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Studi Cassinati, anno 2010, n. 3
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di Stefania Patriarca
Il repertorio epigrafico di Sora si è arricchito di due nuovi tituli, a seguito di una scoperta da parte dell’Associazione Verde Liri avvenuta nel mese dello scorso giugno. In occasione di una delle loro frequenti campagne ecologiche lungo le rive del Liri, alcuni membri della suddetta associazione si sono imbattuti in due interessanti reperti sulla sponda sinistra del fiume a nord di Sora, nei pressi della confluenza del torrente Lacerno, in località Pontrinie. Ho potuto vedere i manufatti nel mese di agosto. Si tratta di due blocchi in pietra calcarea, di differenti dimensioni, quasi completamente incassati nel terreno sabbioso al di sotto del profondo argine del fiume e posti ad una distanza di poco più di un metro l’uno dall’altro. Essi appaiono in posizione verticale e presentano sulle rispettive facce rivolte verso sud due iscrizioni che denotano la loro natura funeraria. L’uno è da riferire ad un’urna cineraria e l’altro ad un cippo di una sepoltura ad inumazione, ragion per cui la loro posizione non puó essere considerata quella originaria. Probabilmente essi vennero raccolti nelle vicinanze in tempi successivi ed intenzionalmente sistemati in quel punto; così lascerebbe intendere anche il fatto che si trovino posizionati verticalmente (soprattutto il cippo) e uniformemente orientati, forse in relazione con una piattaforma artificiale che appare a filo d’acqua lungo la sponda di fronte ad essi.
Le attuali condizioni di precarietà dei due reperti rendono difficile una lettura precisa e sicura dei testi epigrafici pertanto questo articolo rappresenta una comunicazione preliminare, riservandomi di riprenderne in seguito lo studio quando sarà possibile visionare i blocchi liberati dalla sabbia.
1- Il primo blocco, vistosamente più grande dell’altro, ha le seguenti dimensioni: h. 39+, largh. 89, spess. 90 cm. Si tratta di un’urna destinata a raccogliere i resti combusti del defunto nell’incavo rotondo collocato al centro della faccia superiore. All’interno di tale cavità emisferica, che misura in diametro cm 26 e in profondità cm 27, sono rimasti aderenti alla parete alcuni frammenti di un contenitore in terracotta. Ai suoi lati si conservano i fori di quattro grappe, per mezzo delle quali il coperchio era fissato alla cassa. Il reperto è sostanzialmente integro, ma evidenzia mancanze e abrasioni lungo il bordo della faccia su cui è presente il testo epigrafico in tre righi (fig. 1). Vi si legge:
Ṃ(arci) Mạṛci M(arci) [l(iberti)] [1/2]raṣ[2]
[H]eracleop̣is grammatici
Agrippa et Euphronius lib(erti)
L‘iscrizione presenta un’impaginazione centrata sull’asse mediano e l’interpunzione regolare. Le lettere di cm 6,30 al primo rigo si riducono a cm 4 all’ultimo e mostrano apici piuttosto enfatizzati. Le caratteristiche paleografiche più evidenti sono la M con aste divaricate e la T longa.
