Studi Cassinati, anno 2004, n. 4
di Fernando Riccardi
Le chiese del Lazio meridionale conservano nel loro grembo tanti tesori di inestimabile valore. Tesori così preziosi da catturare la morbosa attenzione dei cosiddetti “ladri d’arte”, predatori senza scrupoli, alla perenne ricerca di cimeli da immettere con profitto sul mercato clandestino.
Ma i nostri templi custodiscono anche altri tesori, forse meno pregiati, ma sicuramente importanti, spesso fondamentali nella ricostruzione delle vicende storiche di una comunità o di un paese: si tratta dei registri parrocchiali, di quei libri in carta pecora che per secoli i sacerdoti hanno redatto e conservato gelosamente nell’archivio delle loro chiese.
Registri che, almeno fino al primo decennio dell’Ottocento, quando l’avvento dei francesi nel Regno di Napoli determinò l’entrata in vigore dell’impianto municipale1, hanno costituito il solo sistema anagrafico degno di tal nome; un sistema impeccabile e preciso, proprio grazie alla meticolosità con la quale i parroci erano soliti effettuare le registrazioni.
Né poi i sacerdoti si limitavano al solo compito, per così dire, “istituzionale”: spesso e volentieri inserivano nelle annotazioni notizie di eventi, informazioni, curiosità, dettagli che rendevano l’atto ben più ricco e interessante, dando così la possibilità a chi, dopo tanto tempo si trova a leggere quelle pagine consunte e ingiallite, di ricostruire con cognizione di causa, pezzi di storia che altrimenti sarebbero finiti per sempre nel dimenticatoio.
L’istituzione dei registri parrocchiali (battesimo, cresima, matrimonio, morte, assieme allo “status animarum”, il vero riassunto anagrafico della parrocchia), va fatta risalire al Concilio di Trento, quell’importante assise del mondo cattolico che, convocata dal Pontefice Paolo III nel 1544, fra interruzioni, cambiamenti di sede e traversie varie, si chiuse solamente il 4 dicembre del 1563, protraendosi per quasi vent’anni.
Per quello che riguarda la chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Grazie di Caprile, frazione di Roccasecca, sulla quale fermeremo la nostra attenzione, l’istituzione dei registri parrocchiali risale al 1581: in tale anno il vescovo di Aquino, mons. Flaminio Filonardi2, tenne un importante sinodo diocesano3 in cui, come riferisce Pasquale Cayro nella sua opera più famosa, “si leggono le savie determinazioni pel vantaggio delle anime e per l’ottimo regolamento del suo clero”4.
A soli diciotto anni dalla conclusione del Concilio di Trento quindi, la chiesa di Caprile si era dotata dei registri parrocchiali.
Purtroppo i libri più antichi, quelli dell’ultimo scorcio del ‘500 e del secolo successivo, sono andati irrimediabilmente perduti.
Ricordo ancora, malgrado siano trascorsi trent’anni, lo sgomento di mons. Vincenzo Tavernese, attuale abateparroco della chiesa di Santa Margherita di Roccasecca centro, quando, dopo aver aperto la porticella dello scaffale a muro dove i registri erano conservati da secoli, li trovò ammuffiti, ridotti a brandelli, quasi polverizzati e, in gran parte, illeggibili.
Sono rimasti integri e in buone condizioni invece, grazie anche a quell’intervento così provvidenziale, i più “recenti” che partono tutti dalla metà del XVIII secolo.
Il più antico registro di battesimo risale al 1782; quello di cresima al 1745; il registro dei matrimoni al 1744 e quello dei defunti al 1742, in assoluto il più vetusto fra i “sopravvissuti” alla sciagura.
Non potevano mancare, naturalmente, gli “status animarum” (il più antico è del 1784), contenenti l’elencazione delle “anime” della parrocchia, con i relativi flussi di incremento e decremento fatti registrare nel corso degli anni.
La nostra indagine si concentrerà sui registri parrocchiali dei defunti, i cosiddetti “libri mortuorum”, che presentano una serie di annotazioni di notevole interesse.
L’elencazione dei vari atti (per ovvi motivi abbiamo scelto i più significativi) seguirà un preciso ordine cronologico, dal più antico al più recente; ognuno di essi sarà corredato da una sintetica nota esplicativa.
