I diritti di passo nel Regno di Napoli e le tariffe su pietra nel Molise

 

di Luigi Serra, Cassino, 2006.

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PREMESSA
Nel corso dei millenni e prima di arrivare ai supporti moderni, l’uomo si è avvalso di tutti gli strumenti possibili per le sue rilevazioni contabili e, più in generale, per la disciplina ed il controllo dei rapporti economici. Un posto nella vasta casistica è occupato dalle pietre, utilizzate sia direttamente nella viva roccia dove si sono formate nelle ere geologiche – come nel caso delle incisioni rupestri – sia come lastre incise ed esposte nei luoghi di passaggio, per portare a conoscenza del pubblico aspetti salienti della vita economica e sociale. Molto noti fra gli studiosi di storia della ragioneria sono i rendiconti su lastre marmoree di delo nell’antica Grecia giunti fino a noi. Le pandette su pietra relative ai passi nel regno di napoli, invece,  contengono le tariffe dei passi, di cui mi occupo in questa ricerca. I diritti di passo rientrano tra le tariffe in senso stretto, se dovuti dietro una controprestazione da parte di chi li riscuote, o tra le imposte indirette in caso contrario. ovviamente passando da una categoria all’altra senza soluzione di continuità, perché spesso si è trattato di pedaggio corrispondente  solo in parte ad una controprestazione e per il resto ad una imposta vera e propria. così concepiti, i passi, fra i quali rientrano anche i dazi di importazione, i diritti portuali, quelli per  l’attraversamento dei fiumi con le scafe, ecc., ecc., hanno una origine molto antica. Già in Grecia, se non anche per i tempi anteriori, si riscontra un dazio di importazione, che era del 2%  sul valore delle merci, mentre più alte erano le tariffe egiziane. a roma, fin dai primi tempi, si pagava il “portorio”, che poi venne esteso alle province; durante la repubblica c’erano  anche i passi pagati dietro una controprestazione, come l’attraversamento di un ponte “pontaggio o pontatico” oppure di un fiume con la scafa “scafaggio o pontonaggio”. Con la caduta  dell’impero romano e la lenta decadenza dell’unità politica ed economica del suo vasto territorio, si moltiplicarono sempre di più le frontiere interne e con esse i dazi da pagare. Con il  feudalesimo i diritti di passo si diffusero ovunque perché, vista anche la facilità per riscuoterli, ogni signorotto non voleva rinunciare a questo ragguardevole vantaggio che, però,  intralciava notevolmente i già ridotti traffici commerciali e faceva lievitare.i prezzi. né mancavano abusi perché, come sinteticamente rileva il Fanfani, “con diritto o senza, sulle vie, sui  confini del feudo, nei passi montani, ai ponti, ai guadi, frequentemente il mercante occasionale o di professione era angariato con la riscossione dei pedaggi; e al pagamento di dazi si  era sottoposti alle porte di città, agli approdi nei mercati”. Ma, come vedremo, oltre alle merci a volte pagavano anche i beni personali e perfino le persone, secondo una casistica molto  articolata. Il diritto di passo prendeva i nomi più strani, a seconda del mezzo di trasporto usato e del luogo di riscossione: portatico, sommatico, rotatico, ripatico, pontatico, scafatico,  vallatico, stratatico, pedatico, carratico, ecc. Abitualmente il tributo veniva riscosso dove era stata realizzata un’opera – come il ponte, il porto, il traghetto del fiume con la scafa –  oppure dove c’era un ostacolo naturale – come il valico, il fondovalle, il guado del fiume, ecc. Però si parla anche di ostacoli creati artificialmente con il solo scopo di poterlo esigere,  come in Provenza, dove furono tese delle funi attraverso le strade, che venivano abbassate per far passare i mercanti solo dopo aver pagato quanto richiesto. In fondo, se non c’era  un’opera realizzata da qualcuno, che doveva essere compensato, il passo, sia naturale, come il valico, o artificiale, come le funi tese, veniva sfruttato sempre ed esclusivamente per la riscossione di una imposta indiretta. I passi proliferarono ovunque, specialmente sulle strade più importanti, tanto che nei secoli XII e XIII, lungo la via Francigena se ne contavano 11 nel tratto tra il Po a Piacenza e l’arno a Fucecchio. Con gli abusi e le vessazioni c’erano obblighi paradossali o umilianti per i viaggiatori; così la prepotenza dei feudatari poteva portare  alla richiesta di un denaro in più, oltre il pedaggio abituale, al passeggero con qualche deformità fisica; in Provenza, dove sembra che la prepotenza sia stata maggiore, i giullari ed i  menestrelli dovevano esibirsi in giochi, esercizi e corteggiamenti alla presenza della dama del castello, il pellegrino doveva cantare una romanza, il moro doveva gettare per l’aria il suo  turbante e contare 5 soldi, “gli ebrei erano obbligati a porsi i calzoni in testa ed a recitare un pater nel dialetto del paese”.

SOMMARIO
PREMESSA – pag.  3
I Passi nel Regno di Napoli – pag. 5
Le Pandette contenenti le tariffe – pag. 13
Le altre Pandette – pag. 23
I Pedaggi istituiti durante l’occupazione Francese – pag. 27
Appendice – pag. 29

 

 

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