A causa della forte abrasione di alcune lettere permangono dubbi circa la lettura e l’integrazione del primo rigo. Ciò nonostante, risulta evidente che si tratti della formula onomastica del personaggio defunto in caso genitivo, perché è sottinteso che debba essere accordata alla parola OSSA la quale in genere appariva sul coperchio dell’urna, col significato di “ceneri di… (nome del defunto)”1. In prima posizione il testo sembra restituire una M, seguita da un segno d’interpunzione, abbreviazione del praenomen Marcus. Segue il gentilizio Marcius, da integrare per le A e R centrali corrotte. Subito dopo, si riconoscono nuovamente una M puntata e un’abrasione, in cui vi era la formula di filiazione o quella di patronato. Del successivo cognomen si leggono, in posizione intermedia, una R, una A e la parte inferiore di una S in sequenza, mentre risultano illeggibili la prima parte che dovrebbe essere costituita da una o due lettere e quella da altre due lettere; della penultima lettera del cognomen è riconoscibile un’asta verticale, da riferire ad una I o ad una T, e un’asta verticale sembra caratterizzare anche l’ultima lettera che perciò dovrebbe essere una I o una E. Quindi, dovendo considerare il termine al genitivo, si avrebbero queste tre possibilità: [1/2]rasti, [1/2]raste e [1/2]rasie (escluderei per regole epigrafiche la possibilità di [1/2]rasii). Sapendo che si tratta di un personaggio maschile si potrebbe proporre un cognomen al genitivo, ad esempio del tipo Erasti, Crasti, Adrasti, Phrasti e simili. Sebbene le soluzioni possibili siano diverse, la ripetizione di nomi grecanici associata al contesto libertino dell’epigrafe, mi induce a preferire l’espressione Marci l(ibertus) a Marci f(ilius).
Al secondo rigo si nomina Heracleopis, seguito dal termine grammaticus, vale a dire un maestro di lingua, forse greca2. Tale espressione pone alcuni problemi interpretativi, dovendo escludere la possibilità che si tratti di un secondo personaggio intestatario del sepolcro in assenza della congiunzione “et” (e sarebbe veramente difficile immaginare un mescolamento di ceneri nello stesso contenitore). Il termine Heracleopis si riferisce: ad un secondo cognomen, ad un luogo di origine del grammaticus, ad un sintagma nominale di questo ultimo o ad una sua referenza del tipo “grammatico di Heracleope”? Non è facile stabilirlo, anche in considerazione dell’incertezza nella lettura del primo cognomen ([1/2]rasti, [1/2]raste e [1/2]rasie).
A far costruire e dedicare il sepolcro altri due liberti, Agrippa ed Euphronius, dei quali è indicata la condizione di ex schiavi, ma viene omessa l’indicazione del gentilizio del patronus evidentemente perché lo stesso del primo liberto ricordato.
L’epigrafe si potrebbe datare tra la prima età augustea e la prima metà del I sec. d.C.; ciò in base alla struttura del formulario onomastico (il nome del defunto al genitivo), alla tipologia del supporto e alle caratteristiche paleografiche del testo (M con aste divaricate, T allungata).
A Sora e nel suo antico territorio sono ricordate altre tre urne cinerarie di questo tipo3 e cinque connessi coperchi4. Si tratta di una tipologia di cinerario che è stata ampiamente studiata da Silvia Diebner, la quale sottolinea come tali urne si trovino in un ambito geografico molto limitato, “con un’evidente concentrazione nel territorio antico di Aquinum e Casinum”. Inoltre, sulla base dei dati da lei raccolti, le inserisce cronologicamente “tra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale” mettendole in relazione con le deduzioni coloniali ad Aquino e a Cassino. Dal repertorio stilato dall’autrice risulta un gran numero di nomi grecanici5. Anche nel nostro caso ci sono corrispondenze con i risultati forniti dalla Diebner, come la datazione tra la fine dell’età repubblicana e l’inizio dell’età imperiale, la presenza di nomi grecanici e il probabile coperchio conicizzante, che farebbero pensare ad un’usanza preferita da personaggi con legami greco-orientali, usanza pur segnalata dalla stessa studiosa riferendola ad “una lunga tradizione … sul suolo italico” dalla “Grecia dell’età arcaica fino in età ellenistica”6.
