Le variazioni della denominazione di alcuni comuni dell’alta Terra di Lavoro

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Studi Cassinati, anno 2008, n. 2

di Gaetano De Angelis Curtis

Fra le tante, importanti, questioni che si vennero a porre con l’Unità d’Italia dal punto di vista politico, amministrativo, economico, territoriale, o sull’uniformità degli ordinamenti legislativi per la costruzione del nuovo Stato unitario, se ne prospettarono anche alcune di un’importanza relativamente secondaria, per la cui risoluzione vennero emesse, dagli organi istituzionali del tempo, delle disposizioni specifiche. Un esempio è rappresentato dai casi di coincidenza della denominazione di città e paesi che entravano a far parte del nuovo Stato italiano. Infatti con il passaggio dai vari Stati preunitari al nuovo Regno d’Italia emerse la “necessità di una maggiore determinatezza nei nomi dei comuni, perché le molte omonimie nelle varie province degli antichi Stati erano causa di frequenti disguidi e di altri inconvenienti”. Come faceva osservare il prefetto di Terra di Lavoro con la circolare a stampa n. 6645, inviata ai sindaci della provincia il 14 luglio 1862, “l’identità di nome che s’incontra in molti comuni del Regno d’Italia è bene spesso cagione di equivoci ed imbarazzi così per i privati che per le pubbliche amministrazioni”. Per porre rimedio all’inconveniente il ministero dell’Interno sollecitò i Consigli municipali dei centri ricadenti in tale situazione a deliberare “se non di cambiare affatto l’attuale denominazione, farvi almeno qualche aggiunta che desumere si potrebbe dalla speciale situazione topografica secondo che il comune si trova nel monte o nel piano, al mare, o sopra un fiume o un torrente”. Pur tuttavia la motivazione di ordine pratico che era stata alla base della sollecitazione proveniente dalle nuove autorità italiane (l’aggiunta di un suffisso storico-geografico in modo da caratterizzare il nome del comune inequivocabilmente), venne utilizzata da molti amministratori locali del tempo come l’occasione per sbarazzarsi di un nome, evidentemente, non più percepito al passo con i nuovi tempi, riappropriandosi di uno più antico, come a suggellare l’inizio di una nuova fase storica, quale quella della Unificazione nazionale, con una nuova denominazione del comune di appartenenza. Alla fine, dunque, nel generale clima indotto dall’Unificazione nazionale, cioè con il “risveglio dello spirito pubblico e patriottico”, vennero operati dei cambiamenti ispirati “ora dal desiderio di rievocare alla memoria dei posteri una città obliata sotto le sue rovine, restituendo così al paese il nome classico, ricco di fasti gloriosi, ora dal bisogno di cancellare il ricordo di una triste epoca di servaggio”1.
Prima ancora della circolare inviata dal prefetto nell’estate del 1862, alcuni comuni della provincia di Terra di Lavoro avevano anticipato in qualche modo le soluzioni individuate chiedendo il cambiamento della denominazione, come nel caso di Formia2, già Mola e Castellone, e di Liberi, già Schiavi di Formicola3. Dopo l’emanazione della disposizione prefettizia i comuni ubicati nella parte settentrionale della storica provincia di Terra di Lavoro che chiesero e ottennero una variazione nella propria denominazione, possono essere distinti in tre differenti raggruppamenti [vd. tabella nella pag. successiva]:

1: Variazioni nella denominazione con aggiunta di suffisso d’esclusività4 2: Modificazione totale nella denominazione 3: Nuovi comuni
Belmonte Castello Ausonia Esperia
Campoli Appennino5 Cassino
Castelluccio di Sora
(dal 1878 Castelliri) Castrocielo
Castelnuovo Parano Fontechiari
Coreno Ausonio Villa Latina
Fontana Liri
Isola presso Sora
(dal 1869 Isola del Liri)6
Piedimonte San Germano7
Pignataro Interamna
San Biagio Saracinisco8
San Donato Val di Comino
San Giorgio a Liri
Sant’Ambrogio sul Garigliano
Sant’Andrea di Vallefredda (poi Sant’Andrea del Garigliano)
Sant’Elia Fiumerapido
San Vittore del Lazio
Villa Santa Lucia9

Ausonia
Fino al 1862 aveva utilizzato il nome medievale di “Fratte”. La modifica fu dovuta non solo all’identità con altri comuni della stessa provincia di Terra di Lavoro (Fratta Piccola e Fratta Maggiore) “non bastando gli appellativi a far evitare le frequentissime dispersioni di lettere private e di pieghi comunali, ma anche e soprattutto per il decoro dei cittadini, i quali non devono pronunziare un nome che suscita un certo ribrezzo”. Infatti, come riporta la deliberazione consiliare del 23 agosto 1862, resa esecutiva con R.D. del 21 settembre successivo, “chiunque pronuncia l’espressione Fratte non può non sentire la durezza del lugubre concetto che vi si annette, facendo rimontare il pensiero alla boscosità del paese, ed alla ferocia degli abitanti, boschi e ferocia che affatto oggi non vi albergano”. La scelta del nuovo nome risale a motivazioni di ordine storico-topografico. Nell’atto consiliare, infatti, si fa riferimento alla seconda guerra sannitica del 314 a.C., quando tre città ausoniche, Ausona, Minturnae e Vescia, si erano ribellate ai Romani. Dopo la vittoria riportata sui Sanniti le “Aquile Romane” si diressero contro le tre città che, in seguito al tradimento di dodici giovani patrizi, “caddero nelle mani dei consoli M. Petelio Libone e C. Sulpizio Longo, e gli abitanti furono passati inesorabilmente a fil di spada. È certo che Ausona più non risorse dopo la sua distruzione”. Poi quei “pochi cittadini che camparono dal furore” romano per l’aiuto offerto ai Sanniti “vennero ad appiattarsi nel bosco, che quivi esisteva in quel tempo, donde Fratte è l’origine comunitativa”. In epoca medievale il nome delle Fratte stava ad indicare una “terra limitrofa al contado di Traetto (Minturno)10 e ai possessi della Badia di Montecassino”, a “confine tra il patrimonio di San Benedetto e il ducato di Gaeta”, ricordata nelle carte cassinesi con la denominazione di castellum seu oppidum Fractarum seu castrum Fractae. Leone Ostiense scrive che “gl’irrequieti movimenti di latrones frattesi e vicini minturnesi” li portavano a sconfinare “frequentemente passando i termini costituiti da duo leones lapidei”, collocati sul confine da Gisulfo II duca di Benevento, infestando le vicine terre soggette al Monastero e un “giorno anzi ruppero e gettarono in un pozzo i due leoni”. L’abate Desiderio nel 1061, per frenare e tenere in soggezione i Frattesi, fece erigere nelle vicinanze un “castellum cui novum proprie nome inditum est, in monte qui Peranus dicitur”, da cui sorse poi il comune di Castelnuovo Parano. Nel 1862 gli amministratori locali di Fratte vollero cambiare nome al comune utilizzando quello di Ausonia. Pur tuttavia dove fosse collocata esattamente la città di Ausona prima della sua distruzione non appare ancora oggi chiaro. “Gesualdo la vuole ai piè della terre delle Fratte dove scorrono le acque del fiumicello che da Ausonia comincia a chiamarsi Ausente avendovi ritrovato molti rottami antichi, alcuni capitelli, pezzi di colonne di statue, marmi lavorati e iscrizioni, ma De Sanctis pone Ausona alle falde del vulcano di Roccamonfina, Mommsen opina che sia la stessa Sessa Aurunca”11.

