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Studi Cassinati, anno 2016, n. 4
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di Maurizio Zambardi
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L’originario impianto architettonico della chiesa di San Sebastiano (Fig. 1) di San Pietro Infine risale all’XI‑XII secolo, quindi in epoca romanica, mentre è degli inizi del XVI secolo, e precisamente del 1501, l’ampliamento, con l’aggiunta del corpo antistante, realizzato in occasione di una pestilenza, come risulta dal registro del commendatario cardinale Giovanni de’ Medici1. La chiesa si trova all’esterno delle mura di quello che era il castrum medioevale di San Pietro Infine, a poche decine di passi dalla porta d’ingresso al paese, chiamata nel dialetto locale «gliu purtone», andata distrutta durante la seconda guerra mondiale, come del resto tutto l’abitato di San Pietro. La porta, probabilmente rifatta in epoca successiva2, nel tempo subì anche il cambiamento della sua originaria denominazione di «porta Tiridana» che fu mutata, vista la vicinanza e la nuova denominazione della chiesa, in «porta San Sebastiano», mentre alla chiesa si aggiunse il termine «fuori la porta». Sia nell’area di pertinenza che all’interno della chiesa venivano sepolti i pellegrini e i poveri del paese, che morivano nell’adiacente ospizio3.
Va precisato che una volta la viabilità del luogo era diversa, come del resto anche l’impianto urbano del paese. Prima che venisse realizzata la strada Annunziata Lunga, costruita nella prima metà del XIX secolo, si accedeva al paese tramite una via che passava nei pressi della fonte Maria SS. dell’Acqua. Da qui la stradina si inerpicava per raggiungere prima piazza San Nicola e poi piazza da Basso, divenuta in seguito piazza Municipio, nota anche come piazza Vittorio Emanuele II4. Raggiunta tale località la stradina si diramava, biforcandosi. Un tratto consentiva l’accesso al castrum, l’altro continuava passando nel vallone a oriente del paese, lambiva la chiesetta di San Sebastiano e continuava per via San Leonardo5, da qui andava ad allacciarsi con la «viachiana», una strada il cui tracciato si sviluppa tutt’ora in piano, come è facilmente intuibile dal nome stesso. La «viachiana» a sua volta andava a riallacciarsi con la diramazione dell’antica Via Latina che, serpeggiando sul versante meridionale di monte Sambùcaro, portava nel Molise, dopo aver attraversato il valico delle «Tre Torri». La chiesetta, oggi sconsacrata, era l’unica luogo di culto funzionate nel dopoguerra, poiché sfuggita alle cannonate alleate, grazie alla sua posizione defilata (Fig. 2).
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Descrizione architettonica
La chiesetta risulta composta da due volumi ben distinti, quello posteriore, che è anche il più antico, coperto con volta a botte6, e quello anteriore, coperto con cupola su tamburo, riconducibile all’ampliamento del 1501 (Fig. 3).
Il volume posteriore si imposta su una pianta quadrangolare di misure medie interne pari a 3,65×3,80 metri, per un’altezza media interna, presa in chiave di volta, pari a 3,40 metri circa. Anche il volume anteriore si sviluppa su una base quadrangolare, di misure medie interne pari a 3,70×3,80 m, ed ha un’altezza interna massima pari a 6,80, m circa. La cupola si imposta su una cornice modanata, spessa 20 cm circa, formata da blocchi di tufo marrone. Tra i due ambienti contigui vi è un arco a tutto sesto, spesso 64 cm circa, che emerge di pochi centimetri dalla volta a botte posteriore.
La diversa epoca di costruzione dei due volumi è riconoscibile sia dal rilievo della pianta, in quanto l’asse anteriore è lievemente ruotato rispetto a quello posteriore, e sia dalle pietre angolari in tufo del primitivo impianto, riconoscibili sui due prospetti laterali (Fig. 4).
