Studi Cassinati, anno 2004, n. 1/2
di Carlo Baccari
Un inno di struggente nostalgia alla Cassino che non c’è più, che la guerra ha crudelmente cancellato con gran parte dei duoi abitanti: così conclude il suo diario Carlo Baccari, notaio di Cassino, costretto, dagli eventi bellici del 1943/44 a rifugiarsi sulle aspre montagne di Esperia con la sua Gemma, fragile e paziente, privi di ogni mezzo di sostentamento, alle prese con una umanità crudele ed egoista. Perse tutto Carlo Baccari, beni e affetti; dopo la guerra riuscì a rifarsi una vita decorosa, ma mai, mai recuperò quel mondo che era stato il mondo suo e dei suoi “sodali”: solo la memoria restò a scavare nel suo animo segnandone l’umore e il carattere. Morì appena un anno dopo aver pubblicato il suo “Diario sulla montagna”, all’età di cento anni.
Per un suo profilo biografico si veda “Studi Cassinati”, a. III (2003), n. 3 (luglio-settembre), pag. 181 e sgg. A cura di Linda Secondino.
DOVE FU CASSINO*
25 ottobre 1975
Eravamo diciannovemila prima della guerra; dopo che Cassino fu distrutta, al ritorno, ne mancavan ottomila, i più del centro cittadino. Migliaia giacevano sotto le macerie; migliaia, dispersi pel mondo, non tornarono e non sono più tornati.
Di Cassino più nulla! Una distesa di mortifera acqua stagnante, verdastra e putrida, copriva le macerie affioranti qua e là. E su tutto un grande silenzio di morte. E la pietà dello straniero: « Yes, This was Cassino. Quiet please ». Sì, questa fu Cassino. Silenzio, per piacere.
Non esisteva più! Cancellata dalla faccia della terra. E dov’era più il mio piccolo nido? Più nulla, più nulla! Che potevo fare?
Chinai la testa e piansi.
***
Ora Cassino ha 36.446 abitanti: 28446 residenti, 8.000 domiciliati. Tra pochi anni supererà i quarantamila. Dove fu Cassino, ora palazzi, strade, viali, piazze. Ed è come un grande alveare dove la gente, migliaia come api nell’alveare, si affolla, lavora, traffica, costruisce. Negozi di lusso, alberghi, trattorie, bar, cliniche, officine, scuole, fabbriche. Le vie rigurgitano di macchine in corsa o stanti. Vanno e vengono, da vicino e da lontanissimo, sostano nelle piazze, macchine, corriere, autobus. Oltre i residenti, giornalmente la ferrovia, le automobili, gli autobus, le biciclette vi riversano venditori, compratori, oltre seimila studenti, oltre migliaia di operai. Il mercato del sabato è il maggiore, senza paragone, di tutta la provincia: le piazze e le vie son coperte di merci, son un unico mercato, la gente vi cammina gomito a gomito. Vi affluiscono mercanti dal Casertano, dal Molise, dagli Abruzzi, da S. Maria, da Capua, Isernia, Venafro, Fondi e sin da Napoli e Frosinone.
Che più dire? Le fabbriche: Fiat, Riv, Saipem, Relac, Thermosac ecc… Giorno per giorno, come d’incanto, nuove case, nuove vie: un dedalo in cui io non so più camminare. Seguitano a crescere per la campagna, ai fianchi, di fronte e alle pendici del monte. Sì, è una nuova città in continuo cammino.
Poi l’avvenire. La sua grande Università, la Città degli Studi Superiori: i nomi prestigiosi, noti in tutta il mondo, Cassino e Montecassino abbinati, le daranno un lustro di notorietà, saranno anch’essi un richiamo di docenti, studenti, studiosi anche stranieri. L’Università di Cassino sarà un centro di superiore cultura e civiltà, « … un incontro e scontro di menti, di pensieri, di esperienze, d’aspirazioni, di speranze da cui nasce la dottrina e la conoscenza ».
Tutto ciò non mi rallegra; al contrario non ci voglio pensare, ché mi punge nel profondo e mi rattrista. Questa città nuova non è mia, mi è quasi estranea; io sono straniero a questa gente nuova, che ignora persino la mia esistenza. Io darei mille Tribunali, darei mille Università, darei palazzi, vie, piazze, negozi, fabbriche, gente, in un mucchio solo, pur se potenza umana o divina potesse ridarmi la mia vecchia Cassino.
Ma questa è la mia terra natia. Su questo suolo era il nido ove io nacqui; sotto questo cielo i miei occhi s’aprirono per la prima volta alla luce di questa esistenza. Qui, dove era, distruttomi dalla guerra, ho ricostruito il mio piccolo nido. Laggiù, sotto quei cipressi, posano i resti dei miei genitori, di mio fratello, delle mie dolci sorelle, dei miei diletti sodali: laggiù, sotto quei cipressi, accanto a loro, poserò anch’io.
E questa è la divina immensa cerchia dell’orizzonte: le materne montagne, Monte Cairo, Montecassino, Monte Maggio, e, in giro in giro, la grande catena delle Mainarde, l’Aquilone, Monte Trocchio di fronte, e più lontani gli Aurunci, e più vicini gli Ausoni …
E questa è la greggia dei fiumi: il Rapido, il Vilneo, il Gari, che qui nasce, sgorga da cento e cento sorgenti da sotto questo suolo e da sotto le rocce del piccolo promontorio, in un giro, cento e cento le une vicine alle altre, dove era la Villa di Marco Terenzio Varrone, che vi scrisse il De re rustica, e dove io posi nella poesia « il mio Palagio de le sacre fonti », che diedero il titolo alla Rivista “Le Fonti”.
E questo è il Teatro romano, la Villa Petrarcone, il Mausoleo di Ummidia Quadratilla detto il Crocifisso, – oh, memorie, memorie! –, più giù l’antica romana Via Latina, e il Colosseo.
E queste son le grige nude rocce della superiore Rocca Janula, paese di sogno, per una volontà tirannica vilmente abbandonata, giacente tuttora – dopo tanti anni! – sotto le macerie.
Nel suo interno il mio nonno materno, Biagio Di Micco, col suo povero peculio e con l’obolo raccolto soldo a soldo tra la gente, a ridosso della cortina interna, a lato d’una piccola dolce sorgenta, eresse una chiesetta romita alla sua Madonna, poi detta dal popolo la Madonna della Rocca.
E questo è, come nel verso che Dante scolpì nel bronzo pei secoli, « quel monte a cui Cassino è nella costa », sulla cui vetta è il Faro che già nei secoli bui mandava il suo fascio di luce per tutto il mondo. Montecassino! Succisa virescit. Montecassino! Prego Iddio che sia in me sino alla fine della mia giornata la grande suprema Parola del Santo: « Ecce, ora, labora et noli contristari ». Prega, lavora, non ti rattristare.
Amen
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