Studi Cassinati, anno 2003, n. 1
di Giovanni Petrucci
Il professore
Dopo un sessantennio qualche suo allievo e mio amico, che fortunatamente ancora passeggia lungo il Corso della Repubblica, lo ricorda come uno dei professori di epoche passate, la cui figura non è affatto sbiadita dalla polvere del tempo, come il professore del cuore, quando il sapere e il comportamento provenivano quasi esclusivamente dall’insegnamento.
Rem tene, verba sequentur, diceva il Censore; e di res Giuseppe Fargnoli ne aveva tante, perciò poteva distribuirle a piene mani alle sue scolaresche. Aveva poi un dono di natura, come diceva il mio compaesano Nanduccio e mi confermava l’illustre avvocato Guido Varlese del Foro di Cassino, una capacità non comune di saper contemperare le argomentazioni, illuminandole con la parola adatta, con la trovata opportuna e poteva in questo modo sostanziare e vivificare la lezione.
E così la luna, un corpo lontano e freddo, acquistava una coloritura nuova e il discorso trasmigrava nella letteratura, nel sublime idillio leopardiano, la poesia serviva alle scienze e l’insegnamento slargava i suoi orizzonti:
O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari…1
Gli alunni ne erano entusiasti e aspettavano ansiosi l’ora di scienze, perché consapevoli che oltre ad apprendere le leggi di Keplero, potevano approfondire la conoscenza di qualche verso del Petrarca o il tomismo di padre Dante.
“Riuscì ad appassionarci alle materie scientifiche al punto tale da poterci far svolgere con ottimi risultati compiti scritti in classe, e uno diverso dall’altro per trentotto discepoli. Quando vedevamo un sasso luccicante lo raccoglievamo e spaccavamo, scervellandoci fino a capire se i cristalli fossero di calcite, o di aragonite, o di gesso, se la cristallizzazione fosse del sistema monoclino o rombico, se la durezza fosse due, due e mezzo, tre, ecc…”2.
Questa notazione e le altre che figurano nelle meravigliose pagine seguenti del testo testimoniano l’amore per il sapere che riusciva a trasemttere agli allievi: non si trattava di semplici acquisizioni di norme, ma del gusto di investigare; certe lezioni avevano un dono particolare di forza e di verità, penetravano nella mente di molti giovani Cassinati e non l’abbandonavano più per tutta la durata della vita; questo ricordano i dottori Renato e Roberto Matronola e l’esimio avvocato Antonio Carotenuto, i quali ancora oggi ripetono una definizione emblematica e che purtroppo si rivelò veritiera:
Spiegando l’atomo, l’unità più semplice, quella che non si puó scomporre ulteriormente per via chimica, il professore soleva ripetere parole allora incomprensibili: la potenza sterminata del piccolo!
Era un insegnamento nuovo per allora, i cui paradigmi troviamo oggi nell’attuale didattica di tutte le discipline.
La vita
Nacque a Sant’Andrea del Garigliano il 30 giugno 1882; frequentò le scuole elementari in paese e quelle superiori a Sessa Aurunca, a Caserta e a Nocera Inferiore; ma seguì soprattutto l’insegnamento e la guida di suo zio, Francesco Tudino, un illustre latinista, un esperto della storia di Roma e del mondo classico e nello stesso tempo con la mente aperta alle numerose problematiche che si schiudevano ai giovani del suo tempo.
A ventiquattro anni, si laureò in medicina e chirurgia con 110 e lode presso l’Università degli Studi Federico II di Napoli.
Si dedicò subito alla professione in qualità di medico del lavoro con i dipendenti delle Ferrovie dello Stato in servizio lungo la tratta Roccadevandro-Cassino e di medico condotto e
di ufficiale sanitario a Roccadevandro: qui la sua opera fu intensa e costruttiva: curava i malati con abnegazione, con vivo zelo ed amorevolezza, cercando di risolvere anche concretamente i numerosi problemi che affliggevano le famiglie del paese. Il contatto occasionale e diretto con tante persone gli fece affiorare nella mente il primo barlume di una scuola, proprio per combattere l’analfabetismo diffuso e la mancanza di una sicura guida al lavoro. Chiese ed ottenne l’assegnazione di tre suore dell’ordine del Preziosissimo Sangue: una maestra, un’infermiera e una ricamatrice. Mise gratuitamente a loro disposizione un locale, la scola come la chiamano ancora a Roccadevandro, in cui fu organizzata, con il suo prezioso contributo di conoscenze e di esperienze, una scuola. Forse già allora pensava ad essa, configurandola in senso moderno, come un armonioso sodalizio alla quale la socetà di oggi fortemente aspira.
