Studi Cassinati, anno 2004, n. 1/2
di Floriana Giannetti
Che il passato del nostro territorio sia ricco di risorse culturali è noto, come è nota altresì la passione con cui molti studiosi di storia locale si dedichino da decenni al recupero di tali preziose risorse. A me è capitato quasi per caso di incontrare e di conoscere, o meglio di avviare un percorso conoscitivo che è ancora in gran parte da realizzare, con un personaggio fino a qualche anno fa del tutto sconosciuto, se non nel nome.
E siccome, a quanto pare, “l’inevitabile non accade mai, l’inatteso sempre”, questo insospettabile incontro è avvenuto e si è rivelato un’autentica scoperta.
L’autore, perché di un vero “incontro con l’autore “ si è trattato, è Ernesto Capocci. Picinisco, un grazioso paesino del basso Lazio al confine con il Parco Nazionale d’Abruzzo, gli ha dato i natali nel 1798 e da alcuni decenni gli ha intestato la piazza principale. Ho scoperto nel corso delle mie ricerche che anche Napoli e Cassino gli hanno dedicato una strada e che è sepolto a Poggioreale, il cimitero monumentale di Napoli, dove è ricordato da una lapide che ne celebra i meriti culturali e le qualità umane. Di lui sapevo soltanto che era un astronomo e sono colpevolmente andata avanti così, nella più assoluta ignoranza del personaggio, per un paio di decenni.
Circa tre anni fa, in occasione di un incontro culturale dedicato al suo lavoro di astronomo famoso nel suo tempo (era Direttore dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, molto noto negli ambienti scientifici europei, al punto da ricevere alti riconoscimenti dalla Specula di Berlino, da Parigi e da Londra) ho sentito accennare ai suoi interessi letterari e ad un suo romanzo “Il Primo Viceré di Napoli”, ancora oggi pressoché sconosciuto ai suoi conterranei. Per fortuna qualche copia della seconda ed ultima edizione stampata a Napoli nel 1838 (la prima era stata stampata a Parigi nel 1837) giaceva ancora intatta in qualche cassetto e mi è stato relativamente facile procurarmela.
Il romanzo è stato una vera scoperta e da esso è incominciato il mio innamoramento per l’autore. Ambientato all’inizio del Cinquecento, nel pieno della contesa angioino-aragonese per la conquista del Regno di Napoli, è quanto mai interessante, oltre che sul piano storico, su quello narrativo, che in molti punti diventa un vero “narrare poetico”.
“I momenti in cui la narrazione si carica di poesia sono presenti fin dall’inizio, soprattutto quando l’autore descrive paesaggi a lui noti. Essi diventano via via più frequenti nell’ultima parte del romanzo, quella che vede protagonista la terra natia a lui tanto cara. Allora il grande amore che Capocci nutre per questi luoghi si trasferisce nella sua penna e la sua pagina diventa la tavolozza ideale per dipingere le bellezze del nostro territorio e delle nostra montagne” (dalla Presentazione alla Nuova Edizione, Sambucci Editore Cassino 2004).
Ma la vera scoperta non è stato solo il romanzo, con il fascino dell’intreccio storia-invenzione ed abilità narrativa. È stata anche la vita dell’autore, la sua intensa partecipazione all’atmosfera culturale e politica del suo tempo. Convinto antiborbonico e sostenitore delle idee liberali, “allo scoppio della prima guerra d’indipendenza tutta la sua famiglia partecipò attivamente alle vicende rivoluzionarie. Quattro dei figli partirono volontari …”. Il suo impegno politico gli procura l’allontanamento dalla Direzione dell’Osservatorio, anni d’esilio e una vita quasi di stenti, finché nel 1861, su proposta di Garibaldi, non viene nominato Senatore del Regno da Vittorio Emanuele II.
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