L’invasione dello Stato Pontificio e l’allocuzione di Pio IX La storia che non si è voluta scrivere

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Studi Cassinati, anno 2010, n. 4
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di Emilio Pistilli


Nell’ultimo numero di Studi Cassinati abbiamo pubblicato il “Proclama reale” di Francesco II, re delle Due Sicilie, emanato il 6 settembre 1860 nel lasciare Napoli per rifugiarsi in Gaeta in seguito all’invasione del suo regno da parte delle truppe piemontesi; in esso il re denunciava che “una guerra ingiusta e contro le ragioni delle genti” aveva invaso i suoi stati nonostante fosse “in pace con tutte le potenze Europee”.

Ora proponiamo ai nostri lettori l’allocuzione di papa Pio IX del 28 settembre dello stesso anno – appena tre settimane dopo – con la quale il pontefice, sovrano dello Stato Pontificio, denunciava al mondo l’analoga sorte subita dai suoi domini ad opera di quelle stesse forze che an- davano impadronendosi del regno napoletano.

Queste operazioni non ho esitato a definirle come “un’aggressione militare vera e propria con- tro stati non nemici a scopo di annessione territoriale”. I nostri lettori hanno sufficiente senno e capacità critica indipendente per giudicare da soli il tenore di quegli avvenimenti che, nello scon- volgere l’assetto della penisola italica costituirono la nascita dell’odierna Italia.

I commenti di chi scrive, per quanto dichiaratamente personali, sono volti non a “riscrivere la storia in chiave palesemente filoborbonica” – come taluno ha ritenuto –, ma a segnalare come molte pagine di quella storia, pur scritte a chiare lettere, non sono mai entrate nel grande libro della storia nazionale, forse volutamente (questa è una mia personale convinzione) al solo scopo di esaltare l’epopea dell’unificazione della Nazione su iniziativa di un sovrano illuminato.

Mi chiedo: per ricostruire la storia di un popolo è proprio necessario occultarne le fasi meno edificanti? I Francesi, per esempio, hanno mai cancellato dai loro libri scolastici il periodo buio del “Terrore”? Una storia oscurata, quella che emargina le ragioni dei vinti, è una storia che uni- fica o che divide? Su questo aspetto non desidero dilungarmi, però rinvio ad una articolo pieno di ardore, ma anche ardimentoso, di Marcello Veneziani – “Il Giornale”  31-8-2010 –, che sommariamente ripropongo nelle pagine a seguire con l’autorizzazione dell’Autore.

Mi limito a ricordare che Studi Cassinati si è assunto il compito di narrare la storia, quella nostra, delle nostre terre, dei nostri padri, anche se “terroni”, attraverso documenti e testimo- nianze inconfutabili; poi ognuno ne faccia l’uso che crede. Se ci si attende da noi che ci mettia- mo a ripetere, per un malinteso “amor di Patria”, ciò che da sempre è stato scritto e divulgato per non turbare le coscienze degli Italiani in pace con il proprio passato, allora diciamo che non è questo il giornale giusto.

Infine, quanto all’appellativo “filoborbonico”, vorrei sapere che senso abbia oggi, oltre l’in- tento denigratorio, visto che i Borbone sono solo una realtà del passato; vi sono i nostalgici, è ve- ro, ma quelli amano definirsi semplicemente “borbonici”, e, per quanto se ne sappia, non fanno paura a nessuno.

Dunque, rilassiamoci, gettando alle ortiche le polemiche pseudostoriche, e leggiamoci la “no- stra” storia, che alla fine è anche la storia della “nostra” Italia.

 e. p.


ALLOCUZIONE DEL SANTISSIMO PADRE PAPA PIO IX NEL CONCISTORO SEGRETO

Il dì 28 Settembre 1860

Venerabili Fratelli,

Nuovi e finora inauditi ardimenti, commessi dal Gover- no Subalpino contro di Noi e contro l‘Apostolica Sede e la Chiesa Cattolica, siam costretti a detestare con incredibi- le dolore, o meglio costernazione dell’animo nostro. Esso Governo, come voi conoscete, abusando della vittoria che riportò da funestissima guerra per l’aiuto di forze di una grande e bellicosa nazione, estendendo il suo regno per l’I- talia contra tutt‘i diritti divini e umani, commossi i popoli a ribellione, scacciati con somma ingiustizia i legittimi Principi della propria Signoria, invase ed usurpò con in- giustissimo e al certo sacrilego ardire alcune province del nostro dominio Pontificio nell’Emilia. Ma mentre tutto l‘Orbe Cattolico, rispondendo alle giustissime e gravissime nostre querele, non cessa dal levare alta la voce contro questa compiuta usurpazio- ne, lo stesso Governo ha stabilito di prendersi altre province di questa Santa Sede, si- tuate nel Piceno, nell’Umbria, e nel Patrimonio. Se non che vedendo che i popoli di queste province godevano di tutta la tranquillità, e aderivano fedelmente a Noi, e non potevano per denaro largamente profuso, e per altre malvage seduzioni, alienarsi, e svellersi dal legittimo civile imperio Nostro e di questa Santa Sede, mandò pertanto da una mano di uomini perduti ad eccitare turbolenze e seduzioni in quelle province, ed anche uno smisurato esercito suo a sottometterle con impeto ostile con la forza delle armi.

