Ritorno a monte Trocchio

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Studi Cassinati, anno 2009, n. 1
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di Anna Maria Arciero

Da un po’ di anni a questa parte sto notando lungo via Belvedere, la strada che cinge monte Trocchio come in un abbraccio, dei grossi pulmann stranieri che si fermano in un posto panoramico e scaricano una numerosa comitiva dall’aspetto inequivocabilmente britannico. Osservano Montecassino da un posto strategico, ascoltano attentamente le spiegazioni di una guida che gesticola indicando vari punti, poi si arrampicano sulle alture di Trocchio o si avviano per i viottoli che conducono sulla sommità.
A volte sono anziani, altre volte giovanotti, ieri addirittura ragazzini liceali.
Un giorno mi sono fermata a interrogarne qualcuno, troppa era la curiosità di sapere di più. Mi sono rivolta ad un anziano, che purtroppo masticava l’italiano come io mastico l’inglese, ma la voglia di comunicare ci ha fatti intendere.
Erano quasi tutti ex-combattenti della seconda guerra mondiale, che avevano sostato dal 15 gennaio al maggio ’44 nella contrada di S. Lucia, posta sul versante est del monte, distribuendo con generosità agli abitanti, stremati dalla fame e dalle angherie dei tedeschi, cioccolata, biscotti e scatolette di carne; che avevano conosciuto la gente del luogo, forse anche mia mamma, la quale agli inglesi andava chiedendo notizie del marito prigioniero a Bombay; che nelle notti nebbiose di gennaio avevano tentato l’attraversamento del Gari nella zona di S. Angelo in Theodice – altra tappa immancabile del tour è fissare le acque tumultuose del fiume –; che vicino al camino si lasciavano asciugare dalle donne i cappottoni bagnati fradici dopo le incursioni notturne al fiume e prima di uscire la sera raccomandavano loro di tenersi le coperte se non fossero tornati; che su monte Trocchio avevano vissuto i giorni pericolosi dello sminamento – quanti feriti soccorsi e prontamente trasportati negli ospedali delle retrovie! –.
Di tutto questo abbiamo parlato e in che lingua ancora non lo so. Fatto sta che al mio interlocutore lucevano gli occhi e, quando mi ha salutata, prima mi ha baciato la mano, come un perfetto gentiluomo, poi mi ha abbracciata, come un vecchio amico.
Per conto mio, ho sentito un sentimento di fratellanza che mi ha scaldato il cuore.Se queste persone tornano sui luoghi dove certo non hanno goduto, vuol dire che lo fanno per ricordare un pezzo di storia che ha segnato la loro vita e per testimoniare ai giovani i sacrifici fatti in una guerra che, per quanto giusta possa essere, è pur sempre un disvalore per l’umanità.

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