Durante la Grande Guerra 1915-18 fu Ufficiale Medico sul Carso; e qui, nell’ospedale da campo, oltre a curare le ferite dei combattenti, si preoccupava delle loro angustie personali, cercando di comprenderle, sollevandoli dalle afflizioni causate specialmente dalla lontanaza dalla terra natia.
Nell’esercizio della sua professione di medico non trascurava lo studio e la ricerca, non soddisfatto mai delle conoscenze raggiunte; raccontano ancora oggi in paese che era attanagliato da una cupidigia, da un continuo desiderio di apprendere.
Spesso, nel suo girovagare per la campagna, spinto dalla sua innata curiosità, dall’avidità di sapere, si soffermava ad osservare attentamente la radice di un albero, una pietra dai particolari non comuni, l’aspetto singolare di un fenomeno naturale, che capitavano sotto il suo sguardo; e gli piaceva conversare con i contadini, nelle cui parole sapeva scoprire qualità e verità eccezionali.
Un giorno, una fortuita caduta da cavallo, mentre si recava a visitare un paziente in località Camino di Roccadevandro, dati gli interessi sempre nutriti per la paleontologia, lo portò alla scoperta di un interessante fossile, il Leptolepis Sprattiformis in calcare cretacico. Lo studiò accuratamente, lo catalogò, redasse una relazione che venne molto apprezzata dal cattedratico di geologia dell’Università Federico II di Napoli, prof. Geremia D’Erasmo, e lo donò al Museo di Paleontologia di Largo S. Marcellino della stessa Università. Ancora oggi il prezioso reperto fa bella mostra in una vetrina del Museo, come dono Fargnoli.
Nel 1922 il prof. D’Erasmo dedicò al Leptolepis Sprattiformis una pubblicazione scientifica, che porta il titolo Contributo alla Ittiolitogia dell’Italia Meridionale, nella Collana R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche.
Il rinvenimento accrebbe il suo entusiasmo verso questa branca del sapere e tornò a studiare, conseguendo una seconda laurea in Scienze Naturali.
Nel 1925 vinse il concorso nazionale per la cattedra di questa disciplina ed optò fra diverse sedi per quella del Liceo Ginnasio Giosuè Carducci di Cassino, dove prestò servizio ininterrotto per un ventennio e a Cassino nel 1937 trasferì la famiglia divenendo vero Cassinate.
Nel 1926 collaborò con lo studioso Toselli Saragosa nel portare alla luce due scheletri di Elephas Antiquus Italicus in Pignataro Interamna, uno dei più importanti ritrovamenti paleontologici di allora d’Italia3; uno fu donato, per volere concorde dei ricercatori, allo stesso Museo di Paleontologia di Largo S. Marcelllino di Napoli, il secondo fu ceduto ad un Museo di Storia Naturale americano.
Durante il periodo dello sfollamento insegnò al Liceo Classico Dante Alighieri di Roma e al Liceo Scientifico di Caserta.
All’attività di medico esercitata a Roccadevandro e a Cassino e a quella di docente, unì sempre un vivo amore per la ricerca e per lo studio delle lingue; grazie alle sue conoscenze poté dare alle stampe alcuni studi su casi clinici più complessi occorsi durante la professione, con prevalente interesse sulla profilassi, come:
– Sulle cause del dolore epigastrico, con contributo clinico in Rivista Sanitaria, Anno XI, n.5, Napoli, 1912;
– Il Garigliano, inno messo in musica dal maestro Samuele Pagano;
– Per la lotta contro la malaria, Cassino, 1945;
– L’assistenza sanitaria a Cassino, Cassino, 1945.
Data la padronanza della lingua inglese, collaborò, come inviato speciale, a Il Fronte, un giornale edito dagli Americani nell’immediato dopoguerra: in particolare stilava articoli sullo stato di salute delle donne, vittime di violenze subite da parte di soldati di colore che erano al seguito degli Alleati; le sue relazioni costituirono valida documentazione da produrre agli organi competenti al fine di ottenere il dovuto risarcimento. Collaborò anche con il settimanale La Voce di Cassino, fondato nel 1945.
Il preside
In quello stesso anno, per la cultura vasta e profonda, ansiosa sempre di nuove conquiste, e per l’innata capacità di ricerca, a Cassino gli fu conferita la carica onorifica di Ispettore dei Beni Culturali.
