La “Masseria De Rossi” presso San Pietro Infine

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Studi Cassinati, anno 2003, n. 3

di Maurizio Zambardi    
Belvedere della Masseria Rossi. in lontananza è visibile il vulcano spento di Roccamonfina

Qualche anno fa, durante una delle mie ricognizioni archeologiche nel territorio di San Pietro Infine, capitai nei pressi di un casolare conosciuto con il nome di “Masseria De Rossi”. Avevo già visitato il luogo da ragazzo quando mi ero ritrovato ad accompagnare un anziano pastore del paese in una passeggiata alla ricerca di asparagi di montagna. Benché già da allora nutrissi interesse per la storia locale, le mie scarse conoscenze in campo archeologico non mi permisero di fare alcuna considerazione sulla struttura, che comunque mi affascinò.
Quella ricognizione mi sembrò perciò allora l’occasione propizia per analizzare la costruzione. La masseria versava oramai in stato di totale abbandono: l’edera, i rovi e le erbacce avevano preso il sopravvento, impedendo addirittura la visuale di molti muri. A fatica mi feci largo tra una fitta vegetazione e mi addentrai in una cavità buia, che risultò più lunga di quanto mi aspettassi. Non era una delle solite grotte scavate nel terreno dai contadini e che si trovano distribuite su tutto il territorio di San Pietro Infine, ma sembrava si trattasse di una cisterna di epoca romana, anche se era evidente la sua recente funzione di stalla. La cosa piú interessante e singolare, come poi ebbi conferma, era che della cisterna, ma anche della struttura intera, non era stato mai segnalato l’interesse archeologico da alcuno. Continuai l’esplorazione anche all’esterno della cavità e subito venni attratto dalla presenza di grossi blocchi di pietra squadrata inseriti nella parte bassa della masseria. Inoltre, sparsi qua e là sul terreno, vi erano innumerevoli frammenti di ceramica di vario tipo: ceramica a vernice nera, ceramica da cucina, manici di anfore ed anche i resti di una pavimentazione in spicatum. Segnalai la struttura alla Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta e dopo poco accompagnai in un sopralluogo l’archeologo Francesco Sirano, ispettore di zona, che mi confermò l’interesse archeologico dell’area. In seguito sono più volte tornato sul luogo per fare i rilievi e perlustrare l’area circostante alla ricerca di altri elementi necessari a chiarire meglio la struttura ed eccomi allora qua alle prese con una descrizione della masseria per consentire ad altri di conoscerla e magari approfondirne le ricerche.
Il territorio
La Masseria De Rossi è posta alle pendici di Monte Sambúcaro, in una posizione comunque elevata rispetto al territorio circostante, che risulta densamente coltivato ad oliveto. Posta a ovest del paese di San Pietro Infine e quasi a confine con il territorio di San Vittore del Lazio, si trova ad una quota di circa 255 metri. Alle sue spalle, sul lato nord, a circa centocinquanta metri di distanza, si erge lo sperone roccioso di Sant’Eustachio, una propaggine di Monte Sambúcaro, che sembra creare una quinta scenica attorno al casolare e a tutto l’oliveto. L’ammasso calcareo costituisce con il suo strapiombo la chiusura naturale di un recinto fortificato di epoca sannitica che si trova a monte dello sperone stesso1. Le rocce sono conosciute in paese come le “Ripe Rosse” a causa della loro colorazione rossastra2. Lo sperone roccioso contiene, proprio in direzione della masseria, due grossi canaloni di scolo dell’acqua piovana di Monte Sambúcaro, chiamati Vallone del Ceraso3 e Vallone Inferno.
Catastalmente comprende le particelle numero 1, 2 e 3 del foglio n. 3 del Comune di San Pietro Infine. La particella numero 3 con i suoi 25 ettari circa è per estensione la più grande del Comune di San Pietro Infine. Il vasto oliveto si raggiunge percorrendo una strada intercomunale, chiamata “Lo Stradone”, che dal comune sampietrese conduce a San Vittore del Lazio. L’accesso alla tenuta è dato da un portale d’ingresso, ora diruto, portale che fino a qualche anno fa era impreziosito da due grossi blocchi in pietra locale, inseriti a mo’ di spalle ai lati dell’apertura e recanti rozze decorazioni a volute allungate.

