Studi Cassinati, anno 2001, n. 1
di Giovanni Petrucci
L’Abate Gregorio Diamare, scampato miraco- losamente al bombardamento di Montecassino del 15 febbraio 1944, abbandonò le sacre rovine per ritornare nella sua diocesi solo nel mese di ottobre, stabilendosi prima a Valvori, poi a S. Elia Fiumerapido, dove morì il 6 settembre 1945, nella casa dell’arciprete Don Gennaro Iucci.
Adesso che le giornate si sono allungate, esce abitualmente a passeggio nel tardo pomeriggio; cammina adagio per via delle Torri e risponde lietamente al saluto delle persone che incontra. Si fermano tutti al suo transito, grandi e piccoli, alcuni si inginocchiano e protendono la bocca sull’anello per baciarlo; egli, come d’abitudine, sorride, sorride specialmente ai bambini, ponendo la mano sulle teste ricciolute e sudate per le corse interminabili sulla villa comunale nel caldo primaverile e alza la destra in atto benedicente. È lieto di vedersi circondato da tanto affetto e di sentirsi nella numerosa famiglia dell’intero paese. Prima di arrivare in piazza, deve rallentare ancor più perché dinanzi alla bottega di Florindo sono allineati asini e cavalli, in attesa del loro turno. Il mastro è all’interno, tutto vestito di nero, che batte sull’incudine il pezzo rosso di fuoco, malleabile come cera, da plasmare secondo l’orlo plantare dello zoccolo precedentemente visionato; è ricavato da uno di quel bastoni a tre anelli portati dagli Americani per fermarvi il filo spinato; è dolce ed ottimo per tali lavori. È un artista Florindo: sa foggiare il metallo con meravigliosa abilità, come gli dettano gli occhi di provetto disegnatore. Mattia preme con le tenaglie rigirate un ferro rovente sull’unghia di un cavallo per farlo aderire alla perfezione: si sente il solito sfriggolìo e si leva un fumo acre e puzzolente che si diffonde all’intorno. Il giovanotto sorride e dice: – Questo allontana la malaria! In via delle Torri nessuno si è ammalato! Il profumo è miracoloso, perciò i Santeliani dovrebbero ringraziarci ed invece stanno sempre a sparlare. Sua Eccellenza rallenta volentieri perché attratto da un allegro fischiettare, poi da un canto melodioso, che suona strano in una pubblica strada. Anzi si ferma e ascolta:
– Lodiamo cantando
– La Figlia, la Sposa,
– La Madre amorosa
– E chi la formò …
Sente e riconosce distintamente l’inno, perciò volge lo sguardo all’interno della bottega, ma è tutto buio e non riesce a distinguere chi vi lavora; Antonio, non molto alto, dalla fronte scoperta per la calvizie precoce, lima la mappa di una chiave saldata con lo zoccolo di ottone di una lampadina rotta; canta le canzoni che un tempo, prima del bombardamento dell’otto dicembre, gli arrivavano all’orecchio dalla Chiesa di S. Maria Nova, quando la casa era integra. Mattia gli si avvicina e quasi si inginocchia per baciargli l’anello, ma ha le mani nere di polvere e di lavoro e sporca quella delicata che gli viene tesa; si rammarica e guarda con gli cocchi di chi vuole scusarsi, mentre il Padre Abate comprende e gli sorride. Don Oderisio, affabile come è con i Santeliani, con i quali passa anche del tempo a chiacchierare e a dare buoni consigli, entra con molta disinvoltura e si ferma a parlare col giovanotto. Don Gregorio continua la sua passeggiata e vicino alla vasca si ferma di nuovo e, imponente come è, allunga lo sguardo lontano lontano, al suo Monte; non si abbandona a pensieri di rancore, ma incede sereno e tranquillo, sicuro di tornarvi. Gli si fanno incontro altri ragazzi; lui si ferma, sorride e benedice, poi continua lentamente la sua passeggiata. L’indomani, alla solita ora, compare di nuovo dalla casa di Alfredo e Natuccio, preceduto da Don Oderisio. Ormai i Santeliani si sono abituati alla sua presenza, e attendono ansiosi il passaggio: la sua apparizione, con un sorriso appena percettibile sul volto, è di conforto dopo la tragedia inspiegabile che si è abbattuta sul paese e su tutto il territorio. Lo aspettano quasi perché desiderano chiudere la giornata con la sua benedizione. In genere parla poco, ma il suo sguardo rasserena e dona tranquillità. Incede lentamente e, arrivato vicino ai cavalli in attesa del turno, si ferma. Questa volta le parole giungono nitide, chiare, melodiose ed egli chiama Don Oderisio e gli parla. Nella bottega sono tutti indaffarati e non badano a chi passa. Antonio continua il suo lavoro e, come d’abitudine, prima fischietta e poi intona:
– Mira il tuo popolo,
– Bella Signora,
– Che pien di giubilo
– Oggi ti onora …
Poi cambia la canzone e dal suo ricco repertorio ne sceglie un’altra, alla quale modula la sua voce con più fervore:
– Vergine Santa, deh! Ascolta benigna
– Chi t’invoca con fervida fede,
– Deh rivolgi dall’alta tua sede
– Uno sguardo al tuo popol fedel
e alla fine fischia il ritornello con un’abilità di un provetto suonatore di flauto. Le note saltellano agili dalle sue labbra appuntite ed egli le cadenza accompagnando la spinta delle braccia sulla lima che spiana ritmicamente il chiavistello di una serratura.
Sua Eccellenza questa volta entra improvvisamente nella bottega di Zi’ Zi’ e tutti si fermano: mastro Florindo pone il martello sull’incudine e non prende dalle mani di Benedetto la bottiglia di acqua fresca, che avrebbe vuotata tutta intera nella sua bocca spalancata, Mattia lascia cadere a terra il ferro rovente, Antonio ammutolisce e si tira in disparte: tutti vogliono scusarsi.
Il Padre Abate invece è sorridente e lieto:
– Sono contento di sentire tali canti inneggianti alla Madonna. Voi siete veri cristiani, siete dei veri Benedettini: noi preghiamo e lavoriamo, voi lavorate pregando. È bello, è santo, voi avete ereditato dai vostri genitori l’insegnamento della nostra Regola. Mi piace fermarmi qui con voi! Don Oderisio, domani manda del sapone a questi nostri amici, perché possano lavarsi! Vedo che sono neri di polvere ma puliti di dentro. Dio vi benedica; e esce alla luce. Il segretario la mattina per tempo manda Peppina di Paneruscio a portare una scatola con alcune saponette. Potete immaginare la contentezza a quella vista di Zi’ Zi’ e dei numerosi nipoti, che egli ha cresciuto come suoi figli! Di fronte, nella segreteria del partito comunista, si riuniscono tutte le sere a discutere di politica molti compaesani; questi vedono i giovani allegri che commentano il fatto straordinario, perché solo con la pulizia potranno allontanare il pericolo della scabbia. ‘Ntonio, uscendo si ferma a gambe divaricate ed apostrofa Mattia:
– Le dieci casse di sapone le dovete portare domenica in piazza e distribuirle al popo- lo! Non è roba vostra! Ci dobbiamo lavare tutti! Adesso ho capito perché voti per la Democrazia Cristiana, perché ti portano tanti regali! Sentimi un po’: fatti dare pure la fune!
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