Studi Cassinati, anno 2006, n. 1
di Giovanni Petrucci
La vita
L’arch. Giuseppe Poggi, anche se a Cassino visse solo per due lustri, viene ancora oggi ricordato, e giustamente, come uno dei tanti professionisti che hanno contribuito alla ricostruzione della città.
Arrivò qui con una folta schiera di funzionari del Genio Civile nel 1944, quando nel terreno indistinto di ruderi ancora fumanti si aprivano gli immensi crateri delle bombe colmi di acqua gialla stagnante.
A Cassino non era possibile vivere sia per mancanza di abitazioni, sia per la malaria, che mieteva impietosamente vittime e il personale trovò ospitalità in S. Elia Fiumerapido. La contrasse ugualmente, ma si curò con l’atebrin, il famoso chinino giallo americano, cedendo quello bianco del Monopolio di Stato Italiano a qualche abitante del paese.
Apparteneva ad una nobile famiglia fiorentina, che vantava tra i suoi avi Enrico Poggi, magistrato, senatore del Regno e Ministro di Giustizia, che ebbe l’onore di proclamare a Firenze i risultati del plebiscito; e Giuseppe Poggi, architetto ed urbanista, che diede assetto definitivo alla città di Firenze dopo l’unità d’Italia.
A San Remo fu allievo del Collegio di Don Orione; studiò architettura a Firenze, ospite della zia Virginia Tango (Agar), una scrittrice impegnata, che rappresentò l’Italia ad uno dei primi congressi femministi d’America. Da lei conobbe uomini eccezionali che contribuirono a rafforzare il suo carattere anticonformista e romantico.
Nacque a Scarperia, in provincia di Firenze il 15 luglio 1903 e si spense il 24 febbraio del 1995 nella città di Bologna, all’età di novantuno anni.
La libera professione
Dal 1931 al 1944 esercitò la libera professione a San Remo, Lucca, Urbino, Tagliacozzo, Ospedaletti, Ventimiglia e Roma.
Nel 1932 si classificò al secondo posto in un pubblico concorso a Napoli, per realizzare un rione popolare. Nel 1935 vinse il concorso per la costruzione dello stabilimento balneare Imperatrice di San Remo; ebbe quindi l’incarico del progetto esecutivo e della direzione dei lavori. Esso prevedeva imponenti opere in mare e in terraferma, la costruzione di strade, la realizzazione di una penisoletta con ristorante, un casinò con piscina coperta ed altri centri di particolare attrattiva. La città doveva competere con la Costa Azzurra: quanto fu realizzato, frutto di un ingegno mirabile, resta a monumento del progettista.
Nel 1937 entrò nella Scuola dell’arch. Luigi Moretti, un professionista emergente della Roma del Ventennio e del Dopoguerra, insigne rappresentante dell’architettura moderna (Casa della Gioventù in Trastevere, Casa delle Armi, Casa del Girasole, Piazzale del Foro Italico a Roma; le case-albergo in Via Corridoni e il complesso edilizio di Corso Italia a Milano; il centro residenziale Watergrate a Washington, ecc.).
Seguendo il suo insegnamento, Poggi progettò varie opere e soprattutto la Casa della G.I.L. ad Urbino.
A Cassino
Nel 1944 entrò nel Genio Civile e fu mandato a Cassino, dove ebbe l’incarico di progettista e di direttore dei lavori di ricostruzione dell’Abbazia di Montecassino, di soprintendenza ai piani di ricostruzione di edilizia popolare, di opere demaniali (chiese, dispensari antitubercolari, colonie solari, campi sportivi, ecc.). Ma non ebbe grande fortuna!