Notizie storiche, con riferimento a strutture similari in zona

Masseria Rossi in un disegno acquerellato di Marcello Guglielmetti (sec. XVIII)

Si ignora, almeno per il momento, la data esatta di costruzione della masseria, anche se si puó affermare, come detto, un primordiale impianto di epoca romana, forse appartenente ad una villa rustica. Ciò in ragione del fatto che il territorio circostante è costellato di numerosi altri resti appartenenti a strutture di epoca romana quali ville rustiche, cisterne4 ed anche acquedotti5.
Probabilmente in epoca medievale la struttura o parte di essa è stata utilizzata come torre di avvistamento e controllo del territorio. L’area leggermente più a valle non a caso è chiamata “Le Torri”.
La prima rappresentazione grafica di cui si ha notizia risale agli inizi del XVIII secolo. Un disegno acquarellato di Marcello Guglielmelli6 indica infatti la struttura in esame con il termine “Casa De Rossi”, mentre a breve distanza da quest’ultima è rappresentata una colonnina indicante un termine di confine tra il territorio di San Pietro Infine e quello di San Vittore.
La masseria e l’intera tenuta appartenevano quindi alla Famiglia De Rossi, di stirpe nobiliare, che possedeva anche uno dei palazzi più importanti nella Vecchia San Pietro Infine. La famiglia, che deteneva il titolo dei Baroni di Castelpetroso in Molise, è oggi estinta. Ultimo rappresentante ne fu Eduardo De Rossi, morto in Napoli senza eredi7. La proprietà passò poi, estinto il ramo dei De Rossi, alla famiglia Brunetti, che ne è attualmente ancora proprietaria8.
La masseria fungeva da casa colonica e fu abitata fino all’inizio della seconda guerra mondiale da pastori provenienti da Picinisco in provincia di Frosinone9. Questi vi trascorrevano i rigidi inverni con le loro greggi, in attesa della bella stagione, che segnava il loro ritorno, con la transumanza, in altura. Essa fu risparmiata dalle distruzioni di guerra, contrariamente a quanto avvenne per il resto del paese di San Pietro. Fu infatti utilizzata come ricovero da alcune famiglie di San Pietro Infine e di San Vittore. Finita la guerra, la casa colonica venne occupata dai senza tetto, abitandovi contemporaneamente due ed anche tre famiglie10 fino agli inizi degli anni ’50. Quando, poi, lo Stato italiano sopperì alla carenza di alloggi con la costruzione di case popolari, la masseria venne definitivamente abbandonata.
La struttura rimase così in uno stato di semi-abbandono, utilizzata occasionalmente come ricovero d’emergenza dai pastori locali, almeno fino a quando un incendio non ne compromise le strutture orizzontali. Altri incendi si sono susseguiti negli oliveti della tenuta, arrecando gravi danni alla coltivazione.

La struttura con ipotesi sulle strutture antiche

Interno dell’ambiente ovest della cisterna di epoca romana

Il terreno è posto in lieve declivio, per cui i costruttori dell’impianto primordiale resero piana l’area interessata dalla costruzione con un terrazzamento artificiale. Attualmente l’ingresso alla tenuta avviene da est, mentre le aperture che consentono l’accesso al casolare sono poste a ovest, rivolte cioè in direzione del paese di San Vittore.
Il casolare è il risultato di una successione di tre volumi realizzati in periodi diversi, almeno a giudicare dagli attacchi angolari, e di-sposti in sequenza cronologica da nord a sud. Infatti il piú antico sembrerebbe essere quello posto piú a nord. Il volume centrale emerge rispetto ai due laterali.
Nella parte bassa del piano terra si notano grossi blocchi di pietra con superficie a vista piana, sia in calcare locale che in breccia cementata, inseriti nella muratura e che dovevano far parte della costruzione precedente. Due porte a piano terra consentono l’ingresso dall’esterno agli ambienti posti a nord e al centro, mentre quella che era la porta del terzo ambiente, comunicante direttamente con l’esterno, risulta ora trasformata in una finestra. Tutti e tre i locali sono, comunque, comunicanti internamente. I due locali posti all’estremità nord e sud sono per lo più uguali e hanno una grandezza doppia rispetto a quello centrale. Quello nord è caratterizzato dalla presenza di un grosso pilastro centrale, inserito successivamente come rinforzo del solaio sovrastante. Il pilastro ha in pianta una sezione quadrata con gli spigoli arrotondati ed è più ampio nella parte che poggia

