“Bene scripsisti de me Thoma” La tela dell’800 raffigurante S. Tommaso acquistata dal Comune di Aquino

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Studi Cassinati, anno 2008, n. 1

di Grimoaldo Di Sotto

A fronte della vastità dell’indagine attraverso sette secoli dell’iconografia tomista, queste sintetiche ed incomplete citazioni rappresentano una limitatissima parte, quasi una sorta di toccata e fuga, da cui sono escluse opere di grafica e di illustrazione devozionale.
Gli stessi Domenicani, e di questo ho avuto conferma in un colloquio con Abelardo Lobato, non hanno mai effettuato una ricerca completa ai fini iconologici e iconografici sull’Aquinate.
Le prime raffigurazioni di San Tommaso d’Aquino le troviamo, all’inizio del XIV secolo, in alcuni codici miniati:
Codice vat. lat. 735, membranaceo, Summa theolologiae: prima secundae. Lettera iniziale color viola con fregi e fogliame color azzurro; al centro di un circolo color arancio, su fondo dorato vi è San Tommaso nimbato con la mano destra alzata.
Codice vat. lat. 783, membranaceo, Summa theolologiae: secunda secundae. San Tommaso seduto in cattedra, davanti ad un leggìo, mentre insegna.
Codice urbaniano lat. 216. Commento alla fisica di Aristotele. San Tommaso di prospetto, con aureola e barba, che regge nella mano destra un libro e nella mano sinistra una chiesa.
Codice vat. lat. 783, membranaceo. Documentato già nel 1323, anno della canonizzazione di San Tommaso. Grande lettera iniziale “E” che raffigura San Tommaso con aureola seduto sulla cattedra di Maestro e con una stella brillante sulla fronte.
Codice urbaniano lat. 132, membranaceo. Secolo XV (dopo il 1474) appartenuto a Federico di Montefeltro. San Tommaso nimbato seduto allo scrittoio nella sua cella, mentre scrive con la mano sinistra avendo un libro aperto sul leggio.
La prima pittura organica che conosciamo è una tavola di Francesco Traini (13211363) eseguita nel 1345 e presente a Pisa nella chiesa di S. Caterina.
In essa abbiamo San Tommaso seduto in trono e inscritto entro una larga fascia perfettamente circolare che lo isola dal resto dei personaggi celebri di cui è contornato. Alla sua destra abbiamo Aristotele, mentre nella corrispondente parte sinistra vi è Platone. Nella parte superiore, al di sopra della figura dell’Aquinate, nella riproposizione di una struttura semicircolare a raggio allargato, vi sono sei Santi: S. Pietro, S. Paolo, e i quattro Evangelisti. Al centro, ancora più in alto, il Cristo Pantocratore racchiuso in una mandorla di chiara derivazione bizantina. Nella parte inferiore vi è la figura di Averroè con ai lati una folla di monaci domenicani.
San Tommaso ci viene riproposto nella tradizionale iconografia, fissata nel XIV secolo, che vuole il Domenicano nell’atto di mostrare nel libro aperto il passo preso dai “Proverbi” con cui si apre la “Summa contra gentiles”: “Veritatem meditabitur guttur meum et labia mea detestabuntur impium”.
Di quest’opera vi è una riproduzione fotografica nella sala consiliare del Comune di Aquino. La prima grande opera ad affresco, frutto di un disegno di ampio respiro sistematico, è del pittore fiorentino Andrea di Bonaiuto (1343-1377) iniziata nel 1365 dopo che il Priore del convento di Santa Maria Novella, Fra Zanobi, gli conferì l’incarico di affrescare la grande aula capitolare con un programma iconologico ispirato alla storia della salvezza.
A quasi cent’anni dalla morte di San Tommaso e a quaranta dalla sua canonizzazione, gli affreschi del Bonaiuto ci mostrano quanto fosse già radicato il pensiero tomista. Infatti un’intera parete è dedicata ad illustrare il “Trionfo di San Tommaso”, la cui elaborazione filosofica viene mostrata con un risalto pari a quello concesso al tradizionale ciclo della Resurrezione. Sulle due grandi pareti contrapposte, da una parte è raffigurato “Il ruolo dell’Ordine predicatore” e dall’altra “I1 Trionfo”. Ambedue ci riportano uno spaccato di vita medievale pieno di allegorie.
