La drammatica testimonianza di David Pogoloff

 

Studi Cassinati, anno 2004, n. 1/2

Maurizio Zambardi

Il giorno di Natale dell’anno scorso, verso l’una di pomeriggio, proprio mentre io e la mia famiglia ci accingevamo a pranzare, mi chiamò mio padre dal suo bar perché vi erano delle persone che cercavano notizie su Monte Sambúcaro e sul vecchio centro di San Pietro distrutto.
Supponendo si trattasse di turisti qualsiasi, data l’ora e la festività natalizia, pensai di cavarmela, contrariamente al mio solito, fornendo loro le guide dell’Associazione “Ad Flexum” e alcune mie pubblicazioni. Ma alcuni particolari ricavati dal mio incerto inglese e dal loro ancor piú incerto italiano, mi fecero capire che si trattava di una giovane coppia di fidanzati americani, venuti appositamente da New York alla ricerca del posto dove il nonno di lui era stato ferito durante la Seconda Guerra Mondiale. La cosa destò in me molta curiosità e interesse per cui, a questo punto, mi dispiacque di non dare loro la giusta attenzione. La soluzione la trovò mia moglie Luciana che propose loro di essere nostri ospiti, visto che ancora non avevano pranzato.
Daniel e Sujan, questi i loro nomi, accettarono volentieri e avemmo cosí modo di conoscerci meglio e di saperne di piú sulla storia del nonno di Daniel.
Dopo il pranzo accompagnai la giovane coppia nella visita ai ruderi della vecchia San Pietro Infine. Sujan e Daniel rimasero molto contenti e per dimostrarmi la loro riconoscenza mi lasciarono due fogli dattiloscritti in inglese in cui era riportata la testimonianza di David Pogoloff, il nonno materno di Daniel. Ho fatto in seguito tradurre il testo dal mio amico e collega di scuola Stefano Di Domenico, che ringrazio, e, con l’autorizzazione dall’autore stesso, lo propongo all’attenzione dei lettori perché ritengo che oltre all’interessante testimonianza storica l’articolo è estremamente toccante nella sua drammaticità.
Sujan, che ringrazio per la sua gentilezza e disponibilità, mi ha assicurato che solo una minima parte della testimonianza di David Pogoloff è stata pubblicata, sul “Washington Post”.

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David Pogoloff – fonte: http://listmaker.blogspot.it/2005/02/david-pogoloff-22821-12405.html

« Il 14 dicembre 1943, il secondo Battaglione del 504° Fanteria di paracadutisti era posizionato sulla vetta piú alta di Monte Sammucro, in Italia. Le montagne e le imponenti dorsali sovrastanti S. Pietro si mostrarono particolarmente importanti nella difesa della Linea Invernale germanica. Sperammo di rompere questa linea nonostante la tenace resistenza del nemico. In questo giorno ci giunse notizia che i Tedeschi controllavano un monte ad ovest rispetto alla nostra postazione e dirigevano il loro fuoco assassino sulle nostre truppe che cercavano di avanzare.Ricevemmo ordini per conquistare questo monte. Subito dopo la mezzanotte di una notte fredda, oscura e tetra, il nostro battaglione cominciò ad avanzare con la mia compagnia in testa. A metà strada dal nostro obiettivo, un razzo, sparato dal nemico, rivelò la nostra posizione e noi ci trovammo in mezzo a pesanti sventagliate di mitraglie e colpi di mortai che ci immobilizzarono. Gli spogli declivi della collina ci offrivano poco riparo. In una frazione di secondo, caddi supino abbracciando il terreno con tutte le mie forze. Il mio cuore iniziò a battere velocemente e, come sempre accade in battaglia, ebbi paura e rabbrividii. Riuscivo a sentire le scariche delle loro pistole automatiche, il Canto della Morte. Le granate cominciarono ad esplodere intorno a noi e poi cominciai a sentire le grida terribili dei miei compagni feriti. La luce di un razzo durò parecchio e quando si spense e l’oscurità ci avvolse di nuovo presi la mira col mio fucile e sparai ai bagliori delle armi tedesche. Le grida dei feriti che mi circondavano si intensificarono.
Mi resi conto che era un miracolo se non ero stato ferito. Strinsi i denti e sprofondai il mio viso nel terreno fangoso e aspettai. Continuavo a ripetere mentalmente «Mio Dio, salvami per favore». Alcuni secondi dopo, sentii come se un coltello arroventato avesse squartato entrambe le mie gambe. Un urlo raccapricciante uscí dalle mie labbra. Ecco, pensai! Come temevo, ero stato colpito da frammenti di una granata di mortaio. Non sentii dolore dopo, ma le mie gambe erano intorpidite. Diversi minuti piú tardi, un medico fasciò entrambe le mie ferite sulle gambe e mi fece un’iniezione di morfina. Presto mi sentii inghiottito nello spazio ignoto. Ripresi i sensi l’indomani e mai dimenticherò ciò che i miei occhi avevano visto su quel campo di battaglia.