Belmonte Castello12
Il Consiglio comunale nell’ottobre 1862, “considerato esser necessario non di cangiare affatto l’attuale denominazione … ma bastare farvi una giunta per cansare ogni equivoco” deliberò che il comune assumesse il nome di “Belmonte Castello”13.

Castrocielo
Fino all’Unità d’Italia si chiamava Palazzolo cui aggiunse, con deliberazione del 27 dicembre 1862 e R.D. 26 maggio 1863, il denominativo “di Castrocielo, da cui deriva”. Castrocielo e Palazzolo inizialmente erano due distinti centri abitati. L’origine del primo viene fatta risalire alla distruzione di Aquino per opera dei Longobardi, allorché alcune famiglie si trasferirono sul monte Asprano, in una località che si chiamò col doppio nome di Castrum Coelum “e per le fabbricate abitazioni col Castello, e per l’altezza del sito”. Palazzolo trae origine, invece, “da un Palazzo non tanto fastoso che, per comodità del padrone, doveva essere nella villa di proprietà della famiglia Equizia, sita ai piedi del monte, a sinistra del fossato. Nella villa che fu donata dal padre del benedettino S. Mauro della stessa famiglia Equizia al monastero di Montecassino, sorse poi una chiesa dedicata al santo. Nel 1142 risultava priva di abitanti, ma più tardi vi si formò attorno un casale (in due pergamene del primo quarto del XIV secolo veniva definito come “Palazzolo casale Castro Coeli” e “Palatiolo villa Castri Coeli”). In seguito la popolazione crebbe e vennero costruite nuove case in altro sito “alla diritta del fossato, nello scosceso del monte fin presso la sua falda”. Poi le famiglie che “nel 1603 erano in Castrocielo soltanto dodici abbandonarono questa loro patria, così che rimasta affatto priva di abitanti venne a rappresentarsi da Palazzolo l’antica Terra”. La denominazione assunta a cavallo tra il 1862 e il 1863 di Palazzolo di Castrocielo, venne utilizzata fino al 1882. Infatti nel corso di quel ventennio si erano verificati frequenti disguidi postali a causa dell’esistenza di comuni omonimi, così come nelle pratiche di ufficio la lunghezza del nome del comune si considerava inutile e ingombrante, in quanto comportava una spesa maggiore per i telegrammi ed infine si osservava che “la voce Palazzolo nel linguaggio volgare di quasi tutte le provincie meridionali suona in senso dispregiativo”. Tutti questi motivi indussero il Consiglio comunale a chiedere, nella seduta del 18 maggio 1882, l’autorizzazione perché il “Comune si chiamasse col solo nome di Castrocielo”14 poiché ritenuto “l’unico antico nome del comune, cui son congiunti ricordi storici che onorano”

