MARIO BARBATO, POETA E MAESTRO DI VITA

 

Studi Cassinati, anno 2003, n. 4

Cassino 1998, Aula Magna del Rettorato dell’Università degli Studi: il poeta Mario Barbato (a sin.) premiato dal dott. Francesco De Napoli, presidente del Sodalizio “Paideia”.

A tre anni di distanza dalla scomparsa del Poeta e Scrittore Mario Barbato, avvenuta il 24 gennaio 2001, la cultura cassinate – quella più seria e autorevole – avverte pesantemente la mancanza della sua discreta ma pungente capacità di riflessione e di analisi critica. Sono in molti a ricordare come don Mario, a dispetto dell’età avanzata (era nato il lontano 22 giugno 1905), riuscisse a tenere ben “alta” e desta l’attenzione non soltanto sulla realtà locale, ma anche su ciò che andava accadendo su scala nazionale, sempre sfoderando un’attitudine assolutamente inusuale – direi, dialettica – al dialogo costruttivo e stringente.
Autore fecondo e versatile, Mario Barbato è noto e apprezzato soprattutto per le raccolte di sonetti, in lingua e in vernacolo: “Echi dell’anima”, “Sensazioni e palpiti”, “Luci del tramonto”, “Fra sacro e profano”, “Sognando e sghignazzando”, “Serenata a Cassino”, “Poveri versi miei”, “Tangentopoli canterina”. Pubblicò, inoltre, la Ballata carnevalesca “C’era tanta allegria” e la Satira in tre tempi “Rapsodia italiana”; e le miscellanee poetiche “Chitarronata del mio cuore sciocco” e “Bagliori d’incendio”.
Nota costante dei versi di don Mario è l’esigenza di manifestare un’in/sofferente e amara disillusione per l’indegna piega presa dalla lotta politica, contrassegnata negli ultimi decenni dal pressoché totale crollo degli ideali della Resistenza, cui ha corrisposto un rigurgito di spinte reazionarie. Si tratta di misurati ed eleganti sonetti che prendono di mira la sciatta liberalizzazione dei costumi, scaduta in un penoso imbarbarimento della vita sociale, ovvero in una “deregulation” priva di controlli e di regole, in una totale e selvaggia “autarchia”. Fino all’ultimo, l’anziano Poeta denunciò lucidamente – prefigurandone anche gli sviluppi futuri – l’involuzione economico-culturale che concede spazio unicamente alla bramosia di potere e di guadagno, all’insegna dell’individualismo più sfrenato: si tende a far passare per soggetti degni di ammirazione – e quindi da emulare – quanti dettano legge grazie all’arte di “arrangiarsi”, senza freni inibitori o remore morali.
Una poesia fortemente civile dai toni limpidi ed accessibili – mai volgari o gratuiti – al servizio dell’onesto sentire e dell’umana solidarietà. Una ispirazione sincera legata alle immagini del passato, che resistono indelebili nella memoria del Poeta: innanzitutto l’infanzia sofferta e irta di ostacoli, trascorsa nei vicoli della vecchia Cassino e fra i campi della Rocca Janula. Una “bella età” – confessò don Mario nella lirica dedicata al suo amico più caro, l’insegnante Antonio Selmi – “cui solo arrise il raggio d’una speme: / la fine di un’invisa dittatura”. E poi i magici riti, i volti familiari che incarnavano sapientemente le storie e le tradizioni scomparse; il terrore per le tragiche vicende della distruzione bellica; e infine le speranze, andate deluse, di veder sorgere un mondo nuovo di giustizia e fratellanza.
I versi in dialetto, in particolare, indicano l’amore struggente per i luoghi natali, come nelle strofe seguenti tratte dal sonetto “Gliu paese mio” (da “Serenata a Cassino”), dominato da una esemplare e misurata asciuttezza:

“A Cassino, nen serve ca le rice
si sto cuntento: a qua ce songo nato,
e ce tengo pariente e tante amice,
e sta cu’ mamma papà mio abbelato.
(…)
E si sponta gliu sole ‘ncoppo Truocchie,
e abbraccia e vacia ‘nfronte l’Abbazia,
te rireno le lastre annanz’agli uocchie.”

Don Mario seguiva con estremo interesse le iniziative indette dal Gruppo culturale “Paideia”, alle quali egli prese parte attiva. Il Sodalizio cassinate assegnò al Poeta importanti riconoscimenti, di cui parlò la stampa nazionale. Citiamo i Premi “Casinum” e “Succisa Virescit”, le cui solenni cerimonie di consegna ebbero luogo nell’Aula Magna del Rettorato, con il Patrocinio dell’Università degli Studi e del Comune di Cassino. Il Poeta incoraggiò e sostenne gli sforzi volti a “sprovincializzare” una realtà ancora lacerata e confusa dalla catastrofe della guerra, tanto da divenire a pieno titolo, insieme con gli illustri nipoti – l’Avv. Enzo e il Prof. Angelo Avino – un sicuro punto di riferimento in occasione di mostre, convegni, conferenze e incontri conviviali.
Ora che la vigile presenza di don Mario è venuta meno, la Cassino distratta delle banche e delle vetrine sembra non avere molto tempo da dedicare ai versi di questo Grande Vecchio della cultura. Poco male: le sue poesie, così ricche di umanità e di insegnamenti, vivono nei cuori dei tanti amici che gli hanno voluto bene. E’ la sorte già toccata ad altri intellettuali e studiosi ciociari: da Antonio Labriola a Gaetano Di Biasio, da Carlo Baccari a Gino Salveti. Grave, semmai, è che pochi si adoperino per cambiare tendenze e abitudini così sconcertanti, che sminuiscono – specie agli occhi dei più giovani – una parte essenziale di noi stessi e della nostra storia.
Ma la poesia, favoloso scrigno di valori nascosti, è destinata a “durare”, quale testimonianza incancellabile di affetti, umori e passioni che solo il trascorrere delle stagioni potrà pacificare e comporre.

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