Nel Trionfo di San Tommaso, che a noi più interessa, la figura dell’Aquinate campeggia al vertice di una macchina architettonica composta da una sequenza di troni su cui sono sedute le figure allegoriche delle arti del Trivio e del Quadrivio che hanno nella corrispondente parte inferiore alcuni personaggi civili e religiosi rappresentativi del tempo. San Tommaso è raffigurato in alto circondato dagli Evangelisti affiancati da: S. Paolo, Mosè, Davide, Salomone e dalle Virtù cardinali e teologali. L’aspetto generale dell’affresco sembra voler riproporre 1’ordinata cosmologia tomista in cui il sapere sostituisce le gerarchie angeliche che erano subentrate alle sfere aristoteliche, abbracciando ogni aspetto della vita medievale comprese le eresie simboleggiate dai tre personaggi sottomessi ai piedi del trono del Dottore Angelico: Ario, Averroè e Sabello.
Altri artisti di ogni tempo si sono interessati della figura di San Tommaso, ne cito solo alcuni tra i maggiori.
Beato Angelico (1395-1455). Frate domenicano autore degli affreschi del convento di S. Marco a Firenze.
Filippo Lippi (1406-1469). Dipinto di San Tommaso d’Aquino, nella chiesa di S. Maria sopra Minerva a Roma.
Benozzo Gozzoli (1420-1497). Fu allievo del Beato Angelico con cui collaborò alla decorazione della cappella Niccolina in Vaticano. I1 suo “Trionfo di San Tommaso” è a Parigi nel museo del Louvre.
Sandro Botticelli (1445-1510). Tela con San Tommaso d’Aquino, dipinta negli anni in cui collaborava alla decorazione della Cappella Sistina. Questo dipinto probabilmente raffigura lo stesso papa Sisto IV nei panni del grande filosofo Aquinate.
Davide Ghirlandaio (1449-1494). Nel 1481 affrescò la biblioteca vaticana di Sisto IV. È sua la figura di San Tommaso che regge un cartiglio con la scritta “sacrae doctrinae finis est beatitudo aeterna”
Il Guercino (1591-1666), Soprannome di G. F. Barbieri. San Tommaso in estasi. Tela nella chiesa di S. Domenico a Bologna.
Diego Velàsquez (1559-1660). La tentazione di San Tommaso. Tela nel museo del Prado a Madrid. Riproduce la movimentata scena con la “donnina” bruscamente allontanata e gli angeli che offrono al Dottore Angelico la cintura della purezza.
Luca Giordano (1634-1705). San Tommaso d’Aquino. Dipinto presente nella chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli.
Per quanto concerne il discorso sulla rassomiglianza, cioè la concordanza dei dati somatici e fisici nelle opere dei pittori che nel tempo lo hanno raffigurato e quelli che realmente appartennero all’uomo Tommaso, non è nemmeno il caso di parlarne perché un vero ritratto eseguito da artisti suoi contemporanei non esiste.
Come ho già scritto a pagina 258 del libro “Gli affreschi medievali dell’antica contea di Aquino”, nel XIII secolo la pittura italiana, legata ancora alla rigida maniera bizantina, non prevedeva alcuna rassomiglianza tra personaggi effigiati e quelli cui si faceva riferimento.
Chi per primo sentì il bisogno di innovare la rigida e ieratica formula della tradizione orientale fu Cimabue, seguito poi da Giotto che perfezionò queste nuove idee rivoluzionando l’intero campo artistico. Prima di questi due artisti la raffigurazione umana in senso naturalistico era praticamente nulla. Furono quelli gli anni in cui la pittura compì una svolta decisiva con la graduale conquista del mondo reale consentendo di uscire dalla tipologia tradizionale che l’aveva mortificata nei secoli precedenti. Cominciarono così ad apparire personaggi effigiati riconducibili ai modelli che avevano ispirato gli artisti, tanto da poter essere considerati dei veri e propri ritratti. Queste innovazioni giungevano però troppo tardi per San Tommaso d’Aquino, essendo egli già scomparso da circa un quarto di secolo. Le sue sembianze, quindi, saranno solo frutto di un esercizio di memoria generazionale trasmessa oralmente. Inutile ricercare somiglianze e fattezze nelle opere che noi oggi ammiriamo.