La facciata è caratterizzata da una parete rettangolare, segnata da un arco a tutto sesto in pietra viva, murato probabilmente nel XVIII secolo7. Nella parte alta una fascia orizzontale, composta da coppi in laterizio, funge da cornice superiore. La muratura di chiusura dell’arco contiene l’unica porta d’accesso alla chiesa, larga 125 cm ed è alta 195 cm circa.
Gli stipiti laterali della porta sono impreziositi da due blocchi in pietra viva di epoca romanica, probabilmente riutilizzati, recanti dei bassorilievi con motivi fito‑zoomorfi. Questi blocchi hanno una larghezza complessiva in facciata pari a 30 cm e un’altezza pari a 125 cm, a cui va aggiunta anche l’altezza della base, che, però, non si conosce perché affonda nella pavimentazione. Ciò porta a ipotizzare che in origine la quota della soglia d’ingresso era più bassa dell’attuale. Le facciate principali degli stipiti sono dotate entrambe di una cornice a rilievo, larga 5 cm, all’interno delle quali vi sono dei complessi motivi vegetali a volute che creano degli spazi dove trovano posto alcuni animali. Questi sono, in sequenza dall’alto verso il basso, una civetta, una coppia di lupi, una coppia di conigli, una coppia di ibis sacri, una coppia di draghi, e infine, una coppia di colombe8. Gli animali hanno tutti un significato allegorico9.
Ai lati della porta si riconoscono due piccole e basse finestrelle, oggi murate, il cui compito era di consentire l’osservazione delle funzioni che si svolgevano all’interno della chiesa da parte di coloro che ancora non avevano ricevuto il sacramento del battesimo.
Al di sopra della porta, proprio a ridosso dell’architrave, che risulta formato da un monolite in pietra viva
modanato, alto 40 cm circa, trova posto una finestra quadrangolare, larga 95 cm e alta 1,05 cm, che risultava, fino a pochi anni fa, ristretta leggermente (con un intervento avvenuto probabilmente in anteguerra) con due piccole spallette realizzate con forati in laterizio10. In asse alla porta e alla finestra, si stacca un alto e stretto campanile a vela, probabilmente realizzato tra il XIX e XX sec., caratterizzato da due piccole lesene in mattoncini11, lievemente a rilievo, che andavano a ricollegarsi con un arco a tutto sesto, sempre in mattoncini, definendo una monofora sommitale, ora spezzata, che conteneva la campana (Fig. 5). Quest’ultima veniva messa in movimento da una cordicella che, dopo aver attraversato un foro ricavato nella cupola, veniva ancorata ad un chiodo nell’angolo interno destro entrando.
Dal dado di base del corpo anteriore della chiesa emerge un tamburo cilindrico contenente la cupola, la cui copertura doveva essere in origine composta da coppi in laterizio, o anche da piastrelle in cotto.
La copertura della volta posteriore era realizzata con mattonelle in cotto che seguivano il profilo arcuato dell’estradosso della volta stessa.
La pavimentazione interna della chiesa era realizzata, come era riscontrabile in alcuni punti, prima degli ultimi lavori di ristrutturazione, con mattoni in cotto di forma quadrata, su alcuni dei quali rimanevano ancora tracce di smalto colorato che farebbero pensare a una originaria pavimentazione in maioliche.
Nella parete interna di fondo, che maschera la pseudo‑abside (quest’ultima riconoscibile solo dall’esterno), si stacca una complessa cornice a rilievo, realizzata con intonaco, delimitante quello che era lo specchio pittorico contenente un affresco raffigurante San Sebastiano, ora del tutto scomparso (Fig. 6).
Lo specchio pittorico ha le misure pari a 105 cm di base e 150 cm di altezza, mentre la cornice ha spessore variabile su tutti e quattro i bordi, con misure comprese tra i 22 e i 28 cm. La parte più bassa della cornice dista dal piano pavimentale 1,45 m circa. L’interno dello specchio pittorico fu creato chiudendo con dei forati una nicchietta ad arco, larga 100 cm circa ed avente una profondità di 40 cm circa. A tal proposito si ritiene opportuno riportare alcune notizie.