Voi ben conoscete, Venerabili Fratelli, le lettere impudenti che il Governo Subalpino scrisse al Nostro Segretario di Stato per adombrare il suo patrocinio, con le quali non si vergognò di annunziare aver commesso alle sue truppe di occupare le nostre dette province, se non si licenziassero gli Esteri ascritti al Nostro esercito, che d’altronde si era allestito per conservare la tranquillità del Dominio Pontificio, e delle sue popola- zioni. Né ignorate come nel tempo medesimo che si ricevevano quelle lettere, venivano occupate le dette province dalle truppe Subalpine. E però nessuno non può grandemente commuoversi, e non sentire commozione pensando alle bugiarde accuse, ed alle varie calunnie e contumelie, con le quali il detto Governo non si vergogna di covrire siffatta ostile ed empia aggressione sua contro la civil principale della Romana Chiesa, e di prendersela col Nostro Governo. E chi di fatti non oltremodo si meraviglia, udendo che il Nostro Governo è ripreso, perché siano stati ascritti all’esercito Nostro Esteri, quando tutti conoscono non potersi negare ad alcun legittimo governo il diritto di arrolare Esteri nelle nostre truppe? Il qual diritto con più forte ragione si appartiene al gover- no Nostro e di questa Santa Sede, poiché il Romano Pontefice, come padre comune di tutt’i Cattolici, non può non ricevere di assai buona voglia tutti quei Cattolici che mos- si da zelo di religione abbiano volontà di militare nelle truppe Pontificie, e di concor- rere alla difesa della Chiesa. Ma qui stimiamo dovere avvertire che il concorso di tali Esteri Cattolici ebbe un particolare impulso dalla malvagità di quelli che aggredisco- no il civil principio di questa Santa Sede. Niuno infatti ignora da quale indignazione e da che tutto fu commosso tutto l’Orbe Cattolico tosto che seppe di essersi fatta così em- pia, e così ingiusta aggressione alla civiltà di questa Sede Apostolica. Donde avvenne che moltissimi fedeli da varii paesi della Cristianità sieno volentieri e molto alacremente concorsi nel Nostro Stato Pontificio, ed abbiano scritto il loro nome alla nostra Milizia per difendere valorosamente i diritti Nostri e di questa Santa Sede, e della Chiesa. Non- dimeno il Governo Subalpino per singolare malignità non è affatto peritoso ad impri- mere con somma calunnia la nota di mercenari ai Nostri militi ed indigeni ed esteri, na- ti da nobile stirpe, e cospicui per nome d‘illustri famiglie ben voluto militare delle no- stre truppe unicamente mossi dall’amore della Religione, e senza emolumento veruno. Né al Governo Subalpino è ignoto che fede ed integrità prevalga l’esercito Nostro, men- tre ad esso Governo fu manifesto di esser tornate vane tutte le arti ingannatrici, ado- prate a corrompere i Nostri militi. Non vale poi che c’intratteniamo a respingere l’ac- cusa di feroci, malignamente infitta alle Nostre truppe, mentre i maldicenti non posso- no arrecarne veruna pruova; che anzi un’incolpazione di tal sorta può meglio rivolgersi ad essi, come lo dimostrano chiaramente i fieri proclami divulgati a nome dei Duci dell’esercito Subalpino.

Qui giova avvertire che il Nostro Governo non aveva a sospettare intorno a una in- vasione ostile di tal natura, mentre gli si era data fidanza che le truppe Subalpine si ac- costavano al nostro territorio non con l‘animo al certo di invaderlo, ma piuttosto di al- lontanarne le torme dei perturbatori. Quindi il sommo Duce delle nostre truppe non po- tea neppur pensare di dover combattere con l’esercito Subalpino. Ma mutate le cose ogni aspetto in peggio, com’Egli conobbe con ostile irruzione era fatta da quell’eserci- to, il quale assaissimo prevale per numero di combattenti, e per forza di armi, prese il provvido di ridursi in Ancona, munita com’è di fortezza, affinché i Nostri militi non fos- sero esposti a sì facile pericolo di morte. Ma essendosegli infraposte nella marcia trup- pe di nemici in attitudine d’irrompere contro di lui gli fu forza di venire a battaglia a fine di aprire la via per sé e per le sue milizie.