Anno Domini 1788, die 5 decembris
Angelus Antonius filius q. Franci Quagliozzi praedicti oppidi, et parociae, aetatis suae annorum viginti sex circiter, in loco ubi dicitur la noce gionta, in communione S. M. E. animam Deo reddidit, cuius corpus die seguenti in Ecclesia praedictae parociae est sepultum, sacramentis non susceptis mus morbus non dedit ei tempus in patria redeundi. In fidem. Vicini Archip.
È questo un atto di morte molto interessante: da esso si apprende che il ventiseienne Angelo Antonio Quagliozzi è deceduto a causa di un non meglio identificato “mus morbus”, ossia, letteralmente, “morbo del topo”. A primo acchito si potrebbe pensare alla peste ma, il periodo in cui la morte si verifica (siamo alla fine del ‘700), sembrerebbe escludere una tale eventualità. Potrebbe trattarsi di una infezione causata dal morso di un ratto che avrebbe procurato, in mancanza di cure adeguate, l’esito fatale.
Anno Domini 1799, die 13 mensis aprilis
Felix filius Dominici De Ruzza et Angelae Antoniae Baccari conjugum huius Parochiae S. Mariae Gratiarum Caprilis Roccaesiccae, aetatis suae annorum triginta trium mensium septem et dierum decem, in communione S. Matris Ecclesiae in territorio Arcani in proelio cum Gallis dum aufugeret necatus est a quodam d. Arcani, cujus corpus die decima quarta sopradicti mensis sepultum est in Ecclesia S. Mariae Victoriae Insulettae pagi Arcani. Quae omnia mihi vetulerunt veridici homines. Philippus Abbate Aecomomus Curatus
Anno Domini 1799, die 12 mensis maji
Annuntius Antonius filius Benedicti De Orefice et Franciscae Macari conjugum huius Parochiae S. Mariae Gratiarum Caprilis Roccaesiccae aetatis suae annorum vigintiquattruor, mensium fere sex, in communione S. Matris Ecclesiae in agro interfectum est a Gallis, cuius corpus supradicta die sepultum est in dicta Ecclesiae. In fidem Philuppus Abbate Aeconomus Curatus.
Le trascrizioni fanno riferimento a due parrocchiani di Caprile morti nel 1799 per mano dei “Galli”, ossia dei francesi, venuti nel napoletano per scacciare i Borbone e instaurare la Repubblica. Si trattò di una parentesi di breve durata, dal gennaio al giugno del 1799, ma densa di conseguenze, in gran parte nefaste, per la derelitta popolazione meridionale. Anche il territorio del sud del Lazio dovette sperimentare quanto immane fosse il “furore gallico”. Paesi distrutti, chiese depredate, uccisioni, violenze, devastazioni da parte dei soldati d’oltralpe che, ritirandosi disordinatamente e a più riprese verso il nord d’Italia, incalzati dalle masse sanfediste del cardinale Ruffo, lasciavano dappertutto morte e desolazione. L’episodio più eclatante nella sua drammaticità, si consumò il 12 maggio di quello stesso anno, nella chiesa di San Lorenzo, a Isola Liri, dove le truppe del generale Watrin trucidarono ben 533 persone che avevano trovato rifugio nel luogo sacro. Né la restaurazione borbonica fu da meno: tornato sul trono, Ferdinando IV e i suoi zelanti ministri, si lasciarono andare ad una repressione spietata che decapitò il fior fiore dell’intellighenzia napoletana.
Dei due “caprilotti” rimasti uccisi in quella primavera del 1799 (e non furono i soli: a Roccasecca infatti i francesi uccisero altre otto persone, le cui morti sono fedelmente riportate nei “libri morturum”), l’uno, Domenico Di Ruzza cadde in combattimento nei pressi di Arce; l’altro, Nunzio Antonio De Orefice, fu ucciso nella campagna di Caprile lo stesso giorno del massacro di Isola Liri. Triste epilogo per due ragazzi così giovani: avevano infatti, soltanto, 33 e 24 anni.
