente leggibile ad una prima osservazione è il seguente:

1 – – -? HICREQUIESCITINSOMNOPACIS. (crux)
– – -ACOBUSHUMILISDIACONUS.
– – -IVIXITANNOS.
– – – MSQADA- – A – PERATISPEOFU – – –
5 – – -? PRECES

Il testo dunque manca di tutte le parti iniziali dei righi che, se consideriamo lo sviluppo lineare disuguale delle parti rimaste di essi e se ipotizziamo una simmetria dell’ordinatio, dovevano forse essere corrispondentemente diversi in lunghezza da rigo a rigo anche sul lato sinistro mancante, a meno di non pensare ad un qualche elemento decorativo esistente nella parte sinistra ora mancante, che fungeva da limite dell’allineamento verticale dei righi. Ma si tratta ovviamente di semplici congetture che presupporrebbero, nel caso di una disposizione simmetrica e centrata del testo, l’inserimento di un certo numero di parole (o di elementi simbolici?) agli inizi dei righi 1, 2 e 4 (quelli più lunghi) per le quali bisognerebbe trovare una logica coerenza col discorso.
Ecco letteralmente il testo tramandato dal De Monaco: “HIC REQUIESCITIN SOMNOPACIS / iACOBUSHUMILISDIACONUS / + VIXITANNOS / OMSQACHAPPERATISPEOFCIA / ECES”. L’editore riporta le lineette di abbreviazione poste sopra la M e la H del rigo 4 e ne fa la seguente trascrizione: “Hic requiescit in somno pacis – Iacobus Humilis diaconus – + vixit annos – Omnis qui ad acha properatis pro eo faciatis – preces”.
Dal punto di vista paleografico l’iscrizione è sostanzialmente in capitale con inclusione di lettere onciali, la Q e la U: quest’ultima è presente anche nella forma capitale; i caratteri appaiono tratteggiati secondo uno stile che si riscontra soprattutto nell’antico territorio dei principati longobardi meridionali (ved. ultra). Mancano sia i segni di interpunzione e sia lo spazio tra le parole per cui le lettere si susseguono ininterrottamente una dopo l’altra (ad eccezione della parte finale del rigo 4); alle fine dei righi sono presenti 2 o 3 punti a forma di triangolo disposti o verticalmente o obliqui. Al rigo 4: sulla M iniziale di MS vi è la lineetta di abbreviazione per contrazione; una lineetta di abbreviazione per troncamento è presente anche al di sopra della A prima di -PERATIS; la P in PEO ha il segno obliquo centrale di abbreviazione per p(ro) eo.
La lettura proprio del rigo 4 appare particolarmente difficile: come accennato sopra, le lettere iniziali e finali sono coperte dalle guide dei montanti metallici e le lettere intermedie sono molto usurate e conservano tracce dei sottili solchi alterati o coperti dalla impropria coloratura e da una macchia di vernice nera. Tuttavia della prima lettera del rigo davanti alla M, si nota un segmento verticale che curva in alto e in basso e che perciò non puó che essere una O, e ciò è confermato anche dalla lettura fatta dal De Monaco prima che la lastra venisse inserita nelle guide. Per l’ultima lettera del rigo dopo FU- si nota un’asta verticale diritta con una lieve traccia dell’attacco della stanghetta obliqua che quindi puó essere riferita ad una N. Non mi spiego come qui il De Monaco abbia potuto leggere FCIA, quando la U al posto della sua C è chiarissima; così come mi risulta strana la sua lettura incompleta della parola dell’ultimo rigo che invece appare ben conservata per intero (PRECES).