Resti di pavimentazione antica

a terra mentre va rastremandosi verso l’alto per assumere una forma grossolanamente troncoconica somigliando ad un solido geometrico simile ad un tronco di cono.
Gli ambienti a piano terra erano adibiti a stalle, come anche provato dalle mangiatoie presenti in due dei tre i locali terranei. L’ambiente centrale e quello a sud hanno sul lato est delle piccole e strette feritoie poste piuttosto in alto rispetto alla quota pavimentale. Sulle pareti interne non vi sono tracce di intonaco, anche perché risulterebbero superflue per delle stalle, mentre quelli superiori, cioè quelli abitati, sono tutti intonacati e forniti anche di camini. I solai sono realizzati in legno.
Al piano superiore si accede da una scala esterna in pietra formata da due rampe: la prima consente di superare anche il

Nicchione posto a ridosso del paramento esterno della cisterna

dislivello del terrazzamento a monte. L’ambiente sottostante la seconda rampa, caratterizzato da una volta a botte realizzata con pietrame di piccola pezzatura, aveva certamente anch’esso funzione di stalla. Sulle pareti interne del volume che svetta dal caseggiato, quello cioè del corpo centrale, sono ancora visibili le aperture utilizzate per l’allevamento dei piccioni.
Tre doppie falde poste in posizione sfalsata coprono i tre ambienti della struttura.
Tra il pergolato e il lato sud della masseria vi è una grossa pianta di gelso rosso che esce da una piccola area scavata, di cui non si comprende il motivo. Lo scavo però rende visibile un piccolo dente di circa 10 centimetri che rappresenta la risega della fondazione, formata con grossi blocchi di pietra squadrati. Sulla parete esterna della masseria sono ancora visibili tracce di intonaco di colore rosso ruggine. L’edera avvolge, a mo’ di barba, alcune parti della masseria mascherandone alcuni tratti ma conferendo alla struttura un piacevole alone romantico.
Sul lato nord del casolare si intravede una porta, ora murata, che doveva essere uno degli ingressi di una struttura più antica. Sulla stessa parete sono visibili anche molti frammenti di pavimentazione in cocciopesto, riutilizzati nella muratura realizzata successivamente.

Veduta esterna del casolare


Il muro che separa il terrazzamento a monte presenta resti di intonaco liscio con tracce di pittura rossa e nera.
Il cortile è racchiuso a nord dal muro del terrazzamento superiore, a est da un muro di recinzione, a sud da un pergolato – posto proprio sopra una cisterna – e a ovest dal casolare stesso. La forma quadrangolare così racchiusa suggerisce l’idea di un originario quadriportico di epoca romana. Attualmente il cortile risulta coperto da uno strato di terra ed è spesso coltivato con piante di patate, seminate tra sparuti alberi di piante di olivoo.
Il muro di recinzione reca ad est una grossa breccia: si tratta, forse, di un allargamento dell’entrata realizzata con mezzi meccanici per uso agricolo.
Nell’angolo nord est del cortile vi è un ambiente completamente scoperto e incavato nel terreno del terrazzamento a monte, di dimensioni 6×7 metri circa. L’ambiente doveva essere certamente coperto e utilizzato anch’esso come ricovero per animali. Nell’angolo nord-ovest di quest’ambiente, e precisamente nel terreno del terrazzamento superiore, vi è un grosso masso sagomato, posizionato verticalmente a mo’ di termine di confine.
Nel lato opposto al cortile, a pochi metri dalla scala esterna del casolare, vi è un ricovero per animali realizzato con muri a secco, ora privo di copertura, di dimensioni 10,80 per 4,50 metri. Il lato nord di tale ambiente è ricavato sfruttando un muro di sostruzione.