Anno Domini 1809, die 11 octobris
Berardino di Pasquale Mancone di circa anni trenta è stato rinvenuto ucciso con un colpo di fucile nel bosco denominato Sterparelle; e perché era stato con la comitiva dei briganti, per ordine del Governo gli fu recisa la testa ed esposta nella pubblica strada che conduce ai Pozzi di Caprile ed il corpo fu seppellito nella chiesa della Valle ed in fede Arciprete Abbatecola.
È questo un raro esempio di atto di morte redatto in italiano: generalmente, infatti, il sacerdote usava il latino. La testimonianza, resa in stile lapidario ma incisivo, introduce il tema del brigantaggio, fenomeno assai diffuso nel comprensorio del Lazio meridionale fin dai tempi antichi. Non si può dimenticare che Caprile ha dato i natali a Domenico Colessa, detto Papone, che tanta parte ebbe negli eventi che seguirono la rivolta di Masaniello e che terminò la sua “carriera” di brigante o di “fuoruscito”, come si diceva a quei tempi, arrotato e squartato nella piazza del Mercato di Napoli il 26 agosto del 16485. Per non parlare poi del brigantaggio di tipo postunitario che si sviluppò in tutta l’Italia meridionale dopo il 1860 e che raggiunse proporzioni allarmanti anche nell’alta Terra di Lavoro, provincia separata dallo Stato Pontificio da quella secolare linea di demarcazione costituita dal corso del fiume Liri. L’episodio che riporta l’arciprete Abbatecola nel suo “liber mortuorum”, fa riferimento, invece, al brigantaggio che esplose in tutta la sua virulenza durante il decennio francese (1806-1815) e che indusse prima Giuseppe Bonaparte e poi Gioacchino Murat, a prendere drastici provvedimenti che, ad onor del vero, non sempre ottennero gli effetti sperati.
Anno Domini 1855, die 7 decembris
Catharina Testa q. Francisci Antoni et uxor q. Paschalis Pelagalli, aetatis suae ann. 48 circiter, repente morbo colerae mortua est in C. S. M. E.- Eius corpus postero die sepultum est in diruta Ecclesia S. Angeli in Caprilis. Ita est. B. Archip. Notarangeli
Anno Domini 1855, die 7 decembris
Livius Tanzilli, alias Borrino, vir Martae Di Rollo, aetatis suae annorum 40 circiter, mortuus est etiam morbo colerae; eius corpus sepultum jacet in diruta Ecclesiae S. Angeli. B. Archip. Notarangeli
Questi due atti di morte documentano che nel dicembre del 1855, a Caprile, vi furono alcuni casi di colera. Tre giorni dopo (10 dicembre) moriva anche Giacomo Tanzilli, figlio di Livio, di soli 9 anni: anche il suo corpo venne sepolto nel piccolo cimitero della chiesa “extra moenia” di Sant’Angelo in Asprano6, che veniva utilizzata come luogo di inumazione nei casi in cui il decesso era causato da malattie contagiose. Il focolaio epidemico non si estinse rapidamente: il 16 dicembre infatti moriva Mariangela Scappaticci di anni 80 e, infine, il 31, Tommaso Moretti di anni 45. Nella stesura di questi due ultimi atti, l’arciprete Notarangeli omette di precisare la causa del decesso; entrambi però vennero sepolti presso la chiesa di Sant’Angelo e ciò lascerebbe pensare ad altri casi di colera.
