LA “PIETRA A MANDORLA” DI AQUINO

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Studi Cassinati, anno 2011, n. 1
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di Costantino Jadecola

Dalla Befana fascista del 1936 Rocco Baccari, classe 1928, riceve in dono un “sussidiario usato”, ci tiene a chiarirlo, della terza elementare. Anche se frequenta ancora la seconda, Rocco lo legge ugualmente con avidità e con interesse: è un po’ tutto ad affascinarlo ma un tantino di più sono le misteriose vicende della preistoria.
Passano gli anni e arriva, ma passa anche, la Seconda guerra mondiale. Aquino è ridotta ad un cumulo di macerie e la via della ricostruzione si è iniziati appena a percorrerla. Sarà stato i1 1947 o forse il 1948. Rocco è ormai ventenne, o quasi. Il copione della vita gli ha riservato un piccone ed una pala ma lui non ne fa un dramma; il rimpianto, semmai, è per le scuole che per forza di cose ha dovuto “chiudere” alle elementari.
Con il padre Vincenzo e con il fratello Giuseppe lavora, infatti, in un’antica cava di pozzolana, altrimenti nota come “gliù cavarena”, materiale molto richiesto per via della ricostruzione. Già di proprietà della famiglia Spezia e poi di Pasquale Pelagalli, la cava è sulla “rotabile per Pontecorvo”, proprio al di sopra del lungo curvone che precede l’inizio di quella salita localmente nota come “la salita gliù sìneche”, appena un centinaio di metri prima di sottopassare il viadotto sui Pantani della ferrovia per i treni ad alta velocità.
Il lavoro procede senza emozioni ma con molta fatica. Rocco affonda quasi meccanicamente il piccone nella sabbia. Di tanto in tanto, qualche parola con il padre e con il fratello.
Poi, arriva quel giorno. Un giorno come gli altri, lo stesso lavoro di sempre. A un certo punto, però, mentre scava con il solito piccone, Rocco ha la sensazione che l’impatto fra la lama e la sabbia è diverso dal solito. Meno “dolce” del solito.
Si chiede: “Ma cosa può esserci in quel banco di sabbia di diverso dalla sabbia?”.
L’interrogativo merita una risposta, per cui riprende a scavare con molta delicatezza e con più attenzione. E la risposta non tarda ad arrivare.
Infatti, poco dopo, Rocco si ritrova fra le mani una pietra incrostata di sabbia che il piccone ha spezzato in due. Fosse stato un altro a trovarla, non ci avrebbe pensato su due volte e l’avrebbe gettata via. Rocco, invece, la pulisce alla meglio togliendovi la sabbia, la controlla con attenzione e mentre se la gira delicatamente tra le mani è già convinto che non si tratta di una comunissima pietra ma di una “strana” pietra, di una pietra non certo preziosa ma che un qualche valore deve averlo. Recupera anche l’altro pezzo, lo pulisce alla meglio e poi fa combaciare le due parti, laddove la lama del piccone aveva colpito: l’ipotesi di Rocco, ovvero quella sensazione che l’aveva sfiorato, è confermata.
Mentre le mani compiono queste azioni, la sua mente sfoglia a ritroso le pagine del tempo fino a quel sussidiario della Befana fascista dove di una pietra come questa c’era addirittura la fotografia: aveva fatto un tale effetto nella sua memoria infantile da non averla mai più dimenticata. Ora ha addirittura la fortuna di averne una eguale fra le mani e non sta più in sé per quella scoperta: sarà stata lunga, forse, più di trenta centimetri ed ha l’aspetto di una grossa mandorla. Gli studiosi della materia la chiamano amigdala ed è, in sostanza, un’arma creata ed usata dagli uomini dell’età della pietra.
Ma Rocco non ha il tempo di fantasticare e per quanti sforzi faccia per spiegare che si tratta di una grossa scoperta, papà Vincenzo lo richiama alla realtà delle cose evidenziando seri dubbi sulle capacità mentali di quel figlio uscito pazzo per una pietra. Dubbi che, ovviamente, non ha difficoltà a manifestare in caratteristiche ed irripetibili espressioni dialettali.
A Rocco non resta altro che fare buon viso a cattivo gioco e riprendere a lavorare. Ma ora è diverso, consapevole com’è di trovarsi su un terreno che, in un certo senso, scotta. E scotta per davvero se gli capita, appena dopo, di trovare un dente di una ventina di centimetri di lunghezza ed un tantino ricurvo ed un osso lungo all’incirca un metro, che Rocco ritiene possa essere stata la tibia di un grosso animale.
E finalmente, un’altra amigdala. Stavolta, però, tutta intera e senza nemmeno un graffio.
Nonostante Vincenzo Baccari sia sempre più perplesso circa le capacità mentali del figlio, per Rocco quelle scoperte costituiscono argomento di conversazione con gli amici “più istruiti” ed un buon motivo per fantasticare.