Alla fine dell’estate del 1992, nello specchio pittorico comparve una lesione ad arco che faceva intuire che dietro la parete vi fosse appunto un vuoto, o meglio una nicchia, e così qualche “novello scopritore di tesori”, credendo di trovare chissà quali ricchezze, sfondò la paretina che murava la nicchietta con un palo di legno, trovato poi ancora inserito nel foro. Il palo faceva parte di una staccionata in legno posizionata a protezione del vallone esterno alla chiesa. Non si è mai saputo cosa abbia trovato all’interno il “novello scopritore di tesori”, anche se l’immaginario collettivo dette sfogo alle ipotesi più disparate e fantasiose. L’interno della nicchietta appariva tutta imbiancata a calce e presentava nell’intradosso dell’arco due incassi, realizzati sicuramente per adattarvi una sagoma quadrangolare che non sarebbe entrata a causa della ristretta forma dell’arco. Probabilmente gli incassi erano stati creati per accogliere una quadro con relativa cornice, a tal riguardo si segnala il rinvenimento, all’interno della nicchia, di un piccolo chiodo in ferro battuto che aveva la testa sagomata a forma di rosetta, riconducibile alla cornice del quadro.
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Alcune notizie storiche sulla chiesa
Nella visita pastorale12 fatta al paese, nel 1555, il gruppo dei monaci incaricati13, dopo la visita delle chiese più importanti del paese, e cioè quella di Sant’Angelo e di San Nicola, visitarono anche quelle minori tra cui San Sebastiano (con annesso ospizio) posta fuori dell’abitato.
Il Pantoni riferisce che la chiesa di San Sebastiano fu edificata in occasione di una pestilenza, nell’anno 1501, come risulta dal registro del commendatario cardinale Giovanni de’ Medici14, ma è da credere che in realtà nel 1501 fosse avvenuto, come già detto, un sostanziale ampliamento della chiesa, con l’aggiunta del corpo antistante, coperto con cupoletta, in stile rinascimentale.
Nella visita pastorale del 1570, nel menzionare la chiesa di San Sebastiano, si precisa che questa era di
dipendenza della chiesa di Sant’Angelo15.
Mentre nella seconda delle due visite effettuate nell’anno 1577, avvenuta nel mese di novembre, sia l’ospizio (o ospedale) che la chiesa di San Sebastiano furono trovati in buone condizioni16.
Alla fine del XVI secolo, e precisamente nel 1597, tra le costruzioni sacre minori apre la serie la chiesa di S. Sebastiano, «situata poco fuori le mura e della porta, da lungo tempo sparita, detta di S. Sebastiano, ma in origine chiamata “Tiridana”»17 (Fig. 7).
La descrizione che ne fa il Pantoni nella sua opera su San Pietro Infine è la seguente: «La chiesa era lunga trenta palmi (m. 7,90), larga quindici (m. 3,95), alta quattordici (m. 3,70), misure che corrispondono sensibilmente a quelle effettive. La copertura risultava a volta, con cupoletta, come si può vedere tuttora, [¼] L’altare aveva una statua di S. Sebastiano, alta cinque palmi e mezzo (m. 1,45). Non vi era coro, né sacrestia, ma solo due sedili, lunghi otto palmi (m. 2,10), per i sacerdoti, quando vi officiavano».
All’esterno della chiesetta vi era un’area di sepoltura che era destinata ai pellegrini che morivano nel vicino ospizio. Quest’ultimo era situato a dieci passi (cioè circa 7 metri e mezzo) dalla porta18, e vi si accedeva con una scalinata formata da quattordici gradini, in parte tutt’ora riconoscibili (Fig. 8). Aveva sei stanze, tre al piano inferiore e tre al superiore. Queste ultime erano le sole abitate.