Problemi di lettura presenta anche la parte centrale del stesso rigo 4, dove sono rimaste le tracce di leggeri segmenti di lettere a volte confusi anche dalla coloratura posticcia, e cioè nello spazio compreso tra QADA- – –  e – – -PERATIS, che tuttavia mi pare doversi integrare con buon margine di sicurezza con le tre lettere UL e P per avere – – -QADA[UL]A[P]PERATIS- – – con la lineetta di troncamento sulla A centrale per aula(m), e la prima P con il segno obliquo di abbreviazione per p(ro), come peraltro è confermato dalla lettura del De Monaco. Anche in questo caso non mi spiego come questo attento autore abbia potuto leggere “acha” al posto di aula(m). Il De Monaco, inoltre, scrive che “al terzo rigo manca l’età del defunto perché egli stesso l’aveva preparata e dopo la sua morte nessuno pensò a completarla”, senza considerare che gli anni potevano ben essere annotati nella parte mancante all’inizio del rigo 4, prima di OMS, ad esempio nella forma numerale che richiedeva poco spazio12.
Propongo la seguente trascrizione di ciò che resta dell’epitaffio con l’invocazione finale:

1    [- – -?] hic requiescit in somno pacis (crux)
[- – -?] (I)acobus humilis diaconus
[- – -?] (qu)i vixit annos
– – -. Om(ne)s q(ui) ad aula(m) p(ro)peratis p(ro) eo fun[datis]
5    preces.

Traduzione: Qui riposa nel sonno della pace Giacomo, umile diacono, che visse anni […]. Tutti voi che vi affrettate verso la casa di Dio per lui pronunciate preghiere.
Riguardo alla datazione al VI-VII secolo attribuita all’iscrizione dall’editore della foto nell’opuscolo prima citato13, questa è sicuramente da escludere perché le caratteristiche paleografiche del testo, soprattutto le particolari forme delle lettere O, simili al numero 8, e delle C, simili ad una epsilon, rimandano piuttosto ad un periodo di almeno due secoli dopo, per esempio tra il IX e il X sec., quando sono attestate nella stessa area geografica iscrizioni con una paleografia e con un tratteggio dei caratteri simili ai nostri che identificano un proprio gusto stilistico nei territori longobardi meridionali14. La struttura testuale e il formulario usati nei primi tre righi dell’iscrizione sono perfettamente conformi a quelli ricorrenti nei testi funerari altomedievali secondo una tradizione riconducibile agli epitaffi paleocristiani15. Anche l’invocazione finale con la richiesta di preghiere è presente già nelle iscrizioni paleocristiane e continua ad essere usata ancora tra il IX e il X secolo e oltre, anche se in forma diversa e cioè con un appello ai lettori16.
Sulla precisa provenienza della lastra non si hanno informazioni: i materiali che ora si trovano nella cripta della cattedrale di Teano furono là collocati tra il 1977 e il 1979, anno di inaugurazione del museo, raccogliendo “tutti i reperti epigrafici e scultorei della cattedrale distrutta [nel 1943], conservati prima, senza alcuna inventariazione, in vari locali dell’episcopio e del seminario”17. Il De Monaco ricorda, purtroppo in maniera generica, che l’iscrizione “fu rinvenuta poco lontano dalla tomba di S. Paride”, luogo corrispondente all’ambiente terminale della cripta ora trasformata in museo. Queste notizie farebbero pensare che la sepoltura originaria, quella del nostro testo altomedievale, dovesse trovarsi nella cattedrale antica, edificata presso la tomba di S. Paride, che venne poi ampliata a più riprese fino alla forma e alle proporzioni attuali18. Tuttavia la vaghezza di queste notizie al più ci puó assicurare che la tomba del 1615 del vescovo Asculano, per la quale fu riusata la lastra, doveva trovarsi nell’ambito della cattedrale, ma certo non ci garantiscono che la precedente sepoltura del diacono Giacomo si trovasse nello stesso luogo: in teoria non si puó escludere che la lastra originaria possa provenire da qualche altra chiesa di Teano e perfino da qualche altra località.