Cassino
Con deliberazione del 23 maggio 1863 e R.D. del 26 luglio stesso anno, il comune di Sangermano mutò nome in Cassino. La città si riappriopriò, dunque, dell’antico nome romano per le motivazioni che spiegò il consigliere Angelo Ponari nel corso di quel Consiglio comunale: “Signori – Volendo darsi altra denominazione alla città di Sangermano per non confondere questa con altre di simil nome esistenti in Italia, siamo di avviso di non potersi dare altra denominazione se non quella di Cassino, da cui essa trae origine e gloria. Fu Cassino città cospicua del Lazio, da Strabone detta città memoranda, edificata alla costa del monte, da cui prende nome la famosa Badia dei Benedettini detta di Montecassino. Senza riandar la sua origine, e la sua storia, anteriore a quella di Roma, e ritira i suoi fasti, allorché fu confederata con i Volsci e con i Sanniti, diremo solo che essa fu memoranda anche al tempo dei Romani avendo acquistato l’onore di Municipio, e di vivere libera con le sue proprie leggi. Pruova ne sono tre antiche lapidi, e la famosa arringa di Cicerone in difesa di Planco, per la qual cosa ebbe i suoi tre ordini di magistrati e di ministri addetti ai sacrifici, i cui nomi si leggono ancora negli antichi marmi. I monumenti sopravvissuti alla edacità del tempo ed alla mano degli uomini, quali sono il Teatro, l’Anfiteatro, ed un ipogeo convertito in tempio cristiano, non che gl’infiniti avanzi di lapidi, di colonne di metropoli sparse in tutto il suolo di Sangermano, come pure il bel tempio di Santa Maria delle Cinque Torri, edificato sopra colonne, e nel sito del foro Cassinate ci sono argomento non dubbio della grandiosità e magnificenza di Cassino. Fu essa patria di molti illustri uomini (Riccardo da Sangermano, cronista e notaio, contemporaneo di Federico II e San Tommaso …) e molti ricchi e dotti Romani vi presero stanza, e vi possedettero deliziosissime ville, tra i quali fu Varrone, il cui solo nome basta ad onorare qualsiasi città. Bello è il leggere nella sua opera De Re Rustica la descrizione che questo dottissimo uomo fa della sua villa in Cassino, ora detta Monticelli, in cui tra le altre cose asserisce come possedesse colà una ricchissima biblioteca ed un vasto Museo. Per la qual cosa Cicerone a ragione chiamava quel luogo santuario della Scienza, e usava parole piene di sdegno con Marcantonio che un tempo fece convegno di amici rotti ad ogni maniera di vivere. Tramontata poi la stella dello Impero di Roma, ed invasa l’Italia da mille generazioni di barbari, con l’Impero caddero anche le più illustri città d’Italia. Da prima i Goti, poi i Visigoti, indi i Longobardi portarono ovunque la desolazione. Ma quelli da cui appare Cassino aver avuto maggiori guasti furono i Saraceni, i quali stanziati sulle rive del Garigliano, spesso rimontavano le acque di questo fiume, e quindi del Liri, che in questo confluisce, e nelle città interne massime in Cassino, ogni sorta di devastazione (i Saraceni distrussero il monastero di Montecassino nel settembre 883). Fu allora che gli abitanti di Cassino assottigliati già molti nel numero per le antecedenti invasioni, pensarono di mutar sito, e ridursi in un luogo più sicuro, sebbene non molto lontano dal primo, quale fu il sito ove sorgeva il Foro circondato quinci e quivi da abbondanti sorgenti e difeso da un piccolo monte sulla cui cima edificarono un castello (l’abate Bertario nell’856 aveva iniziato la costruzione di Sangermano, l’abate Aligerno, a difesa della città, fece costruire sul monticello Ianula un castello che fu detto Rocca Ianula o Rocca Iani dagli avanzi di un tempi di Giano che era in quei pressi). In tal guisa ebbe principio la città, che ora dicesi Sangermano, e che vuolsi sia stata così chiamata da una reliquia di San Germano, vescovo di Capua, che Lodovico II nel trasportare il corpo in Francia nell’anno 872 lasciò alla chiesa di S. Salvatore, e che fu involata nei casi del 99. Intanto non ostante che questa novella Città preso avesse un nome di un Santo come volevano i tempi in cui la voracità e la ferocia solevasi colorire col nome di Santi a tante città e villaggi, gli abitatori di Sangermano furono sempre vaghi d’intitolarsi il nome di Cassino, onde nello loro scritture, nei marmi sepolcrali, ed altrove solevano dirsi Casinali, o di Cassino, o vulgo Sangermano. Non è a dire quanto furono teneri anzi possiam dire orgogliosi, della loro origine da Cassino! Basterà leggere le cronache della città. Per la qual cosa conchiudiamo che dovendo la città di Sangermano mutare il nome, essa non possa prendere altro che quello di Cassino, sì perché questo è il nome che aveva la città da cui ha origine Sangermano, sì perché così è tuttavia chiamato il Monte alle cui falde giace la nuova città, sì in ultimo perché questo nome si rannoda ai tempi gloriosi della nostra Italia, la quale col senno e con la mano seppe addivenire la Regina del Mondo”15.

Castelliri
Il comune, denominato Castelluccio, con delibera del Consiglio municipale del primo novembre 1862 divenne “Castelluccio di Sora”16, per poi assumere, dal 1878, la denominazione definitiva di “Castelliri”.

Castelnuovo Parano17
Castelnuovo (detto in passato Castelnuovo di San Germano o di Traetto), con deliberazione del 9 agosto 1862 e R.D. del 14 settembre successivo, aggiunse il toponimo “Parano”18.

Coreno Ausonio
Il Consiglio comunale del 19 ottobre 1862 e R.D. del 14 dicembre successivo, deliberò di aggiungere “al nome Coreno l’epiteto di Ausonico e chiamarlo Comune di Coreno Ausonico distintivo desunto dall’antica città di Ausonia che esisteva in queste vicinanze”19, per poi passare, nel corso degli anni, all’attuale denominazione.

Esperia
Attorno alla chiesa dedicata a S. Pietro in Curulis, ed eretta nel 1097, si sviluppò l’omonimo centro abitato, mentre alla fine del secolo XI “da Marotta, la quale dové essere stata moglie di Loffredo Ridello, si assegnò di poi quella parte di territorio a Guglielmo Glossavilla, suo figlio, il quale vi edificò una Rocca, e v’introdusse gli abitanti; e dalla medesima e dal suo nome di disse Roccaguglielma”. I consigli comunali dei due centri tenuti il 3 ottobre 1866 decisero la fusione di Roccaguglielma e S. Pietro in Curolis. Le deliberazioni vennero rese esecutive con R.D. del 14 novembre 1867 e, a partire dal primo gennaio 1868, si costituì il nuovo comune che assunse, su suggerimento del sottoprefetto recatosi sul posto per la circostanza, quel nome “quale nominavasi in antico l’Italia” e cioè Esperia, allo scopo di dar prova di vero patriottismo20.

Fontana Liri
Il Consiglio comunale di Fontana nella seduta del 20 novembre 1862 aggiunse il suffisso “Liri”21.

Fontechiari
Oltre a Schiavi di Formicola che mutò il proprio nome, come ricordato, in Liberi, in provincia di Terra di Lavoro c’era anche un altro comune denominato Schiavi, nel circondario di Sora. Anche quest’ultimo centro, con delibera del 4 settembre 1862 e R. D. del 12 ottobre dello stesso anno abbandonò la propria denominazione per assumere quella di Fontechiari. Gli amministratori del comune decisero di modificare il nome per due ordini di ragioni. Il primo, più generale, per evitare inconvenienti derivanti dalla identità con altri comuni, il secondo, più specifico e particolare, per “cancellare una denominazione degradante”22. Infatti secondo un’errata tradizione popolare Schiavi aveva assunto tale nome in quanto Caio Mario, originario di Sora, vi teneva i suoi schiavi. Nell’atto consiliare non emergono le motivazioni che furono alla base della scelta del nuovo nome che, forse, trae origine da un fenomeno particolare del luogo poiché “nei dintorni del paese, presso un ruscello chiamato dagli abitanti Rio degli schiavi o di Fontechiari, sgorgano due fonti a brevissima distanza tra loro, una delle quali intermittente, in modo che in alcune ore del giorno e talora della notte inaridisce affatto, l’acqua limpidissima, sgorgando, produce un certo fragore come se provenisse per meati tortuosi e difficili”23.

