Presentato il libro di Giovanni Petrucci “Gli affreschi di Santa Maria Maggiore in Sant’Elia Fiumerapido”

 

Studi Cassinati, anno 2006, n. 4

Qualificanti le relazioni del Vescovo Bernardo D’Onorio e della Dott.ssa Claudia Tempesta della Soprintendenza del Lazio.

Il 4 novembre 2006, nella sala dell’Associazione Intercomunale “Casa dell’emigrante” di Sant’Elia Fiumerapido, è stato presentato il libro di Giovanni Petrucci “Gli affreschi di Santa Maria Maggiore in Sant’Elia Fiumerapio” edito dal CDSC onlus con il patrocinio del Comune e della Pro Loco di S. Elia Fiumerapido.
Prima delle relazioni c’è stata la visita alla chiesa dove il prof. Petrucci ha illustrato le preziose pitture parietali. La manifestazione, organizzata dal CDSC e dal Comune di S. Elia e coordinata dall’assessore alla Cultura Antonio Trelle, si è aperta con il saluto del sindaco dott. Fabio Violi e del presidente del CDSC Emilio Pistilli. Sono seguite le relazioni ufficiali. Il primo ad intervenire è stato il vescovo Bernardo D’Onorio, abate ordinario di Montecassino; subito dopo ha preso la parola la dott.ssa Claudia Tempesta della Soprintendenza al Patrimonio Storico Artistico Etno-Antropologico del Lazio; poi c’è stato l’intervento del parroco d. Remo Marandola – le relazioni sono riportate a parte – ed infine ha preso la parola l’Autore del libro Giovanni Petrucci. È seguita un’ampia discussione sul problema della tutela del patrimonio artistico e storico del territorio e dell’intervento delle Soprintendenze. Numeroso e qualificato il pubblico, proveniente da varie parti della provincia di Frosinone e di Caserta. A chiusura della manifestazione il presidente Emilio Pistilli ha opportunamente osservato che, al di là della presentazione del libro, la serata si è risolta in una tavola rotonda sulla conservazione e sulla conoscenza del vasto patrimonio artistico della ex Terra di San Benedetto.

L’intervento dell’abate ordinario di Montecassino, Bernardo D’Onorio, vescovo di Minturno

Diceva il grande Benedetto Croce che ogni libro che viene edito costituisce un bene prezioso che va ad arricchire la ponderosa trama che è la storia di ciascun paese. L’assioma del sommo filosofo si adatta perfettamente al nostro caso: la rilettura, l’analisi, l’indagine storico-artistica della Chiesa di Santa Maria Maggiore, o, per usare il termine originario, di Santa Maria de Majone, arricchisce le nostre conoscenze e dà una visione delle ricchezze artistiche che l’Abbazzia possedeva nelle terre ai piedi del Monte.
Ci conforta che il lavoro del preside contribuisca al recupero del monumento nazionale alla nostra memoria, monumento che fortunatamente dopo tanti secoli di storia si è salvato dalla furia delle battaglie che qui si sono combattute. Grazie quindi al Preside per la sua fatica, per questo volume che oggi con gioia presentiamo proprio qui, a S. Elia, nella Terra che ha la fortuna di ospitare la Chiesa e grazie anche all’Amministrazione Comunale e a quanti si sono fatti promotori, perché il lavoro del prof. Petrucci potesse vedere la luce, come molti secoli fa vide la luce la Chiesa.
Sono anche io dello stesso parere circa quanto ha affermato sugli affreschi di S. Elia e di S. Vittore del Lazio il Presidente del Centro Documentazione e Studi Cassinati, prof. Emilio Pistilli, il quale, insieme con tanti collaboratori della rivista Studi Cassinati, ha rivolto e continua a rivolgere l’attenzione e lo studio su vaste zone della Terra di S. Benedetto.
Il lavoro di Giovanni Petrucci viene ad affiancarsi allo studio del 1966 di d. Angelo Pantoni, monaco di Montecassino, grande ricercatore ed archeologo, il quale pubblicò un dotto articolo sulla preziosa rivista Napoli Nobilissima, evidenziando per la prima volta l’eccezionale altare medioevale dipinto e descrivendo gli affreschi con la competenza che gli era consueta. Affreschi che sono stati ripresi nella pubblicazione del 2000 dell’Università di Cassino, curata dalla professoressa Giulia Orofino.
Il recupero delle testimonianze storiche presenti nel nostro territorio costituisce un’opra benemerita, un contributo fondamentale per la conservazione della memoria storica necessaria a tutti e soprattutto a chi abita queste terre: è quanto mai opportuno che coloro che risiedono qui si rendano conto del prezioso tesoro che possiedono, vecchio di secoli.
Confermo anche io che la Chiesa, come ha evidenziato il preside Petrucci, era un luogo di passaggio, uno stazionamento per i Monaci che da Montecassino si recavano a Vallleuce e gli affreschi costituiscono un segno della pietà del popolo santeliano. Valleluce era un centro di preghiera, isolato dal mondo, ed adatto al rapimento a pensieri celestiali. Ecco perché nel suo monastero sostarono tanti Santi e soprattutto S. Nilo.
Peccato che nel catino dell’abside le figure siano poco leggibili; e dire che nella parete in cui essa si apre si rivela la struttura architettonica con l’Annunciazione e i quattro Evangelisti alla quale era legato tutto l’edificio. Essa ci permette di comprendere come originariamente doveva essere la Chiesa.
Lungo le altre pareti si seguono moltissimi affreschi di Santi, alcuni eseguiti frettolosamente, altri con provetta competenza di artisti; si considerino per esempio le composizioni pittoriche di S. Caterina di Alessandria e quella di S. Margherita di Antiochia, nelle quali si scoprono i segni di un’arte superiore; fra tante immagini prevale la presenza della Madonna, alla quale doveva certamente essere rivolta la pietà del popolo santeliano. Questa è raffigurata tante volte, e alcune immagini rapiscono per la bellezza che esprimono.
Certamente il libro è anche un invito e un ricordo alle autorità della Sopraintendenza a voler tenere presenti questi scrigni dei arte disseminati nella Terra di S. Benedetto.