Il caos seguito alle battaglie, le sofferenze sofferte da tutti nel corpo e nello spirito non avevano intaccato il suo amore per la scuola e, verso la fine del 1945, grazie alla sua tenacia e alla squisita comprensione del Provveditore agli Studi Guido Mestica di Frosinone, riuscì a riportare da Alvito a Cassino il Liceo Ginnasio Giosuè Carducci, mentre il prof. Giuseppe Di Zenzo vi trasferì la Sezione Staccata della Scuola Media che temporaneamente funzionava a S. Elia; due anni dopo il Preside Luigi Pascarella completò il rientro da Alvito anche di questa Scuola.
Ottenne dall’amministrazione Di Biasio, oberata da problemi impellenti e vitali, come quelli della Chiesa, del Tribunale, della viabilità, del ritorno delle famiglie sfollate lontano e soprattu
tto della ricostruzione, quattro appartamenti di una casa popolare di civile abitazione con un ampio spiazzo davanti, sita lungo la seconda traversa di destra di viale Dante, partendo da piazza S. Antonio, oggi chiamata via Pascoli: due più in vista vennero utilizzati dalla Scuola Media e gli altri, nascosti dai ruderi di un fabbricato, dal Liceo Ginnasio.
Ebbe la forza d’animo di non arrestarsi di fronte alle difficoltà affioranti dalla città completamente distrutta e trovò le suppellettili per arredare di fortuna le aule, la carta per i registri della segreteria, i banchi, le lavagne e le cattedre, i bracieri e la carbonella per il riscaldamento e soprattutto l’acutezza di saper reclutare ottimi docenti tra i professionisti: in questo modo Cassino riebbe subito il suo Liceo, pronto ad accogliere i giovani che dovevano ritrovare la serenità e la forza di per prepararsi a riedificare la città e coloro che dovevano rientrare ed erano nell’incertezza, perché sapevano che Cassino era tutta caput! E non si trattava solo e semplicemente di inventare una sede dove ripristinare alla meglio una scuola: c’era da pensare al pericolo dei residuati bellici, alla denutrizione, ai rischi sempre incombenti delle malattie, agli studenti, agli uomini del domani.
Al Preside stava molto a cuore la nostra buona salute, per questo motivo desiderava tener lontano da noi specialmente la malaria, sulla cui profilassi aveva scritto pagine interessanti. E ricordo che dopo la terza ora di lezione bussava alla porta della nostra aula Giovannina con il vasetto di atebrin, il chinino giallo americano, che, amaro come un veleno, rivestiva il nostro volto del colore inconfondibole dell’itterizia. E bisognava prenderlo a stomaco pieno. E come si poteva?
Avevamo tutti fame, una fame arretrata che un anno di vita normale non era riuscito ad eliminare; una fame che ciascuno di noi sicuramente non era in grado di dissimulare. A me pensava il compagno di banco Ascenzo Pariselli, che quotidianamente portava la stozza, due fette di pane bianco con frittata gocciolante olio di oliva: me ne dava volentieri una parte, perché i bocconi non gli restassero in gola.
Ma il problema lo risolse Don Peppino con le sue pressanti richieste alla P.O.A. e con il suo senso pratico. E così, a lato delle rovine della casa di fronte, a cielo aperto, su un alto treppiede, ogni giorno bolliva l’acqua in un pentolone nero di fumo: a mezzogiorno le lezioni si interrompevano per il pasto comune nella stessa aula, per professori ed alunni. Era un avvenimento festoso, che mi richiama alla mente certe scuole dei secoli passati o quelle di questi ultimi anni dei bambini. Come era saporita la polentina verde chiaro di piselli, dal profumo penetrante! Come era atteso con ansia il giovedì per avere la scodella colma di pasta asciutta!
Il prof. Funari ci girava le spalle per ritegno, per non farsi vedere come puliva in un risucchio formidabile il suo piatto, mentre la signorina Tartaglione ci guardava sorridente dalla bellezza dei suoi venticinque anni. Anche ai tubetti e ai piselli era riservata la nostra attesa: i semi verdi, quando restavano duri nel fondo del piatto, finivano nella cerbottana, per una battaglia innocente, lì dove due anni prima i colpi erano stati diversi, fragorosi, micidiali, funesti.
La situazione nella città era tremenda. Il 18 aprile 1946 il nostro Preside rivolse un accorato, commovente appello agli Italiani, riportato da tutti i giornali del tempo, affinché contribuissero, con spirito di fraterna comprensione, alla rinascita dalle macerie del glorioso Liceo:
“Sulle ceneri ancora fumanti della martoriata città è risorto, prima scintilla della vita intellettuale, l’antico glorioso Liceo Ginnasio Giosuè Carducci, nel quale tanti discepoli hanno attinto, con la loro cultura, il sacro attaccamento alla patria.