Il gestore dell’ospizio, chiamato «ospitaliere», per poter svolgere la sua funzione doveva avere un’apposita nomina da parte della Curia Cassinese. A lui spettava la stanza centrale, mentre le altre due laterali erano a servizio dell’ospizio. L’ospitaliere poteva ricevere tutti gli infermi che si presentavano, limitatamente alle possibilità di capienza dell’ospizio. Inoltre «riceve parimente li pellegrini a quali l’ospitaliere pro tempore è obbligato a lavare li panni, e farli ogni altra polizia; pigliarli l’acqua, e farli il fuoco con la legna che deve andare a tagliare e careggiare, e di più li deve prestare le massaritie di cucina, godendo il suddetto ospitaliere per li servitij, che è obbligato a fare agl’infermi e pellegrini, l’horto sito vicino all’Hospitale e la cerca, che fa due volte la settimana per la Terra et in altri luoghi». Le stanze a piano terra dell’ospizio potevano essere affittate dal procuratore ad uso di stalle. Tutto ciò portava «vantaggi indubbi per la salubrità dell’ambiente soprastante»19.
Nella descrizione dell’Assenso reale di Carlo III di Borbone20, del 1743, si apprende che la chiesa di San Sebastiano era funzionante e la rendita annuale era pari a quaranta ducati. Questa rendita veniva in buona parte impiegata per «l’Ospizio de’ pellegrini e dell’infermi», oltre che per i poveri del paese. Vi era inoltre l’obbligo di versare dieci carlini l’anno per una messa cantata per l’anima del fondatore. «Fuori della porta di sopra sta sito l’ospedale per alloggiare gli pellegrini ed infermi, quale ha di rendita docati trenta»21.
Nella visita pastorale del 1752, a proposito di San Sebastiano e annesso ospedale, viene registrato che la rendita era di quarantatré ducati. Il danaro doveva servire per dire una messa ogni settimana, e per la manutenzione dell’ospedale medesimo. Si confermava ancora una volta che nell’ospizio suddetto venivano ricoverati i pellegrini, e che in caso d’infermità veniva fornito loro il necessario22.
Nel 1761 la chiesa San Sebastiano era stata ridotta a magazzino per i lavori della chiesa madre di Sant’Angelo, come anche la chiesa di San Giovanni, e quindi non furono visitate23. Anche l’ospedale annesso a San Sebastiano fu tralasciato, in quanto era stata sospesa la sua attività per utilizzarne le rendite nel rifacimento della chiesa. Si spendeva solo quanto era necessario per trasferire gli ammalati agli ospedali più vicini.
Invece nel 1809 l’ospedale con la cappella di S. Sebastiano risultavano in attività24.
Verso la prima metà del XIX secolo la chiesa era utilizzata, insieme alla chiesa di San Nicola, posta a quota più bassa, come luogo di sepoltura, almeno fino a quando, a metà del XIX secolo, non venne realizzato il Camposanto comunale.
Una curiosità: a seguito di una disposizione da parte del direttore del Ministero dell’Interno, il 21 maggio del 1850, giunge al sindaco del comune di San Pietro Infine una nota in cui si ordinava che i defunti, prima di essere seppelliti dovevano rimanere ventiquattr’ore insepolti in modo da essere certi che non si trattasse di «catalessi» e cioè di morte apparente. Ciò comportò che, nel caso in cui i defunti non avessero avuto parenti, la veglia sarebbe diventava un problema, specie di notte. Allora si propose di lasciare il morto sul «cataletto mortuario»25 all’interno della chiesa con la cordicella della campanella legata ai piedi o alle mani, in modo che se l’individuo colto da catalessi si fosse risvegliato, muovendosi avrebbe procurato dei rintocchi della campanella e quindi avrebbe allertato gli addetti che si trovavano nelle vicinanze della chiesa26.