Pignataro Interamna24
Il Consiglio comunale riunito l’11 ottobre 1862, avendo constatato che il comune poteva essere confuso con altri dal nome simile come quello di “ Pignataro di Capua” (oggi Pignataro Maggiore), esaminata la “sua situazione topografica”, deliberò, a maggioranza, che “per la sua nobile origine possa essere identificato con l’aggiuntivo d’Interamna”. Tale aggiunta veniva motivata dal fatto che “l’antica Interamna Lirinate da remotissima epoca distrutta sotto l’Impero Romano distava da questo punto pochi passi e il suo suolo di vasta e variante pianura presenta tutto giorno gli Antichi Ruderi di quest’Alma Città scoverti dall’aratro e da scavi dimodocché sono appariscenti i rottami dei Templi dedicati alle Gentili Deità. Dallo avanzo di quei popoli fugati dal ferro e dal fuoco fu impiantato questo comune di Pignataro più volte distrutto dalle invasioni barbare ed ora circoscritto da piacevoli colline e confinato dal Fiume Liri sorge in mezzo della detta Variante pianura. Ha l’ingresso dal punto settentrionale e diviso con bell’ordine da una Strada Interna, un lato dei Fabbricati guarda l’oriente ed un altro il Mezzogiorno”25.

San Donato Val di Comino26
Il Consiglio comunale del 12 novembre 1862 deliberò l’aggiunta al nome di “S. Donato” del toponimo “Val di Comino”27.

San Giorgio a Liri28
Il Consiglio municipale, nella seduta del 20 ottobre 1862, constatato che l’omonimia con altri centri del Regno d’Italia avrebbe potuto essere “cagione di equivoci e imbarazzi” e “tenendo presente la topografica posizione di questo Comune, il quale giace in una pianura al di sotto delle montagnuole dette il Carmine ed è costeggiato dal fiume detto il Liri che va a scaricarsi nel Garigliano” decise di cambiare il nome in “San Giorgio a Liri”29.

Sant’Ambrogio sul Garigliano30
Il Consiglio comunale di S. Ambrogio del 12 dicembre 1862 “considerando che questo comune è sito su di una collina ai piedi di cui scorre il fiume Garigliano a pieni voti ha deliberato di aggiungere al nome del Comune quello di sul Garigliano chiamandolo S. Ambrogio sul Garigliano”31.
Sant’Andrea Vallefredda32
Poiché il nome “di S. Andrea” risultava “identico” ad “altri della Provincia e del Regno”, il Consiglio comunale, nella seduta del 19 ottobre 1862, deliberò “che al nome di detto comune di S. Andrea sia aggiunto quello di Vallefredda tanto più che le due Comuni” si trovavano “unite in amministrazione” per cui il centro andava “chiamato S. Andrea di Vallefredda”33. Nel 1870, però, il Consiglio comunale avanzò una nuova richiesta di variazione della denominazione in “Sant’Andrea sul Garigliano”. Il ministero dell’Interno, con nota del 29 novembre 1870, ritenendo che l’istanza non fosse giustificata “dall’esistenza di una perfetta omonimia del Comune richiedente con altri Comuni” in quanto proprio la seconda parte della denominazione “ben” lo distingueva dagli altri, e valutando che “non pochi inconvenienti” potessero derivare dalla “soppressione di una antica denominazione, cui sono legate le tradizioni e la storia, sia pure modesta d’un paese”, non credette di “secondare la domanda” e quindi rigettò l’istanza34. Infine nel 1907 si costituirono due comuni autonomi che assunsero la denominazione di Sant’Andrea sul Garigliano e Vallemaio.

Sant’Elia Fiumerapido35
Il primo agosto 1862 il Consiglio comunale deliberò il cambiamento del nome in “Santelia sul Fiume Rapido”36.

San Vittore del Lazio37
Il Consiglio comunale dell’11 ottobre 1862, ritenendo che il comune potesse venir confuso con altri dalla stessa denominazione, “attesocchè per antica tradizione si ha da che questo comune veniva detto antico Castello del Lazio”, all’unanimità approvò che “al suo nome vi venisse aggiunto il contrassegno del Lazio con chiamarsi cioè S. Vittore del Lazio”38.
Villa Latina
La borgata detta Rocchetta o Malcocchiara era sorta nel 1056 per poi esser distrutta, con altri paesi della regione, da Riccio da Mantechiaro nel 1434 durante la lotta tra Alfonso I d’Aragona e Renato d’Angiò. I suoi abitanti si rifugiarono inizialmente ad Atina per poi fissare il loro luogo di residenza in un’altra contrada dello stesso comune “chiamata Agnone forse da agnus, agnello, perché luogo adatto alla pastura degli agnelli”. Nel 1832 Agnone ottenne l’autonomia amministrativa e si distaccò da Atina. Con l’Unità d’Italia colse l’occasione per poter mutare il proprio nome in quanto “l’identità del nome Agnone era cagione di equivoci e inconvenienti”, confondendosi con l’omonimo comune molisano, e “ad evitarli del tutto non si riteneva sufficiente l’aggiunta “di Atina” come aveva insegnato l’esperienza quotidiana”39. Il Consiglio comunale del 17 ottobre 1862, e R.D. del 9 novembre successivo, considerando che “per topografia di posizione questo Comune più che forma di paese si ha quello di Villa, e per tradizioni storiche essere stato luogo prescelto dagli antichi a villeggiare” decise di cambiare il nome in “Villa Latina”40.