Iniziò con la dovuta attenzione l’attività di sgombero delle macerie accumulatesi nell’area dell’abbazia ed a porre le basi delle nuove strutture. A proposito dell’attività svolta qui, ricordiamo quanto diceva continuamente: nel ricostruire l’opera sarebbe stato opportuno lasciarvi l’impronta dell’architettura moderna, con la partecipazione di qualche illustre luminare italiano, anche se in parti secondarie e non sostanziali, che non ne avrebbero assolutamente alterato l’apparato strutturale esistente (come è oggi la sala Nervi al Vaticano); i contemporanei, egli ripeteva, non dovevano essere semplicemente dei manovali, dei semplici esecutori, ma anche artefici veri, guidati da una mente illuminata. Montecassino, però, a ragione, doveva essere ricostruita dov’era, com’era.
Progettò il fabbricato Di Giovanni, che oggi fa da sfondo a piazza 15 Febbraio; le case popolari «Fraschetti», concepite a misura d’uomo e con una piccola superficie di verde per le esigenze di vita.
Ricordiamo il rifacimento della Chiesa di S. Antonio, nel rispetto dello stile architettonico originario1, dalle linee semplici e sobrie, ai cui lavori fu in modo particolare attento, riponendo tutta la sua fiducia nelle capacità di mastro Filippo Fabrizio, lo stuccatore di S. Donato Valcomino. Sul retro svetta il campanile, eseguito su suo progetto, slanciato verso il cielo che supera quello preesistente basso e pesante; mirabilmente legato alle lesene della facciata, è emblema di forza e di classica architettura moderna, in sano equilibrio con le linee della Chiesa, ma attende ancora il completamento di un bronzo di S. Benedetto alla sommità (come è la Madonnina per Milano). E questo campanile, frutto di tanti ripensamenti e maturato lungamente, costituisce forse un esempio di compostezza nella composizione.
Il piano di ricostruzione
Egli originariamente sosteneva che la città doveva venir ricostruita nella zona pianeggiante del Colosseo, risultante più aperta e meno addossata al monte, che avrebbe dato la possibilità di ripetere gli schemi degli insediamenti romani, già collaudati nell’agro pontino; poi, rendendosi conto dell’attaccamento dei profughi alla propria terra, dove in sostanza riconoscevano la loro esistenza, venne ad un compromesso: la nuova città poteva essere ricostruita quasi integralmente dove era prima della distruzione, ma una sua piccola plaga, sotto la Rocca Ianula, doveva essere lasciata intatta con tutti i suoi ruderi, come Città Sacra,
Il piano di ricostruzione, voluto dal Ministero dei LL. PP., venne eseguito in collaborazione con l’Ing. Marcello De Sanctis “per vero amore verso la città martoriata e la sua infelice popolazione, oltre che per passione di tecnici e di artisti”. In verità risente dell’urgenza del momento – fu presentato il 25 maggio 1945 – quando Cassino era una landa bianca di macerie dall’aria miasmatica; ma, a ben valutarlo, è uno strumento urbanistico di ottimo livello e va tenuto nella giusta considerazione da chi voglia ripercorrere la storia della ricostruzione. In esso sono contemplati tutti gli aspetti che ancora oggi, dopo sessanta anni, appaiono vivi ed attuali e sono fonte di continui dibattiti.
Si ispirava agli studi degli urbanisti Agache, Auburtin e Redont, i quali alla fine della Prima Guerra Mondiale, in un’analoga situazione, si erano posti già il problema “Comment reconstruire nos cités détruites”.
Era studiata la natura dei terreni, tagliati in due dal Rapido e dal Gari e venivano presi in esame vari comprensori di paesi che gravitano sulla città ed avrebbero avuto con essa stretti rapporti di interdipendenza: quello nord (con Terelle, Belmonte Castello, S. Elia ecc), quello est (con Cervaro, S. Vittore del Lazio, S. Ambrogio sul Garigliano, ecc.), quello sud (con Piedimonte S. Germano, Villa S. Lucia, Pignataro, ecc.).
Veniva previsto un notevole sviluppo industriale e commerciale verso tali comprensori con possibilità di espansione del nucleo urbano, che il successivo piano regolatore doveva prevedere secondo una realizzazione a “maglie larghe”, con idonei servizi pubblici e un’adeguata rete stradale da far capo alla stazione ferroviaria.