L’affetto del luogo natìo ha fatto sì che ottantuno (una volta erano seicento) giovani, quasi tutti doloranti per l’immane distruzione, hanno potuto continuare i loro studi in questo Istituto, mentre un piccolo, coraggioso nucleo di insegnanti ha sfidato i disagi ed il miasma per rispondere alla voce della città martire che chiamava.
Purtroppo noi siamo poveri: non abbiamo una nostra casa, né suppellettili, né libri, né biblioteche, né gabinetti, né il necessario per l’insegnamento. Ma in tutti noi, docenti e discepoli, nei nostri occhi e nel nostro cuore brilla una fede che non muore: la rinascita di Cassino.
Sappiamo che Cassino è, agli Italiani, il simbolo della Patria che, anche straziata, deve rivivere. Essa chiama tutti gli Italiani, dal luogo del maggiore disastro, dove l’Italia è finita, alla resurrezione. Ed il Liceo Ginnasio di Cassino, dovrà rivivere, tornare all’antico splendore per volere concorde di tutti gli Italiani, e ad essi ora lancia il suo appello. Non domanda elemosine, che non accetterebbe, ma la dimostrazione di un affetto fraterno di comprensione, che sente di meritare da tutti i fratelli d’Italia: sarà un libro, un quaderno, una penna, un armadio. Ma desidera che con esso, con un piccolo filo di pensiero, sia congiunta quella fede che noi abbiamo, e che cioè la ricostruzione di Cassino sarà l’inizio fatidico della rinascita dell’Italia. Il Preside Giuseppe Fargnoli.”
Don Peppino, a contatto di gomito con professori ed alunni, conosceva bene le necessità della sua scuola ed anche le miserande condizioni di vita di ciascuno, cui mancava la casa e che aveva ancora nello sguardo insicuro il ricordo del pericolo scampato. Ed era in grado di saper riconoscere nel comportamento, composto e disciplinato, la tenacia, la forza, l’ansia di procedere oltre, di continuare a lottare, questa volta senza il pericolo della vita, per la rinascita della città, superando rancori e risentimenti verso chi l’aveva distrutta.
Il preside Giuseppe Fargnoli morì a Cassino il 14 aprile 1950.
Il ricordo
Lo vidi una mattina radiosa di maggio, durante la sua visita alla classe: era prestante e si muoveva con difficoltà tra i banchi, nell’angusta stanzetta; ma era agile nel volto paffuto e nello sguardo acuto e penetrante e seppe stabilire con immediatezza una intesa con noi, lasciandoci a nostro agio. Stavamo leggendo il secondo libro dell’Eneide, nella traduzione di Annibal Caro, in cui è descritto Sinone e il cavallo di Troia; egli allora declamò i versi di Virgilio dell’inizio della narrazione:
Conticuere omnes intentique ora tenebant.
Inde toro pater Aeneas sic orsus ab alto:
– Infandum, regina, iubes renovare dolorem,
Troianas ut opes et lamentabile regnum
Eruerint Danai, quaeque ipse miserrima vidi
Et quorum pars magna fui…
lasciandoci stupefatti.
Guardando le rovine di là dalla finestra angusta, rimase pensoso e si commosse; si riprese subito e si soffermò a parlare dell’astuto traditore.
Lo ricordo così, in una visione fugace di una lezione, come una persona che sapeva tante cose, dotata di una grande ricchezza interiore e capace di trasmetterla piacevolmente a tutta la scolaresca: per questo motivo si cattivò la simpatia di tutti, anche dei più vivaci della classe.
Spero di poterlo rivedere in fotografia, come il primo Preside del Liceo del dopoguerra, quando eventualmente capiterò nella presidenza del Giosuè Carducci della mia città di adozione.
1 Giacomo Leopardi, dai Canti, Alla luna.
2 Antonio Pontone, La lunga attesa, Cassino, 1992, p. 96.
3 Nel 1959 il Direttore della Scuola Elementare di Cassino, dott. Filippo Di Sotto, inviò al Ministero della Pubblica Istruzione la proposta di conferiomento di una medaglia d’oro per meriti culturali, per l’ammodernamento dell’agricoltura nel Cassinate e per la scoperta del prezioso reperto archeologico al prof. Toselli Saragosa.
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