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Nel 1872, quando venne a soluzione la “questione romana”, definita con la presa di Porta Pia, l’inglobamento della parte residuale dello Stato Pontificio, coincidente con l’allora regione Lazio, nel Regno d’Italia e la proclamazione di Roma capitale, per gli stessi motivi che avevano indotto gli amministratori locali di Terra di Lavoro un decennio prima a variare il nome del comune, anche vari centri del circondario di Frosinone adottarono una nuova denominazione oppure aggiunsero un suffisso identificativo. San Lorenzo, ad esempio, mutò in Amaseno, mentre la caratterizzazione si ebbe per Anticoli di Campagna (salvo poi dal 1911 cambiare in Fiuggi), Castro dei Volsci41, Giuliano di Roma42, Torre Cajetani43, Trevi nel Lazio44, Vico nel Lazio45, Villa Santo Stefano46 e Monte San Giovanni Campano47.
Proprio in quest’ultimo caso la scelta operata dagli amministratori locali appare come diametralmente opposta, per le implicazioni geografiche e linguistiche venutesi a determinare nel corso degli anni, rispetto a quella compiuta da San Vittore. Infatti l’aggiunta del suffisso “Campano” decisa nel 1872 dal Consiglio comunale di Monte San Giovanni discendeva da uno specifico riferimento storico-geografico in quanto andava a richiamare la medievale provincia di Marittima e Campagna, una delle entità amministrative, posta a sud di Roma, in cui nell’XI secolo venne diviso lo Stato pontificio. Pur tuttavia, nel corso degli anni, tale richiamo storico-geografico si è andato sbiadendo fino a scomparire quasi totalmente in quanto tra i parlanti il termine “campano” permane essenzialmente come un aggettivo che fa riferimento alla regione Campania. In sostanza, oggigiorno, è come se Monte San Giovanni, per gli italiani, avesse un’origine “campana” e cioè come se il comune fosse appartenuto, in un’epoca più o meno remota, alla limitrofa regione mentre non ne ha mai fatto parte in quanto da secoli inglobato geograficamente nel Lazio, già territorio dello Stato Pontificio e poi dello Stato italiano48. Differentemente, invece, la scelta degli amministratori di San Vittore sembra precorrere i tempi, apparendo quasi come anticipatrice e premonitrice. Nell’autunno del 1862 gli amministratori locali dovendo apporre un suffisso d’esclusività al nome San Vittore decisero di aggiungere l’identificativo “del Lazio”, sebbene in quel momento il comune appartenesse alla Campania, con il confine regionale che si trovava a chilometri di distanza, tra Arce e Ceprano, ricalcando quello nazionale tra Regno delle due Sicilie, già di Napoli, e Stato Pontificio. Una scelta, quella operata da quegli amministratori comunali che faceva riferimento a remoti aspetti storici e per questo coraggiosa in quanto si trattava di caratterizzare San Vittore con un suffisso d’esclusività che non coincideva con l’allora appartenenza geografica (un po’ come San Giuliano di Puglia appartenente però alla provincia di Campobasso e dunque in Molise, oppure, anche se per ragioni diverse, Novi Ligure che capoluogo dell’omonima provincia soppressa nel 1859 ed inserita nel Piemonte, aggregata alla provincia di Alessandria, successivamente si è voluta caratterizzare con un identificativo a rimarcare l’antica appartenenza alla Liguria). Dunque dal 1862 al 1927 pur facendo parte amministrativamente della Campania il comune si identificava come “San Vittore del Lazio”. All’indomani dell’Unità d’Italia nessuno poteva immaginare che la riforma territoriale-amministrativa voluta da Mussolini nel 1927 portasse alla costruzione a tavolino di una regione Lazio ampliata rispetto a quella precedente e non più coincidente con un’unica provincia, quella di Roma. Quell’ampio movimento di ridefinizione portò alla contemporanea costituzione di ben tre nuove province nel Lazio (Rieti, Viterbo e Frosinone, cui si aggiunse, nel 1934, quella di Littoria-Latina), con l’allargamento dei suoi confini e l’inglobamento di aree umbre e poi abruzzesi e campane. Sul versante meridionale i termini regionali vennero spostati più a sud, fissati sull’asse foce del Garigliano-San Vittore, con quest’ultimo comune che solo da quel momento è divenuto un centro, l’ultimo, della regione Lazio.
Altre variazioni prodottesi negli anni successivi hanno riguardato la variazione totale o parziale del nome del comune (nel 1907 Bauco mutò in Boville Ernica; nel 1938 Filettino divenne Filettino Graziani salvo poi, dal 1945, ritornare a Filettino; nel 1954 Brocco è divenuto Broccostella), oppure il raggiungimento dell’autonomia amministrativa con l’elevazione a comune. Nel 1923 Coldragone e Villa Felice si staccarono da Rocca d’Arce per dar vita a Colfelice, nel 1948 toccò a Gallinaro, distaccatosi da San Donato Valle di Comino e nel 1957 a Posta Fibreno, già frazione di Vicalvi.
Sempre in merito all’autonomia amministrativa un’ultima annotazione concernente i centri del Golfo. La Fortezza di Gaeta, il Borgo e i sobborghi di Mola e Castellone avevano costituito un’unica circoscrizione amministrativa col nome di Università di Gaeta. Dopo la formazione del comune di Mola e Castellone, che, come già ricordato, nel 1862 mutò nome in Formia, anche il Borgo di Gaeta chiese ed ottenne l’autonomia amministrativa. L’aspirazione si concretizzò con il R.D. del 18 febbraio 1897 che istituì il comune di “Elena”. Il nome del nuovo centro venne scelto in onore della principessa di Montenegro che il 24 ottobre 1896 aveva sposato l’erede al trono di casa Savoia, Vittorio Emanuele. La deliberazione consiliare del 14 novembre di quell’anno chiarisce che “non l’Elena filia Iovis, non Flavia Iulia Elena moglie di Costanzo, madre di Costantino magno … ma è l’Elena di Montenegro, la cui Augusta stirpe è la vittoria gloriosa vivente del Cristianesimo contro l’Islamismo, e che in felice e fausto connubio del nostro E. Principe Ereditario sarà la futura Regina della nostra patria in avvenire”49. Poi i movimenti di ridefinizione territoriale operati dal fascismo sancirono, con R.D. 17 febbraio 1927, la riunificazione di Elena a Gaeta.