L’intervento della dotto.ssa Claudia Tempesta della Soprintendenza al Patrimonio Storico Artistico Etno-Antropologico del Lazio

Sono grata per l’invito rivoltomi dal prof. Pistilli e dal Centro di Documentazione e Studi Cassinati per una serie di motivi sia istituzionali che personali. Per molti anni, infatti, ho lavorato per la tutela delle opere d’arte – aggiungo, come possibile, e vedremo come mai – di numerosi comuni della Ciociaria. Dal 1989 fino al 2002. Il cambio delle competenze della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma e Lazio, erede della gloriosa Soprintendenza alle Gallerie e alle Opere d’arte istituita nel 1925, sempre a Palazzo Venezia, ha provocato una frattura tra Roma e il resto del Lazio, dividendo un continuum culturale, che anche in queste aree del basso Lazio, un tempo Regno di Napoli, si avverte con chiarezza in molti significativi e ripetuti passaggi della storia delle arti figurative. Non parliamo anche per la cultura cassinese dell’abate Desiderio di importanti influssi e scambi con Roma? Bene questa frattura si è risanata nel 2005 e ciòmi ha permesso da poco di tornare ad occuparmi di queste aree con rinnovato piacere ed interesse. Con il Reverendo Padre Abate sono in via di definizione alcuni progetti per il completamento del lavoro di catalogazione delle collezioni abbaziali e altro ancora per la diocesi, restauri e altre iniziative. Altro motivo di rammarico, nel guardare a un passato prossimo, ma che, a causa del mutamento accelerato dello scenario istituzionale ed economico, sembra diventato remoto, è la scarsezza dei fondi destinati al ministero per i Beni e le Attività culturali. Ogni anno i fondi messi a disposizione delle Soprintendenze diminuiscono, e purtroppo diventano sempre più difficilmente spendibili a causa di iter burocratici pensati dallo stesso inventore del labirinto. Per il 2007 sembrava si potesse contare su qualche risorsa in più a causa di una riduzione in corso dei dirigenti generali, ma tali risorse andranno al Ministero del Turismo, prima di competenza del Mibac ora destinata a un ministero ad hoc di nuova istituzione.
Però mi piace pensare positivo e ricordare numerosi restauri di affreschi che ho diretto e seguito, proprio riguardanti temi artistici vicini a quelli splendidamente testimoniati dalla chiesa di Santa Maria Maggiore in Sant’Elia fiumerapido. Tali opere sono, infatti, viva testimonianza della cultura della terra Sancti Benedicti. A Caprile di Roccasecca, nella chiesa di Sant’Angelo, o san Michele in Asprano i bellissimi affreschi dell’abside del XII secolo e i pannelli laterali più antichi, il gigantesco San Cristorforo della chiesa; in Belmonte Castello nella chiesa di San Nicola, allora senza copertura e pericolante, fu eseguito un intervento che si dovette fermare al consolidamento dell’intonaco degli affreschi, per fermarne l’avanzato degrado, rimandando a dopo il restauro dell’edificio il completamento del restauro degli affreschi. Credo che ora si potrà procedere. Nel santuario di Santa Maria de’ Piternis in Cervaro dove l’acqua che filtrava dal tetto dell’abside aveva provocato sulla superficie affrescata una sorta di stalattiti, ovvero formazioni di sali di calcio che dall’interno della muratura affioravano staccando la superficie pittorica, come aghetti che appunto bucavano lo strato compatto dell’affresco. Si dovette ricorrere, con nuova sperimentazione, ad un trapano usato nella pratica odontoiatrica per assottigliare tali concrezioni fino a raggiungere il livello della pellicola pittorica.
Sono state realizzate numerose campagne di catalogazione di tanti centri minori della diocesi (Catalogata al 90%). Ricordo l’esperienza sempre nuova ed emozionante di entrare in piccole chiesine o in grandi parrocchiali, dove era presente il senso della devozione antica, manifestata anche dai mazzi di fiori mai assenti dagli altari; come dimenticare il frastornante profumo dei gigli di Sant’Antonio in giugno? Proprio in Santa Maria Maggiore, nel corso della ricognizione per la catalogazione (1994), accanto all’emozione estetica provata nel vedere l’altare affrescato, ricordo la grazia semplice di un cespuglio di rose di Santa Rita, curato da una gentile signora del posto.