Della prima opera pittorica più prossima agli anni della vita terrena di San Tommaso purtroppo non rimangono tracce. Era di Giotto. Ne abbiamo notizia dal Vasari che ci rapporta dell’esistenza di un affresco presente a Rimini nella chiesa di S. Cataldo, poi intitolata a S. Domenico, in cui San Tommaso “…leggeva ai suoi frati…”. Quest’opera, pur con gravissimi guasti di un intonaco frammentato, era ancora visibile nella prima metà dell’Ottocento, come risulta dalla completa monografia su Giotto edita dall’editore Rizzoli.
La sua scomparsa è un vero peccato perché il Vasari prima e Riccobaldo Ferrarese dopo assegnano l’affresco ai primissimi anni del Trecento, tra il periodo di Assisi e quello padovano degli Scrovegni, cioè prima del 1303.
Si sarebbe potuto trattare quasi di un ritratto in quanto, essendo trascorsi appena ventinove anni dalla morte del Santo Aquinate, qualche anziano suo confratello della committenza riminese poteva anche averlo conosciuto di persona.
Per quel che riguarda questa tela, da ora patrimonio della comunità di Aquino, non resta che ribadire il mio sintetico giudizio di lettura estetica già espresso al momento della presentazione nella Cattedrale di Aquino il 5 marzo scorso.
Si tratta di un olio su tela della dimensione di cm.160×140, forse risalente, tipologicamente, all’ultimo scorcio del Settecento o al primo Ottocento, che raffigura un giovane San Tommaso d’Aquino impegnato nei suoi studi teologici nel momento in cui, sentendo una voce provenire da un Crocifisso presente alla sua destra, volge lo sguardo verso di esso. È la trasposizione iconica di quanto scrisse il suo primo biografo Fra Reginaldo da Piperno, il quale però faceva riferimento a San Tommaso in preghiera davanti ad un’icona bizantina con la figura del Cristo nella chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli. È, quindi, una libera riproposizione in un diverso contesto ambientale. La tela, al solo esame visivo, risulta a mio personale giudizio, non ultimata nella figura dell’angelo che regge il cartiglio, il quale sembra essere stato lasciato alla fase di stesura dell’abbozzo eseguito col metodo della macchia-colore che lo fa troppo incombere sulla figura principale sottraendole una parte dello spazio vitale che il taglio di luce assegna al soggetto effigiato. Rifinita e molto bella è invece la figura del Santo su cui piove la luce dall’alto ed incide sul chiaro del volto e sulla parte bianca dell’abito monacale creando riverberi collaterali che divengono essi stessi fonte di luce nella costruzione della figura umana.
San Tommaso è colto nella dinamicità del movimento con cui volge la testa verso il Crocefisso. La frase scritta sul cartiglio riporta la voce attribuita al Cristo, confermando 1’istintiva torsione della testa: “bene scripsisti de me thoma”.
Sull’episodio di questa frase, che sarebbe stata pronunziata dal Crocefisso, abbiamo un’ulteriore testimonianza in un’opera dello scultore Matéj Vaclas (1655-1738) commissionata dal convento dei Domenicani presso la chiesa di S. Giles a Praga. È il gruppo statuario sul ponte Carlo nella città vecchia di Praga, ora sostituito da una copia, in quanto l’originale si trova nella Galleria Nazionale della città ceca. Il gruppo comprende la Madonna col Bambino in braccio che dona a S. Domenico, inginocchiato alla sua destra, un Rosario. Alla sinistra della Madonna vi è San Tommaso d’Aquino, avente nella sinistra una penna, e che tende con la mano destra verso di Lei un libro aperto sul quale sono scolpite le parole: “Bene scripsisti de me Thoma”.
Questa versione iconografica insieme all’illustrazione del già citato Codice urbaniano lat. 132, fa propendere per l’ipotesi che San Tommaso potesse anche scrivere con la mano sinistra.
L’impasto cromatico e la campitura delle pennellate potrebbero condurre ad una rivisitazione della pittura religiosa spagnola settecentesca.
Alla luce di quanto è emerso dalla lettura estetica non credo sia il caso di formulare alcun giudizio rimandando il tutto, se ce ne saranno le condizioni, ad uno studio analitico che, oltre la tipologia connotativa, comprenda anche i necessari accertamenti fisici e chimici.
Per ora la nota positiva è l’aver dotato il museo della Città di Aquino di un’altra testimonianza artistica da affiancare alla settecentesca statua lignea del santo vescovo Costanzo, incrementando così un patrimonio già ricco di cultura e d’arte a beneficio delle future generazioni.

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