1 De Santis Angelo, I Comuni della provincia di Caserta che hanno cambiato denominazione dopo il 1860, Roma, Reale Società Geografica Italiana, 1924, p. 3.
2 Il comune di Mola e Castellone si era formato dalla fusione dei due omonimi centri fino al 1819 facenti parte di Gaeta. Nella deliberazione del Consiglio municipale del 12 dicembre 1861, resa esecutiva con R.D. 13 marzo 1862, si chiese il mutamento del nome in Formia per una serie di motivi: per l’identità con altri comuni di altre province meridionali che portavano “l’istesso nome, cioè taluni quello di Castellone, altri di Mola” per cui si correva il rischio di “incorrere nella corrispondenza ufficiale e particolare in errori materiali” generando “un ristagno negli affari pubblici e particolari”; per scongiurare attriti fra gli abitanti in quanto “per lo più” il centro era noto come “Comune di Mola, cosa che in certo modo non è ben accettata da coloro che abitano nella Parrocchia di Castellone, perché maggiore di anime” e “conseguentemente fra loro e particolarmente dal ceto meno intelligente si ha un certo che di vanagloria appartenere a Mola anziché a Castellone” e dunque l’abolizione del nome appariva “vantaggiosa perché mira[va] a fratellizzare le due distinte popolazioni; Ivi, pp. 4-11.
3 La richiesta di cambiamento del nome, posta nel Consiglio comunale del 27 aprile 1862, venne basata su tesi di stampo patriottico: “e voi vorreste chiamare Schiavi ancora questo paese? Egli lo era sotto l’infernale dominazione borbonica; ma ora che il tiranno è stato cacciato e che un Re Galantuomo, un Padre dei suoi Popoli ci governa, questo piccolo paese abitato da uomini indipendenti e che sanno immolare sostanze e famiglia e vita per la Patria e per la libertà, non deve più chiamarsi Schiavi ma Liberi”. Quando poi vennero emanate le direttive ministeriali, il Consiglio comunale, nella seduta del 21 luglio 1862, ribadì la richiesta, motivandola ufficialmente con l’”identità con altri comuni del regno”, anche se traeva origine dal tentativo di cancellare il ricordo di un’epoca di servaggio. Infatti i consiglieri locali vollero vedere “nel nome del loro paese un retaggio di schiavitù”, giustificando “pertanto il grido di ribellione – noi schiavi! Falso; quindi chiamiamoci liberi”. Tuttavia ci si trova di fronte “a un caso di assoluta ignoranza storica o, almeno, di ignoranza della tradizione popolare sulla propria origine” in quanto il nome “Schiavi” fa riferimento a quello di “Slavi” o Bulgari, che si stanziarono nell’Italia settentrionale, dove “fecero tanti danni, specialmente nell’Istria”, al pari del Mezzogiorno; Ivi, pp. 12-15.
4 Una modifica non significativa, anche alla luce delle vicende amministrative successive, fu la variazione di “Viticuso Acquafondata” in “Viticuso ed Acquafondata”. Il Consiglio comunale del 12 novembre 1862 considerò, infatti, che Acquafondata “non [fosse] una frazione né un villaggio ma bensì nel 1812 fu aggregato a questo comune di Viticuso”. Poi Acquafondata riottenne la propria autonomia amministrativa nel 1902. Diversamente Vairano, ritenendo che non sussistesse alcun caso di omonimia, non avrebbe voluto modificare il proprio nome. Il ministero dell’Interno, invece, comunicò che un centro omonimo si trovava in provincia di Cremona (anche se oggigiorno nella provincia lombarda non è presente alcun comune “Vairano” ma uno denominato “Vaiano”), per cui il Consiglio comunale della cittadina campana il 9 novembre 1862 deliberò di aggiungere il suffisso “Patenora” che “era una vecchia città sita nel suo territorio”; Archivio di Stato di Caserta (d’ora in poi ASC), Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
5 Comuni omonimi ad oggi: Campoli del Monte Taburno (BN).
6 Comuni omonimi ad oggi: Isola d’Asti (AT), Isola del Cantone (GE), Isola del Giglio (GR), Isola del Gran Sasso d’Italia (TE), Isola del Piano (PU), Isola della Scala (VR), Isola delle Femmine (PA), Isola di Capo Rizzuto (KR), Isola di Fondra (BG), Isola Dovarese (CR), Isola Rizza (VR), Isola Sant’Antonio (AL) e Isola Vicentina (VI).
7 Comuni omonimi ad oggi: Piedimonte Etneo (CT) e Piedimonte Matese (CE) e poi San Germano Chisone (TO), San Germano dei Berici (VI) e San Germano Vercellese (VC). Al 15 dicembre 1862 la denominazione del comune era già attestata in quanto il Consiglio comunale deliberò di non cambiare nome in quanto l’”identità” appariva “sufficientemente definita”; ASC, Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
8 Comuni omonimi ad oggi: San Biagio della Cima (IM), San Biagio di Callalta (TV), San Biagio Platani (AG) e Monte San Biagio (LT). Anche quest’ultimo comune, una volta in Terra di Lavoro, modificò integralmente la propria denominazione. Fino all’Unità d’Italia aveva utilizzato il nome di Monticelli che, pur conosciuto col denominativo “di Fondi”, si confondeva con Monticello di Roccaguglielma (Esperia). Con delibera del 2 agosto 1862 e R.D. del 14 settembre successivo, “attesa la situazione topografica, secondo che si trova in monte prossimo a San Vito” assunse il nome di “Monte San Vito”. Poco dopo, però, il ministero dell’Interno osservò che il nuovo nome si confondeva con l’omonimo comune in provincia di Ancona. Il Consiglio comunale di Monticelli, allora, deliberò, nella seduta del 20 dicembre e R.D. del 18 gennaio 1863, di modificarlo in “Montesanbiagio”, “per essere San Biagio protettore del Comune”; ASC, Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