Il Codice dei Beni Culturali, di cui molto si è discusso a tutti i livelli, ha prodotto modificazioni sostanziali nei riguardi del patrimonio artistico. Tutti sono coinvolti nella salvaguardia. La modifica del Titolo V della Costituzione e la conseguente devoluzione agli enti territoriali di numerose attribuzioni, prima di competenza statale, ha responsabilizzato gli amministratori locali verso un’opera di valorizzazione e facilitazione della fruizione che ha certamente prodotto un’attenzione più consapevole. Lo Stato, quindi le Soprintendenze territoriali, ha un compito di indirizzo nella tutela, di indicazione dei criteri tecnico-scientifici, del controllo sul restauro. Importanti e vincolanti sono le norme che riguardano la qualificazione richiesta per la professione di restauratore. La Soprintendenza ha quindi un ruolo di propulsione, se necessario, ma soprattutto di collaborazione, di partecipazione, nel rispetto delle rispettive competenze, alle iniziative dei vescovi, dei sindaci, degli enti territoriali, messe in atto per far conoscere e rendere fruibili quelli che il Codice, con una espressione incisiva, chiama i “luoghi della cultura”.
Altro motivo per il quale l’invito odierno è stato particolarmente gradito è stato il dover leggere con molta attenzione, dovendone parlare, il volume sulla chiesa di Santa Maria Maggiore frutto degli studi del prof. Giovanni Petrucci.
Si tratta di una vera e propria monografia su Santa Maria Maggiore, monumento non estraneo agli studi specialistici, ma tuttavia ancora da indagare e da valorizzare. Il volume ha il pregio di una chiarezza esemplare. Il discorso si snoda nel difficile compito di ricostruire le vicende millenarie della chiesa, di “leggere” attraverso le trasformazioni dell’edificio la sua storia e la sua vita; leggere le immagini affrescate, spesso drammaticamente mutile, e ricavarne indizi sulla storia del culto, sulla devozione popolare, ritrovare in sostanza il significato sia religioso che artistico di cui questi affreschi sono mirabile testimonianza.
La descrizione delle immagini, dalle vesti, agli attributi, ad ogni altro elemento di individuazione iconografica segue un attento ordine per chiarire il significato sia religioso che estetico delle immagini; sono rivelati origini della devozione ai santi, la loro diffusione nella zona, i motivi di uso delle immagini. La descrizione è a servizio dell’occhio, esercizio critico questo, ormai un po’ trascurato, per via della sopraffazione del potere comunicativo delle immagini.
Il volume traccia la storia dell’edificio sacro, con ineccepibile aggiornamento bibliografico, passando attraverso i secoli, dai primi insediamenti di età romana sino alle trasformazioni più recenti. Non manca mai l’apertura al quadro naturalistico, alle feste e riti che si celebrano, agli abitanti della frazione limitrofa alla chiesa. Un mondo di consuetudini, di valori antichi sembra riaffiorare da quello che modernamente si definisce il “vissuto” dell’edificio. Tale caratteristica aggiunge valore alla forza delle immagini che dai muri testimoniano il desiderio dell’uomo di abbellire, di avere immagini per rivolgere la preghiera, di avvertire il cambiamento dei tempi anche attraverso la trasformazione delle raffigurazioni sacre.
Si nota costante nello svolgersi dei capitoli la conoscenza profonda dell’arte dell’abbazia madre di Montecassino. Esempio e modello normativo. Nel volume, come in molta parte della storiografia artistica della Terra sancti Benedicti, si avverte la consapevolezza che la cultura cassinese e desideriana sono la parte costitutiva di espressioni artistiche che, se pure per secoli si sono aperte ad inflessioni forestiere, e quindi non restie ad aggiornamenti, costituisce tuttavia il legante del pensiero artistico. Ne scaturisce, da parte dell’autore, un’attenzione particolare nel rintracciare nei monumenti di architettura e di pittura elementi, a volte deboli echi, della magnificenza dell’abbazia desideriana, e delle grandiose trasformazioni artistiche che si andavano compiendo nell’abbazia.
Un particolare cenno al pavimento, alla porzione antica del pavimento di Santa Maria Maggiore.
I pavimenti antichi difficilmente raggiungono la nostra epoca. È frequente notare che tra i primi interventi di restauro, a volte sarebbe meglio dire “alterazione”, di una chiesa ci sia proprio il pavimento. Ancora oggi, in molti casi, si saluta con gioia l’apposizione di un mediocre pavimento moderno, piuttosto che tentare di restaurare quello antico. Il pavimento della chiesa di Santa Maria Maggiore si è in minima parte salvato grazie all’attenzione del restauro del 1925. Questo bellissimo frammento, limitrofo all’area absidale, ha consentito agli studiosi di istituire interessanti confronti con i modi iniziali della bottega cosmatesca, attiva a Roma e in differenti aree geografiche del Lazio, nonché confronti con la piccola porzione residua del pavimento dell’antica abbazia oggi, conservato nella cappella di Sant’Anna.