Pur nell’incertezza sulla precisa e sicura provenienza della lastra, che fino a prova contraria si puó assegnare a Teano, il contenuto del testo antico permette di fare alcune riflessioni. Dal punto di vista metrico, la presenza nel rigo 4 dei termini omofoni properatis e fundatis fa pensare al tentativo intenzionale di introdurre le rime interne tra i due emistichi del verso conformemente allo schema del “verso leonino”. Ciò naturalmente riporterebbe il nostro personaggio ad un ambiente sociale di un certo livello culturale, quale, appunto, doveva frequentare il diacono Giacomo, come appartenente a quello che ai suoi tempi rappresentava il terzo grado della gerarchia ecclesiastica e che perciò lo vedeva impegnato come assistente dei preti e dei vescovi nelle funzioni sacre. D’altra parte l’aggettivo humilis col quale è definito il nostro diaconus, ricorre con maggiore frequenza negli epitaffi e nei testi di ecclesiastici (monaci, preti e chierici)19. Questo ambiente colto in cui visse il diacono Giacomo probabilmente è da ricercare tra i due secoli, il IX e il X, ricchi di avvenimenti politici, sociali e culturali che interessarono la città di Teano: ad esempio dopo la restaurazione della sede episcopale (857+)20, periodo di permanenza a Teano dei monaci di Montecassino dopo la distruzione nell’883 della loro abbazia e l’influenza da loro esercitata sulla gerarchia ecclesiastica e sulla cultura locali, l’elevazione del gastaldato a contea verso il 965 con acquisizione di una maggiore autonomia politica.


  1 Per le tematiche storico-artistiche si veda L’architettura cistercense; per le preferenze verso i cistercensi da parte di Federco II nel settore dell’edilizia e dell’architettura cfr. anche Vona 1996, pp. 36-37 e 46-47; Farina e Fornari 1981, p. 66: “L’imperatore rimase fortemente impressionato dall’architettura e dallo spirito pratico dei Cistercensi e si avvalse della loro opera”. Le cronache contemporanee ricordano che la stessa Curia romana suggeriva a Federico II di servirsi del personale delle abbazie cistercensi dell’Italia meridionale: “…imperator de consilio curie romane accepit conservos de omnibus abbatiis cistercensis ordinis regni Sicilie et Apulie ac Terre Laboris, quos instituit magistros gregum, armentorum et diversa rum actionum et ad construenda sibi castra et domicilia per civitates regni, ubi non habebant domos proprias ad ospitandum” (Chronica 1888,  pp. 38-39: a. MCCXXIII). Più in particolare per la collaborazione cistercense nella nostra zona cfr. Murro 2007, pp.141-142. Per le buone relazioni tra i cistercensi e gli Svevi e nello specifico tra Casamari e Federico II ved. Bernabò Silorata 1995, pp. 16-20. La “profigua collaborazione tra maestri cistercensi e artefici laziali” nel settore degli “arredi liturgici” nel corso del Duecento è stata di recente ribadita in Gianandrea 2006, p. 31. In merito all’influenza esercitata dai cistercensi è stato scritto che “architetti e capi maestranze furono monaci [cistercensi] istruiti allo scopo e cioè a farsi ‘maestri’ di vere e proprie ‘scuole’ costruttive”: Romanini 1978, p. 291.
2 In questa direzione sembra orientare l’analisi di alcuni codici casamariensi in Adorisio 1996, pp. 14-17. Circa una comune identità degli scriptoria cistercensi cfr. Righetti Tosti-Croce 1978, p. 121 e passim.
3 Ad esempio per una decisa rivalutazione dell’influenza esercitata nel settore artistico anche nella “produzione plastica campana, e più in generale meridionale, della prima età normanna” ved. Gianandrea 2006, p. 19.
4 Pratesi 1992, p. 324. Per questa trasformazione in senso più generale cfr. Supino Martini 2001, pp. 255-256.
5 De Rubeis 2007, p. 35.
6 Per il significato simbolico di tali emissioni cfr. Travaini 2007, p. 64: “Gli augustali di Federico II (1197-1250), introdotti nel 1231, raffiguranti il busto imperiale di stile classico, furono certamente monete di alto impatto internazionale, ma non furono solo monete di ‘propaganda’”. Naturalmente esempi di questa tendenza sono riscontrabili anche nel campo dell’architettura e per restare nell’area geografica a noi culturalmente più vicina ricordo le torri della Porta/Arco di trionfo di Capua, considerate “un monumento che fosse emulo di quelli attestanti la grandezza imperiale di Roma” (in Centore 2003, p. 3 e ss.; i cui bellissimi elementi architettonici e decorativi superstiti sono esposti nel locale museo: cfr. Argenziano 2007, pp. 71-75 ); e la Porta S. Lorenzo di Aquino, da sempre considerata un tipico monumento di età romana, che solo di recente ne è stata formalmente avanzata l’ipotesi che essa possa datarsi proprio in età federiciana e che sia stata realizzata con il concorso o con l’influenza di maestranze cistercensi (Murro 2007, pp. 141-142 e Murro 2010, pp. 65-72).