9 Comuni omonimi ad oggi: Villa Santa Lucia degli Abruzzi (AQ), e poi Colle Santa Lucia (BL), Motta Santa Lucia (CZ), Santa Lucia del Mela (ME), Santa Lucia di Piave (TV) e Santa Lucia di Serino (AV).
10 La richiesta del cambiamento del nome medievale di Traetto in quello antico di Minturno, avanzata con la deliberazione consiliare 5 maggio 1879 e R.D. 13 luglio dello stesso anno, si fondava sulla necessità del buon andamento del servizio postale “scambiandosi facilmente le lettere del nome di Traetto con quelli di Faetto e Tretto, che sono comuni delle provincie di Torino e Vicenza”, ma era anche ispirata dal desiderio di evocare un’epoca gloriosa della storia italiana; De Santis Angelo, I Comuni della provincia di Caserta … cit., p. 36.
11 De Santis Angelo, I Comuni della provincia di Caserta … cit., pp. 23-25. La fortuna del nome “Ausonia” non si ferma, però, alla terra delle Fratte. A parte Coreno, che aggiunse l’appellativo “Ausonio”, anche il comune di Spigno, posto alle falde orientali del monte Petrella dominante la vicina terra di Fratte, avrebbe voluto sostituire il suo nome medievale. Per distinguersi, infatti, dall’omonima cittadina della provincia di Alessandria, intendeva assumere quello “di Ausonia che nella storia d’Italia vanta una celebrità incontestata e che per ventura e gloria dell’attuale municipio di Spigno era sita nell’attuale territorio di esso, come lo dimostrano gli avanzi di quella celebre città e le tradizioni che si conservano vive nella memoria di questi cittadini”. Il 23 ottobre 1862 il ministero dell’Interno, però, non consentì il cambiamento in quanto la variazione era già stata autorizzata per il comune di Fratte. Il Consiglio comunale di Spigno nella seduta del 16 novembre 1862, “non essendosi potuto ritenere quello di Ausonia perché dato precedentemente al comune di Fratte”, stabilì “di surrogare il nome di questo comune di Spigno con quello di Saturnia”, nome poetico dell’Italia antica. L’aggiunta venne poi autorizzata con R.D. 22 gennaio 1863; ASC, Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
12 Comuni omonimi ad oggi: Belmonte Calabro (CS), Belmonte del Sannio (IS), Belmonte in Sabina (RI), Belmonte Mezzagno (PA) e Belmonte Piceno (AP).
13 ASC, Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
14 De Santis Angelo, I Comuni della provincia di Caserta … cit., pp. 28-29.
15 Ivi, pp. 31-34.
16 ASC, Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
17 Comuni omonimi ad oggi: Castelnuovo (TN), Castelnuovo Belbo (AT), Castelnuovo Berardenga (SI), Castelnuovo Bocca d’Adda (LO), Castelnuovo Bormida (AL), Castelnuovo Bozzente (CO), Castelnuovo Calcea (AT), Castelnuovo Cilento (SA), Castelnuovo del Garda (VR), Castelnuovo della Daunia (FG), Castelnuovo di Ceva (CN), Castelnuovo di Conza (SA), Castelnuovo di Farfa (RI), Castelnuovo di Garfagnana (LU), Castelnuovo di Porto (RM), Castelnuovo di Val di Cecina (PI), Castelnuovo Don Bosco (AT), Castelnuovo Magra (SP), Castelnuovo Nigra (TO), Castelnuovo Rangone (MO) e Castelnuovo Scrivia (AL).
18 ASC, Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
19 Idib. La delibera dell’assemblea cittadina (formata dal sindaco Benigno di Ruggiero e dai consiglieri Angelo Costanzo, Samuele Coreno, Domenico Cristino, Erasmo Casaregola, Raffaele Niccarone, Mariano Stavole, Gregorio Coreno, Loreto Gargano, Salvatore Di Siena) riporta la nuova denominazione in “Coreno Ausonico” .
20 De Santis Angelo, I Comuni della provincia di Caserta … cit., pp. 35-36.
21 ASC, Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
22 Ibid.
23 De Santis Angelo, I Comuni della provincia di Caserta … cit., pp. 40-41.
24 Comuni omonimi ad oggi: Pignataro Maggiore (CE).
25 Sindaco Benedetto Vittigli, consiglieri presenti: Silvestro Longo, Vincenzo de Monaco, Crescenzo di Giorgio, Giuseppe Monaco, Fabio Giovannone, Rocco Evangelista, Domenico Tiseo, Rocco d’Aguanno, Antonio Evangelista, Michelangelo Manetta; assenti: Pietro (?), Giuseppe Cardillo, Crescenzo Calderone(?); ASC, Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
26 Comuni omonimi ad oggi: San Donato di Lecce (LE), San Donato di Ninea (CS) e San Donato Milanese (MI).
27 ASC, Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
28 Comuni omonimi ad oggi: San Giorgio a Cremano (NA), San Giorgio Albanese (CS), San Giorgio Canavese (TO), San Giorgio del Sannio (BN), San Giorgio della Richinvelda (PN), San Giorgio delle Pertiche (PD), San Giorgio di Lomellina (PV), San Giorgio di Mantova (MN), San Giorgio di Nogaro (UD) San Giorgio di Pesaro (PU), San Giorgio di Piano (BO), San Giorgio in Bosco (PD), San Giorgio Ionico (TA), San Giorgio La Molara (BN), San Giorgio Lucano (MT), San Giorgio Monferrato (AL), San Giorgio Morgeto (RC), San Giorgio Piacentino (PC), San Giorgio Scarampi (AT), San Giorgio su Legnano (MI) e poi Castel San Giorgio (SA), Monforte San Giorgio (ME), Porto San Giorgio (AP) e Torre San Giorgio (CN).
29 Sindaco Benedetto Ferdinandi; consiglieri presenti: Rocco Leone, Rocco della Rosa, Benedetto Nardone, Tommaso Santopietro, Geremia Nardone, Andrea dell’Aniello, Francesco Spatuzzi, Alessandro Lucciola; assenti: Lorenzo Spatuzzi, Pasquale Leone; ASC, Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
30 Comuni omonimi ad oggi: Sant’Ambrogio di Torino (TO), Sant’Ambrogio di Valpolicella (VR)