Planimetria a più livelli della struttura

In tutta l’area analizzata affiorano dal terreno, specie quando è arato, pezzi di pavimento in spicatum realizzato con mattoncini disposti a “spinapesce” ed anche frammenti di ceramica a vernice nera e ceramica da cucina, di epoca romana.
Una grossa cisterna chiude a valle, con il proprio volume, la terrazza su cui è posizionato il casolare e il cortile. Il dislivello tra le due terrazze è di circa 5 metri. La sua funzione originaria era quella di raccolta e conservazione delle acque piovane, immagazzinata attraverso appositi canalizzazioni11. Nei pressi dell’ingresso della cisterna, proprio all’ombra di un plurisecolare albero di olivo, affiora dal terreno un grosso blocco di travertino recante delle modanature.
La cisterna è coperta da una volta a botte a tutto sesto, realizzata con conci di pietra di media pezzatura cementati insieme, mentre le pareti laterali sono completamente realizzate in opus cementicium, almeno nella parte interna. Sono ancora ben visibili le impronte irregolari lasciate dalle tavole della cassaforma. La lunghezza delle tavole è pari a circa 5,50 metri, mentre la larghezza varia dai 25 ai 30 cm. Il paramento esterno della cisterna, quello cioè a valle che funge anche da terrazzamento, è in opera incerta e presenta delle riprese di muratura realizzate successivamente. La cisterna, orientata in direzione est-ovest, dovrebbe avere una lunghezza totale pari a quella del cortile superiore e sembrerebbe formata da tre distinti ambienti. Quello più ad ovest è l’unico facilmente accessibile, grazie ad un’apertura posta in direzione sud verso San Vittore del Lazio. L’ambiente è largo 2,40 metri ed è lungo 14,70 metri ed ha un’altezza, in chiave di volta, pari a 2,65 metri. Tale ambiente è stato riutilizzato in epoca recente come ovile dai pastori. A circa 5,60 metri dall’entrata vi è un muretto, alto 1,15 metri e spesso 55 cm, che delimita un’area più interna a cui è possibile accedere dall’apertura larga un metro. La funzione del muretto va ricercata nella già menzionata utilizzazione dei pastori. Nella parete di fondo, quella opposta all’entrata, si intravede la chiusura di uno stretto varco posto in posizione centrale che consentiva l’accesso alla cisterna mediana. Quest’ultima è accessibile — si fa per dire — solo dall’alto, mediante una piccola apertura quadrata posta in chiave di volta, di dimensioni pari a 60 cm di lato, mentre in asse a tale foro, in maniera tangente alla parete laterale, vi è un’altra apertura utilizzata certamente come attingitoio, larga appena 50 centimetri. Inoltre in asse alle suddette aperture, sulla parete esterna della cisterna, che funge anche da muro di sostruzione del terrazzamento della struttura, corrisponde un nicchione, contenente un piccolo foro da cui usciva l’acqua contenuta nella retrostante cisterna. Il tutto doveva far parte di una fontana o di un ninfeo della villa rustica romana. Ancora si conserva nella parte bassa del nicchione una vasca per l’acqua, che doveva arredare la sottostante area adibita probabilmente a giardino. La cisterna dovrebbe poi contenere un terzo ambiente, quello più a est, anche se per il momento è solo ipotizzabile, poiché non vi è alcuna possibilità di accedervi, ma la presenza di un piccolo foro situato sulla parete di confine con l’ambiente centrale della cisterna potrebbe confermarne l’esistenza. Inoltre il prosieguo del muro del terrazzamento che contiene la cisterna, che tra l’altro chiude il cortile superiore, avvalorerebbe quanto ipotizzato.
Attualmente l’ambiente centrale della cisterna è diventato ricettacolo di materiale di vario genere ed anche di spazzatura dei gitanti domenicali.
Il livello superiore della cisterna, corrispondente alla quota del cortile del casolare, conserva ancora le tracce di un pergolato, che corre per tutta la lunghezza della cisterna. Delimita questa sorta di camminamento una serie di tronchi di colonne a pianta ottagonale, di spessore pari a 60 centimetri circa, poste ad un interasse medio di 5,50 metri. I pilastri impostati su un muretto basso sono realizzati in muratura, formata da pietre e frammenti di laterizi legati con malta. La struttura orizzontale, quella che sorreggeva il pergolato, era probabilmente realizzata con travetti in legno. Il camminamento del pergolato doveva avere la funzione di un belvedere, visto lo stupendo panorama che si gode da lassù.
Nella parte a nord del casolare, impostata sul terrazzamento superiore, vi è una grossa aia a pianta circolare del diametro pari a circa 10 metri, delimitata in alcuni tratti da un muretto basso e stretto.
Nelle vicinanze della masserie vi sono infine due grosse fornaci per calce, una posta a sud-est, del casolare, l’altra a nord-est, sempre del casolare, a circa 60 metri dal cortile. Quest’ultima ha la forma di un cilindro cavo che risulta in parte scavato nel terreno e in parte realizzato con muratura di pietrame. La fornace ha un diametro di 5 metri ed è profonda mediamente 3,50 metri.
Ipotesi di destinazione futura.
In conclusione si puó affermare che una struttura del genere merita certamente un’attenzione particolare, poiché è il risultato di una serie di stratificazioni successive che vanno dall’epoca romana, se non addirittura sannitica, all’epoca medievale, fino ad arrivare al secondo dopo guerra. Ciò documenta e testimonia l’interesse che l’area ha sempre avuto. È chiaro quindi che va recuperata attraverso un restauro che comunque si avvalga in primo luogo della ricerca archeologica. La destinazione finale potrebbe essere dettata dai risultati dello scavo stesso, anche se a parere dello scrivente, vista la vastità della tenuta posta a servizio della masseria, la particolare bellezza naturalistica e la sua posizione panoramica, si potrebbe ipotizzare un l’impianto di un agrituristicomo in simbiosi con il territorio sia attraverso la storia e l’archeologia sia attraverso la valorizzazione delle risorse agricole locali legate alla presenza dell’olivo.