7 Adorisio 1997, p. 15; Tollo 2004, p. 18 dove l’epigrafe viene considerata “protoduecentesca?” (con il punto interrogativo); foto dell’altare con l’epigrafe in Farina e Fornari 1981, p. 26.
8 De Monaco 1957, pp.199-200.
9 Museo 2002, p. 43.
10 Di questa iscrizione ho pubblicato un articolo nell’ultimo numero del mensile dell’Associazione Erchemperto di Teano “Il Sidicino” (a. VIII [2011], n. 9: Un’iscrizione medievale di Teano), al quale si rinvia per ulteriori dettagli.
11 Durante gli ultimi sopralluoghi sono stato coadiuvato dal rag. Pasquale Giorgio e dai suoi collaboratori che ringrazio per la loro disponibilità.
12De Monaco 1957, pp. 199-200. Per altro il De Monaco scrive che l’“interpretazione di questa iscrizione… è del P. Ferrua S.J”, il quale “crede che ACHA stia per acquas e forse, dice, vi era un pozzo”.  I due casi segnalati di errata lettura del De Monaco si riferiscono alla U onciale interpretata come due lettere: CH e CI.
13 Anche alcune altre iscrizioni presentate nell’opuscolo risultano non bene collocate cronologicamente (Museo 2002, pp. 42-45). Il De Monaco non propone alcuna datazione per il nostro epitaffio.
14 Per la forma della O si confronti con le iscrizioni nel Museo Provinciale Campano di Capua datate al X secolo e per la C con quella a Cimitile (Nola) dell’875 rispettivamente in Gray 1948, nn. 135-136 nella tabella a p. 134 e pp. 137-138 e n. 128 nella tabella a p. 126 e p. 132; poi anche in Rugo 1978, nn. 102, 104 e 106 (Capua). La forma di ambedue le lettere si riscontra anche in un’iscrizione dell’848 proveniente dal Salernitano: Cautela e Maietta 1983, pp. 163-164 e fig. 192. Ringrazio la prof.ssa Flavia De Rubeis dell’Università Ca’ Foscari di Venezia che ha stimolato il mio interesse verso l’iscrizione di Teano quando già alla prima visione della foto senza esitazioni mi disse che non poteva essere anteriore al IX secolo.
15 La tipica formula locativa-obituaria cristiana “hic requiescit in somno pacis” nell’area campana viene considerata caratteristica degli epitaffi di Eclanum e di Capua in Lambert 2008, p. 35.
16 Gray 1948, pp. 117 n. 104 e 137 n. 134 (Capua); Lambert 2008, p. 147, tab. Vc (Capua): “Rogo vos omnes rogate pro me” o simili.
17 De Monaco e Zarone 2007, p. 104. A p. 109 viene annotato che “alcune iscrizioni” furono recuperate da altre chiese di Teano distrutte dalla guerra.
18 De Monaco 1957, pp. 65 e ss.; De Monaco e Zarone 2007, pp. 27-28.
19 Ad esempio “humilis monachus” in ICUR, VI 15979,02 (VII sec.), 15969,7a (VIII-IX sec.) e 15982,2 (VIII sec.); “humilis peccator p(res)b(ite)r” in ILCV 2364a; “umilis clericus” in Carletti 2002, pp. 552, 553 e 559.  L’associazione “humilis diaconus” nel Medioevo è usata con frequenza anche nelle sottoscrizioni di documenti (cfr. i numerosi risultati nella ricerca in Internet con Gloogle).
20 Elenco di questo periodo in De Monaco 1957, p. 110 e pp. 210-211.

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