«Studi Cassinati», anno 2024, n. 1
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di
Emilio Pistilli
I volantini lanciati il 14 febbraio 1944 dall’artiglieria alleata su Montecassino per indurre i rifugiati nel monastero ad abbandonarlo in previsione del bombardamento sono stati sempre considerati un atto di umanità da parte del comando anglo-americano. In realtà, a ben riflettere, costituiscono un duro atto di accusa verso gli Alleati: mostrano senza ombra di dubbio che essi erano consapevoli della presenza di molte centinaia – alcune informative dell’epoca parlavano di qualche migliaio – di civili rifugiati tra quelle mura; nonostante ciò non esitarono il mattino seguente a sganciare su quelle stesse mura il micidiale carico di morte, pur non avendo notato movimenti di evacuazione. Dunque quel lancio di volantini, oltre che inutile per non aver risparmiato vite umane, alla fine sarebbe servito solo a mettere in pace la loro coscienza; come dire: vi avevamo avvisati.
Ma cosa ne pensarono i monaci? Nel diario di E. Grossetti e M. Matronola alla data del 14 febbraio, dopo aver letto il volantino, si legge: «Il nostro cuore è pieno di sgomento nel leggere tale volantino lanciato dai … Liberators. Anch’essi hanno gettato giù la maschera»1.
«Liberators», e non semplicemente liberatori, che hanno gettato la maschera: il giudizio si rivela molto duro.
Ma non basta.
Il sapere di quella massiccia presenza di civili – uomini, donne, bambini, anziani – avrebbe dovuto far concludere che in abbazia non c’era un presidio di tedeschi in assetto di guerra, perché nessun esercito combattente tollera la presenza di estranei tra i loro ranghi durante le operazioni belliche.
Infatti se i tedeschi avessero deciso di utilizzare il monastero come presidio di difesa, per prima cosa avrebbero fatto sloggiare i monaci e i civili, come avevano già fatto con l’occupazione della sottostante città di Cassino: primo loro impegno, è noto, era stato quello della deportazione forzata, lontano dalle linee del fronte, della popolazione che non era ancora sfollata. Non fu quello probabilmente un atto di umanità, ma un’esigenza di puro carattere militare, che servì però, a salvare la vita di migliaia di Cassinati. Infatti quando il 15 marzo successivo Cassino fu rasa al suolo dai bombardamenti anglo americani non fu registrata una strage di civili, come invece era già accaduto il 10 settembre 1943 nella stessa Cassino e poi anche in numerose altre città italiane, e non solo.
Del resto è storicamente accertato che le truppe naziste non avevano mai usato il monastero a fini bellici, almeno fino a quando non fu totalmente distrutto, ed avevano osservato la fascia di rispetto di 300 metri stabilita altrove. È tuttavia vero che alcuni locali sotterranei erano stati utilizzati come deposito di munizioni.
Al di là della vasta letteratura storica al riguardo mi limito ad esaminare quegli eventi solo dal punto di vista della logica.
E non è detto che si debba essere filonazisti per ragionare in tal modo.
***
Il bombardamento del cenobio cassinese era stato voluto fortemente dal tenente generale Bernard Freyberg, comandante del Corpo d’Armata neozelandese, che comprendeva la 4ª divisione indiana e la 2ª divisione neozelandese, incaricate dell’attacco sulle alture del monastero.
Perché l’operazione andasse a buon fine era necessario conoscere a fondo la struttura edilizia del complesso abbaziale.
Si occupò di tale incombenza il maggiore generale Francis Tuker comandante della divisione indiana.
Questi, non avendo avuto dal quartier generale informazioni utili al riguardo, inviò un giovane ufficiale a Napoli per effettuare delle ricerche tra le librerie della città.
L’ufficiale tornò con una valigia di pubblicazioni raccolte tra le bancarelle dei librai. Tra queste c’era anche un volumetto stampato nel 1879 a cura dei monaci di Montecassino con la descrizione minuta della costruzione dell’abbazia.