Le foto e la planimetria sono dell’Autore
1 I1 recinto, in opera poligonale della seconda maniera, è formato da due bracci che partono poco al di sopra dello strapiombo e man mano che si sale tendono ad avvicinarsi fino a congiungersi nella parte alta con un altro recinto a forma irregolare posto in sommità e che racchiude tutta la parte più alta dello sperone. All’interno sono ancora visibili i resti di un’antica chiesetta dedicata a Sant’Eustachio con a fianco una cisterna circolare. A pochi metri dalla pseudo- abside della chiesetta s’innalza un ammasso roccioso, che, per come è posizionato e sagomato, fa ipotizzare una sua funzione di un certo rilievo in epoca sannitica: si tratta, forse di un altare pagano.
2 Anche se si puó essere facilmente ingannati dal nome dei proprietari del fondo, appunto la famiglia De Rossi.
3 Nel vallone vi è una caverna naturale che fu utilizzata anche come rifugio durante la guerra.
4 Gaetano Lena, Scoperte archeologiche nel Cassinate, Cassino, 1979, pag. 26.
5 Maurizio Zambardi, Acquedotto romano viene alla luce a San Pietro Infine, in “Studi Cassinati”, Anno II n. 2 (giugno 2002), pp. 87–91.
6 Arch. Stor. Di Montecassino, La Terra S. Benedicti nei disegni ad acquerello di Marcello Guglielmelli (1715–1717), Montecassino, 1994, pp. 68–71.
7 Masia Don Giustino, S. Pietro Infine e la sua protettrice Maria SS. Dell’Acqua, Cassino, 1964, pp. 22–27.
8 A tal riguardo ringrazio l’avv. Eduardo Brunetti per avermi concesso di poter rilevare la struttura.
9 I locali ricordano ancora i nomi di alcuni di questi pastori: Giovanni Pacitti e Vincenzo Crolla.
10 Domenica Nardelli, figlia di Angelo e Caterina Matera, racconta che partì sposa proprio da lí nel 1949.
est delle piccole e strette feritoie poste piuttosto in alto rispetto alla quota pavimentale. Sulle pareti interne non vi sono tracce di intonaco, anche perché risulterebbero superflue per delle stalle, mentre quelli superiori, cioè quelli abitati, sono tutti intonacati e forniti anche di camini. I solai sono realizzati in legno.
Al piano superiore si accede da una scala esterna in pietra formata da due rampe: la prima consente di superare anche il dislivello del terrazzamento a monte. L’ambiente sottostante la seconda rampa, caratterizzato da una volta a botte realizzata con pietrame di piccola pezzatura, aveva certamente anch’esso funzione di stalla. Sulle pareti interne 11 Nel territorio di San Pietro Infine, oltre a questa cisterna, fin’ora inedita, ve ne sono altre quattro, di cui tre pubblicate da Gaetano Lena in “Scoperte archeologiche nel Cassinate” Cassino, 1979, ed un’altra individuata e rilevata dallo scrivente (molto probabilmente di epoca medievale), sita in località “Castellone”, che è in corso di pubblicazione su “Itinerari Sampietresi”, Volume I, a cura dell’Associazione Culturale “Ad Flexum” di San Pietro Infine.

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