Il veterano polacco Tadeusz Kurucz e la piccola Maria di Venafro

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Studi Cassinati, anno 2010, n. 4
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di Vincenzo Squillacioti1


In uno dei non numerosi viaggi in giro per l’Italia con la famiglia, abbiamo fatto tappa a Caserta con l’intento di visitare l’indomani la Reggia e poi andare all’Abbazia di Montecassino per avvertire da vicino il fascino della Religiosità e della Storia che emana da uno dei più interessanti conventi del mondo.
Era il 6 ottobre del 1985. Sistematici in albergo, siamo scesi in strada per andare a cenare in un ristorante vicino. Nell’atrio-garage un signore sulla sessantina osservava con evidente curiosità la targa della nostra automobile. Quando ci siamo avvicinati ci domandò con fanciullesca ingenuità: “Cosa essere?” Era evidentemente uno straniero che voleva sapere a quale zona d’Italia si riferisse la targa. Soddisfatta la sua curiosità, e vedendolo spaesato, lo invitammo a consumare la pizza con noi. Accettò senza riserve. Era un ingegnere polacco emigrato in Inghilterra dopo la seconda guerra mondiale. Diciannovenne era stato chiamato alle armi contro il Nazismo e arruolato nel 12° Reggimento Podolski, uno di quei reparti polacchi che, inquadrati nella 5ª Divisione del Generale Anders, nella primavera del 1944 alle falde di Montecassino versarono il loro sangue per la libertà dell’Italia e dell’Europa.
Nel corso della serata l’ingegner Tadeusz Kurucz, alto e robusto, capelli brizzolati, ci ha raccontato che, sbarcato a Taranto con l’8ª Armata inglese, era stato ad Agnone, a Venafro e poi a Cassino. Due giorni prima che il suo reparto si trovasse nel vivo della cruenta battaglia (il 10 maggio, pare), mentre sostava nel salone di un barbiere, a Venafro, una bambina di circa 9 anni di cui ricordava ancora il nome, Maria, forse parente del titolare della bottega, gli si è avvicinata per regalargli un Crocefisso da coroncina, che lui ha portato sempre con sé sino alla fine della guerra, e ancora conserva gelosamente, considerandolo il talismano che gli ha salvato la vita. Dal racconto dell’ingegnere si poteva dedurre che il giorno del miracolo fosse il 12 maggio 1944. L’11 maggio, difatti, Winston Curchill aveva telegrafato al Comandante il XV Gruppo di Armate, Generale Alexander: “Tutti i nostri pensieri e le nostre speranze vi accompagnano in quella che spero e credo sarà una battaglia decisiva… avendo come obiettivo la distruzione delle forze armate nemiche a sud di Roma.” A sera, poco prima di mezzanotte, ben duemila bocche da fuoco scaricarono contemporaneamente distruzione e morte sulle postazioni tedesche, da Cassino al mare. In quell’inferno di fuoco c’era anche il II Corpo polacco, tra cui il diciannovenne soldato Kurucz e, accanto a lui, in una buca da scoppio di proietto di cannone, un altro giovine polacco che lo invitò a mettersi al coperto cedendogli la sua buca, che lui si sarebbe spostato in altra più in là. Così fecero. Una bomba cadde dopo qualche istante, proprio più in là, stroncando la vita del giovane amico. Da qui la convinzione del miracolo. L’indomani mattina, avendo l’amico Polacco accettato un passaggio con la nostra vettura, visitammo insieme la Reggia a Caserta e poi l’Abbazia di Montecassino. Ci portammo poi al cimitero dei Polacchi dove il miracolato Tadeusz Kurucz trovò la tomba dell’amico: vi depose un fiore e vi poggiò le labbra per un bacio. Recitò in silenzio una preghiera, e pianse. Negli occhi l’evidente delicata letizia di aver finalmente compiuto, dopo quarantuno anni, il doveroso pellegrinaggio di riconoscenza e di amore. Durante il viaggio di ritorno verso valle gli chiedemmo se aveva mai cercato di rintracciare quella bimba che nel salone di Venafro gli aveva regalato il Crocefisso. Ci disse che ci aveva sempre pensato, ma non conosceva nulla di lei, e la ricerca sarebbe stata comunque difficile perché non conosceva se non poche parole della lingua italiana. Ci lasciammo, ognuno per la propria strada: l’ingegnere polacco per l’Inghilterra, mia moglie con le nostre due bambine ed io per Badolato, un paese calabrese che nel triste periodo bellico di cui ci aveva parlato l’ingegnere Kurucz ha ospitato anche sfollati di Cassino.
Rientrato a casa ho voluto tentare di rintracciare, dalla Calabria, la piccola Maria di Venafro. Consultando un vecchio Annuario del Touring ho scoperto che Venafro aveva in quegli anni gli stessi abitanti di Badolato, dove erano nati soltanto tre bambini nel 1934 e sei nel 1935: la Maria doveva essere nata in uno di questi due anni se nel 1944 aveva “circa” nove anni, e a Venafro ci sarà stato più o meno lo stesso numero di nascite. Con lettera del 17 ottobre 1985 ho comunicato la mia intenzione al Sindaco di Venafro, pregandolo di far fare analoga ricerca al municipio del suo Comune. Ed ecco la risposta del Comune di Venafro datata 19 novembre 1985: “In riferimento alla Vostra lettera si comunica che è stata rintracciata la persona richiesta. La stessa risponde al nome di Ricci Maria abitante in questo Comune alla via Redenzione alla quale è stato dato l’indirizzo del Sig. Kurucz con il quale avrebbe corrisposto direttamente.” Così fu, difatti.
Per Natale ho ricevuto dall’Inghilterra gli auguri e i ringraziamenti dell’ingegnere Kurucz per averlo aiutato a ritrovare Maria, la bimba di cui la Provvidenza si era servita per il miracolo. In calce alla lettera: “Scusate me per non scritto in italiano ma io ho difficulta scrivere in vostra bella lingua.”
La difficoltà della lingua non è stata comunque barriera alla trasmissione di messaggi e alla partecipazione di emozioni che hanno il linguaggio della fratellanza, dell’amore, della pace.
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1 Direttore della rivista “La Radice” edita in Badolato, RC.

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