Alla data del 1879 troviamo pubblicata la guida del monaco Paolo Guillaume intitolata: Descrizione storica e artistica di Monte-Cassino, stampata dalla tipografia di Montecassino. Walter Nardini nel suo Cassino fino all’ultimo uomo2 riporta il titolo: Descrizione storica del Monastero di Monte Cassino con una breve notizia sulla città di Cassino, che, come si vede, non corrisponde al testo relativo a quell’anno, mentre si avvicina molto al titolo dell’opera di Flavio Della Marra: Descrizione istorica del monastero di Monte Casino con una breve notizia dell’antica città di Casino e di S. Germano … del 1751. Non che questo sia importante ma c’è da pensare che Nardini sia giunto a quel titolo tramite una ricerca sommaria facendo confusione tra le due opere.
Nel volume Monte Cassino di D. Hapgood e D. Richardson3 troviamo il messaggio che Tuker inviò a Freyber con il resoconto delle sue ricerche, dove si dice tra l’altro: «Dopo considerevole fatica e dopo penose ricerche in molte librerie di Napoli, ho finalmente scoperto un libro, del 1879, che fornisce alcuni particolari circa la costruzione del monastero di Montecassino», concludendo che si trattava di una fortezza moderna e che andava trattata con mezzi moderni, con bombe pesantissime.
Quello che accadde poi è noto a tutti.
Il giorno prima del 15 febbraio, data stabilita per il bombardamento, come già detto, furono lanciati sul monastero i famosi volantini, che erano stati stampati dall’unità mobile di stamperia alleata. Hapgood-Richardson ci forniscono una informazione dettagliata di questa operazione: «Il personale della sezione propaganda di guerra della V armata poteva stampare un manifestino in pochissimo tempo. Alcuni di questi manifestini contenevano notizie che si sperava sarebbero riuscite a minare il morale del nemico; un tipo comune era quello con un salvacondotto destinato a spingere i soldati nemici a disertare. Una volta approvato dal capo di stato maggiore, generale Gruenther, il testo del manifestino veniva tradotto, e poi stampato dall’unità mobile della sezione. Veniva composto su una linotype e stampato da una macchina Crowell, entrambe trasportate per tutto il settore della V armata su un grosso carro pianale per trasporto carri armati tedesco, preda bellica. La stampatrice mobile poteva fornire manifestini formato cartolina (10x15cm) al ritmo di ottomila esemplari all’ora. I manifestini venivano lanciati con l’artiglieria. Il personale della sezione smontava le granate fumogene, togliendo la carica chimica, poi imbottiva la cavità con circa 750 manifestini, rimetteva a posto la carica di espulsione e riavvitava il fondello. Una volta regolata la spoletta per la distanza, l’operazione propaganda poteva avere inizio. Una granata a manifestini aveva una portata di circa mille metri. La carica di espulsione buttava fuori i manifestini. [ … ] Alle 13 del 14 febbraio una batteria di obici americani da 105 mm in postazione nella valle del Liri sparò 25 granate cariche di manifestini nel cielo di Montecassino. Il messaggio era stato stampato sia in italiano sia in inglese»4.
Ci si può chiedere che senso avesse stampare sul retro di quei volantini anche la versione in inglese dal momento che erano destinati ai civili e ai monaci presenti nel monastero. È evidente che la redazione ufficiale stilata da responsabili della Vª Armata fosse in lingua inglese, tradotta solo dopo in italiano; ma per risparmio di tempo sarebbe stato sufficiente passare alla linotype solo quest’ultima facciata. Può sorgere il dubbio, dunque, che ai responsabili dell’iniziativa stesse a cuore che il messaggio giungesse anche ai tedeschi appostati nei pressi dell’abbazia, anzi … forse soprattutto ad essi; per la speranza magari che quelli, allarmati e spaventati, abbandonassero le loro postazioni, come hanno ben illustrato più su i nostri due autori.
Si tratta soltanto di un’ipotesi, forse anche azzardata, ma se così dovesse essere sarebbe particolarmente allarmante: quei volantini sarebbero stati destinati più ai nazisti che ai civili italiani rifugiati nel monastero. La spregiudicatezza dell’operazione bombardamento potrebbe farcelo pensare.
Ma a tutto ciò la storia non potrà mai dare una risposta.
1 E. Grossetti e M. Matronola, Il bombardamento di Montecassino – Diario di guerra, Montecassino 1980, p. 91.
2 Mursia 1975, p. 101.
3 Rizzoli 1985, p. 155.
4 Op. cit., pp. 196-197.
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