31 Sindaco Francesco de Vendictis; consiglieri presenti: Gaetano de Vendictis, Germano de Vendictis, Emmanuele Pagliaro, Pasquale Todino, Donato Fargnoli, Giuseppe Rivera, Giuseppe Messore, Rocco Pagliaro, Angelo Abbruzzese, Francesco Broccoli, Angelo Soave, Erasmo Riccardi, Nicola Cennamo(?), Giuseppe Ciullo; ASC, Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
32 Comuni omonimi ad oggi: Sant’Andrea Apostolo dello Ionio (CZ), Sant’Andrea di Conza (AV) e Sant’Andrea Frius (CA) e poi Castronuovo di Sant’Andrea (PZ), Cazzano Sant’Andrea (BG), Mazzarrà Sant’Andrea (ME) e Penna Sant’Andrea (TE).
33 Sindaco Pasquale Messore; consiglieri presenti: Filippo Cione, Domenico Di Giorgio, Antonio Mancini, Salvatore Mattia, Nicola Fargnoli, Raffaele Mazzarella, Enrico Fargnoli, Raffaele Antonelli, Tommaso Todino, Pietro Di Sotto; assenti: Giovanni Costanzo, Giuseppe Messore, Achille Fazio; ASC, Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
34 ASC, Prefettura, Carte amministrative V inventario, f. 470.
35 Comuni omonimi ad oggi: Castel Sant’Elia (VT) e Sant’Elia a Pianisi (CB).
36 ASC, Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
37 Comuni omonimi ad oggi: San Vittore Olona (MI).
38 Sindaco Carlo Sarnelli; consiglieri: Emmanuele Sardi, Ferdinando Casoni, Giuseppe Giangrande, Dmenico Di Meo, Giosofatte Decina, Achille Casoni, Giuseppe D’Amato, Giuseppe Vendittelli, Nicodemo Marinelli, Antonio Miele, Domenico Sardi, Vittore Bonaventura, Romualdo Bonaventura, Francesco Musto; ASC, Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
39 De Santis Angelo, I Comuni della provincia di Caserta … cit., pp. 26-27.
40 ASC, Prefettura, Carte amministrative I inventario, f. 5582.
41 Comuni omonimi ad oggi: Castro (BG) e Castro (LE).
42 Comuni omonimi ad oggi: Giuliano Teatino (CH).
43 Comuni omonimi ad oggi: Torre Annunziata (NA), Torre Beretti e Castellaro (PV), Torre Boldone (BG), Torre Bormida (CN), Torre Canavese (TO), Torre d’Arese (PV), Torre de’ Busi (LC), Torre de’ Negri (PV), Torre De’ Passeri (PE), Torre de’ Picenardi (CR), Torre de’ Roveri (BG), Torre del Greco (NA), Torre di Mosto (VE), Torre di Ruggiero (CZ), Torre di Santa Maria (SO), Torre d’Isola (PV), Torre Le Nocelle (AV), Torre Mondovì (CN), Torre Orsaia (SA), Torre Pallavicina (BG), Torre Pellice (TO), Torre San Giorgio (CN) e Torre San Patrizio (AP) e poi Albaretto della Torre (CN), Campolongo al Torre (UD), San Vito al Torre (UD) e Val della Torre (TO).
44 Comuni omonimi ad oggi: Trevi (PG).
45 Comuni omonimi ad oggi: Vico Canavese (TO), Vico del Gargano (FG) e Vico Equense (NA)
46 Comuni omonimi ad oggi: Oggiona con Santo Stefano (VA), Pieve Santo Stefano (AR), Rocca Santo Stefano (RM), Santo Stefano al Mare (IM), Santo Stefano Belbo (CN), Santo Stefano d’Aveto (GE), Santo Stefano del Sole (AV), Santo Stefano di Cadore (BL), Santo Stefano di Camastra (ME), Santo Stefano di Magra (SP), Santo Stefano di Rogliano (CS), Santo Stefano di Sessanio (AQ), Santo Stefano in Aspromonte (RC), Santo Stefano Lodigiano (LO), Santo Stefano Quisquina (AG), Santo Stefano Roero (CN) e Santo Stefano Ticino (MI).
47 Oltre a Monte San Giovanni Campano nella stessa provincia di Frosinone c’è San Giovanni Incarico e nel Lazio Monte San Giovanni in Sabina (RI), mentre nel resto d’Italia ben truntuno comuni rievocano, direttamente o indirettamente, il nome del santo: Borgo San Giovanni (LO), Castel San Giovanni (PC), Fornovo San Giovanni (BG), Luserna San Giovanni (TO), Motta San Giovanni (RC), Penna San Giovanni (MC), Rocca San Giovanni (CH), Sesto San Giovanni (MI), Villa San Giovanni (RC), Villa San Giovanni in Tuscia (VT), Sale San Giovanni (CN), e poi San Giovanni a Piro (SA), San Giovanni al Natisone (UD), San Giovanni Bianco (BG), San Giovanni d’Asso (SI), San Giovanni del Dosso (MN), San Giovanni di Gerace (RC), San Giovanni Gemini (AG), San Giovanni Ilarione (VR), San Giovanni in Croce (CR), San Giovanni in Fiore (CS), San Giovanni in Galdo (CB), San Giovanni in Marignano (RN), San Giovanni in Persiceto (BO), San Giovanni la Punta (CT), San Giovanni Lipioni (CH), San Giovanni Lupatoto (VR), San Giovanni Rotondo (FG), San Giovanni Suergiu (CI), San Giovanni Teatino (CH), San Giovanni Valdarno (AR).
48 Nel corso del 2004 si è svolto un referendum teso al ritorno all’antica denominazione di “Monte San Giovanni” con la cancellazione dell’apposizione “Campano”, che però è stato bocciato. In qualche modo una vicenda assimilabile a Monte San Giovanni Campano potrebbe essere rintracciabile in Sant’Angelo dei Lombardi in cui il suffisso rievoca i Longobardi fondatori del borgo, mentre invece l’appellativo porterebbe a collocare il comune in Lombardia mentre esso, invece, è ubicato nel Mezzogiorno d’Italia, in provincia di Avellino.
49 De Santis Angelo, I Comuni della provincia di Caserta … cit., pp. 40-41; L’atto di omaggio degli amministratori del Borgo di Gaeta alla casa regnante italiana non rappresenta un caso isolato. Già nel 1862 il comune di Verrua (TO) aveva aggiunto l’identificativo Savoia, poi nel 1879 due comuni meridionali, Saline di Barletta (FG) e Salvia (PZ), cambiarono il loro nome, rispettivamente, in “Margherita di Savoia” e in “Savoia di Lucania”, così come nel 1911 quello emiliano di Le Venezie (FE) mutò il proprio in “Jolanda di Savoia”.

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