Poi, per iniziativa dell’insegnante Vincenzo Pelagalli, la pietra a mandorla finisce col girare a scuola per esser fatta conoscere ai bambini. Finché, qualche tempo dopo, non viene segnalata ad Italo Biddittu – lo stesso studioso cui si deve la scoperta nelle campagne di Ceprano, il 13 marzo 1994, del cranio appartenuto al più antico cittadino italiano o addirittura europeo (si parla di oltre 700.000 anni) – che già allora si interessava alla storia e, soprattutto, alla preistoria del territorio, il quale provvede a darle la meritata risonanza.
Ho chiesto al prof. Biddittu quale significato attribuire all’amigdala scoperta casualmente da Rocco Baccari ed in quale epoca collocarla. Secondo l’illustre studioso, “il rinvenimento di manufatti bifacciali acheuleani nel territorio di Aquino testimonia ulteriormente la diffusione nel Lazio meridionale di un aspetto culturale che si sta rivelando di fondamentale importanza per la storia dell’uomo. L’amigdala di Aquino, ottenuta con tecnica di scheggiatura evoluta da un blocco o ciottolo di calcare, è riferibile al glaciale Riss; in termini di cronologia assoluta, si può indicare una età approssimativa di 250.000 anni”.
– Ma al di là di questa specifica pietra, ho chiesto ancora ad Italo Biddittu quali sono le più significative testimonianze pervenuteci da queste epoche lontanissime ed a quali di queste epoche, in particolare, esse si riferiscono?
– Si tratta di manufatti in pietra scheggiata che erano prodotti dall’uomo preistorico per destinarli alla caccia degli animali selvatici. Alcune volte si rinvengono anche manufatti in osso ricavati dalle diafisi delle ossa lunghe dei mammiferi. Ad Aquino, nella località in cui era aperta la cava di pozzolana Pelagalli, sono stati rinvenuti alcuni bifacciali (amigdale) acheulane.
– A taluni “resti preistorici” trovati sotto l’abitato di Aquino nel 1927 viene attribuita un’origine “terramaricola”, al pari di quelli scoperti l’anno precedente a Ceprano, in contrada “Le Pantane” da Giovanni Colasanti. A che epoca possono farsi risalire e qual’è opinione si ha sulla loro origine?
– L’attribuzione dei ritrovamenti preistorici ad una presunta cultura “terramaricola” era un fatto diffuso nei primi decenni del secolo ed era una logica conseguenza dell’influenza esercitata da Luigi Pigorini e la sua scuola. Secondo il Pigorini la diffusione della civiltà in Italia era stata condizionata dall’espansione di elementi caratteristici dell’Europa centrale; questa convinzione spingeva i ricercatori a considerare come “terramaricoli” gran parte del reperti preistorici che venivano occasionalmente alla luce in varie parti d’Italia. E’ attualmente impossibile dare una definizione culturale e cronologica dei resti trovati a Ceprano e ad Aquino, poiché credo siano dispersi. Di notevole interesse, invece, è il ritrovamento di ceramiche preistoriche riferibili alla fine dell’età del rame che ho rinvenuto alcuni anni fa, sempre nelle vicinanze della cava Pelagalli. Si tratta di pochi frammenti dl vasi alcuni dei quali decorati sulla superficie esterna da listelli di argilla applicati che trovano confronto con quelli del villaggio di Selva dei Muli a Frosinone. Dal punto di vista cronologico questi reperti possono essere datati intorno al 2000 a.C.
– Dove sono conservati sia questi reperti che l’amigdala?
– L’amigdala rinvenuta da Rocco Baccari è conservata presso il Museo Preistorico Etnografico Luigi Pigorini di Roma; pochi altri bifacciali e le ceramiche della cava Pelagalli sono presso l’istituto Italiano di Paleontologia Umana, sempre a Roma.
In effetti, però, almeno per la pietra a mandorla, al museo Pigorini da tempo non se ne ha traccia alcuna. Quanto agli altri reperti segnalati dal prof. Biddittu, invece, sarà il caso di compiere analoga verifica presso la sede indicata. Anche perché, con il sempre maggior prestigio acquisito dal “museo della città” di Aquino, sarebbe il caso che certe testimonianze tornassero ai loro luoghi di origine.
A Rocco Baccari, con la soddisfazione che il suo nome viene citato sulle pubblicazioni scientifiche associato alla scoperta di una delle amigdale di Aquino, di una metà della “pietra a mandorla” è rimasto solo un calco in cemento che lui stesso, provvidenzialmente, realizzò prima di consegnare l’originale alla collettività.
Anni fa sono andato con Rocco alla cava. E mentre mi raccontava questa storia, ruspando con le mani nel terreno, ha tirato fuori un pugno di soffice sabbia, più soffice di quella del mare. Era la sabbia che custodiva la pietra a mandorla, la stessa dove, forse, sono ancora custoditi chissà quanti e quali altri segreti del più remoto passato di Aquino e del territorio.

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