Tenendo conto della “eventuale istituzione della provincia”, tale piano di ricostruzione disegnava tre quartieri: quello nord con nuclei estensivi, quello centrale con edifici comunali, di commercio, amministrativi ed altri, quello sud con possibilità di ampliamento verso la zona industriale.
L’impostazione artistica riguardava il regolamento edilizio, la sistemazione della “città sacra”, la costruzione di un fondale della Via Casilina, la creazione di una zona verde con un laghetto, l’alberamento, l’allineamento delle strade.
La parte più interessante, secondo noi, è quella inerente alla “città sacra”, da realizzarsi in base alla “decisione manifestata ufficialmente dalle competenti autorità di dichiarare inviolabili le macerie”. Doveva sorgere sotto la Rocca Janula, nel quartiere nord: vi si intersecavano viali pedonali che si incrociavano in un punto centrale ed avevano in prospettiva lo scenario dei ruderi, sapientemente studiato. La sua “attrazione puó abbinarsi a quella della ricostruenda Abbazia e a quella del bellissimo paesaggio2 e potrebbe favorire un certo sviluppo turistico”. Tale città sacra doveva essere lasciata intatta, quale monumento e monito per i contemporanei e per le generazioni future.
Ma anche qui non ebbe l’appoggio degli amministratori, che giustamente dovevano salvaguardare gli interessi dei proprietari delle distrutte abitazioni3.
A Bologna
Nel 1954 passò al Genio Civile di Bologna, dove gli furono affidate l’edilizia demaniale e l’edilizia popolare.
Nel 1956 fu nella Sezione Urbanistica del Provveditorato Regionale alle OO. PP. della stessa città: qui ebbe il prestigioso incarico di Capo Reparto Addetto al Comitato di Studio del Piano Territoriale di Coordinamento. Con questa qualifica poté approfondire le problematiche che costituivano la sua passione.
Partecipò a congressi di studio ed ebbe modo di far conoscere le sue idee contro una visione troppo convenzionale interessata ed acquiescente dell’architettura degli anni ‘60. In tempi di sfrenata libertà concessa a fortunati imprenditori e nel contempo magari progettisti, la sua voce si sperdeva nel deserto. Alcuni esponenti della cultura bolognese assentivano, ma non lo appoggiavano apertamente … Le sue idee restano affidate ad una trentina di pubblicazioni e ad articoli per riviste specializzate4.
Fu collocato a riposo con la qualifica di Urbanista Superiore del Ministero; poté riprendere allora la libera professione in Emilia Romagna, in Liguria e nel Lazio. È di questo periodo il progetto del piano regolatore comunale di Aquino (FR) e di Andora (SV). Il primo fu partico1armente impegnativo perché il territorio era vasto e ricco di ruderi romani e medioevali che egli voleva degnamente sistemare.
Tradizionalista
Negli ultimi anni della sua vita proprio per l’attaccamento alle fede e al Cristo, amato nell’intimo, si trovò attanagliato nella difesa della liturgia tradizionale, del latino della Chiesa contro il movimento ecumenico e il cambiamento. Fu un tradizionalista convinto, intollerante della chitarra, di certi canti, dei battimani che potessero turbare il raccoglimento interiore in luogo sacro.
L’architettura
A conclusione di queste note possiamo affermare che la concezione ispiratrice della sua architettura si individua nel serio impegno verso la correttezza, il buon gusto, il bello. Per lui l’estetica trovava fondamento nell’armonia, con un sentito ossequio e rispetto per l’antico, quando questo è presente nell’impianto architettonico. Egli soleva ripetere che i nostri progenitori erano stati capaci di creare mirabili monumenti anche utilizzando materiali di altre epoche, ma avendo la massima cura nel rispettare le regole dell’armonia tra il vecchio e il nuovo, verso l’ambiente in cui l’uomo vive; che molte volte oggi ci si imbatte nella ricerca dell’eccezionale che non equivale a bellezza, e spiega d’altra parte lo sgretolarsi dei valori che erano la forza del buon gusto. Per lui le linee-guida dell’architettura si sostanziavano di supporti estremamente semplici: le strutture devono connaturarsi al paesaggio senza forzature e senza stravaganze. In questo la mente gli correva certamente a Roma, alle costruzioni del passato, essenziali nella loro classicità. L’aspirazione che contrassegnava le sue composizioni era tutta nella ricerca del naturale e del lineare: all’osservatore era lasciato il compito di scoprire gli aspetti della bellezza della costruzione.