Alla fine degli anni ’50 del secolo scorso la chiesa fu ripresa nel film di Mario Monicelli La Grande Guerra, con Alberto Sordi e Vittorio Gassman (Fig. 9). La scena è quella che ritrae i due soldati italiani, interpretati appunto da Sordi e Gassman, lasciati di vedetta sul fronte. I due sono distesi a terra, con la chiesa di San Michele che fa da sfondo, e si svagano cercando di ritrovare nelle forme delle nuvole attributi femminili. Ad un certo punto sono allertati da un fischio, creduto in primo momento quello di un merlo, ma in realtà prodotto da un soldato austriaco che si sta facendo il caffè, appena fuori della chiesetta di San Sebastiano. Non si decidono a sparargli, indecisi su chi dei due debba farlo e intanto aspettano che almeno prenda il caffè. Vengono però anticipati da un loro superiore che uccide l’austriaco e li rimprovera per non averlo fatto loro prima.
Nel 1993, avendo effettuato il rilievo architettonico della chiesetta, segnalai lo stato di abbandono in cui versava il «gioiellino architettonico», alla sezione Schede I tesori da salvare, fatti e non parole della rivista internazionale «Chiesa Oggi – architettura e comunicazione». La scheda segnalata venne ritenuta interessante e fu pubblicata sul numero di aprile dello stesso anno27 con numero 93002. Nel 1999, proprio in seguito alla pubblicazione della scheda, l’allora studentessa Valeria Casella di Cassino (ora architetto), insieme alle sue colleghe V. Aliprandi ed E. Capra, ne fecero oggetto di uno specifico esame in Restauro dei Monumenti, Corso diretto dal prof. arch. Paolo Fancelli presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Le studentesse effettuarono un rilievo molto dettagliato della chiesetta, indispensabile per un buon progetto di restauro. Un paio di anni dopo l’interessante lavoro confluì nella tesi di Laurea di Valeria Casella, incentrata sul vecchio abitato, dal titolo Il centro storico di San Pietro Infine, strutture architettoniche e problemi di restauro, un lavoro che abbracciava l’intera area del paese distrutto. La tesi, discussa nel 2002, sempre presso la stessa Università, aveva come relatore il prof. arch. Alessandro Spiridio Curuni, ordinario e titolare della Cattedra in Restauro Architettonico, mentre lo scrivente ebbe, per volere dello stesso docente l’onorato compito di fungere da correlatore di tesi. Nella seconda metà della prima decade del XXI secolo, insieme ad altri due tecnici del paese, oltre che all’architetto Valeria Casella, presentammo una proposta di restauro della chiesa, preventivando nel quadro economico anche una specifica voce riservata per gli scavi archeologici, essendo la chiesetta luogo di sepoltura, quindi ricca di informazioni. La proposta progettuale, purtroppo, non è stata mai caldeggiata politicamente, per cui fu accantonata e relegata nel dimenticatoio. Poi altri tecnici “più fortunati” ne hanno fatto oggetto di un loro recupero.
Le foto, ad eccezione di quella degli anni ’70, sono dell’autore.
1 A. Pantoni, San Pietro Infine, ricerche storiche e artistiche (a cura di F. Avagliano), Montecassino 2006, p. 30.
2 Essendo scomparsa l’originaria porta, come si apprende dalla relazione di una visita pastorale del 1597: «[…] situata poco fuori le mura e della porta, da lungo tempo sparita, detta di S. Sebastiano, ma in origine chiamata “Tiridana”» (cfr. A. Pantoni, San Pietro Infine … cit., p. 46).
3 Nella parte posteriore della chiesa vi sono i resti del Palazzo Brunetti.
4 Prima della distruzione bellica del paese, sulla parete posta a sinistra, uscendo dalla porta, vi era una lapide con la scritta «Piazza Vittorio Emanuele II», riferito da Antonio Adolfo Zambardi.
5 Che prese poi, in epoca fascista, il nome di via Roma.
6 È probabile che il termine «Tiridana» fosse riferito proprio all’originaria struttura voltata a botte.
7 Probabilmente a seguito di qualche terremoto, è infatti riconoscibile lo scorrimento verso il basso di alcuni conci dell’arco in pietra.
8 Sul blocco di destra al posto degli ibis sacri vi sono due galli.
9 Cfr. M. Zambardi, Il simbolismo animale negli stipiti laterali della porta della chiesa di San Sebastiano, alle successive pp. 252-258 di questo stesso numero.
