S. Elia fiumerapido: i resti abbandonati della chiesetta dell’Annunziata

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Studi Cassinati, anno 2003, n. 3

di Giovanni Petrucci

Nella parte bassa della falda del monte Raditto, di fronte al gruppo di case della contrada Croce di S. Elia Fiumerapido disseminate lungo la strada per Valvori, si scorgono nel verde intricato di un fitto bosco i ruderi del Monastero dell’Annunziata.
La devozione a tale Madonna era particolarmente sentita e viva in Sancto Helia: al centro del paese infatti sorgeva una chiesa parrocchiale, “visitata fin dai primi anni del Cinquecento … con alla sua testa un abate-curato, con alcuni sacerdoti o chierici … ”1.
In Santa Maria Maggiore sono due affreschi, uno dei quali, il più importante, situato nella parete est, è degno di sintetizzare tutte le composizioni pittoriche dello scrigno santeliano.
La Chiesetta in parola, una costruzione di m. 2,60 x m. 6,60, come si evince dalla piantina, aveva l’aula allungata, piuttosto piccola, situata nella zona est, addossata allo scoscendimento e coperta, di sicuro in tutto il lato ovest, originariamente da altra struttura a due piani (il che si comprende con estrema evidenza dai fori esistenti nelle pareti, che sorreggevano il pavimento); essa faceva parte del corpo di un piccolo monastero, così come lo chiamavano nel passato i Santeliani; nonna Caterina mi raccontava, per averlo sentito ripetere anche lei dal nonno Tobia, che in esso vivevano molti monaci, che questi non scendevano mai in paese e attingevano l’acqua col secchio direttamente dal fiume, cosa veramente difficoltosa se non impossibile. Infatti la località è a 370 m. di altitudine e il fiume scorre circa 200 m. più in basso.
Le strutture attuali mostrano all’interno della Chiesa l’esistenza di due lesene, che probabilmente terminavano con capitelli e sorreggevano un arco e le relative coperture a volta a crociera; nella lunetta della porta d’entrata che non si apriva al di fuori, ma all’interno, in un ampio locale adiacente, era l’affresco più importante che dava il nome alla chiesa, l’Annunciazione; attualmente esso sembra del tutto abraso dalle intemperie e dall’umidità, o è stato staccato. Fino ad una ventina di anni or sono, al tempo di una nostra passeggiata primaverile, se ne scorgevano i tratti assai sbiaditi: ora non vi è più nulla; come è scomparsa una piccola mano ben fatta e isolata da altre parti di intonaco, riportata nella fotografia, appartenente a qualche figura di Santo, di cui si intravedevano i lineamenti. Intorno intorno correva un’alta zoccolatura, pure essa arricchita di affreschi: oggi si scorge solo qualche traccia di decorazione, ma forse sotto i cumuli di macerie potrebbe esserci qualche residuo di pittura. L’amico Peppe Iucci mi raccontava di avervi riconosciuto un S. Sebastiano, legato ad un albero e colpito da frecce: un altro Santo cui è rivolta una grande devozione del paese.
Alla base dei muri esterni si notavano scavi profondi: in paese dicevano che erano stati praticati dai Marocchini durante l’ultima guerra, in cerca di preziosi nascosti.