Della chiesa, a mio modo di vedere, la cosa più rara e preziosa sono gli affreschi dell’altare, o meglio, tutto l’altare. Raro esempio di secoli di povertà di materiali, molto spesso di riuso, di abbellire il luogo del sacrificio eucaristico. Le immagini ci riportano, e ancora purtroppo si deve dire nella loro frammentarietà, al mondo bizantino, al senso astratto e incorporeo della figurazione, allusiva alla divinità. La lezione dei maestri di Costantinopoli è viva, è interpretata e tradotta in un linguaggio latino, ma sopravvive.
Gli affreschi del sec. XIV che si rintracciano nelle pareti e intorno all’abside sono di grande interesse, perché attraverso di loro si puó intravedere un sistema di transiti da nord a sud, da Roma a Napoli, tra Terra sancti Benedicti e Terra di Lavoro, di artisti, cooperanti in botteghe operose nei cantieri romani e in quelli napoletani, magari provenienti da Siena o dalla Lombardia. Ognuno di questi collaboratori coglie una particolarità dei maestri, che ripropone, non rinunciando, quasi per volontà d’arte, a raffigurare gioielli, stoffe preziose, abiti alla moda internazionale, elaborate acconciature, oppure a riportare come nel caso dell’Annunciazione e del gruppo di affreschi stilisticamente affine, il senso misterioso del divino che prende forma umana quando già i bagliori preumanistici, da Giotto a Simone Martini, nelle varie declinazioni dei seguaci, animavano le grandi figurazioni ad affresco nelle chiese romane e napoletane, della Toscana, dell’Umbria. I modi sono un po’ incerti, ingenui, forse rudi nelle eccessive semplificazioni o improprie comprensioni dello stile alto dei maestri di città.
Ancora più sembra variare la presenza degli artisti nelle decorazioni da ascrivere al secolo successivo. Sembra che al tradizionale collegamento tra Roma e Napoli, con le conseguenti presenze umbre e romane – come non pensare ad Antoniazzo nella Santa Caterina con Santo francescano e san Paolo di Tebe per il volume ampio della figura, per il pesante cadere del panneggio –, le presenze degli artisti si debbano rintracciare attraverso altre grandi vie di comunicazione. In particolare sembra aprirsi la via, lungo le strade della transumanza, della cultura adriatica. L’Abruzzo diventa terra di contatto tra la cultura napoletana e marchigiana, tra Venezia e il Meridione adriatico. Un movimento ascendente e discendente, che segna in episodi marginali di decorazione, i passi del suo procedere al servizio dei papi, dei Durazzo e degli Angiò.
Più che di confronti di testi pittorici si puó parlare di “riferimenti”, ricordi di grandi cantieri, spunti dalle miniature, (il ruolo della miniatura, come delle stoffe, non sarà mai sufficientemente messo in risalto). Facciamo qualche nome per i riferimenti: il Maestro di San Stanislao, vicino alla cultura di Camerino, il Maestro di San Silvestro, il Maestro di Sant’Agata, la fase neosenese della pittura a Napoli, le correnti abruzzesi con gli aggiornamenti delle Marche e di Jacobello. Tanti elementi si possono ritrovare, ma con grande ritardo, come se nel percorso il portato stilistico affievolisse e la forza dell’immagine modello perdesse intensità e qualità.
Un’altra cosa ho molto apprezzato del volume del prof. Pietrucci, ovvero la riproposizione di testi fondamentali sulla chiesa in un’appendice che soddisfa chi vuole avere immediato accesso a saggi pubblicati in riviste scientifiche, non sempre facilmente reperibili.
Un’ultima osservazione: il volume mi sembra che sia la prima monografia sulla chiesa. L’ingresso in una biblioteca della monografia di un monumento guadagna allo stesso un‘attenzione particolare; è un entrare con nome e cognome come luogo della cultura in un altro luogo della cultura. Negli studi scientifici sull’area del basso Lazio, la chiesa e gli affreschi, come in genere ogni episodio della pittura o dell’architettura, compongono il tassello del grande mosaico della Storia. La elaborazione di una monografia presuppone un lavoro inverso, ovvero si cerca nella storia già tracciata, attraverso un difficile compito di identificazione, il confronto più appropriato, elemento più convincente, la causa determinante per inserire nel giusto segmento della storia quel monumento. L’identificazione, che si raggiunge attraverso la lettura critica, è atto individuale e soggettivo, in cui convergono sensibilità cultura ed esperienza dell’autore.

