Studi Cassinati, anno 2003, n. 4
di Sergio Saragosa
Le vicissitudini della popolazione di Caira tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1944
La mattina dell’otto ottobre del 1943 fu diramato: dal Comando tedesco il primo ordine di evacuazione per la popolazione del villaggio di Caira. Evacuare significava salire sui camion dell’esercito germanico, abbandonare casa, averi e, a volte, anche familiari, per essere portati oltre le retrovie, verso il centro di raccolta di Ferentino, per essere poi trasferiti in paesi del Nord-Italia. Ma una “voce” insistente, che da qualche tempo circolava, parlava di trasferimenti oltre i confini delle Alpi, cioè in Germania. Allora per non correre rischi inutili, la gente di Caira, convinta anche da altre “voci” circolanti che annunciavano ormai a giorni il passaggio del fronte oltre Cassino, nascose i propri averi in rifugi occasionali che si consideravano sicurissimi e, infagottato tutto ciò che si poteva trasportare, cercò scampo nelle grotte naturali che esistevano ai piedi del Monte Cairo e del Monte Castellone (San Matteo) e in piccoli agglomerati di capanne costruite alla meno peggio nelle stesse zone, e che sembrava potessero assicurare un ottimo rifugio, data la natura ancora quasi selvaggia di quei luoghi. Erano queste delle sistemazioni provvisorie e quindi precarie. Si dormiva tutti insieme, si mangiava insieme, si passavano insieme giorni e notti, si vivevano insieme le tragedie e i rari momenti di gioia per l’arrivo di un parente preso precedentemente dai tedeschi o per la nascita di un bambino. I più volenterosi e i più coraggiosi, quando le cose incominciarono ad andare per le lunghe, presero a scendere furtivamente in paese per recuperare i generi alimentari nascosti e spesso trovavano i nascondigli vuoti. Con l’arrivo di altri sfollati provenienti da varie zone, i villaggi fatti di capanne si ingrandirono e i viveri diminuirono. Anche i piccoli commerci che erano nati cessarono e sopravvivere diventò arduo. Le pattuglie tedesche continuavano ad effettuare rastrellamenti improvvisi, le cannonate si facevano sempre più precise e la fame e le malattie aumentavano.
Le cose pertanto non andarono come la gente aveva sperato e la situazione militare ristagnava con grande avvilimento dei vari gruppi di sfollati che vedevano assottigliarsi sempre più la residue provviste e peggiorare la già critica condizione igienica con il manifestarsi della pediculosi e della rogna: le donne erano costrette a passare la maggior parte della giornata a cercare di “sterminare” pidocchi e a lavare panni infestati con la poca acqua che si riusciva. a raccogliere. Pertanto, quella che doveva essere una breve permanenza in montagna, si trasformò in una lunga e indesiderata sosta forzata che si protrasse fino alla fine di gennaio del 1944, quando le prime avanguardie alleate comparvero in paese dopo aver sfondato, con aspri e sanguinosi combattimenti, la Linea Reinhard a Mignano Montelungo e a S. Pietro Infine, e consigliarono, agli sfollati che si avventuravano in paese, di oltrepassare le loro linee oltre il fiume Rapido, per mettersi in salvo. La maggior parte delle notizie venivano acquisite da uomini anziani che erano andati a lavorare precedentemente in America e che capivano quindi la lingua degli alleati, alcuni dei quali, peraltro, si esprimevano in un buon dialetto, essendo a loro volta figli di immigrati italiani.Gli sfollati capirono, comunque, che anche il fronte di Cassino, cioè la Linea Gustav, avrebbe resistito a lungo, come affermavano i soldati americani stessi e così alcuni gruppi e alcune famiglie seguirono questo invito e ai primi di febbraio si rifugiarono a S. Antonino, a Capodacqua, a Cervaro, a S. Pietro Infine, a Portella, dietro la linea alleata.
L’esodo più consistente avvenne il 2 di febbraio, giorno della candelora. Diverse persone avevano frattanto già abbandonato le grotte e le capanne per altre destinazioni, prendendo per buoni i suggerimenti delle persone ben informate che compaiono sempre, anche nelle situazioni più disperate, e altri invece preferirono prendere la via della montagna, chi verso Terelle, chi verso Roccasecca. Non dovettero prendere decisioni invece quelli che già erano stati presi nei rastrellamenti effettuati dai tedeschi è coloro, che, purtroppo, erano morti sotto i bombardamenti e per altre cause. La guerra, che a settembre del 1943 sembrava qualcosa di estraneo agli abitanti di Caira, aveva cominciato presto ad esigere il suo contributo di sangue e di vittime civili e quasi ogni famiglia aveva pianto un suo congiunto. L’esodo verso le linee alleate, oltre il fiume Rapido, con l’acqua alla gola a causa dell’allagamento della pianura, si svolse in poco tempo e con la preoccupazione di evitare di dirigersi verso il lato sinistro della valle dove operavano le truppe marocchine che già erano precedute da una triste fama.
Il 15 Febbraio del 1944, però, non furono molti quelli che assistettero al bombardamento di Montecassino, perché tra coloro che si erano rifugiati oltre le linee alleate, molti già erano stati portati a Teano, a Capua, in altri paesi per essere trasportata in Calabria e in Basilicata. Solo chi aveva trovato rifugio presso famiglie di amici e di parenti oltre il fiume Rapido e chi era ferito o ammalato o che doveva assistere parenti o familiari ammalati, ebbe la sfortuna dì essere testimone della tremenda tragedia che si consumò in quella triste giornata.
Ancora oggi, a distanza di ben sessanta anni, si leggono negli occhi di chi fu testimone la paura e lo sgomento nel rievocare quelle ore di incubo, con la terra che sussultava sotto i piedi e le pareti delle case che minacciavano di crollare. I testimoni non riescono a trovare le parole per descrivere quello a cui assistettero e l’unico commento efficace che ritorna in tutte le rievocazioni è sempre uno solo e sempre lo stesso: era l’inferno! Due sole parole che descrivono il tutto più e meglio di mille pagine.
Durante il mese seguente tanta altra gente, ma non solo gli sfollati di Caira, fu costretta ad allontanarsi dalla zona di Cassino e il 15 Marzo dello stesso 1944, pochi assistettero al bombardamento di quello che ormai era rimasto della città di Cassino. Le sensazioni e i sentimenti provati furono quelli di un mese prima. Lo scempio provocato puó essere testimoniato solo dai ricordi di coloro che, dopo la presa di Montecassino da parte delle truppe polacche il 18 maggio, ritornando per primi a Caira dai luoghi di sfollamento e entrando a Cassino, non riuscivano ad orientarsi tra i cumuli di macerie ed erano costretti a guardare in alto verso le montagne, per trovare la direzione da seguire per raggiungere il paese.
(124 Visualizzazioni)