I ruderi della chiesa dell’Annunziata
I ruderi della chiesa dell’Annunziata

E un tesoro andarono a cercare alcuni ardimentosi Santeliani una notte di luna piena di marzo, negli anni ’30: ma dalle nere profondità uscì un demonio, un serpente lungo lungo, scuro come la pece e tutti i componenti della comitiva si ritrovarono sparsi lontano, donde erano venuti. La notizia, come mi ricorda Mattia, fu pubblicata con disegno dalla Illustrazione della Domenica.
All’interno del locale sito a nord si nota ancora l’esistenza di strutture di una cisterna. Le attuali mura perimetrali, con chiari residui di volte, lasciano intendere che in tutta la fabbrica vi era un altro piano e che la costruzione non era così semplice come ci appare attualmente.
I resti si trovano in una zona impervia, appartata, in cui è assai difficile penetrare e tale doveva essere ancor più nel passato. La mente ci porta a pensare ad altri monasteri isolati, sempre dipendenti dal cenobio di Montecassino e da esso non molto distanti: a quello di S. Angelo in Fortunula, a quello di S. Matteo in Castello e a quello di S. Nicola della Cicogna, dove si viveva una vita da eremiti.
Il primo sorgeva nel territorio di Piedimonte S. Germano, vicino a Villa S. Lucia: “Il monastero di S. Angelo de Fortunula, o di Fortuna, era una delle prepositure cassinesi, la quale … sorgeva su uno dei monti che costituiscono il così detto Gruppo di Monte Cairo … Esso era situato «in montibus de Fortunula», a circa 400 metri sul livello del mare, a sinistra della via che da Montecassino, passando sotto S. Maria dell’Albaneta, conduce a Villa S. Lucia”2; il secondo era “onorato dal titolo di Badia … Sembra però che fin da principio i monaci di S. Matteo avessero licenza di eleggere essi il proprio abate”3, sorgeva oltre il Cimitero Polacco, nei pressi del Monumento; il terzo era più lontano, sulla strada che porta a Terelle.
Nel testamento di Leonardo Infante del 13 giugno 1250 tale Chiesa dell’Annunziata non è menzionata4; figura invece fra quelle dipendenti dalla Chiesa di S. Angelo di Valleluce, come è scritto nell’inventario del Monastero stilato il 2 gennaio 1411 dal notaio Antonio Nigro da S. Elia: “Plures huic cœnobio ecclesiæ parebant: … ecclesia Annunciata sita in eodem territorio, com omnibus possessionibus suis… ”5; ma non sono descritti gli obblighi cui la ecclesia Annunciata era tenuta.
Marco Lanni ritiene che essa originariamente fu Parrocchia e che, una volta decaduta, venne sostituita da quella che era all’interno del paese, cui prima si faceva riferimento6.
Non ce la sentiamo di condividere il parere dello studioso santeliano, in quanto le due chiese di cui oggi abbiamo testimonianze, quella di S. Maria di Palombara e quella dell’Annunziata, sono molto piccole ed insufficienti per una vera e propria popolazione, sia anche rurale; né che la vallata ai piedi di quest’ultima si sia formata nel corso di migliaia di anni.
La situazione morfologica di oggi è quella di dieci o venti secoli fa e la Chiesa dell’Annunziata, che non sarà stata mai parrocchia, era incorporata nel monastero, dipendente sempre dalla Chiesa di Sant’Angelo di Valleluce.
Sono notizie troppo scarne, che non ci permettono di rilevare e di descrivere la vita che si svolgeva nel monastero ed il rapporto effettivo con quello di Valleluce o con la Terra di Sancto Helia. Potremmo pensare che i monaci qui residenti si recassero quotidianamente nella campagna alquanto distante di Campo di Manno, dove erano e sono modesti appezzamenti di terreno, fino agli anni ’50 accuratamente coltivati.
Risorse possibili per la località sono quelle derivanti dall’allevamento di pecore e capre; ma per questo non ci sono indizi che ci permettano di confermarlo, in quanto i prati sono molto distanti dal bosco dove il monastero è situato.
Altre risorse ancora erano quelle boschive; ma il luogo è impraticabile, troppo isolato e lontano, per poterlo ritenere adatto alla produzione di legna.
Secondo noi, le uniche finalità del monastero in parola erano quelle di carattere eremitico; che, del resto, rientravano, in una visione altamente moderata, quasi quale prassi abituale nel monachesimo benedettino.
“Nel corso dei secoli, così come in tanti altri posti, anche i gioghi montani che circondavano Montecassino sono stati popolati da cenobi e da eremitaggi. Ma mentre dei cenobi sono noti almeno i nomi quand’anche non se ne vedono ancora le vestigia, rare sono le memorie degli eremiti. Forse non mancherà occasione di parlarne altre volte… ”7.
Non possiamo ignorare che S. Benedetto aveva fatto esperienza di ascesi nello Speco sublacense e che aveva conosciuto le pratiche orientali attraverso gli scritti di Giovanni Cassiano (360 – 435 circa), De institutis coenobiorum, Collationes, che più circolavano nell’Occidente.