Anno Domini 1859, die …
Benedictus q. Petri Ventura et vir Antoniae Capezzone, aetatis suae ann. 28 circiter interfectus fuit in loco ubi dicitur Strapizzo; eius corpus postero die sepultum fuit in hac parochiali Ecclesia Caprilis. In fidem etc. Bernardus Archip. Curatus Notarangeli
Anno Domini 1864, die 21 januarii
Franciscus Paschalis Testa, annorum 26 circiter, interfectus fuit in loco ubi dicitur Lo Commone; cuius corpus postero die sepultum fuit in hac Parochiali Ecclesia. In fidem etc. Archip. Notarangeli
Anno Domini 1865, die 16 mensis februarii
Joannes Antonius q. Dominici Mancone interfectus fuit in loco ubi dicitur da piedi Caprile; cuius corpus fuit postero die in hac Parochiali Ecclesia sepultum. Qui vixit annos 45. Et in fidem etc. Archip. Notarangeli
Anno Domini 1869, 13 martias
Maria Josepha Mancini, uxor Benedicti Di Rollo, aetatis suae annorum 22 circiter, interfecta fuit, et eius corpus fuit postero die in hac Parochiali Ecclesia sepultum. Ita est etc. Archip. Notarangeli Curatus
Anno Domini 1874, die 29 aprilis
Josephus Antonii Tanzilli aetatis suae annorum decem et octo, interfectus est; cuius corpus fuit posero die in pubblico coemeterio sepultum. In fidem etc. Archip. B.us Notarangeli
Anno Domini 1874, die 20 julia
Angela Fraioli, uxor Salvatori Mancone, aetatis suae annorum 46 circiter, interfecta fuit; cuius corpus fuit postero die in pubblico coemeterio sepultum. In fidem etc. B.us Archip. Notarangeli Curatus
Anno Domini 1882, die 11 aprilis
Angelus Antonius D’Orio Alojsii filius, hac die in Castri Roccaesiccae, in rixa miserrima vulneratus, paulo post domi sororis suae Columbae Carilli D’Orio, expiravit. Corpus eius in coemeterio sepultum est. Ita est. Joseph Archip. Notarangeli
Anno Domini 1882, die 16 junii
Franciscus quendam Caroli Coarelli vir Annae Mariae Meta heri infeliciter ex sclopi ictu per insidias vulneratus, hac die in C. S. M. E. omnibus sacramentis munitus expiravit cum esset annorum 55 circiter. Eius corpus in coemeterio resurrectionem exspectat. Ita est. Joseph Archip. Di Rollo
Anno Domini 1883, die 20 maii
Hyacintus q. Ioannes Baptistae Paolozzi et viduus q. Alojsia q. Francisci Tanzilli, aetatis suae ann. 57, hac die miserrime interfectus est. Cuius corpus in coemeterio quiescit. Joseph Archip. Di Rollo
Anno Domini 1884, die 22 octobris
Nicolaus Deodati D’Adamo, hac die loco vulgo dicto Pilozza, ex plumbi globulo uccisus repertus est, cum esset annorum 20. Eius corpus in coemeterio quiescit. Ita est. Joseph Archip. Di Rollo
Anno Domini 1884, die 14 mensis decembris
Cajethanus q. Marci Antonii Marinelli, vir Domenicae Fraioli, sola extrema unctione roboratus, hac die ex vulnere in rixa habit, in rurali domo Josephi Castiglia mortuus est, cum esset annorum 49. Eius corpus in coemeterio quiescit. Ita est. Joseph Archip. Di Rollo.
Queste undici trascrizioni attestano altrettanti casi di morte violenta, a dimostrazione di quanto spietata fosse la società rurale e contadina del XIX secolo; non vi era pietà neanche per le donne. Colpisce, nella maggior parte dei casi, la giovane età delle vittime. Dalle annotazioni dei sacerdoti, sempre precise, si possono estrapolare interessanti riferimenti di carattere topografico: il parroco infatti, spesso, specificava anche il luogo dove era avvenuto l’evento delittuoso, usando toponimi che ancora oggi, in molti casi, sono in auge. Un’ultima constatazione: a partire dall’anno 1873, essendo entrato in funzione il “pubblico cimitero di Roccasecca”, i morti non vengono più sepolti sotto il sagrato della chiesa di Caprile. La stessa cosa accade, ovviamente, anche nelle altre chiese del cfomune.
Anno Domini 1872, die 19 julii
Elisabeth Ciafrone Marci, ann. 19, mortua est et eius corpus sepultum est in Ecclesia S. Angeli. In fidem etc. Archip. Notarangeli
Anno Domini 1882, die 22 augusti
Josepha Antonii Di Rollo et uxor Angeli Mariae Liberi Capezzone, omnibus munita sacramentis, per me usque ad extremos auxiliata, animam Deo in C. S. M. E. reddidit cum esset annorum 25. Eius corpus in Ecclesia non fuit receptum quia ex pustulis mortua est, id a gubernio velitum est, sed directe in coemeterium ductum, ibi sepultum fuit et resurrectionem expectat. Ita est. Joseph Archip. Di Rollo
Le due trascrizioni attestano che i decessi delle giovani donne, con tutta probabilità, sono stati provocati da gravi malattie infettive. Nel primo caso, infatti, la giovinetta è stata sepolta nella chiesa di Sant’Angelo in Asprano e non nella parrocchiale, come accadeva di solito. Nel secondo la donna, come si evince dalle parole del parroco, non è stata accolta in chiesa per la funzione ma condotta direttamente al cimitero pubblico, perché morta “ex pustulis”. Difficile dire con esattezza a quale patologia si fa riferimento nell’atto di morte: potrebbe anche trattarsi di un caso di vaiolo.
