Studi Cassinati, anno 2006, n. 4
di Annamaria Arciero
“Li 19-7-1942 XX
Genitori carissimi,
finalmente posso scrivervi per comunicarvi il mio arrivo in zona di operazione. Ieri sera arrivammo dove trovammo quelli che ci avevano preceduto. Il viaggio, malgrado lungo, è andato bene. Ho avuto l’opportunità di ammirare molti paesi diversi e le loro caratteristiche. Dove mi trovo e, per meglio dire, in tutta la Russia regna una profonda miseria. Mai mi sono trovato di fronte a così grande bassezza umana: visi scarni, macilenti, con vestiti a brandelli, scalzi. Abitano ammassati in luride catapecchie, che sono costruite con frasche e stabia. Vie di comunicazione vere e proprie non ce ne sono: sono quasi tutte piste e al passaggio di automezzi s’ innalza un terribile polverone. Questo è in piccolo il quadro del paradiso bolscevico. Ho potuto notare, parlando con qualcuno, che i bolscevici non hanno potuto distruggere la religione. Quando mostravo a qualche vecchia o a qualche bambino una sacra immagine, mi ringraziavano e avidamente se la mettevano a baciare. Il popolo è, secondo il mio punto di vista, intelligente, ma lasciato in stato di abbrutimento dal regime. Considerate tutte queste cose ho potuto maggiormente comprendere che noi stiamo combattendo una santa causa: l’espansione del bolscevismo nel mondo, che, come una marea, cercava tutto di travolgere…”
Questa lettera, amorosamente conservata e gelosamente custodita, quasi fosse un tesoro di famiglia, è la prima delle due che mio zio Vittorio riuscì a scrivere dalla lontana Russia, dove, giovane ufficiale ventenne, era stato spedito con l’Armir (Armata Italiana in Russia), a dar man forte al Csir (Corpo di Spedizione Italiana in Russia, partito allorché l’Italia volle dare il contributo alle operazioni tedesche nell’URSS.), che si trovava sul fronte del Don, tra la quarta armata tedesca e la terza armata rumena, travolte da brillanti operazioni strategiche russe.
Quello che più mi colpisce, oltre alla maturità di questo ventenne, è la purezza dei suoi ideali. Nonostante fosse stato sbalzato, dalla sua tranquilla professione di maestro elementare in Acquafondata, nel turbine di una guerra voluta da Mussolini, per non essere da meno di Hitler, pure, nella sua “innocenza”, trovava giusto combattere “per una santa causa”! Chissà come era stato imbottito di bugie e di demagogie! Nato nel ‘22, proprio con la nascita del fascismo, aveva subito ma non assorbito, evidentemente, il lavaggio del cervello fatto ai bambini e ai giovani durante il regime, per plasmarne le coscienze. Se, infatti, zio Vittorio crede di essere andato a combattere in Russia per una santa causa, che è quella di liberare il popolo dal bolscevismo, significa che, nell’opera di persuasione volta ai militari, questo era stato l’ideale prospettato. Quei poveri giovani mandati a combattere nel gelido inverno russo, senza vestiario e calzature e armi e vitto adeguati, non sapevano che , invece, servivano “da morti”, perché il duce potesse sedersi, come Hitler, al tavolo della pace tra i vincitori. Non sapevano che Hitler nemmeno li voleva, che aveva cercato in vari messaggi di declinare l’offerta del Duce a una partecipazione attiva, che anzi gli aveva suggerito di mandare quelle truppe in Africa settentrionale, come a dire: Pensa ai fatti di casa tua!
Ed ecco che zio Vittorio, anima semplice, nello scontro tra i due eserciti più giganteschi che l’umanità abbia mai visto, si sente animato da un ideale puro: non la sottomissione di una nazione, non la conquista di un territorio per espandere l’impero, ma la sconfitta del bolscevismo e con esso la libertà di un popolo.
Di lui non si è saputo più nulla: disperso! Come tante migliaia di giovani, ma le sue parole scritte dalla lontana zona del Don, alla vigilia della battaglia che sarà disastrosa per gli invasori, ne fanno trasparire la purezza di sentimenti. E questo onora i suoi parenti, i suoi compagni e la terra cervarese che gli diede i natali.
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