10 Asportate a seguito di un intervento di consolidamento statico nei primi anni del 2000.
11 Nella parte intonacata compresa tra le due lesene in mattoncini si intravede una scritta su più righi di cui è possibile riconoscere solo le parole dei primi due, e cioè «Circolo Cattolico». La scritta risale, probabilmente, alla prima metà del XX secolo.
12 Nel XVI secolo cominciano, nella Terra di San Benedetto, le visite degli abati, a seguito delle nuove regole che furono imposte ai monaci di Montecassino, nel 1504, come conseguenza dell’annessione alla Congregazione di Santa Giustina. Benché gli abati non fossero più eletti a vita ma con un avvicendamento medio pari a tre anni, le visite pastorali erano abbastanza frequenti.
13 Costituito da don Mauro Romano, priore di Montecassino, in rappresentanza dell’abate Isidoro Mantegazzi di Piacenza, da don Luigi Toto (Toti) di San Germano (l’attuale Cassino) vicario spirituale cassinese, e dal notaio Cesare Martucci anch’egli di San Germano (A. Pantoni, San Pietro Infine … cit., p. 29).
14 Cfr. O. Fraja Frangipane, Notizie sui paesi della Diocesi di Mantecassino, ms. in Archivio di Montecassino, f. 121. L’Autore parla del 1500, ma da altra fonte competente, cioè l’inventario del 1698, si conosce che l’autorizzazione per tale chiesa fu concessa nel 1501 (A. Pantoni, San Pietro Infine … cit., nota 5, pp. 30-31). Nel Reg. I Johannis de Medicis, del 6 gennaio 1501, in riferimento all’Atto di Concessione di Onofrio “de Campania”, vicario del Card. Giovanni de’ Medici” si apprende che «La cappella edificata con diligenza presso la Porta Tiridana, viene richiesta con devozione e reverenza a coloro che l’amministrano, che sia in onore del Gloriosissimo Santo Sebastiano, che molti fedeli conta nell’area cassinese. Dopo essere stata da noi esaminata con perizia in ogni sua fattezza, per restituirle con devozione preziose ricchezze e migliore dignità, chiediamo che già da ora a nessuno è concesso, se non da noi, le venga apportato un beneficio decorativo e strutturale e chiediamo con ammirabile devozione che da voi non venga alterato» (Arch. di Montecassino f. 539 r.; estratto tradotto).
15 A. Pantoni, San Pietro Infine … cit., pp. 32-33.
16 In riferimento a tale visita viene precisato che l’abate Girolamo Sersale da Cosenza fu accolto con spari e da ragazzi ornati che recavano rami d’olivo. In quell’occasione l’abate fu ospitato presso la dimora dell’arciprete (A. Pantoni, San Pietro Infine … cit., p. 33).
17 Ivi, p. 46.
18 L’ospizio doveva trovarsi proprio di fronte al prospetto principale della chiesetta, lungo il perimetro murato del paese. Di questa struttura rimangono tutt’ora visibili gli ambienti voltati a piano terra.
19 A. Pantoni, San Pietro Infine … cit., pp. 46-47.
20 San Pietro Infine nella descrizione dell’Assenso reale di Carlo III di Borbone (a. 1743) (cfr. A. Pantoni, San Pietro Infine … cit., pp. 109-111).
21 A. Pantoni, San Pietro Infine … cit., p. 111.
22 Ivi, p. 55.
23 Ivi, pp. 57-58.
24 Ivi, p. 66.
25 Una sorta di tavolato ligneo dotato di piedi e di manici, quest’ultimi utilizzati per il trasporto nel luogo di sepoltura.
26 Cfr. M. Zambardi, La travagliata vicenda della costruzione del Camposanto di San Pietro Infine (in corso di staampa).
27 Cfr. «Chiesa Oggi – architettura e comunicazione», n. 4, aprile 1993, p. 122.
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