Studi Cassinati, anno 2006, n. 2
L’Università di Cassino vs gli storici locali Storia locale: che brutta espressione! E gli storici locali? Gente che farebbe bene ad occuparsi di broccoletti o di quisquilia. Tale sembra essere il tenore di quanto si legge nelle pagine introduttive del volume “Annale di Storia Regionale” – Università degli Studi di Cassino – Laboratorio di Storia Regionale – Anno 1-2006, a firma di Silvana Casmirri e Marco De Nicolò (pagg. 7-9).
L’avevamo accolta con vivo interesse quest’opera; e i contenuti non ci hanno di certo delusi. Ma poi, a leggerne l’editoriale abbiamo provato sconforto e sconcerto.
Andiamo a leggere alcuni passi – certi di non alterare lo spirito e l’intento di chi scrive –. “La carenza di studi in grado di ricostruire con rigore scientifico e di problematizzare i diversi aspetti della storia regionale, all’interno del più ampio e articolato quadro di riferimento nazionale e talora anche internazionale [ … ] ha finito per lasciare ampi spazi all’eruditismo [ ?! ], alle ricerche di campanile, agli storici d’occasione che, sprovvisti delle conoscenze e del metodo necessari a fare della storia regionale un osservatorio e una chiave di lettura sulla e della storia nazionale, hanno spesso affastellato dati e documenti senza enucleare problemi o proporre ipotesi interpretative in grado di arricchire la riflessione storiografica. Presunzione degli storici di professione? Arroganza dell’Accademia? O non, piuttosto, esigenza di ribadire senza ipocrisie che quello dello storico è un mestiere come tanti altri, costruito su competenze e strumenti che non è dato improvvisare ma che una sempre [Pag. 8] crescente schiera di figure professionali “altre” si sente in diritto di praticare, con esiti raramente dignitosi e quasi sempre discutibili sul piano del rigore documentario e della capacità di interpretare i fatti della storia”. È necessario, dunque, “trascendere quella microstoria erudita [ ? ] e per lo più aproblematica che anche nel Lazio meridionale, caratterizza una buona parte degli studi di storia locale”. [ … ] le scelte metodologiche adottate dal Laboratorio sono state orientate a evitare in modo rigoroso ogni forma di eruditismo (un pericolo sempre [Pag. 9] in agguato nelle ricerche di storia locale) e a rifuggire da analisi che facessero perno sulle “piccole storie”, indipendentemente dalla loro rilevanza, e che si caratterizzassero per l’assenza di confronto con altre realtà, isolando il contesto locale fino a giungere a vere e proprie forme di “invenzione della tradizione”, con cui spesso si colgono forzatamente specificità locali anche laddove non esistono. Se a volte tale tipo di produzione, piuttosto diffusa nell’area geografica d’interesse della struttura, ha il piccolo merito di fornire qualche utile informazione in più, spesso evidenzia, tuttavia, gravi limiti: la mancanza di confronto con il dibattito storiografico nazionale, la carenza di letture più generali, la manifesta insufficienza metodologica e un inadeguato riferimento alle fonti”.
Mi astengo dal fare apprezzamenti a quanto riportato – anche su suggerimento del Comitato di Redazione –, ma non posso rinunciare a sottolineare quanto sia ingiusto e ingeneroso accomunare in un unico giudizio chi, per improvviso impulso, si scopre storico e si mette a scrivere di storia, con chi, assecondando una passione di vecchia data, con una formazione quasi sempre universitaria, e accumulando esperienze preziose nel campo del proprio interesse, raccoglie ed assembla informazioni di carattere storico (ricerca sul campo, archivi, interviste, bibliografia specifica) sul proprio territorio e ne fa oggetto di pubblicazioni: il più delle volte a proprie spese! È anche il caso nostro.
È vero che il ricercatore locale molte volte non ha gli strumenti utilizzati da chi fa storia per “mestiere” (“quello dello storico è un mestiere come tanti altri”, sic, pag. 7), ma fa quel lavoro “sporco” che gli accademici non si degnano di fare ma che, tuttavia, utilizzano ampiamente quando assegnano tesi di laurea sul territorio, spesso con scarse indicazioni bibliografiche, sapendo già che il laureando saprà ricorrere alle “cure” dello storico locale.
Prima di esprimere certi generici giudizi non sarebbe il caso di chiedersi a che prezzo il cosiddetto storico locale svolge il suo compito? Si conoscono i sacrifici di tempo, di sforzo intellettuale e di bilancio familiare che quotidianamente essi affrontano? Che bella cosa, poi, se tali giudizi li esprime chi quelle stesse cose dovrebbe fare perché è appositamente stipendiato ed ha alle spalle una struttura di tutto rispetto quale è l’università! Ma no! Egli non si occupa di “localismo” e di “piccole storie” (a proposito, quali sono le “grandi” storie? Quelle di condottieri e di grandi battaglie, di personaggi eccelsi e di grandi movimenti politici, sociali e culturali?).
Allora diciamo ai nostri “piccoli” lettori che grazie alle nostre “piccole” storie – quelle che anche noi qui pubblichiamo – essi possono conoscere il passato delle loro “piccole” genti (piccole e locali) e dei loro “piccoli” paesi.
“Presunzione degli storici di professione? – scrivono nell’editoriale – Arroganza dell’Accademia?”: ho l’impressione che siamo ancora a quello, specialmente se facciamo il confronto con quanto si legge nel “Dizionario di storiografia” PBM (Paravia Bruno Mondadori) a proposito del localismo della storia: “La vasta diffusione e soprattutto la legittimazione scientifica della storia locale hanno avuto corso in paesi, come la Francia o la Gran Bretagna, dall’identità nazionale forte e storicamente consolidata. In Italia è stato invece a lungo prevalente il discredito nei confronti delle storie locali, a causa della preoccupazione dominante per le tematiche nazionali in un paese giunto relativamente tardi all’unità”. Aggiungiamo (piccola informazione) che la Biblioteca del Senato della Repubblica “acquisisce monografie generali e speciali dedicate alla storia locale italiana, tentando di garantire il maggior grado possibile di “copertura” bibliografica nei confronti di un ambito disciplinare verso il quale l’interesse storiografico negli ultimi decenni si è significativamente accresciuto”, sì, ma non presso l’Università di Cassino, a quanto pare.
Mi rendo conto di essermi lasciato andare ben oltre il mio iniziale intento. Ma so di esprimere anche l’amarezza e lo sgomento di tanti amici “storici locali” che ci hanno contattato. Tra i tanti messaggi mi limito a riportare quanto ci scrive l’avv. Ferdinando Corradini (anch’egli, ahimé, storico locale): “Stamane ho ricevuto per posta il primo numero dell’Annale di Storia regionale edito dall’Università di Cassino. Ne ho letto soltanto l’Editoriale: potevano evitare tutte quelle polemiche con gli storici locali, anzi con gli “eruditi” (come scrivono) non foss’altro per un po’ di rispetto nei confronti di persone che si interessano alla storia regionale da prima che fosse istituita l’università di Cassino”.
Lo sconcerto, infine, di cui parlavo all’inizio, deriva dal fatto che nei passaggi su riportati non mi pare di riconoscere la prof. Casmirri, sia per la sua ben nota apertura e disponibilità nei confronti delle iniziative culturali del territorio, sia perché proprio dalla sua penna leggiamo: “Del resto è meglio una storia con qualche imperfezione e carenza che nessuna storia” (Spirito Rotariano e impegno associativo nel Lazio meridionale, 2005, pag. 12).
In effetti sì, se la potevano risparmiare quella polemica.
e. p.
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