Ciò che resta degli affreschi; ben visibili nel cerchio la “manina”

Infatti, nel capitolo primo della Regula, De generibus monachorum, il legislatore cassinese si sofferma a spiegare le caratteristiche degli anacoreti: “Deinde secundum genus est anachoritarum, id est heremitarum, horum qui non conversationis fervore novicio, sed monasterii probatione diuturna, qui didicerunt contra diabolum, multorum solacio iam docti, pugnare, et bene extructi fraterna ex acie ad singularem pugnam heremi, securi iam sine consolatione alterius, sola manu vel brachio, contra vitia carnis vel cogitationum, Deo auxiliante, pugnare sufficiunt”8.
È vero che per il monachesimo benedettino la finalità principale non è la ricerca della perfezione personale, l’esercizio dell’ascesi, ma è quella di servire Dio nella medesima comunità: l’opus Dei ha una notevole importanza e non è un semplice atto di rinuncia, ma un’azione che richiede una cooperazione dei fratelli: nella fraterna comunione di aneliti, di intenti, di opere, si serve Dio; ma esso, nutrito di profonda comprensione e moderazione, radicato nel mondo romano, poteva permettere anche l’eremitismo, come le varie testimonianze precedentemente riportate comprovano. Lo ricorda anche Sabatino Di Cicco9 a proposito del romitorio di S. Bartolomeo: l’abate Sinibaldo Landolfo (1227 – 1236) il giorno 8 agosto 1236 concesse a tre eremiti, Rustico, Pellegrino e Pietro da Opi dell’oratorio10 di S. Bartolomeo il diritto del pane e del vino come per gli altri monaci di Valleluce11.
Per semplice completezza di informazione riferiamo che in Sancto Helia erano una Chiesa ed una Cappella12 intitolate a S. Onorio13, il campione dell’eremitismo: della Chiesa, anche essa dipendente dal monastero di Valleluce,14 ricordiamo la prima Confraternita, fondata nel 1550; la sua importanza si puó desumere dal Quaternus inventarii bonorum Monasterii Vallis Lucii, che documenta un notevole patrimonio librario15.
“Al concludersi, quindi, del medioevo cristiano e monastico la figura di s. Benedetto veniva nuovamente proposta come profeta dei nuovi tempi da parte di quell’abate cisterciense in cui tutta la precedente tradizione monastica pareva esprimere nella maniera più originale le sue aspirazioni di rinnovamento e di rinascita”16.

Ringrazio vivamente D. Faustino Avagliano, direttore dell’Archivio di Montecassino, per gli utili suggerimenti, D. Gregorio De Francesco, per la squisita disponibilità ad approntarmi i testi da consultare e Pasquale D’Agostino che questa primavera mi ha accompagnato nella località per eseguire il rilievo.