Anno Domini 1882, die 15 septembris
Joannes Baptista q. Angeli Antonii Torriero a fulmine percussus hac die illico expiravit annos trigintatribus. Eius corpus in coemeterio quiescit. Ita est. Joseph Archip. Di Rollo
Questa volta siamo di fronte ad un caso di morte provocato dalla forza incontrollata degli agenti atmosferici: il povero Giovan Battista Torriero è deceduto dopo essere stato colpito da un fulmine. Straordinariamente efficace, pur nella sua tragicità, l’espressione “a fulmine percussus”, dell’arciprete Di Rollo per sintetizzare il nefasto evento.
Anno Domini 1884, die 16 augusti
Thomas Antonii Tanzilli, puerelus annorum 5, hac die in incendio imprudenter diruptum, mortuus repertus est. Eius corpus in coemeterio quiscit. Ita est. Joseph Archip. Di Rollo
Anno Domini 1884, die 18 augusti
Joseph Antonii Riccardi, adolescentulus annorum undecim, ab exustione habitas in incendio die 16 huius mensis accenso, hac die expiravit. Eius corpus in coemeterio quiescit. Ita est. Joseph Archip. Di Rollo
Anno Domini 1884, die 21 augusti
Alojsius Antonii Tanzilli, juvenis annorum 24, ab exustione habitas in incendio die 16 huius mensis accenso, omnibus sacramentis munitus et usque ad extremos adiuntus, hac die in C. S. M. E. expiravit. Eius corpus in coemeterio resurrectionem expectat. Ita est et in fidem. Joseph Archip. Di Rollo.
Il 16 agosto del 1884 un violento incendio tormentò l’abitato di Caprile. Il fenomeno fu così violento che provocò tre vittime: il piccolo Tommasantonio Tanzilli, appena 5 anni, morì il giorno stesso. Quarantotto ore dopo fu la volta di Giuseppantonio Riccardi (11 anni) e, infine, il 21 agosto toccò a Luigi Tanzilli (24 anni): questi ultimi due perirono a causa delle gravissime ustioni riportate, forse, nel tentativo di domare le fiamme.
Anno Domini 1885, die 27 octobris
Caecilia q. Thomae Di Folco, uxor Donati Matassa, hac die in flumine Melfa, mortua extracta est. Eius corpus in coemeterio quiescit. Ita est. Joseph Archip. Di Rollo
Ecco documentata un’altra morte accidentale: la povera Cecilia è stata trovata morta, probabilmente annegata, nel fiume Melfa. Oggi un evento del genere non potrebbe più accadere: da decenni il Melfa si è trasformato in un malinconico serpente di pietra dove l’acqua torna a comparire soltanto con le abbondanti precipitazioni. A quel tempo invece, siamo sul finire del XIX secolo, la situazione doveva essere, evidentemente, assai diversa.
Anno Domini 1886, die 8 augusti
Angelus Antonius D’Orio, viduus Iustinae Tanzilli, annum agens 76, hac die in loco dicto Ruciano occisus fortuito aggressus a vulgo dicto locomotiva a vapore. Eius corpus in coemeterio Castrocoeli quiescit. Ita est. J. Archip. Di Rollo
Quest’ultima trascrizione è davvero eccezionale, pur nel luttuoso evento. Il povero Angelo Antonio d’Orio è morto investito dal treno; le parole usate dall’arciprete Di Rollo, però, fanno trasparire quasi la presenza di un mostro “a vulgo dicto locomotiva a vapore” che avrebbe aggredito (“aggressus”) il pover’uomo provocandone la dipartita. A quel tempo, quello strano convoglio nero, sbuffante di vapore, con il suo incedere rumoroso e inarrestabile, più di qualche angoscia avrà suscitato nei nostri ingenui contadini.