L’intervento del parroco d. Remo Marandola

Mi unisco all’apprezzamento e alla lode di chi mi ha preceduto nel dire grazie al Preside Giovanni Petrucci per aver portato a termine questo libro che così egregiamente descrive l’arte e la bellezza della Chiesa di S. Maria Maggiore. Esaltando la bellezza dell’arte lì raffigurata il prof. Petrucci indirettamente ha esaltato la fede e la devozione del nostro popolo.
Pensate, a S. Elia prima delle leggi eversive c’erano cinque parrocchie delle quali è rimasta traccia in una via nominata ‘Salita Croci’ proprio in ricordo delle parrocchie esistenti e soppresse nel tempo. La devozione si esprimeva anche in pitture votive commissionate dai fedeli, come ex voto probabilmente.
Il preside ha esaltato questa caratteristica della nostra comunità che è giunta fino ai nostri giorni e lo ha fatto da par suo con passione, pazienza e spirito della ricerca.
In un mondo che va come va, diceva Dostoèvskij, la bellezza salverà il mondo [ne L’Idiota, n.d.r.].
È fuori dubbio che quando si entra in una chiesa bella ci prende un sospiro di trascendenza e siamo elevati all’ amore delle cose invisibili e di una bellezza più alta. Per me fare catechesi in quella Chiesa è abbastanza facile, perché la corona di santi e di immagini e un corteo di ‘Sì’ detti alla fede e al vangelo a cominciare dal ‘Sì’ più importante dell’Annunciazione affrescato alla sommità dell’abside.
L’arte è un veicolo privilegiato per il progresso umano e spirituale. Su queste cose, dice papa Benedetto, ‘ragioniamo’ e ne avrà contributo la fede. In un mondo e una società che fa scempio di valori, la capacità di riflettere e di ritornare alle radici cristiane puV essere il seme che produrrà nuovi germogli.
La ricerca fatta con zelo e con pazienza e fissata in questo libro puó essere punto di partenza dal punto di vista storico come l’autore, con la modestia che lo distingue, precisa nel testo; ma è senza dubbio l’incoraggiamento culturale ad ammirare l’arte e la bellezza per nutrirsi e aspirare a cose più grandi.
L’arte è un linguaggio visibile e la Chiesa, che custodisce l’arte e la promuove, la usa per comunicare il Verbo.
Grazie a voi tutti per la vostra presenza e complimenti per il vostro interesse. Grazie ancora esprimiamo all’amico Giovanni. Grazie al Padre Abate e alla dott.ssa Tempesta per la loro presenza e per i loro interventi. Grazie all’amministrazione per il suo impegno e patrocinio.

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