Disegni e foto sono dell’Autore

1 Pantoni A., Bollettino Diocesano XXI, 03-1966, p. 124.
2 D. Mauro Inguanez, Registrum Sancti Angeli de Fortunula, Badia di Montecassino, 1926, p. V.
3 Regesto dell’Antica Badia di S. Matteo de Castello, Badia di Montecassino, 1914, p. XIX.
4 Regesti Bernardi I Abbatis Casdinensis fragmenta, ed. Caplet, Roma, 1890, documento n. 402.
5 Gattola E., Historia Abbatiæ Cassinensis, Venezia, 1733, p. 206.
6 M. Lanni, Sant’Elia sul Rapido, monografia, Napoli, 1873: p. 75, ritiene: “… come accadde alla Parrocchia della SS. Annunziata alle pendici del monte, a greco di S. Elia, che distrutta, ne venne eretta un’altra dentro l’abitato, la quale anch’essa andata in rovina, fu aggregata alla Parrocchia di S. Cataldo.” p. 8, in nota: “Niun vestigio è restato di questa Chiesa [di Fiume Cappella]. Era forse piantata in un suolo al livello del villaggio la Croce e della Parrocchia SS. Annunziata, il quale col decorrere del tempo roso dal fiume, che l’attraversava, si è avvallato, come è tradizione, scomparendo la chiesa colle case accosto la Parrocchia, di cui veggonsi ancora i ruderi nel declivio dell’erta montagna; non essendo verosimile, che fosse del tutto isolata. Anzi la coesistenza di quattro Chiese, Fiume Cappella, S. Maria di Palumbara, S. Maria Maggiore e SS. Annunziata, e queste due ultime Parrocchiali, in tanta vicinanza, dimostra, che in quel sito dovevano essere aggruppate molte case.”
7 Leccisotti Tommaso, L’ultimo eremita a Montecassino, in Echi di Montecassino, n. 11, luglio – dicembre 1977, anno V, p. 144.
8 S. Benedetto, La Regola, testo, versione e commento di D. Anselmo Lentini, Montecassino, MCMXLVII, p. 38.
9 Di Cicco Sabatino, Il romitorio di S. Bartolomeo, ne Il Rapido, giugno 2003, p. 2.
10 Da precisare che l’oratorio non era aperto a tuttii fedeli. Dizionario Enciclopedico Italiano: “oratorio s. m. [dal lat. tardo (eccl.) oratorium, der. di orare «pregare»]. Luogo sacro destinato al culto, non per tutti i fedeli come la chiesa, ma per determinate persone, fisiche e morali. Nella legislazione canonica, l’o.- è di tre classi… ”.
11 Leccisotti T., Abbazia di Montecassino, I Regesti dell’Archivio, Roma 1971, p. 269: “1230, 8 agosto, ind. II., a. XXXIII. Federico, S. Elia. Landolfo, abate di Montecassino, concede ai tre eremiti, Rustico, Pellegrino e Pietro da Opi, viventi nell’oratorio di S. Bartolomeo, sito nel monte Pesoluso sopra il monastero di Valleluce, e a quanti ne seguiranno la vita, la giustizia di pane e di vino come per i monaci di Valleluce, a cui l’oratorio appartiene, avendo ricevuto il consenso di fra Federico monaco Cassinese e preposito di Valleluce e di tutti gli altri monaci che sono ivi. Notaio: maestro Rainaldo da S. Germano. (ST). Originale: prg. mm. 530 x 170.”
12 Petrucci G., Il terremoto fa scoprire un affresco, in Laziosud, n. 7-8, luglio-agosto 1986, p. 2.
13 Sant’Onofrio (Onufrius) era un eremita della Tebaide, che morì forse agli inizi del quinto secolo. Sul Santo nacquero delle leggende che descrivevano la sua vita errabonda per settanta anni circa nella miseria e nella solitudine del deserto; qui, seguendo l’esempio di Elia e di Giovanni Battista che attraverso la vita eremitica avevano raggiunto il sommo delle virtù, si cibava di erbe e di quanto un angelo gli portava ogni giorno. “In realtà tutta la storia è un elogio della vita monastica cenobitica e nel contempo una presentazione dello stato di vita più perfetto: la solitudine nel deserto” (Bibliotheca Santorum: Onofrio, p. 1187). Il suo culto per questo motivo era molto vivo a Montecassino e ricordiamo che un caseggiato dell’Albaneta ne portava e porta il nome. E ciò spiega la diffusione anche a S. Elia, dove al Santo era dedicata, oltre alla Chiesa in parola, anche una cappella adiacente alla Chiesa di S. Cataldo citata.
14 Questa Chiesa forse sorgeva in mezzo a terreni ancora oggi molto fertili, nei pressi di una calcara sorta nei secoli passati ed ormai scomparsa, dietro all’attuale casa di Francesco Arpino. In Gattola E., Historiæ Cassinensis, vol. I p. 206: “Plures huic cœnobio [Vallislucis] ecclesiæ parebant:… ecclesia S. Honuphrii sita in eodem territorio, cum Molendino, Valcatoria, et possessionibus suis… ”.
15 Riportiamo il documento di D. M. Inguanez, Catalogi Codicum, sæ… VIII – XV, Montis Casini, 1941 XIX, Ecclesia S. Onufrii, 65 -Saec. XIII: Item Ecclesia Sancti Onufrii sita est prope Castrum Sancti Helie et subiecta est Monasterio Vallis Luci… In qua Ecclesia Sancti Honufrii est: Liber missalis, unus – Notturnale, unum – Psalterium, unum – Orationale, unum – Manuale, unum – Ympnarium cum orationale, unum – Evangelistale, unum – Antiphonarium de die, unum. Fons: Caps. XXVI, fasc. Quaternus Invent. bonorum Monasterii Vallis Luci, f. 9v. Edit.:Inguanez, Cat. n. 15.
16 Penco Gregorio, La figura di s. Benedetto nella tradizione monastica latina, in AA. VV. I Fiori e’

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