Con l’avvento del XX secolo i sacerdoti continuarono la loro sistematica attività di registrazione. L’anagrafe municipale però era diventata un sistema generalizzato in tutta la nazione e così i registri parrocchiali, mano a mano, vennero a perdere quella straordinaria importanza che per tanti secoli avevano avuto. I parroci, comunque, diventano sempre più avari di notizie: ormai la trascrizione dell’atto è diventata una fredda formalità, le formule sempre più rituali. Si iniziano ad impiegare i registri “prestampati” dove riesce difficile derogare dal canovaccio predeterminato. Le annotazioni dei sacerdoti diventano anonime, fredde e, soprattutto, non consentono più di ricavare informazioni utili a ricostruire eventi e accadimenti. Per questo il nostro viaggio si conclude qui, sul crepuscolo dell’800; anche se non possiamo non pensare, con enorme rimpianto, a quante altre notizie avremmo potuto estrapolare da quegli antichi registri diventati briciole maleodoranti e ammuffite.
1 Nel territorio del Regno di Napoli, al quale anche Caprile all’epoca apparteneva, le nuove disposizioni relative allo “stabilimento degli uffiziali incaricati del registro degli atti civili, secondo il disposto nel tit. II del lib. I del Codice Napoleone” furono introdotte con il decreto n. 198 del 29 ottobre 1808, promulgato dal re delle Due Sicilie Gioacchino Napoleone Murat (“Bullettino delle leggi del Regno di Napoli”, anno 1808, Napoli, Stamperia Simoniana).
2 Flaminio Filonardi, nominato vescovo di Aquino il 13 novembre del 1579, prese possesso della diocesi il 7 marzo del 1580. Morì a 67 anni, il 12 settembre del 1608 e il suo corpo fu sepolto a Bauco, l’odierna Boville Ernica, suo paese natale.
3 “Synodus Aquini, et Pontis Curvi ab illustrissimo, reverendissimo Domino D. Flaminio Filonardo Episcopo Aquini in olim Collegiata, nunc vero Concathedrali ecclesia S. Bartholoamei civitati Pontis Curvi. Anno Domini MDLXXXI. Approbata, et confirmata ab illustrissimo, reverendissimo Domino D. Josepho De Carolis Patrizio Romano Archiepiscopo Thianae, necnon Episcopo Aquini, Pontis Curvi, ac Praeposito Atianae nullius provinciae theatinae, socio pontificio assistente”. Romae, MDCCXXXVIII, Typis Petri Ferri prope magnam Curiam Innocentianam superiorum permissu (Montecassino, Biblioteca Abbazia, 16°, B, 12; Napoli, Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III”, 162, A, 19).
4 Pasquale Cayro: “Storia sacra, e profana d’Aquino, e sua diocesi”, libro II, Napoli 1811, presso Vincenzo Orsino, p. 260.
5 Fernando Riccardi: “Il brigante Papone”, Tipografia Arte Stampa, Roccasecca 1995.
6 La prima notizia della chiesetta rupestre di Sant’Angelo in Asprano, che il popolo chiama per antica tradizione di San Michele, collocata proprio al di sotto della rupe sormontata dai ruderi del castello dei conti di Aquino, risale al 988. Infatti nella “Chronica Monasterii Casinensis” di Lone Ostiense così si legge: “… id ipsum fecit et Grimoaldus judex aquinensis de ecclesia Sancti Angeli in monte, qui vocatur Aspranus, cum terris non paucis et ceteris pertinentiis suis…”: è questo l’atto di donazione con il quale il giudice aquinate Grimoaldo, forse in punto di morte, cedeva la chiesetta di Sant’Angelo all’abbazia di Montecassino, assieme alle numerose terre che circondavano l’edificio. Però, basta ammirare ciò che resta di una Crocifissione, collocata in una nicchia della chiesetta e trasferita, già da tempo, nella parrocchiale di Caprile, risalente all’VIII/IX secolo, per far scendere ulteriormente, di almeno duecento anni, l’origine del santuario. Sempre all’interno dell’edificio è situato un affresco di grandi proporzioni, raffigurante l’Ascensione, fulgido esempio di pittura benedettina, catalogabile all’XI/XII secolo. (Fernando Riccardi: “Caprile e la sua storia”, Tipografia Pontone, Cassino 1992).
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