Sant’Elia: ritrovata la “Petra scripta” citata dal Chronicon cassinese?

 

Studi Cassinati, anno 2004, n. 1/2

di Giovanni Petrucci

petra scriptaFinalmente, per puro caso, è tornata alla luce la Petra scripta, l’importante cippo con parte di una epigrafe che forse si riferisce all’acquedotto romano di Valleluce, rimasta nascosta per un millennio; ad essa facevano riferimento la donazione gisulfiana1 di terre a Montecassimo, oggi data per sicura dagli storici2, e poi le successive delineazioni dei confini; tra queste da ricordare quella risalente al privilegio dei principi Landolfo I e Atenolfo II del 25 aprile 928; e quella della causa del 963 presso la Curia capuana tra l’abate Aligerno e il gastaldo Guiselgardo davanti al principe Landolfo I Capodiferro e al giudice Adelmundo per definire il possesso delle terre della valle del Rapido. Tale causa aveva l’identica importanza di quella di tre anni prima, del 960, dello stesso abate contro Rodelgrino per il possesso della Flumetica.
Il ritrovamento si deve alla tenacia nella ricerca del prof. Mario Mariani; egli ci riferisce: «Sapevo, da quando ero studente, che nel 744 il duca di Benevento Gisulfo II donò al Monastero di Montecassimo delle terre e che le donazioni furono confermate da Carlo Magno e successivamente dall’imperatore Lotario III. Questa petra doveva trovarsi nell’Ordicosa, tra Valleluce, Belmonte Castello e lungo la mulattiera per Terelle. Facendo quotidianamente il tratto di strada dall’Olivella al mio paese, ero stimolato a cercare il cippo che indicava appunto il confine delle Terre di Montecassino e in verità ritenevo che fosse costituito da una roccia e che si trovasse in località San Venditto. Spesso mi rivolgevo a conoscenti per avere informazioni a riguardo e un giorno, spinto dalla mia curiosità ormai abituale, chiesi ad un amico che nelle ore libere si dedicava alla pastorizia, se ne avesse notizia. Finalmente seppi che esisteva una pietra con una epigrafe; che in seguito a smottamenti frequenti nella zona era rimasta sepolta sotto un paio di metri di terreno argilloso, che l’avevano trovata effettuando uno scavo per eliminare l’umidità da un locale».
In verità il privilegio originale del 963, conservato a Montecassino, riporta il riferimento alla linea di confine dei terreni situati a nord-ovest di “Sancto Helia”. Tale linea cominciava dal valico di S. Martino, procedeva attraverso le serre del monte Cisino, le serre dell’Aquilone, attraverso i monti dell’Ancina, attraverso le colline di Valvori, donde «badit per ipsum montem qui dicitur Valle Luce, et venit in Petra scripta … », arrivava fino al monte Cifalco e alla Petra scripta; si inoltrava lungo la via di Terelle che va ad Aquino, seguiva lo stesso rio Cassino, il fiume Rapido, fiume che si getta nel Liri, e il Vandra; di qui percorreva lo stesso rio fino al citato valico di S. Martino.
Non pensiamo che essa possa identificarsi con l’epigrafe nvmphis aeternis di Casalucense, sia perché questa non è stata mai chiamata col nome di petra scripta, sia soprattutto perché più interna rispetto ai territori indicati; infatti la petra si trovava e si trova in un punto che sembra quasi la continuazione di monte Cifalco e perciò idonea ad indicare la linea di confine in parola. Solo il Carettoni, nel descrivere i territori del Monastero, si rifà alla donazione di Giulfo II, “importante per la sua antichità”3, ne indica la confinazione, e ritiene probabile che l’epigrafe di Casalucense debba identificarsi con la petra4.
La nostra epigrafe è stata rinvenuta in contrada Prepoie, in via Pinchera, in una spianata a sud della casa dei fratelli Mario e Donato Capraro, ad alcuni metri dal canale dove passava l’acquedotto romano di Valleluce. È scolpita su pietra calcarea bene squadrata di cm. 113 x cm. 75, della profondità di cm. 35; ha una cornice di riquadro eseguita a regola d’arte di cm. 6; era fissata su un basamento per mezzo di due perni di ferro del diametro di circa cm. 3, ancora ben visibili nell’alloggiamento.
L’epigrafe si legge nel riquadro inferiore della facciata del cippo di cm. 63 x cm. 47; le lettere misurano circa mm. 35 di altezza x mm. 25 di larghezza e sono tutte piuttosto simili, il che fa chiaramente comprendere la discreta competenza del lapicida; da notare che tutte sono piuttosto ben misurate rispetto ai margini della cornice. Supponiamo che anche il riquadro superiore di cm 63 x cm 54 riportasse del testo, perché non è ammissibile che la parte più importante del cippo, quella in alto, e quindi maggiormente in vista, non avesse iscrizione; è stata certamente scalpellata, e non ne conosciamo i motivi: allo stato attuale in esso non è più possibile leggere alcuna lettera.

La lettura puó essere la seguente:
m o x vlt x onivs cvltellvs
prae x x x x x divi clavdi
ivssv
caesaris dedicavit

Nel primo rigo la lettera iniziale è quasi certamente una M, la seconda una O, la terza è costituita da un’asta verticale unita con una lineetta obliqua che va dall’alto verso destra; seguono tre lettere chiare VLT; la settima risulta formata da un’asta verticale con un semicerchio nella parte superiore; l’ottava è una O, seguita da una consonante che risulta sicuramente una N; seguono altre tre lettere chiare IVS; come chiara è la parola CVLTELLVS.
Nel secondo rigo, la prima lettera sembra un P, seguita dalla seconda che, piuttosto stretta, è simile ad una R, seguita a sua volta dal dittongo AE; della quinta si legge un’asta con un taglio in testa; la seconda parola comincia con una F, ma le altre lettere sono di difficile lettura perché in questo punto la pietra ha una fenditura di circa 7 cm.; successivamente le parole si leggono bene.
Emilio Pistilli, nelle pagine seguenti, dà una lettura dell’epigrafe.

1 Leone Ostiense, Chronica Monasterii Casinensis, Ed. H. Hoffmann, Hannoverae, MCMLXXX, I, 5 (A), p. 25: “… et inde vadit per locum, qui dicitur Anglone (odierna Villa Latina); et ascendit ad furcam (M. Cifalco) de Valle luci; et quomodo vadit per ipsas serras montium, et descendit ad Petram scriptam … ”
2 Fabiani L., La Terra di S. Benedetto, Badia di Monticassimo, I, 1968, p. 19.
3 Carettoni G. F., Casinum, regio I, Latium et Campania, Roma 1940, p. 40.
4 Carettoni G. F., ibidem, p. 109: “Nella donazione gisulfiana è menzionata una petram scriptam nei pressi di Valleluce: ritengo assai probabile si tratti di questa iscrizione [nvmphis aeternis].

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