Studi Cassinati, anno 2003, n. 3
di Giovanni Murro
Il “Museo della città” di Aquino si trova nel comprensorio archeologico della città stessa, nelle vicinanze dell’antica Via Latina, tra l’area del centro romano e quella dell’abitato medievale e moderno. Aperto al pubblico nell’anno 2000, il museo non vuole essere solo una vetrina espositiva, ma uno strumento per rappresentare, documentare e salvaguardare la storia della città e del suo antico territorio, corrispondente alla media valle del Liri. All’interno di questo contesto si trovano i centri moderni di Aquino, Castrocielo, Colle San Magno, Pico, Piedimonte San Germano, Pontecorvo, Roccasecca e Villa Santa Lucia.
Il percorso espositivo, con un’impronta fortemente didattica, si articola in quattro sezioni cronologiche (Preistoria e Protostoria, Età romana, Medioevo, Età moderna), suddivise internamente secondo criteri topografici.
La presenza di vari pannelli esplicativi rende poi accessibile a tutti l’argomento “archeologia”. In tal modo la visita al museo non è pura e semplice acquisizione visiva, ma diventa un modo per conoscere, partendo dai frammenti della cultura materiale, dagli oggetti d’uso quotidiano e non, gli elementi di un perduto contesto storico, sociale e culturale. Conoscere tali elementi significa preservarne la memoria e quindi mantenerli in vita.
Tra gli oggetti conservati nel museo, che meglio stimolano questo interesse di conoscere la vita quotidiana dei nostri precursori, va segnalato un frammento di meridiana romana (fig. 1). Il contesto di provenienza è sconosciuto nei particolari, ma è quasi certo che si tratti dell’area urbana dell’Aquinum romana. Il pezzo è in travertino, materiale litico molto comune e molto usato nella zona, ed è relativo ad un orologio solare a semicerchi definito polos (Dosi e Schnell 1992), in pratica uno gnomon (indicatore) perfezionato. Misura 29×21 cm., lo spessore è di circa 15 cm.
Consisteva in un emisfero con la parte concava rivolta verso lo Zenith; al centro veniva posizionata una punta, o stilo, grazie alla quale, mediante la proiezione della sua ombra, veniva consentita la lettura delle ore e della data d’inizio delle stagioni. Prima di essere posizionato, l’orologio veniva regolato secondo la latitudine del luogo, che nel caso di Aquinum è di 41°29’. L’oggetto si è conservato solo parzialmente, presentando solo la porzione destra con il bordo, sottolineato da un solco lineare corrispondente alla curva del solstizio estivo. Sulla parete concava si notano ancora due delle aste orarie che segnavano le ore antimeridiane.
Notiamo che le stesse aste orarie, in prossimità della curva del solstizio estivo, sono rispettivamente munite di un piccolo foro (fig. 2). Tali fori hanno la stessa posizione sulle aste orarie, e sono identificabili come alloggiamenti per i perni metallici che sostenevano i numeri, ovviamente anch’essi metallici, contrassegnanti le aste orarie. Si conserva anche parte della fronte inferiore, caratterizzata da un semplice motivo lineare a cornice ribassata (fig. 3) che idealmente sembra quasi “sorreggere” la volta celeste concava. Ciò farebbe pensare, com’è logico d’altronde, che il pezzo poggiasse probabilmente su un plinto o su una base che lo teneva sollevato ad un’altezza sufficiente per un’agevole lettura. Manca totalmente la parte sinistra dell’oggetto, come pure il foro per l’infissione dello stilo verticale per la proiezione dell’ombra e dal quale si dipartivano le 12 linee orarie, attraversate dalle curve stagionali del solstizio invernale e degli equinozi.
È opportuno ricordare che diversi anni fa, in località San Pietro Vetere, sempre nell’area urbana dell’Aquino romana, fu rinvenuto un altro frammento di meridiana dello stesso tipo, pubblicato poi dal Giannetti (Giannetti, 1986). Il pezzo, analogamente a quello trattato in questa sede, è in travertino locale. Misura in altezza 24,5 cm., in larghezza 17 cm. e nello spessore circa 10 cm. Risulta conservato per metà, presentando, in alto a sinistra, parte del foro per lo stilo. In basso a sinistra, nella parte retrostante, l’oggetto è munito di un foro per grappa e un altro doveva simmetricamente presentarsi a destra. Sulla concavità emiciclica risultano evidenti le linee del solstizio invernale e degli equinozi, come pure visibili sono le aste orarie segnanti le sei ore antimeridiane.
Purtroppo non è noto il luogo di conservazione del suddetto frammento, e non è quindi possibile fare un confronto materiale con quello conservato nel museo. Rimanendo sul semplice piano delle congetture, non è improbabile (e sarebbe un caso fortunato) che i due frammenti facciano parte del medesimo orologio solare, anche perché da un confronto preliminare, semplicemente bibliografico e per questo non esaustivo, risultano comunque esserci delle analogie, sia per quanto riguarda il materiale usato (il travertino, appunto), sia per il tipo di orologio e sia per le dimensioni, che sembrano essere simili.