Del resto mentre rendiamo le dovute e meritate lodi al menzionato Duce delle nostre truppe ed i loro condottieri e militi, che sebbene con forze assai diseguali, pure provo- cati da una irruzione ostile che non si aspettava, fortemente pugnarono per Dio, per la Chiesa, per questa Sede Apostolica e per la giustizia: appena possiamo fermare le la- grime al conoscere quali valorosi militi, ed in particolare giovani sceltissimi son caduti estinti in quella invasione ingiusta e crudele, quanti di quei prodi che con animo ge- neroso e veramente nobile volarono a difendere il principato civile della Chiesa Roma- na. Inoltre mai ci commuove il lutto che si è sparso in copia nelle loro famiglie. Oh po- tessimo a queste famiglie tergere il pianto con le Nostre parole! Ma confidiamo che lor tornerà di non leggiero sollievo e consolazione l’onorevole memoria che meritatamen- te facciamo dei loro figliuoli e consanguinei per l‘esempio splendido che han dato di egregia fede, pietà, ed amore verso di Noi e questa Santa Sede a tutto l’Orbe Cristiano con lode immortale del nome loro. E siamo al certo elevati a speranza, che tutti coloro i quali incontrarono per la Chiesa una gloriosa morte, conseguano quella pace e bea- titudine sempiterna che abbiamo implorato da Dio ottimo e Massimo, e che non mai tralasceremo d’implorare. E qui conferiamo ancora le debite lodi ai diletti figli, che so- no i Presidi delle province segnatamente di Urbino e Pesaro, e di Spoleto, che in questa tristissima vicenda di tempi hanno adempito con diligenza e fermezza all’ufficio loro.

Inoltre, Venerabili Fratelli, chi potrà mal sopportare la manifesta impudenza ed ip- pocrisia, con la quale iniquissimi invasori non dubitano di asserire nei loro program- mi, che essi vanno nelle nostre e in altre province d’Italia per ivi ristabilire i principi dell’ordine morale? E ciò temerariamente si afferma da coloro che intimando già da gran tempo fierissima guerra alla Chiesa Cattolica, ed ai Ministri, ed alle cose che le appartengono, e disprezzando leggi ecclesiastiche e Censure, osarono gettare in carce- re e ragguardevolissimi Cardinali di Santa Romana Chiesa, e Vescovi, e specchiatissi- mi personaggi dell‘uno e dell‘altro Clero e cacciare dai propri Cenobi Religiose fami- glie, rapinare i beni della Chiesa, e devastare il principio civile di questa Santa Sede. Certamente saranno ristabiliti i principi dell’ordine morale da costoro che fondano pub- bliche scuole di qualunque falsa dottrina, ed anche esse meretrici, e che per mezzo di scritti abbominevoli, e teatrali spettacoli si sforzano di offendere ed eliminare il pudo- re, la pudicizia, la verità, e di schernire e vilipendere i sagrosanti misteri, i precetti di riti, le cerimonie della nostra divina Religione, di togliere di mezzo ogni ragione di giu- stizia, e di scrollare e distruggere i fondamenti si della Religione che della società civile!

Adunque in questa così ingiusta, così ostile, ed orrenda aggressione ed occupazione, che il Re Subalpino col suo Governo ha fatto del Nostro principato civile e di questa santa Sede, contro tutte le leggi della giustizia, e l‘universal diritto delle genti, Noi ben memori del Nostro ufficio innalziamo di nuovo con la maggior forza la Nostra voce in questa ragguardevole vostra adunanza, e al cospetto di tutto l‘Orbe Cattolico, e ripro- viamo e interamente condanniamo tutti gli scellerati e sacrileghi ardimenti di esso Re e suo Governo, e ne dichiariamo e decretiamo irriti e nulli tutti gli atti, e più e più re- clamiamo, e non mai cesseremo di reclamare la integrità del Principato civile, ond’è dotata la Romana Chiesa, e i diritti di lei che a tutti i Cattolici si appartengono.

Ma non possiamo dissimulare, Venerabili Fratelli, che noi siamo oppressi da somma amarezza, mentre in così scellerata e non abbastanza esecrabile aggressione stiamo, per varie difficoltà insorte, ancora desiderando il soccorso di aiuto straniero. Sono al certo notissime a Voi le reiterate dichiarazioni a Noi fatte da uno dei potentissimi Prin- cipi dell’Europa. Nondimeno già da gran tempo aspettiamo l’effetto di quelle, non es- sere fortemente angustiati e turbati guardando, che gli autori e i fautori della nefanda usurpazione, con audacia e insolenza, persistono e progrediscono nello scellerato loro proposito, come fiduciosi nella certezza che nessuno in verità gli avversi.

