Studi Cassinati, anno 2003, n. 3
di Domenico Frezza
La trascuratezza, la passività e la colpevole disattenzione verso alcuni esempi del patrimonio archeologico ciociaro fanno pensare che non meritiamo le bellezze che abbiamo avuto in eredità. Se fossero in mano ad altri amministratori, dotati della capacità di far fruttare le risorse, queste rappresenterebbero notevoli attrazioni, sarebbero fruibili per il pubblico e offrirebbero una solida base per la crescita del turismo nella regione.
In contrasto con le affermazioni verbali di avere a cuore la cultura ed i segni del nostro passato, ci sono almeno tre esempi che colpiscono per la gravità dell’incuria e danno la misura dello scarso interesse, dell’insipienza o peggio ancora dell’uso dei pochi soldi destinati alla cultura solo per creare qualche appalto in più.
La cosa più grave sta avvenendo in prossimità del Liri, non lontano dal Melfa, dove un antico santuario paleocristiano dedicato a S. Vito e distrutto da molti secoli è stato indegnamente ricostruito su una parte delle basi dell’antico luogo di culto, trascurando e lasciando fuori dalla ricostruzione pezzi di fondamenta con l’abside della chiesa. La ricostruzione è stata fatta senza tener quasi in nessun conto la struttura preesistente. E non basta: i reperti romani che facevano parte di quella struttura, dopo esser stati imballati, sono stati gettati al di sotto del piano su cui poggia la chiesa, nella scarpata adiacente, e abbandonati, forse perché ingombravano i lavori di costruzione della nuova finta chiesa antica. Fra questi reperti c’è una lapide, una stele funeraria e una statua femminile acefala di età imperiale e di bella fattura. A ciò si puó aggiungere che altre pietre con fregi, trovate coi lavori di scavo del ponte dell’autostrada del sole (all’epoca in cui fu fatta la terza corsia), sono state abbandonate lungo il ciglio della strada intercomunale. Questi reperti sono lì abbandonati, in attesa di deteriorarsi definitivamente (la stele si è rotta) o di essere rubati da un commerciante di oggetti antichi. Di chi è la responsabilità? In questo caso non sono mancati i soldi; infatti il restauro è stato finanziato ma è stato portato a termine con la colpevole superficialità di chi paga senza controllare se il lavoro è stato regolarmente eseguito.
Ma dove è la soprintendenza?
Forse si preoccupa di altri restauri e falsi storici come la ricostruzione del castello di Cassino “Rocca Ianula”, grande scandalo in cui sono palesi gli errori dovuti a disattenzione. Basta guardare per rendersi conto di come la torre col bastione ovest sia finita fuori asse, arretrata rispetto alle mura, in maniera poco probabile dato che la torre dovrebbe servire alla difesa delle mura.
Un altro esempio di incapacità e disinteresse per il restauro di oggetti medievali riguarda il castello di San Tommaso dei conti d’Aquino sul monte Asprano. Il castello è stato oggetto di un primo tentativo di scempio in due punti: nella torre di difesa all’estremità sud-est della cinta muraria e in un rudere che, senza maggiori indagini di tipo storico archeologico, è stato ricostruito in forma di cappella con proprozioni inventate e copertura a capanna stile valtellinese. La torre è stata ricostruita modificando la base e distruggendo i segni di come fosse la struttura precedente. I roccaseccani chiamano quella torre la “mersellina”, nome del tipico formaggio caprino del luogo. Questo “restauro” è avvenuto senza interpellare un archeologo medievale e chiedendo solo i permessi burocratici alla soprintendenza; ma quale soprintendenza? Quella dei beni archeologici o dei monumenti? I funzionari delle soprintendenze fanno il loro dovere ma non possono essere esperti in tutto e le competenze andrebbero cercate con criterio, se si vuole davvero salvaguardare questi resti che potrebbero qualificare la nostra terra. Il sospetto è che gli amministratori abbiano fretta di spendere i fondi che sono stati attribuiti dai politici, senza badare ai risultati e affidando il lavoro alla solita ditta, convenzionata, che fa i lavori di fognature o la conservazione dei marciapiedi e dei muretti (quelli a secco non si sanno più fare) delle strade di campagna.
Ogni tanto giungono voci di grossi finanziamenti per nuovi restauri, ma, se è vero, il rischio è che si ripetano interventi del tipo già descritto. La tendenza è di operare senza linee guida adeguate, e non sembra che i nostri amministratori si pongano troppi problemi. Un’ultima preoccupazione (anche se non sta bene fare il processo alle intenzioni, ma date le premesse …) è la pendente volontà di restauro della chiesa e del convento di San Francesco appena fuori Roccasecca in direzione di Colle San Magno. Il complesso, abbandonato dopo il terremoto del 1984, è figlio disconosciuto della amministrazione precedente ed attuale (si è preferito fabbricare, con grande spesa, la statua di S. Tommaso, invece di restaurare chiesa e convento). Un primo colpo al convento fu dato da un restauro negli anni sessanta, portato avanti a braccio da un capomastro; il convento fu reintonacato, perdendo il fascino della vecchia intonacatura a pozzolana grezza; il pavimento in mattoni antichi della chiesa fu sostituito da più luccicanti e moderne marmette.
Adesso c’è forse da augurarsi che le promesse di restauro vengano bloccate. Almeno ai danni non si aggiungeranno altri danni. Speriamo in un movimento popolare che diffidi la pubblica amministrazione dal produrre altri interventi di questo tipo; la pubblica amministrazione, invece di appaltare alla solita ditta, faccia questa volta passi più cauti e meno frettolosi, incarichi chi conosce il mestiere, rispetti le competenze e utilizzi il consiglio degli esperti veri, capaci di fornire linee guida scientificamente valide.
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