2- Cippo in calcare stondato e danneggiato nella parte superiore. Ha le seguenti misure: h 37+, largh. 51 e spess. 30 cm. In alto sulla faccia vi è l’iscrizione su due righi le cui lettere, tracciate a solco largo ed approfondito, misurano a partire dalla prima linea cm 5,5-4 (fig. 2). Il testo è il seguente:
Ṃ(arcus) Marcius
M(arci) l(ibertus) Euphroniụ
Il cippo funerario segnala la tomba ad inumazione di un certo Marcus Marcius Eufronius, liberto di un Marcus. Il personaggio sembra doversi mettere in relazione con quello dell’epigrafe adiacente. Le due iscrizioni presentano infatti elementi comuni: si nomina lo stesso patronus Marcus Marcius e un liberto con lo stesso cognomen, Euphronius.
A Sora si conosce un cippo centinato in calcare locale che segnala il monumento funerario commissionato da un Marcus Marcius Agrippa, ancora in vita e liberto di un Marcus Marcius. Il reperto fu rinvenuto lungo gli argini del torrente Lacerno presso via Marsicana7. Ora considerando che l’onomastica e il luogo del rinvenimento coincidono con il nostro, è possibile che l’Agrippa del cinerario qui presentato sia lo stesso del cippo già edito. L’uso di Agrippa in ambiente servile, secondo Heikki Solin, si riscontra solo in ceti elevati e solo raramente è usato nell’onomastica servile. I rari casi dell’uso di Agrippa come nome di schiavo si concentrano in età imperiale avanzata (II-III d.C.), mentre l’iscrizione edita di Sora appartiene, come quella del nostro cinerario, senza dubbio ad età augustea o comunque al I sec. d.C. Sempre secondo lo studioso finlandese la scarsa attestazione a Sora farebbe pensare che questo possa provenire dalla servitù di un Marcio romano8.
Riguardo alla gens Marcia, come ha evidenziato il Castrén, compare spesso in Campania e nelle regioni confinanti (Pompei, Puteoli, Fundi, Tarracina, Beneventum9 e Casinum10) e la loro presenza è attestata già a partire dal periodo repubblicano.
Da quanto sopra esposto si possono ricavare alcuni interessanti dati. I due liberti, Agrippa ed Euphronius, erano naturalmente ancora in vita quando dedicarono il cinerario al grammaticus, del quale forse erano stati allievi. In seguito, quando anche loro morirono, preferirono la forma dell’inumazione per essere sepolti sicuramente nelle vicinanze. Tutti e tre i personaggi sono liberti di M. Marcius e concentrati nella stessa zona, per cui si potrebbe ipotizzare che essi abitassero o fossero collegati ad una qualche villa/azienda extraurbana del loro patrono forse anch’essa da localizzare in quest’area a nord di Sora.
1 Di regola tale coperchio poteva essere di forma conica, semisferica, a pigna o ad òmphalos (a forma di proiettile).
2 A. e M. Calderini, Dizionario di antichità greche e romane, Milano 1960, ad v. grammaticus.
3 S. Diebner, Un gruppo di cinerari romani nel Lazio meridionale, in Dialoghi di Archeologia, Terza serie, 1, 1983, pp. 77-78 nn. 42, 43 e 63 della tabella.
4 A. Tanzilli, Museo della Media valle del Liri Sora. Guida alla sezione archeologica di età romana, Isola del Liri 2009, pp. 112-113 e nota 203.
5 Diebner, op. cit, pp. 68-78.
6 Diebner, op. cit, pp. 73-74
7 Tanzilli, op. cit., p. 99. Qui si rinvia a H. Solin, Postille sorane ed atinati, in Epigraphica XLVI, 1984, p. 180 n. 2 e fig. 2, dove si legge: “rinvenuto presso Sora, nel punto in cui il Lacerno confluisce nel Liri”. AE 1985, 265.
8 Solin, loc. cit.
9 P. Castrén, Ordo populusque pompeianus. Polity and society in Roman Pompeii, in Acta Instituti Romani Finlandiae 8, 1983, pp. 188-189.
10 CIL X, 5261 (P. Marcius); AE, 1971, 100 (Q. Marcius); AE 1971, 108 ((?). Marcius).
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