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David Pogoloff (2003) – fonte: http://listmaker.blogspot.it/2005/02/david-pogoloff-22821-12405.html

Nel trambusto di coloro che fuggivano, molti miei commilitoni giacevano a terra feriti mortalmente. Cercai di trascinarmi carponi ma ne fui impedito dall’intenso dolore delle ferite. Fra i lamenti mi chiedevo: «Perché non vengono a prendermi?» Giú per il declivio potevo scorgere i movimenti del nostro feroce nemico. Su di me, lungo il crinale, vedevo alcuni volti di soldati delle nostre truppe. Mi resi conto subito per quale motivo i nostri medici non potevano raggiungermi: da entrambe le parti cominciarono a sparare. Io giacevo, in mezzo alla

sparatoria, e non potevo fare niente. Sentivo la mia voce ripetere: «Dave, sei allo stremo». Sì, iniziai a pregare, a pregare per la mia vita e per i miei cari a casa. Stetti lí per due giorni e due notti, soltanto l’aria pungente del freddo invernale fermò l’emorragia delle mie ferite. Il secondo giorno la battaglia acquietò e la piú bella visione del mondo apparve sul crinale della montagna. Vidi un’équipe medica, capeggiata da un ufficiale. Avevano ognuno una grande bandiera bianca con una bella croce rossa, che sventolava. Dio aveva risposto alle mie preghiere! Si era concordata una tregua in modo che ognuna delle due parti in lotta potesse raccogliere i propri morti e feriti. Fui raccolto e messo su una lettiga. Riuscii a sentire che la battaglia ricominciava ancora una volta. Chiusi gli occhi cercando di scacciare dalla mia mente l’immagine di quella guerra crudele.
La vigilia di Natale, al 300° Ospedale di Napoli, i dottori scoprirono nella mia gamba destra un’infezione seria e mortale, una cancrena. Senza esitazione e in maniera franca mi dissero che per salvarmi dovevo sacrificare la gamba. Il dolore si faceva insopportabile ma riuscii a sussurrare: «Cosa aspettiamo?». Da quel momento in poi per me tutto fu buio. Poi ricordai. Aprii gli occhi e vidi un’infermiera al mio capezzale. Attraverso le mie labbra ispessite e secche sussurrai: «Buon Natale». L’infermiera ne sembrò sconvolta. Corse a cercare i medici e il cappellano che presto apparvero intorno al mio letto. Nel vedere il mio sguardo perplesso, il cappellano mi spiegò
che al momento dell’amputazione della mia gamba, avevo cominciato ad abbandonarmi e a lui era stato chiesto di eseguire gli ultimi riti perché ci si aspettava che morissi l’indomani. In quel giorno di Natale, il cappellano, emaciato, continuò a farmi visita, ogni volta dandomi una pacca sulla spalla e ripetendomi le parole che per me ormai sono immortali: «Figlio mio, sii per sempre grato a Dio». Come potrei non esserlo? Se Dio non avesse ascoltato le mie preghiere, non sarei su questo mondo. C’è da dire anche che spesso penso ai miei compagni che hanno subito il sacrificio supremo per il nostro paese e a quelli che sono piú invalidi di me, a causa delle ferite di guerra. La mia unica preghiera va ai sacrifici che i miei compagni e io abbiamo fatto perché non siano stati fatti inutilmente e perché il nostro stile di vita americano possa preservarsi ».
Dicembre 1950

David Pogoloff

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