Per quel che riguarda la datazione, non ci sono molti elementi per una collocazione cronologica precisa. Tuttavia, dall’analisi del contesto di ritrovamento, si potrebbe pensare di attribuire il pezzo all’età augustea o all’epoca del triumvirato. Si ricordi che il Liber Coloniarum e Plinio collocano la deduzione di una colonia ad Aquino proprio in quest’arco temporale. Inoltre sono ascrivibili a questo periodo il riordinamento urbanistico e il momento di maggior sviluppo monumentale ed edilizio della città, come si può notare anche dai ruderi degli edifici superstiti.
Tornando al funzionamento e alla lettura di questo tipo di orologio, la meridiana è costruita sulla superficie concava di un parte di sfera, e concettualmente rappresenta la volta celeste rovesciata, sulla quale il sole si sposta idealmente nel suo moto diurno e annuale. L’ora segnalata dall’estremità dell’ombra è quella del sistema orario ad ore ineguali espresso dai Romani. Tale sistema orario divide l’arco diurno in 12 parti diseguali, che si dilatavano e si contraevano stagionalmente (Bosca e Stroppa 1992), numerandole (I, II, III, IV, ecc.) a partire dal sorgere del sole, “ora prima”, e chiudendo la dodicesima col suo tramontare. La sesta ora termina con la culminazione del sole meridiano. Allo stesso modo viene diviso l’arco notturno. Secondo questo sistema le ore risultavano così più corte in inverno (circa 45 minuti, alle nostre latitudini) e più lunghe d’estate (circa 75 minuti).
È bene ricordare che la divisione della giornata in 24 parti, 12 di luce e 12 di buio, risale probabilmente ai Caldei (Erodoto riferisce che i primi costruttori di gnomoni evoluti fossero i Caldei) o agli Assiro-babilonesi intorno all’VIII sec a.C., come pure la divisione sessagesimale delle ore e dell’angolo giro in 360 parti. Le ore vennero chiamate temporarie o diseguali, in quanto non avevano sempre la durata di sessanta minuti. Il sistema delle ore temporarie fu ripreso dai Romani. Per molti secoli i Romani stessi andarono avanti senza gli orologi e senza fare alcuna misurazione del tempo. Così il giorno, cioè il periodo di luce solare compreso tra l’alba e il tramonto, veniva diviso in due parti, prima e dopo mezzogiorno (meridies); il resto era notte (nox). Solo al tempo della guerra di Pirro, verso il 275 a.C., si passò ad una ulteriore ripartizione, ottenuta dividendo a metà ognuna delle due parti. In tal modo la giornata risultò divisa in quattro sezioni: la mattina (mane), l’antimeriggio (ante meridiem), il pomeriggio (de meridie) e la sera (suprema). La notte pure venne suddivisa in quattro parti dette “veglie” o vigiliae. Tutte queste suddivisioni si basavano sulla costante del mezzogiorno e su due varianti, quali l’alba e il tramonto. Queste erano riconosciute a vista, mentre l’individuazione del mezzogiorno era compito di un accensus dell’ufficio dei consoli.
Il primo orologio a Roma compare all’inizio delle guerre puniche nel 263 a.C. Si trattava di un quadrante solare portato da Catania come bottino di guerra dal console Marco Valerio Messalla, che lo fece collocare nel Comizio. Da questo momento fu introdotto l’uso greco di dividere il giorno in dodici frazioni (horae). L’orologio si impose notevolmente in ambito privato, e nei primi decenni del II sec. a.C. le meridiane erano piuttosto diffuse, tanto che Plauto si scaglia contro di esse con un invettiva: “vada al diavolo l’uomo che ha insegnato per primo a fare il conto delle ore e che ha portato qui la meridiana. La giornata è ora divisa in pezzetti. Quando ero giovane io, l’orologio per me era lo stomaco, più giusto e preciso di queste meridiane”.
Le meridiane potevano a volte recare delle iscrizioni (“Horae volant”, “Horas non numero nisi serenas”, come si legge su alcuni esempi pompeiani), ma nel nostro caso si tratta di un esemplare anepigrafe.
BIBLIOGRAFIA
– Bosca, G. e Stroppa, P., Meridiane e orologi solari, Milano 1992
– Cagiano De Azevedo, M., Aquinum”, Roma 1949
– Dosi, A. e Schnell, F., Spazio e tempo”, Roma 1992
– Giannetti, A., Frammento di meridiana romana e altri reperti archeologici, in Spigolature di varia antichità nel settore del medio Liri, Cassino 1986.
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