Angustiato e preoccupato dell’ingerenza della politica nell’edilizia e nell’urbanistica, ripeteva che l’architettura è Scienza e Arte e andava ritenuta come un esercizio libero della professione, senza eccessive pastoie burocratiche e regolamenti troppo rigidi.
“Quando uno muore restano le idee” (Saviane) e quelle di Giuseppe Poggi appartengono agli amici, a coloro che lo hanno conosciuto, perché erano improntate a correttezza, a rettitudine, a onestà. Per esse non si piegò, né si avvilì di restare isolato nella lotta, ed ha lasciato a noi testimonianza di come si puó e si deve vivere.
Il monumento alle vittime civili
Il primo provvedimento richiesto dall’Amministrazione Comunale di Cassino al Genio Civile fu quello di progettare un monumento provvisorio da costruire per le vittime civili della città. Ed egli ideò la solita colonna troncata su un grande basamento piuttosto comune e semplice da realizzarsi.
Forse pensando alla città sacra del piano di ricostruzione non andato in porto, recuperò i frantumi delle pietre lavorate rimasti sepolti con i bombardamenti e con essi decorò una parete esterna della Casa Canonica della Chiesa di S. Antonio, che oggi resta quasi un unico monumento concreto e reale, la sola vera testimonianza dell’apocalisse di Cassino dell’inverno 1943-44.
2 In Nuovi sistemi di tutela «attiva» del volto delle citta, Lecce, 1959, pubblicato nella rivista «Ingegneri Architetti Costruttori», pag.12, scriveva: “Difficilmente si puó trovare un’altra zona in cui la natura sia stata come a Cassino tanto prodiga delle sue bellezze”.
3 Costantino Jadecola, Mal’aria, il secondo dopoguerra in provincia di Frosinone, Sora, 1998, “… mentre si attende la revisione del piano di ricostruzione, affidata al solo ing. Nicolosi, v’è da dire, a titolo di cronaca, che due professionisti, l’ing. Marcello De Sanctis e l’architetto Giuseppe Poggi, redigono, per amore verso una città martoriata e per passione di tecnici e di artisti, un loro piano di ricostruzione… ”.
4 Fra le prime citiamo Il quadernetto di Cacasenno, Montecassino, 1946; La logica bifronte, S. Elia Fiumerapido, 1948; Conoscenza, tutela e bonifica dell’architetura d’insieme, Bologna, 1958. Fra i secondi elenchiamo gli articoli risultanti da interventi in congressi dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, pubblicati nella rivista «Ingegneri Architetti Costruttori»: Nuovi sistemi di tutela «attiva» del volto delle citta, Lecce, 1959; Proposte per il «Codice dell’urbanistica», Bologna, 1960; Il problema di fondo dell’urbanistica italiana, 1961; Nuova mentalità in urbanistica, 1963; Equivoci da chiarire al X Congresso I. N. U. di Firenze, 1964; Il «Delenda Ccartago» in urbanistica, 1966; e pubblicati nella rivista Inareos: Urbanistica, tutta da rifare, 1973; Concorso ANIACAP-IN/ARCH per nuove tipologie residenziali, 1973; Siamo già agli «auto da fé», 1975.
1 Minchella d. Benedetto, Parrocchia di S. Antonio da Padova, Cassino, 2002: “I lavori di ricostruzione furono affidati all’Impresa Gravaldi, che già lavorava a Montecassino, sotto la direzione dell’architetto Giuseppe Poggi, che rispettò lo stile architettonico anteguerra”.
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