Questa perversità poi andò tant’oltre, che avvanzando le truppe ostili dell‘esercito Subalpino quasi fino alle mura di quest’alma Nostra città, hanno renduta difficile qua- lunque comunicazione, posto in pericolo le pubbliche e le private ragioni, impediti i commerci: e quel ch’è gravissimo, il Sommo Pontefice di tutta la Chiesa, come il fatto richiede: perocché gli si coarta la via di comunicare con varie parti del globo. Per la qualcosa in tante nostre angustie e in tanto pericolo di cose intendete facilmente, Ve- nerabili Fratelli, che Noi dalla trista necessità siamo a tale sospinti, che pur contro vo- glia dobbiam pensare a qualche avviso opportuno da prendersi per tutelare la Nostra dignità.

Intanto non possiamo tenerci dal deplorare con altre cose il funesto e pernicioso prin- cipio che chiamano del non intervento, proclamato non ha guari, da certi Governi, e tollerato da altri, ed osservato anche allora che si tratti d’ingiusta aggressione di qual- che Governo contro altro Governo sicché sembri che di sancirsi contro le leggi divine ed umane una certa può dirsi impunità e licenza di avventurarsi e rapinare i diritti, le proprietà e gli stessi domini altrui, come in questo luttuoso tempo vediamo avvenire. Ed è al certo maraviglioso che, al solo Governo Subalpino sia lecito d’impunemente di- sprezzare e violare un principio di tal sorta, mentre lo vediamo con le sue truppe ostili irrompere sotto gli occhi di tutta l’Europa negli altrui domini, e turbarne i legittimi Prin- cipi: donde consegue un pernicioso assurdo, che cioè, lo straniero intervenuto sia am- messo nel solo casa di suscitare e fomentare la ribellione.

Quindi si ha per Noi l‘opportuna occasione di eccitare tutt‘i Principi di Europa, af- finché con tutta la ragguardevole gravità e sapienza del loro consiglio pesino con se- rietà quali mali si accumulano nel detestabile evento che lamentiamo. Poiché si tratta di una grande violazione, iniquamente perpetrata contro l‘universal diritto delle genti, e che se non si frena del tutto, non potrà aversi dipoi fermo e securo alcun diritto le- gittimo. Si tratta del principio di ribellione, a cui serve turpemente il Governo Subalpi- no; e dal quale è agevole intendere quanto pericolosi apparecchi di giorno in giorno a ciascun Governo. E quanta ruina sovrasti a tutta la società civile, mentre così àpresi al fatale comunismo. Si tratta di violate convenzioni solenni, le quali come richiedono de- gli altri Principati di Europa, così pure richiedono di perfettamente conservarsi la in- tegrità del civile dominio Pontificio. Si tratta di una violenta rapina di quel principato, che per singolare consiglio della Provvidenza Divina, è dato al Romano Pontefice per esercitare con pienissima libertà il suo Ministero Apostolico verso tutta la Chiesa. La qual libertà dev’essere certamente di somma cura a tutt‘i Principi, affinché il Pontefi- ce non soggiaccia all’impulso di alcuna potestà civile, e così resti provveduto ancora alla spirituale tranquillità dei Cattolici che vivono nel dominio di essi Principi.

Pertanto vadano persuasi tutt’i Sovrani, che la Nostra causa è congiunta con la lo- ro, e ch‘essi arrecandosi il loro aiuto provvederanno egualmente alla salvezza dei No- stri e dei diritti loro. Però con la massima fiducia li esortiamo e preghiamo a volere spendere un soccorso per Noi come a ciascuno permette la sua condizione e l’opportu- nità. Non dubitiamo poi che segnatamente Principi e popoli Cattolici non pongano tut- ta la cura e l’opera loro per sollecitamente affrettarsi ad aiutare, conservare e difen- dere per comune ufficio loro il Padre e Pastore di tutta la greggia cristiana, oppugna- to dalle armi di un figliuolo degenere.

Ma sopratutto sapete voi, Venerabili Fratelli, ogni Nostra speranza doversi colloca- re in Dio, ch’è aiuto e rifugio Nostro nelle nostre tribolazioni, e che ferisce e medica, percuote e risana, mortifica e vivifica, getta a terra e solleva; perciò non intralasciamo di dirigere con tutta la fede e l’umiltà del nostro cuore assidue e fervidissime preghie- re a Lui, adoperando in primo luogo il patrocinio della Immacolata e Santissima Ver- gine Maria Madre di Dio, e il suffragio dei Beati Pietro e Paolo, affinché Egli che ha la potenza nel suo braccio infranga la superbia dei suoi nemici, ed espugni coloro che ci combattono, ed umili e calpesti tutt’i nemici della sua Santa Chiesa; e faccia per l‘On- nipotente virtù della sua grazia che i cuori di tutt’i prevaricatori rinsaviscano, e che la Santa Madre Chiesa quanto prima si rallegri della desiderabilissima loro conversione.

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